Denominazione di una particolare tendenza della
letteratura italiana sviluppatasi all'inizio del Novecento. Il primo a parlare
di poesia crepuscolare fu G.A. Borgese, che in una sua opera,
La vita e il
libro (1911), riferendosi alla produzione di F.M. Martini, M. Moretti, C.
Chiaves, espresse un giudizio negativo, affermando che essa era come "il
crepuscolo di una grande poesia in via di esaurimento". Ben presto questa
definizione venne applicata a quei poeti che, pur non dando vita a una vera e
propria corrente, si orientarono verso una poetica delle "buone cose di pessimo
gusto", preferendo una modalità di espressione in versi malinconica,
intimista, grigia come il crepuscolo della sera. Tra i suoi massimi
rappresentanti si ricordano S. Corazzini, C. Govoni, G. Gozzano, F.M. Martini,
M. Moretti, A. Palazzeschi e alcuni personaggi minori come C. Chiaves, G.
Giannelli, C. Vallini, T. Marrone. Postdannunziani e postpascoliani, i
crepuscolari rifiutarono la retorica roboante di Carducci e rifuggirono sia
dall'estetismo dannunziano che dall'oggetto analiticamente descritto da Pascoli.
Si rifecero ai motivi e ai temi degli scapigliati del realismo minore del
secondo Ottocento (Betteloni, Stecchetti, ecc.), al
Poema paradisiaco di
D'Annunzio, in alcuni aspetti alla poetica pascoliana del fanciullino di
Myricae, ma soprattutto ai poeti francesi e belgi: Jules Laforgue, Albert
Samain, Francis Jammes, Georges Rodenbach, Maurice Maeterlinck. Nel loro rifiuto
della tradizione carducciana e dannunziana, vi era la radicale opposizione a
ogni ideale e a qualsiasi tipo di sistema filosofico, politico e scientifico.
Consci dell'alienazione dell'umanità, incapaci di cogliere poesia nel
mondo industrializzato e tecnologico e nello stesso tempo di reagire con
atteggiamenti polemici, essi rifiutarono i miti ottocenteschi e si rifugiarono
in un passato idealizzato mitizzando cose brutte ma buone con una lieve
nostalgia, solo in Gozzano temperata da una ironia nei confronti del reale e
della storia. Stilisticamente i crepuscolari, adottando metri dimessi (quartine
di endecasillabi, settenari doppi), diedero vita a una poesia volutamente
prosaica, discorsiva, umile, nella quale ritmo e stile contribuiscono a creare
un'atmosfera di disillusione. Il
C. si pose così come trapasso dal
verso sapientemente orchestrato della poesia di fine Ottocento alla
disgregazione metrica operata dai futuristi.