(dal latino
deus). L'Essere supremo,
concepito universalmente come potenza, saggezza, grandezza infinita, eterno
creatore e ordinatore dell'universo. ║ Nelle religioni politeistiche,
ciascuno degli esseri immortali dotati di potere sull'uomo, dal quale sono
venerati come superiori. ║ Fig. - Persona particolarmente dotata di una
determinata qualità o capacità; persona che raggiunge grandi
risultati. ║ Fig. - Persona alla quale viene attribuito un particolare
rispetto, che viene fatta oggetto di speciale venerazione. ● St. delle
rel. - Strettamente connessa alle diverse concezioni religiose, l'idea di
d. si è fissata concretamente in tutte le civiltà storiche
nell'elaborazione di miti, all'interno dei quali la divinità è
considerata agente direttamente nel mondo naturale e umano e acquista una
propria specifica fisionomia e funzione. La moderna scienza comparata delle
religioni ha sottolineato come la personificazione di oggetti religiosi
rappresenti uno stadio avanzato rispetto agli stadi antecedenti, nei quali
predomina l'elemento collettivo e magico di tipo animistico. In molte delle
antiche civiltà (egiziana, greca, ecc.) gli
d. erano immaginati
come viventi in una società organizzata secondo il modello umano, legati
da vincoli di parentela più o meno stretti e complessi. D'altra parte
alla divinità erano attribuiti caratteri spiccatamente antropomorfi,
dall'aspetto esterno alle caratteristiche psicologiche, ai sentimenti. Anche
nelle religioni politeistiche il creatore del mondo viene inteso come unico,
mentre nel panteismo il fedele si rivolge ad un unico
D., nella
convinzione che, nonostante la molteplicità dei nomi, l'essere divino sia
comunque uno. Gli studi comparati delle religioni portarono in passato,
soprattutto nella seconda metà dell'Ottocento, all'elaborazione di alcune
teorie sul rapporto tra monoteismo e politeismo; in particolare la teoria del
monoteismo primordiale, ripresa e sostenuta da W. Schmidt, tentò
di dimostrare la presenza, anche nelle religioni politeistiche precedenti il
Cristianesimo, di un nucleo di verità originaria. A tale teoria fu
opposta in seguito quella dell'
evoluzione dell'idea di
D., secondo
la quale sarebbe possibile definire diverse tappe nello svolgimento della storia
dell'uomo, corrispondenti a successive elaborazioni del concetto di
divinità: si sarebbe passati da una fase di feticismo (secondo altri di
animismo), ad una fase di politeismo, per giungere poi al monoteismo. Entrambe
le ipotesi si sono rivelate, ad uno studio più rigoroso e attento,
inadeguate e incomplete. L'idea di
D. nelle diverse civiltà fu ed
è tuttora complessa e molto varia, anche se si possono riscontrare
caratteri comuni, e l'eventuale passaggio da un tipo di concezione ad un altro
non avviene gradualmente ma in seguito ad un cambiamento radicale, spesso
improvviso. ● Teol. - In ogni religione è presente una relazione
vitale tra un Io umano e un Tu divino, vivo e operante nella storia. Per quanto
riguarda però la natura di
D. e il suo rapporto con il mondo, le
diverse impostazioni del problema conducono all'elaborazione di sistemi
filosofici e teologici ben distinti: il
deismo, ad esempio, di basa su
una concezione di
D. come pura trascendenza, distinta dal mondo; il
panteismo lo identifica con il mondo, lo considera ad esso immanente.
