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LA DIVINA COMMEDIA di Dante Alighieri (INFERNO) - CANTO XXIII

Taciti, soli, sanza compagnia
n'andavam l'un dinanzi e l'altro dopo,
come frati minor vanno per via. (3)

Vòlt' era in su la favola d'Isopo
lo mio pensier per la presente rissa,
dov' el parlò de la rana e del topo; (6)

ché più non si pareggia 'mo' e 'issa'
che l'un con l'altro fa, se ben s'accoppia
principio e fine con la mente fissa. (9)

E come l'un pensier de l'altro scoppia,
così nacque di quello un altro poi,
che la prima paura mi fé doppia. (12)

Io pensava così: «Questi per noi
sono scherniti con danno e con beffa
sì fatta, ch'assai credo che lor nòi. (15)

Se l'ira sovra 'l mal voler s'aggueffa,
ei ne verranno dietro più crudeli
che 'l cane a quella lievre ch'elli acceffa». (18)

Già mi sentia tutti arricciar li peli
de la paura e stava in dietro intento,
quand' io dissi: «Maestro, se non celi (21)

te e me tostamente, i' ho pavento
d'i Malebranche. Noi li avem già dietro;
io li 'magino sì, che già li sento». (24)

E quei: «S'i' fossi di piombato vetro,
l'imagine di fuor tua non trarrei
più tosto a me, che quella dentro 'mpetro. (27)

Pur mo venieno i tuo' pensier tra ' miei,
con simile atto e con simile faccia,
sì che d'intrambi un sol consiglio fei. (30)

S'elli è che sì la destra costa giaccia,
che noi possiam ne l'altra bolgia scendere,
noi fuggirem l'imaginata caccia». (33)

Già non compié di tal consiglio rendere,
ch'io li vidi venir con l'ali tese
non molto lungi, per volerne prendere. (36)

Lo duca mio di sùbito mi prese,
come la madre ch'al romore è desta
e vede presso a sé le fiamme accese, (39)

che prende il figlio e fugge e non s'arresta,
avendo più di lui che di sé cura,
tanto che solo una camiscia vesta; (42)

e giù dal collo de la ripa dura
supin si diede a la pendente roccia,
che l'un de' lati a l'altra bolgia tura. (45)

Non corse mai sì tosto acqua per doccia
a volger ruota di molin terragno,
quand' ella più verso le pale approccia, (48)

come 'l maestro mio per quel vivagno,
portandosene me sovra 'l suo petto,
come suo figlio, non come compagno. (51)

A pena fuoro i piè suoi giunti al letto
del fondo giù, ch'e' furon in sul colle
sovresso noi; ma non lì era sospetto: (54)

ché l'alta provedenza che lor volle
porre ministri de la fossa quinta,
poder di partirs' indi a tutti tolle. (57)

Là giù trovammo una gente dipinta
che giva intorno assai con lenti passi,
piangendo e nel sembiante stanca e vinta. (60)

Elli avean cappe con cappucci bassi
dinanzi a li occhi, fatte de la taglia
che in Clugnì per li monaci fassi. (63)

Di fuor dorate son, sì ch'elli abbaglia;
ma dentro tutte piombo, e gravi tanto,
che Federigo le mettea di paglia. (66)

Oh in etterno faticoso manto!
Noi ci volgemmo ancor pur a man manca
con loro insieme, intenti al tristo pianto; (69)

ma per lo peso quella gente stanca
venìa sì pian, che noi eravam nuovi
di compagnia ad ogne mover d'anca. (72)

Per ch'io al duca mio: «Fa che tu trovi
alcun ch'al fatto o al nome si conosca,
e li occhi, sì andando, intorno movi». (75)

E un che 'ntese la parola tosca,
di retro a noi gridò: «Tenete i piedi,
voi che correte sì per l'aura fosca! (78)

Forse ch'avrai da me quel che tu chiedi».
Onde 'l duca si volse e disse: «Aspetta,
e poi secondo il suo passo procedi». (81)

Ristetti, e vidi due mostrar gran fretta
de l'animo, col viso, d'esser meco;
ma tardavali 'l carco e la via stretta. (84)

Quando fuor giunti, assai con l'occhio bieco
mi rimiraron sanza far parola;
poi si volsero in sé, e dicean seco: (87)

