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Deledda, Grazia.

Scrittrice italiana. Autodidatta, formatasi sulla tarda narrativa romantica, esordì molto giovane con novelle e romanzi. Trasferitasi a Roma nel 1898, si sposò nel 1900 e si dedicò alla letteratura, lasciando una produzione straordinariamente ampia. Nel 1926 le fu conferito il premio Nobel per la letteratura. La narrativa della D. procede dal verismo a fondo regionale e folcloristico, in cui alla crudezza delle passioni, rappresentate con accenti cupi, si accompagna un'ansia di liberazione, espressa nella leggerezza idillica del paesaggio. I termini di questo dualismo prendono forma nei suoi primi romanzi: La giustizia (1899), Elias Portolu (1903), Dopo il divorzio (1903), Cenere (1904), L'edera (1908). Raggiunta la maturità artistica, il contrasto fra i modi veristici e i modi lirici si attenua in un'atmosfera dove le vicende umane si intrecciano con quelle della natura e del paesaggio. Le novelle di Chiaroscuro (1912) e i romanzi Colombi e sparvieri (1912) e Canne al vento (1913) segnano i gradi di questo processo di fusione tematica e stilistica, che culminerà nei romanzi e racconti del periodo successivo, i più noti dei quali sono: Il segreto dell'uomo solitario (1921), La vigna sul mare (1932), Cosima. La collocazione storica di D., fra verismo e decadentismo, è stata molto discussa dai critici come anche il giudizio di valore sulla sua opera. Sull'elemento verista appare innestato un misticismo, una ricerca psicologica che predilige la malattia dell'anima, l'amore colpevole, il fondo barbarico dei riti locali che si ricollegano alla tradizione decadente e dannunziana (Nuoro 1871 - Roma 1936).