Tuttavia, in tutte le religioni, e con particolare evidenza nel Cristianesimo,
è presente l'idea che da
D. sia da attendersi la salvezza. Nella
concezione cristiana,
D. è l'Essere supremo, ultramondano,
personale, assoluto, che esiste per se stesso ed è perciò
necessario, eterno, perfetto, creatore e legislatore dell'universo; egli
è inoltre contemporaneamente uno e trino e il suo intervento nella storia
dell'uomo si è manifestato nell'incarnazione. Per quanto riguarda la
conoscibilità di
D., il pensiero teologico ha affrontato il
problema giungendo all'elaborazione di diverse tesi, che si articolano fra due
posizioni estreme: quella
intellettualistica, secondo la quale la
conoscenza di
D. si configura come apprensione immediata da parte
dell'intelletto umano, e quella
agnostica, che sostiene
l'impossibilità di giungere a una sia pur minima conoscenza del divino. A
tale posizione si collega la cosiddetta
teologia negativa, che prevede la
possibilità di una definizione della natura e degli attributi di
D. soltanto mediante una serie di negazioni ricavate dal confronto con
tutto ciò che riguarda l'umano: non si può dire ciò che
D. è, ma solo ciò che non è. La tendenza contraria,
che prospetta la possibilità di attingere almeno parzialmente ad una
conoscenza di
D., ha portato nel corso della speculazione teologica e
filosofica all'elaborazione delle cosiddette prove dell'esistenza di
D.,
fondate sul principio che si può parlare di
D., attribuendoGli al
grado massimo e perfetto le qualità e le forme della vita. Si tratta di
prove
a priori o
a posteriori. Fra le prime sono la prova
ontologica (l'Essere pensabile col massimo di perfezione deve esistere)
sostenuta da Agostino, Anselmo d'Aosta, Cartesio, e la prova fondata sull'idea
di perfezione, sostenuta da Cartesio. Del secondo gruppo fanno parte la prova
teleologica (poiché l'universo è armonia, è necessaria
l'esistenza di un Essere supremo che garantisca tale armonia) e la prova morale
(fondata sulla fondamentale aspirazione al bene presente in ogni uomo).
Tuttavia, nella teologia cattolica sono diventate canoniche le cinque prove
elaborate da San Tommaso, fondate sui principi della filosofia aristotelica e
che
a posteriori deducono l'esistenza di
D. dal movimento (che per
essere tale presuppone un Primo motore), dalle cause efficienti (che esigono una
Causa prima), dalla contingenza della realtà, dalla presenza nel mondo di
differenti gradi di perfezione (che presuppongono un Essere che riassume in
sé la perfezione assoluta), dalla natura finalistica del mondo. Il
Concilio Vaticano I del 1869-70 ha riconosciuto infatti un preciso valore a tali
prove razionali dell'esistenza di
D. ● Filos. - Nell'ambito della
filosofia greca, i primi a parlare di un Essere eterno e immutabile furono gli
Eleati. Platone identificò il divino con l'Idea del Bene, mentre
Aristotele insisté sulla sostanza prima, concepita come sostanza immobile
e motrice dei cieli. Nella concezione degli Stoici, fondata sull'esistenza di
due principi primi di tutte le cose, il passivo (sostanza priva di
qualità, ossia materia) e l'attivo (ragione, ossia
logos),
quest'ultimo viene identificato con
D., generatore della materia. Il
Neoplatonismo, il cui massimo esponente fu Plotino, considerò
D.
il principio e il fine del pensiero e della volontà, primo principio
inesprimibile: l'Uno, il Bene, il Primo, sorgente di ogni realtà che
genera in un processo di graduale emanazione. Dopo la diffusione del
Cristianesimo alcuni Padri della Chiesa tentarono per primi di dare una
dimostrazione razionale dell'unità di
D. Atenagora, ad esempio,
affermò che nel caso dell'esistenza di più dèi, non
potrebbero essere tutti nello stesso luogo e neppure in luoghi diversi
perché non sarebbero
D., che è uno e trino, ossia Padre,
Logos (di cui sono fatte le cose) e Spirito Santo. La diffusione del
Cristianesimo fu accompagnata dal sorgere di numerose eresie, soprattutto nei
primi secoli. Fra queste, lo Gnosticismo affermò l'unità e
l'ineffabilità di
D., ma finì per negarne l'assolutezza.