«Costui par vivo a l'atto de la gola;
e s'e' son morti, per qual privilegio
vanno scoperti de la grave stola?». (90)

Poi disser me: «O Tosco, ch'al collegio
de l'ipocriti tristi se' venuto,
dir chi tu se' non avere in dispregio». (93)

E io a loro: «I' fui nato e cresciuto
sovra 'l bel fiume d'Arno a la gran villa,
e son col corpo ch'i' ho sempre avuto. (96)

Ma voi chi siete, a cui tanto distilla
quant' i' veggio dolor giù per le guance?
e che pena è in voi che sì sfavilla?». (99)

E l'un rispuose a me: «Le cappe rance
son di piombo sì grosse, che li pesi
fan così cigolar le lor bilance. (102)

Frati godenti fummo, e bolognesi;
io Catalano e questi Loderingo
nomati, e da tua terra insieme presi (105)

come suole esser tolto un uom solingo,
per conservar sua pace; e fummo tali,
ch'ancor si pare intorno dal Gardingo». (108)

Io cominciai: «O frati, i vostri mali...»;
ma più non dissi, ch'a l'occhio mi corse
un, crucifisso in terra con tre pali. (111)

Quando mi vide, tutto si distorse,
soffiando ne la barba con sospiri;
e 'l frate Catalan, ch'a ciò s'accorse, (114)

mi disse: «Quel confitto che tu miri,
consigliò i Farisei che convenia
porre un uom per lo popolo a' martìri. (117)

Attraversato è, nudo, ne la via,
come tu vedi, ed è mestier ch'el senta
qualunque passa, come pesa, pria. (120)

E a tal modo il socero si stenta
in questa fossa, e li altri dal concilio
che fu per li Giudei mala sementa». (123)

Allor vid' io maravigliar Virgilio
sovra colui ch'era disteso in croce
tanto vilmente ne l'etterno essilio. (126)

Poscia drizzò al frate cotal voce:
«Non vi dispiaccia, se vi lece, dirci
s'a la man destra giace alcuna foce (129)

onde noi amendue possiamo uscirci,
sanza costrigner de li angeli neri
che vegnan d'esto fondo a dipartirci». (132)

Rispuose adunque: «Più che tu non speri
s'appressa un sasso che da la gran cerchia
si move e varca tutt' i vallon feri, (135)

salvo che 'n questo è rotto e nol coperchia;
montar potrete su per la ruina,
che giace in costa e nel fondo soperchia». (138)

Lo duca stette un poco a testa china;
poi disse: «Mal contava la bisogna
colui che i peccator di qua uncina». (141)

E 'l frate: «Io udi' già dire a Bologna
del diavol vizi assai, tra ' quali udi'
ch'elli è bugiardo e padre di menzogna». (144)

Appresso il duca a gran passi sen gì,
turbato un poco d'ira nel sembiante;
ond' io da li 'ncarcati mi parti'
dietro a le poste de le care piante. (148)

