(
Flavius Valerius
Constantinus). Imperatore romano. Figlio di Costanzo I Cloro e di Flavia
Elena, quando il padre venne nominato cesare (293), fu mandato a Nicomedia,
presso Diocleziano, per fare il suo
cursus militare ed essere in seguito
associato all'Impero. Nel 296 accompagnò Diocleziano in Egitto e, come
tribunus militaris primi ordinis al servizio di Galerio, combatté
contro i Persiani e i Sarmati. Richiamato in Gallia dal padre, tetrarca divenuto
augusto nel 305, partecipò all'organizzazione di una campagna militare in
Britannia. Alla morte di Costanzo, nel 306, l'esercito lo proclamò
imperatore, modificando così lo schema tetrarchico, che prevedeva
l'elezione del cesare Flavio Severo. La nomina di
C. determinò la
reazione di Massenzio (il cui padre Massimiano era stato augusto fino al 305)
che era stato proclamato augusto a Roma nel 306. Con l'obiettivo di sostenere la
candidatura del figlio, Massimiano si decise a riprendere il titolo (307),
provocando in un primo tempo la resa di Flavio Severo e successivamente la sua
morte (307). Sorto un contrasto tra Massenzio e il padre, quest'ultimo strinse
un'alleanza con
C., al quale aveva dato in sposa la figlia Fausta. Venuto
in seguito in disaccordo con il suocero,
C. fece prigioniero Massimiano a
Marsiglia e nel 310 lo condannò a morte (secondo altre fonti lo costrinse
al suicidio). Alla morte di Galerio, nel 311, la situazione era tale che quattro
augusti si contendevano il potere: in Oriente, Licinio (nominato augusto da
Galerio nel 308) e Massimiano Daia; in Occidente,
C. e Massenzio.
Conclusa un'alleanza con Licinio, a cui diede in sposa la sorellastra Costanza,
e con Massimino Daia,
C. organizzò una spedizione contro Massenzio
il quale, approfittando degli scontri in seno alla tetrarchia, mirava al comando
di tutto l'Occidente. Giunto in Italia nel 312, dopo aver sconfitto il rivale a
Rivoli e a Verona,
C. marciò verso Roma e batté nuovamente
Massenzio a Ponte Milvio. Secondo una leggenda, in quell'occasione
C.
avrebbe avuto in sogno l'apparizione della croce; questo fatto lo avrebbe
indotto a far incidere il monogramma cristiano sugli scudi dei soldati.
Eliminato il rivale,
C. si fece riconoscere il titolo di
maximus
Augustus e, incontratosi con Licinio, riconfermò l'alleanza stretta
in precedenza. Dopo aver sconfitto Massimino Daia, l'imperatore emanò
l'Editto di Milano nel 313 (il testo dell'editto ci è giunto attraverso
Eusebio di Cesarea e Lattanzio), con cui riconobbe la libertà di culto
per i Cristiani e ordinò la restituzione dei beni a loro confiscati. Le
violazioni dell'editto da parte di Licinio, aggravate da alcuni contrasti
personali, sfociarono in un insanabile conflitto fra i due, che si risolse con
le vittorie militari di
C. ad Adrianopoli e Crisopoli (324) e con
l'uccisione di Licinio (325).
C. rimase così padrone di tutto
l'Impero, unificato sotto il suo comando. A quel punto l'imperatore avviò
la ricostruzione di Bisanzio, ribattezzò la città Costantinopoli
e, nel 330, la scelse come sede imperiale. Questa decisione ebbe vaste
ripercussioni, creando una capitale rivale a Roma e spostando il fulcro
dell'Impero da Occidente a Oriente. Spirito innovatore,
C.
realizzò numerose riforme in campo amministrativo, sociale, economico.
Con lui l'Impero divenne una monarchia di diritto divino. Le istituzioni
imperiali ancora rispecchianti le vecchie istituzioni repubblicane vennero
completamente abolite. Fu stabilita una rigida fiscalità e vennero
introdotte due nuove monete. Nell'esercito
C. volle aumentare il peso
delle truppe di manovra al seguito dell'imperatore a svantaggio delle truppe
dislocate ai confini. I prefetti del pretorio ebbero solo incarichi civili e
vennero messi a capo di circoscrizioni territoriali (prefetture). In campo
giuridico l'imperatore volle essere supremo legislatore, facendo, in molti casi,
prevalere la propria volontà sulla tradizione romana. In campo religioso
C. intervenne sempre direttamente nelle dispute teologiche, prendendo
anche parte al Concilio di Nicea (325), dove si batté per l'affermazione
della linea antiariana. L'imperatore si proponeva di preservare l'unità
della Chiesa attraverso la lotta alle eresie e l'incoraggiamento delle tendenze
accentratrici della Chiesa romana. La necessità di inserire la Chiesa
nella struttura politico-amministrativa dell'Impero spinse
C.
all'elaborazione di leggi che favorissero i chierici con immunità fiscali
e assegnassero giurisdizione in materia penale e civile ai vescovi. In punto di
morte
C. ricevette il battesimo dall'ariano Eusebio di Nicomedia (337).
Le disposizioni testamentarie da lui lasciate, contrastanti con il progetto di
unificazione dell'Impero perseguito in vita, lasciò l'Impero diviso tra i
suoi tre figli (Costantino II, Costanzo, Costante II), e i due nipoti (Dalmazio,
Annibaliano) (Naisso, Illiria 280 circa - Nicomedia 337). ║
Donazione
di C.: denominazione con cui è noto un documento apocrifo attribuito
erroneamente all'imperatore
C., che si riteneva lo avesse emanato nel 313
per la definizione dei beni temporali della Chiesa. Il testo, redatto in greco e
in latino, si compone di due parti: la prima, detta
Confessio, è
basata sulla celebre
Legenda sancti Sylvestri della fine del V sec.; ha
tono agiografico e narra l'episodio della conversione dell'imperatore al
Cristianesimo dopo la guarigione per merito di papa Silvestro; la seconda,
chiamata
Donatio, dispone il conferimento al vescovo di Roma del primato
su tutte le Chiese (Antiochia, Costantinopoli, Alessandria, Gerusalemme) e della
sovranità civile su Roma e l'Italia. La donazione di
C. conteneva
inoltre alcune altre disposizioni, tra cui l'equiparazione fra la gerarchia
ecclesiastica e quella civile. Fu probabilmente elaborata nel corso dell'VIII
sec. per rafforzare il potere della Chiesa. L'autenticità del documento
venne confutata nel XV sec. da Lorenzo Valla (nel suo
De falso credita et
ementita Costantini donatione), da Nicola da Cusa e dal vescovo inglese
Reginald Pecock.
L'espansione del Cristianesimo al tempo di Costantino I