Soprattutto a Sant'Agostino si deve la sistemazione teologico-filosofica del
Cristianesimo, poi integrata e completata da San Tommaso d'Aquino, secondo il
quale la garanzia dei valori razionali è fondata in
D. e la
garanzia dell'esistenza di
D. si basa sulla dimostrazione razionale di
essa. Nell'ambito della Scolastica, il distacco dalla concezione tomistica,
già presente in vari rappresentanti del misticismo medioevale, divenne
particolarmente evidente nel pensiero di G. d'Occam, secondo il quale né
di
D. né della realtà soprannaturale si può avere
una conoscenza intuitiva. Le verità della fede non sono evidenti di per
se stesse e le stesse prove dell'esistenza di
D. non hanno valore
dimostrativo. Nemmeno gli attributi di
D. si possono dimostrare e non si
può stabilire con certezza se esiste un unico
D.; altrettanto
incerte sono l'immortalità, l'onnipotenza, l'infinito. In epoca
rinascimentale, a parte le tendenza panteistiche espresse da Telesio, Bruno e
Campanella, ebbe inizio un lungo processo di separazione fra fede e ragione, che
sfociò nell'Illuminismo e nel razionalismo moderno. Cartesio
concepì
D. come assoluta identità di pensiero,
volontà e creatività;
D. è la sorgente prima delle
essenze, delle esistenze, anche le verità matematiche dipendono dalla sua
volontà. Il fine ultimo del volere divino sfugge alla nostra conoscenza,
poiché
D. esiste in sé e non ha bisogno di altro per
esistere. Anche secondo Spinoza,
D. è ciò che ha in se
stesso la propria causa, né ha bisogno di altra sostanza per esistere;
Egli si identifica con la Natura. Il pluralismo spiritualistico di Leibniz,
distaccandosi sia da Cartesio che da Spinoza, giunse a una concezione del mondo
retto da un'armoniosa continuità:
D., in quanto volontà
perfetta, realizza con un atto creativo il migliore dei mondi possibili. Dopo la
critica rivolta da Hume ai tentativi di dimostrazione razionale dell'esistenza
di
D. anche Kant rinunciò a qualsiasi dimostrabilità
razionale, prospettando una fede religiosa fondata essenzialmente su un'esigenza
morale: la fede nell'esistenza della divinità è la fede in un
Essere che condiziona il mondo sensibile in modo da soddisfare la legge morale.
Schelling, che pose al centro della propria filosofia il problema dell'esistenza
di
D. e delle cose finite, affrontò il problema dell'origine del
male, che d'altronde si rivela necessario se si vuole ammettere per l'uomo la
possibilità di scegliere tra bene e male e, quindi, la libertà
dell'uomo. Concepito
D. come Idea Pura, della quale la realtà
è manifestazione necessaria, Hegel sostenne una posizione rigorosamente
immanentistica. Nell'ambito degli sviluppi della filosofia hegeliana,
particolarmente interessante è la posizione assunta da Feuerbach, secondo
il quale la religione ha un'origine psicologica e si costituisce come illusione,
come tentativo dell'uomo di opporre a se stesso la propria essenza,
oggettivandola come qualcosa di reale, altra da sé, innalzandola poi
all'infinito e venerandola come
D. Si tratta quindi di un processo di
alienazione per cui l'uomo trasferisce in
D. le qualità più
alte che egli non ha e che vorrebbe avere: in tal modo viene rovesciata
l'affermazione tradizionale della creazione dell'uomo da parte di
D.,
poiché al contrario è l'uomo che, per soddisfare i propri bisogni,
crea
D. come proiezione idealizzata di sé. Anche nel pensiero di
Marx la teologia si identifica in realtà con l'antropologia e la
religione ha un carattere puramente illusorio e ingannatore. Bergson
considerò la vita della natura come evoluzione creatrice e continua,
nella quale, come nella vita della coscienza, ogni momento è
assolutamente nuovo: l'unica fonte di vita è lo sforzo creatore, lo
slancio vitale che è di
D. e che anzi si identifica con
D.
stesso. Il problema del rapporto tra uomo e
D. fu posto in termini
drammatici dalla filosofia esistenzialista, che negò la
possibilità di un tale rapporto per mettere in luce invece una rottura
irreparabile. ● Icon. - A parte le numerose rappresentazioni degli dei
delle antiche civiltà, un ricco repertorio figurativo è
rappresentato dall'iconografia cristiana. Le più antiche raffigurazioni
della divinità sono di carattere simbolico, in ottemperanza al divieto
posto dall'Antico Testamento di rappresentare
D.: simbolo preponderante
fu la mano, spesso benedicente. Presente nella sinagoga di Dûra Europos a
Damasco, questo tipo di rappresentazione fu diffuso ampiamente nell'arte
paleocristiana e altomedievale. Ancora frequente nei secc. XI-XII, essa
scomparve nell'arte gotica, sostituita gradualmente da raffigurazioni
antropomorfiche di
D. Queste, presenti fin dall'epoca paleocristiana ma
limitatamente alle scene della Creazione, si diffusero nei moduli fissi di un
uomo giovane, privo di barba, facilmente identificabile con il Cristo o, al
contrario, di un vecchio con la barba, da solo o nelle raffigurazioni della
Trinità.