NOTE AL CANTO XXIII



(1-6) come i frati, ecc.: di San Francesco. L'Anonimo fiorentino: «E' usanza de' frati minori più che degli altri frati, andando a cammino, andar l'uno innanzi, quello di più autorità, l'altro dirietro e seguitarlo»; la presente rissa fra Calcabrina ed Alichino; de la rana, ecc.: «La rana avendo promesso di passare il topo di là dal fiume, e legati insieme pe' piedi, perché l'uno non abbandonasse l'altro, essendo la rana in mezzo il fiume, vollesi attuffare per fare morire il topo: il topo si scotea quanto potea; e in questo combattere uno nibbio volando per l'aere, si calò per pigliare il topo, onde egli prese il topo e la rana, et amendue rimasono morti» (Anonimo fiorentino).
(7-10) più non si pareggia «non s'eguaglia nel senso ' mo' e issa che tutt'a due valgon ora, di quello che si pareggino, si rassomiglino tra di loro, il fatto dei due demonj ed il fatto della rana e del topo; se ben si confronta con la mente attenta principio e fine; ché il principio fu il macchinare egualmente un contro l'altro, Calcabrina contro Alichino, e la rana contro il topo: e il fine fu che ugualmente pure capitarono male e gli uni e gli altri per una terza cagione; la rana e il topo furono ghermiti dal nibbio, e i due demonj presi dalla pece» (L.); scoppia «Intese di que' pensieri che straordinariamente e all'improvviso e quasi fuor di proposito, pur con l'occasione di quel primo, vengono fuori; il che propriamente noi diciamo scoppiare, come d'una fonte, che rompendosi il condotto o fendendosi in qualche parte, l'acqua che n'esce si dice scoppiare e non nascere come ancora d'un albero si dirà scoppiare le messe, quando escon fuore del gambo, o di luoghi insoliti e non aspettati, né procurati» (Borghini).
(13-18) per noi: da noi, per nostra cagione. «La voglia che il poeta ebbe di parlare a Ciampolo, fu occasione alla rissa» (T.); nòi: rincresca. Il Tasso: «E ben negli atti disdegnosi apriro - Quanto ciascun quella proposta annoi»; 'l mal voler: sopra la perversa volontà naturale ai demonj; gueffa: aggiunge. Il Blanc: «dall'alem. Weifen, annaspare». L'Anonimo fiorentino: «E' detto gueffa lo spago avvolto insieme l'un filo sopra l'altro». Il Buti: «Aggueffare è filo a filo aggiugnere, come si fa ponendo lo filo dal gomito alla mano, e innaspando con l'aspo». Il Ces.: «gueffa dovrebbe venire da gueffo, sporto, che è cosa sopraggiunta alla casa: e di qui aggueffarsi per aggiungersi»; più crudeli: disposti ad usare maggior crudeltà; acceffa: prende col ceffo, abbocca.
(20-24) stava indietro intento: se quei demonj ci corressero dietro; pavento: paura; io l'imagino, ecc.: «Questo è l'ultimo termine della paura, che sente il male immaginato, e la immaginazione fa il caso» (Ces.).
(25-30) di piombato vetro: specchio, ch'è vetro coperto di dietro da una sottile piastra di piombo; l'imagine di fuor, ecc.: «Non riceverei più presto l'imagine tua di fuor, del tuo esterno, di quello che impetro, acquisto, quella dentro, l'imagine del tuo interno, dell'animo tuo» (L.); Pur mo, ecc.: «Ora appunto si appresentarono a' miei pensieri i tuoi, con simile atto, col medesimo sospetto, e con simile faccia, con aria simile di spavento» (L.); sì che, ecc.: «presi il tuo stesso partito, e così ne feci uno col mio» (Ces.).
(31-34) S'elli è, ecc.: «S'il se trouve» (Ls.); destra costa: «destra falda dell'argine, sul quale camminavano, quella cioè che calava nella sesta bolgia degl'ipocriti. Di fatto, essendosi i poeti, dal ponte sopra i barattieri, mossi su quell'argine a sinistra (Inf., XXI, 137), venivano nel loro cammino ad avere pure a sinistra la bolgia de' barattieri e alla destra quella degl'ipocriti» (L.); giaccia: «abbia tale pendio, che, ecc. Lucr., IV, 518: tecta cubantia, i tetti che pendono da un lato. V. Inf., XIX, 35» (Ces.); l'imaginata caccia: che temiamo dai demonj; rendere: Vite SS. PP.: «Rendendo consigli salutevoli». Lat.: proferentem.
