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Canne al vento.

Romanzo di Grazia Deledda, pubblicato nel 1913. Ruth, Ester e Noemi Pintor sono le tre nobili discendenti di una famiglia in rovina. L'ultimo podere loro rimasto è coltivato dal vecchio domestico Efix, che vive in fantastica familiarità con folletti e giganti, santi e morti, tutti, per lui, ugualmente vivi e presenti. Delle tre sorelle, Noemi è l'unica a conservarsi giovane nello spirito. Il loro padre, molto tempo prima, era stato trovato morto sul ponte e si credette a una disgrazia accadutagli mentre inseguiva l'altra figlia, Lia, che non volendo dividere l'austera condotta di vita della sua famiglia, era fuggita verso il continente. In realtà, era stato Efix a uccidere involontariamente l'uomo mentre vegliava sulla fuga della sua adorata Lia. Dopo qualche tempo, si presenta alla vecchia casa Giacinto, il figlio di Lia, ormai morta, che ripara in Sardegna cercando lavoro dopo aver perso il suo impiego alle dogane per aver commesso un furto. Nell'isola, Giacinto non si comporta in maniera esemplare ed ai rimproveri del vecchio domestico risponde di essere a conoscenza del suo delitto. Ruth muore improvvisamente ed Ester e Noemi sono costrette a vendere il podere al cugino Predu, che sarebbe disposto anche a sposare Noemi, ma la donna rifiuta. La presenza di Giacinto ha riaperto in lei la piaga di una gioventù soppressa e cerca di resistere a quello che le sembra amore e che vorrebbe fosse odio. Efix vede in tutto questo il definitivo crollo della casa e si allontana portando con sé l'antico rimorso ridestatogli dalle parole di Giacinto. Dopo aver vissuto mendicando, ritorna al paese e trova che Giacinto è occupato al suo lavoro di mugnaio ed è in procinto di sposarsi mentre Noemi ha accettato la proposta di Predu. Il giorno delle nozze di quest'ultimo, il vecchio, sereno, chiuderà per sempre gli occhi. Nelle parole pronunziate da Efix alla vecchia Ester: "Siamo canne, e la sorte è il vento!", è tutta la sconsolata filosofia del romanzo, nel quale l'autrice ha mutato il caro paesaggio di Sardegna in paesaggio biblico, dando alle figure e all'ambiente tutto il sapore delle cose soprannaturali.