(38-45) al romore: «o delle rovine che l'incendio cagioni, o delle strida della gente» (L.); non s'arresta... tanto che: fugge nuda; collo: cima; supin si diede, ecc.: si abbandonò con tutto il di dietro del corpo alla pendente rupe (V. Inf., VII, 6), per scendere sdrucciolando a quel modo nel fondo, portando me sopra il petto; che l'un, ecc.: «che termina da una parte la seguente bolgia» L.).
(46-49) doccia: canale; molin terragno: «fabbricato nel terreno, a differenza di quelli che si fabbricano nelle navi sopra fiumi, ove l'acqua non ha doccia, o sia canale che la faccia da alto in basso scorrere ed urtare nelle pale della ruota, ma muovesi collo stesso movimento che ha in tutta la larghezza del fiume, e però alla mancanza di forza nell'acqua si supplisce col far le pale delle ruote larghissime d'intiere tavole per lungo» (L.). «Lo mulino terragno è quello che ha la ruota piccolina sotto, come lo mulino francesco l'hae grande e da lato, et ha bisogno di più acqua che il francesco, e però conviene che la sua doccia abbia maggior corso» (B.); approccia: s'approccia; vivagno: ripa. Inf., XIV, 123; Purg., XXIV, 127.
(52-60) letto - del fondo: piano del fondo; sovresso: sovra; li vi. Purg., XIII, 7; Par., XXV, 125; stanca: pel grave peso; vinta: dal disagio.
(61-66) bassi - dinanzi a li occhi: abbassati talmente sopra la faccia, che ricoprivan loro gli occhi; fatte de la taglia: a quella forma che sono in Clugnì; Clugnì (sul Reno): «è una città nella Magna, nella quale è uno grande e ricco monasterio, nel quale fu una volta uno abate tanto superbo, ch'ebbe ardimento d'impetrare dal Santo Padre di potere elli e i suoi monaci vestire cappe di scarlatto (con fibbie al collo et intorno a' giri, a guisa che sogliono portare il vajo i dottori; Anonimo fiorentino), e portare cinture d'ariento inorato e staffe inorate e sproni, a modo di cavalieri, lo quale il papa riprese molto della sua stoltizia e superbia, e cornandolli che dovessono portare cappe nere con cappuzzi grandi sì che vi capesse una grande misura di biada, et alle cintole portassono fibbia e puntale di legno, e così le staffe» (B.). L'Ottimo commento: «Sono smisuratissime di larghezza e di lunghezza, e quasi nel cappuccio ha una gonnella: questo fanno per onestade». Il Witte: «Clugny - rinomata abbazia di frati Benedettini, nel moderno dipartimento della Saona e della Loira nella Borgogna». Il Blanc sta per Cologna; sì ch'elli abbaglia: elli impersonale; sottintendi: lo splendor dell'oro. «It dazzles» (Lf.); che Federigo, ecc.: «che quelle che mettea Federigo, al paragone di queste erano di paglia. Lo imperadore Federigo secondo, coloro ch'egli condannava a morte per lo peccato dell'offesa maestà, li facea spogliare ignudi e vestire d'una veste di piombo grossa un dito (circa un'oncia; Lanèo), e faceali mettere in una caldaia sopra il fuoco, e facea fare grande fuoco, tanto che si struggea lo piombo addosso al misero condannato, e così miseramente e dolorosamente lo facea morire» (B.). Supplizio usato anche in Iscozia. «Nella Ballata di Lord Soulis, di W. Scott: "They roll'd him up in a sheet of lead, - Ifsheet of lead for a funeral pall, - And plunged him into the cedron red, - And melted him, lead and bones and all. V. Ducange, Gloss: Capa Plumbea"» (Lf.).
(67-72) Oh in eterno, ecc.: «Verso che par vestito di cappa di piombo e non può andar oltre» (Ces.); ancor pur: ancor medesimamente, come fatto avevano. Inf., XXI, 136; ad ogni mover d'anca: «a ogni passo mutavamo compagnia» (B.).
(74-84) al fatto o al nome si conosca: di cui sia noto il nome o qualche azione famosa. L'a in questi costrutti importa mezzo, indizio, segno, ecc. Sotto: a ciò s'accorse. E Inf., V: a che e come concedette amore, ecc.; sì andando: nell'atto di andare; la parola tosca: «la loquela tosca» (B.). «La parlata toscana» (F.); Tenete: fermate; voi che correte: cfr. v. 71; Forse ch'avrai, ecc.: Parla a Dante, di cui avea inteso il desiderio espresso a Virgilio; Aspetta, ecc.: fermati fin ch'egli giunga, e poi vieni avanti con passo uguale al suo. «Marche à son pas» (Ls.); mostrar, ecc.: mostrar col viso gran fretta (sollecitudine) dell'animo d'esser meco; 'l carco: del faticoso manto; la via stretta: per altri che aveano innanzi e a lato.
(85-91) con l'occhio bieco: «in traverso ragguardando, che per lo peso convenia lor portare lo capo basso» (B.). «Irati alla vista d'un privilegiato da' lor tormenti» (T.); in sé: uno verso l'altro; atto de la gola: «al moto dell'alitare» (T.). «Purg., II, 67 e segg.: L'anime che si fuor di me accorte - per lo spirare, ch'i' era ancor vivo. Essendo questo puro effetto e segno di vita, Dante l'esclude dalle ombre dei morti; mentre dà loro altre proprietà vitali, che servono a ricevere pena o a manifestarla: come vedere, udire, muoversi, contorcersi, piangere, sospirare e perfino soffiare (verso 113). (V. se fan contro, XIII, 22; XXXIV, 83; Bl.). In sostanza fa l'ombre vive ai tormenti e morte alla vita. Così Agostino pone potersi le infernali fiamme congiungere agli spiriti dannati come il corpo organico s'unisce all'anima, a condizione però che le fiamme sol rechino pena agli spiriti, e non ricevano da essi vita: accipientes ex ignibus poenam, non dantes ignibus vitam» (L.); me: a me. Inf., I, 81: Risposi lui; collegio: «alla congregazione delli ipocriti tristi, che così li chiama lo Evangelio: Nolite fieri, sicut hypocritae tristes» (B.).
(95-102) a la gran villa: «Fiorenza: parla al modo di Francia, che chiamano le citta di ville» (B.). «I Franzesi e i Fiamminghi chiamano propr.: ville tutte quelle terre che non hanno vescovado» (Lod. Guicc.); distilla: gocciolan lagrime di dolore. Inf., XVII, 46: Per li occhi fòra scoppiava lor duolo. Il Petr.: «Convien che 'l duol per gli occhi si distille Dal cuor». Michele Forestier, nella bellissima commedia di Emile Augier, quando finalmente si spetra il cuore del figlio alle prove d'amore di Camilla, le dice: L'aveugle voit! ses yeux se sont ouverts au jour; Regardes-en couler le remords et l'amour; rance: color d'arancia (malum aureum); sopra: dorate. Purg., II, 9 chiama rance le guance dell'aurora; che li pesi, ecc.: i pesi fanno sospirare chi li sostiene, come cigolano (gemono) le bilance pe' troppi pesi che loro si sovrappongono.
(103-108) Frati Godenti, ecc.: «Essendo Firenze travagliata dalle fazioni Guelfa e Ghibellina, fu pensato d'eleggere due potestà, l'uno guelfo e l'altro ghibellino, affinché, bilanciate le parti, l'una non soverchiasse l'altra. Così nel 1266 il guelfo Catalano e il ghibellino Loderingo furono ad un tempo eletti potestà di Firenze. Ma invece di procurar il ben comune, costoro favoreggiarono ben tosto i Guelfi, tanto che Guido Novello, vicario in Firenze del re Manfredi, dové fuggirsene» (F.). «Elessono due cavalieri frati Gaudenti di Bologna per podestà di Firenze, che l'uno ebbe nome messer Catalano de' Malavolti e l'altro messer Odorigo (in un sigillo: Lotoricus) delli Andolò (Andalò), et l'uno era tenuto di parte Guelfa et l'altro di parte Ghibellina. Et nota che e' frati Gaudenti eran chiamati cavalieri di Santa Maria, et cavalieri si faceano quando prendeano quello abito, che le robe aveano bianche et uno mantello bigio (di sotto bianco e di sopra nero portavano; O.); et l'arme il campo bianco et una croce vermiglia con due stelle; et doveano difendere le donne vedove ed i pupilli, et intramettersi di pace et altri ordini, come religiosi, aveano» (Anonimo fiorentino). Benv.: «Iste enim Ordo habet caput et fundamentum Bononiae; unde habent suum monasterium principale extra Bononiam apud locum, qui dicitur Castrum Britorum. Et quidam istorum Bratrum sunt Sacerdotes, alii vero sunt conjugati». Il Lanèo: «Nel 1260, o circa, Urbano IV approvò quest'ordine, e mise nella regola sua che alcuno non potesse essere s'elli non fosse cavaliere a speroni dorati... Alcuni diceano: bene hanno fatto, questa vita sarà meritoria: altri diceano: questi saranno frati goditori; elli hanno fatto questo per non andare in oste, né non ricevere e portare li carichi del Comune. Questa voce moltiplicò tanto che furono chiamati frati Gaudenti. Andonno questi a Firenze, e tolsono lo reggimento della terra: infine furono contaminati da' Guelfi e acquistonno moneta, sicché li Ghibellini furon cacciati e fulli disfatti li lor casamenti». L'Ottimo commento: «Il frate Loderigo cercava di fare i Ghibellini maggiori, onde il frate Catalano, con suo trattato e ordine, il cacciò della terra con la parte Ghibellina. V. G. Villani, VII, 13»; come suole esser, ecc.: L'Anonimo fiorentino: «Come si suole torre uno santo uomo et solitario». Benv. intende: «solo, un solo rettore; ed ora ne avean presi due». Il Buti: «Come uomini di mezzo, a conservare lo suo stato pacifico»; si pare: si vede quale noi fummo - apparisce per le ruine che sono, ccc.; intorno dal Gardingo: «cioè a' casolari degli Uberti, che furono le case loro disfatte per le operazioni di quelli frati. Gli Uberti aveano le loro case presso a San Pietro Scheraggio, et dirietro ove è oggi il palagio de' Priori, che si chiama ii Guardingo» (Anonimo fiorentino). «Oggi si chiama Capaccio» (B.). «Era una contrada dov'è ora la Dogana vecchia» (F.). E secondo Benv. ne pagarono presto il fio: Loderingo, che sebben di parte diversa s'era unito con l'altro a fare il suo pro a danno di Firenze, fu cacciato anch'egli co' suoi consorti, e disfattegli le case: «Quorum ruinae adhuc apparent Bononiae juxta studium Legistarum. Catellani in totum defecerunt, nec aliquid apparet de eis, nisi turris satis alta, quae saepe solet fulminari».
(109-112) Io cominciai, ecc.: «vi stanno assai bene, voleva seguitar Dante, a cui troppo dolea di quel fatto» (Ces.); un, crucifisso, ecc.: «Era disteso in terra, l'uno braccio con un palo confitto per la mano, e l'altro con un altro, e li piedi amenduni con un altro palo, come Cristo nostro Salvatore fu crocifisso con tre chiodi in su la croce» (B.). «Pone tra gl'ipocriti Caifasso, Anna, e tutti gli altri giudei sacerdoti (del sinedrio), li quali crucifissero Cristo, della qual morte caddeno in maledizione» (Lanèo); distorse: «perché vedea D. salvato, per la passione di Cristo, per la quale egli era dannato» (B.).
(116-117) consigliò, ecc.: Disse nel concilio adunato da' Sacerdoti e Farisei, dove le costoro dottrine prevalevano: Expedit ut unus moriatur homo pro populo (Joan., XI, 50).
(121-123) il socero: Anna, nella cui casa Cristo prigione fu primamente condotto (Joan., XVIII, 13); si stenta: «si stende attraversato, o vogliam dire fa stento e patisce pena» (B.); mala sementa: «fruttando loro l'ultimo sterminio per opera di Vespasiano e Tito» (L.). «Che diede loro frutto di morte eterna (non convertendosi)» (B.).
(124-131) maravigliar: per la novità, non essendovi ancora questi esempj di supplizj in Inferno l'altra volta ch'egli v'era stato per trarne un spirto del cerchio di Giuda (IX, 27). «Maravigliasi la ragione della grandezza della giustizia di Dio, la quale avanza la possibilità del nostro intelletto» (B.); cotal voce: «così fatto parlare» (B.); a la man destra: «perché rimontando a sinistra tornerebbero indietro» (Biag.); foce: passo, varco; de li angeli neri: alcuni tra i diavoli. Inf., XXVII: neri cherubini; a dipartirci: «a cavarci quinci» (B.).
(134-138) un sasso, ecc.: un altro degli scogli che ricidien li argini e' fossi (Inf., XVIII, 17); gran cerchia: che circonda tutto Malebolge (ivi, verso 3), dove Gerione li pose (ivi, 19-20); 'n questo: altri: questo; nol coperchia: «non l'accavalcia» (P.). Non vi fa arco sopra, come sopra tutti gli altri valloni; per la ruina: «per lo dirupinato» (O.). «Rovinando il ponte ha fatto uno scarico di massi lungo la costa, che, rotolando nel fondo, fecero un ammasso ben alto, e assai rompe e risparmia della montata» (Ces.); che, ecc.: che è inclinata nella falda tanto, che vi si può accedere; soperchia: sovrasta, s'innalza sopra la superficie del fondo, il che pure agevolava il salire.
(139-148) a testa china: scoprendo l'inganno di Malacoda (Inf., XXI, 109 e segg.); a Bologna: Frizzo contro la città guelfa; padre di menzogna: Cristo dice del Diavolo (Joan., VIII, 44): Cum loquitur mendacium, ex propriis loquitur, quia mendax est, et pater ejus; 'ncarcati: delle gravi vesti; poste: orme. Il Fraticelli: peste.