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Coscienza.

(dal latino conscientia: consapevolezza). Consapevolezza di sé, dei propri processi mentali, delle proprie azioni. ║ In senso morale indica il complesso dei principi etici del soggetto, in base ai quali egli è in grado di distinguere tra bene e male. ║ Capacità del soggetto di operare scelte; libertà di pensiero e di scelta. ║ Scrupolosità, attenzione con la quale si affronta un compito o un dovere. ║ Attenzione, sensibilità nei riguardi di determinati problemi. ● Filos. - Il termine è stato usato a seconda delle epoche e delle correnti di pensiero con significati diversi. In generale, si intende con c. il rapporto dell'Io con se stesso, in base al quale egli è in grado di conoscersi e di dare di sé un giudizio immediato e certo. Comparso per la prima volta nello Stoicismo, il termine indicò nella filosofia neoplatonica, soprattutto in riferimento a Socrate e al suo principio "conosci te stesso", un approfondito esame conoscitivo che l'uomo poteva compiere di se stesso; già Aristotele, tuttavia, aveva parlato, pur non usando esplicitamente il termine c., di un atto di pensiero che pensa se stesso. Le premesse per una più complessa concezione della c. furono poste in seguito con l'affermazione del Cristianesimo: l'opposizione tra spirito e carne, fondata sul principio dell'irriducibilità dell'anima individuale, portò all'interpretazione della c. come luogo della Verità, della rivelazione di Dio all'uomo. S. Agostino affermò che la c. fosse alla base della filosofia stessa e si rivolse all'uomo con le celebri parole: "non uscire da te, ritorna in te stesso, nell'interno dell'uomo abita la Verità e se troverai mutevole la tua natura, trascendi anche te stesso". Nella dottrina di S. Tommaso il termine si arricchì di un nuovo significato, quello morale, secondo il quale la c. si costituisce come principio per distinguere tra bene e male e quindi per decidere se compiere o meno un determinato atto. Per il Cristianesimo c. significò anche consenso interiore, adesione volontaria, iniziativa libera: così Abelardo giunse ad asserire che non vi è colpa alcuna se non si agisce contro la propria c. Il tema posto da Agostino, dopo essere stato ampiamente sviluppato dai filosofi scolastici del XIV sec., venne ripreso nella filosofia moderna dal pensiero cartesiano. La c. in Cartesio si delineò come autoevidenza esistenziale del pensiero (cogito ergo sum): l'Io è autocosciente, e in esso si identificano essere e pensiero. Gli stati interni dell'uomo (intendere, volere, sentire) sono evidenti e certi, al contrario di quelli esterni e corporei: la c. in tal modo comprende tutta la sfera dell'Io, alla quale si contrappone il mondo esterno. Tale contrapposizione si mantenne anche nella filosofia empirista di Locke, secondo il quale il rapporto del soggetto con il mondo esterno rientra interamente nella sfera della c.; questa può solo conoscere idee e non cose, e ad essa appartiene la possibilità di ottenere il massimo grado della certezza. Leibniz, riprendendo la definizione aristotelica, giunse a un allargamento dell'ambito della conoscenza. Il concetto di c. assunse nella sua dottrina un significato di ordine psicologico, interpretata come appercezione, cioè capacità di avvertire delle percezioni: la vita della monade (sostanza spirituale) è infatti interna a se stessa. Hume, secondo il quale la conoscenza umana ha inizio dalle impressioni sensoriali e in esse si risolve, considerò l'impressione come il dato primo, irriducibile della c. Egli negò la sostanza pensante (anima o spirito), riducendo la realtà a percezione. La filosofia critica di Kant diede rilievo alla c. universale, ossia a una forma impersonale della c., come condizione dell'obiettività della conoscenza. La distinzione operata dal filosofo tedesco fra trascendentale ed empirico permise di superare la connotazione interioristica della c., considerata funzione unificante del processo conoscitivo. L'Io non è più una sostanza, ma è c., ossia pura attività conoscitiva, possibilità di sintesi: la c. di qualche cosa indica la presenza di un contenuto empirico. Per la filosofia romantica nella c. la realtà è immanente in tutta la sua interezza. Per Hegel, che accentuò la distinzione tra c. e autocoscienza, la c. soggettiva rappresenta un contenuto iniziale che si fa verità assoluta se viene elaborata concettualmente nell'attività filosofica: l'autocoscienza, cioè, si autocrea e crea tutta la realtà. Gli Idealisti inglesi considerarono la c. come la fonte da cui doveva partire ogni indagine circa la realtà, risolvendo poi tutta la realtà nella c.: realtà è ciò che è conosciuto in una c. assoluta. All'esaltazione romantica della c. subentrò una più cauta considerazione del suo ambito, condotta soprattutto dalla fenomenologia. Husserl definì la c. come complesso delle esperienze vissute dal soggetto e come atto intenzionale, trascendimento di sé, porsi in relazione con un oggetto non immanente. Egli mise in evidenza l'oggettività dei dati di c., così da giungere a un Io puro, il quale trovasse il suo fondamento nella temporalità e nella storicità. Riprendendo l'indirizzo dell'Empirismo moderno, nelle cui teorie l'unità della c. si era frantumata nella molteplicità di un corso indifferenziato di stati psichici, il Naturalismo e il Positivismo dell'Ottocento si sforzarono di reinterpretare la c. come fenomeno secondario, manifestazione di avvenimenti fisiologici dell'organismo. A una riduzione progressiva della base ontologica della c. contribuirono anche il Neokantismo e il Neorealismo anglo-americano. Quest'ultimo elaborò una teoria della c. quale evento percettivo e costituì la base per la definizione di c. non più come entità, ma come funzione dell'esperienza pura (W. James). Il pensiero novecentesco, al di là di marginali tendenze verso una ripresa della tematica idealistico-romantica, si volse in prevalenza a considerare la c. al di là di ogni implicazione metafisica. J.P. Sartre, partito dalla fenomenologia husserliana, considerò la c. umana come l'essere-per-sé in contrapposizione all'essere-in-sé. La c. umana diventò quindi una forza annichilatrice dell'essere, che agiva senza essere sottoposta ad alcuna norma, slegata dal passato e proiettata verso il futuro, in quanto originaria e assoluta libertà. Secondo Sartre, l'uomo è comunque destinato alla sconfitta, nell'impossibilità di realizzare la propria libertà e autonomia e nel necessario assoggettamento alle leggi del mondo. A mettere in crisi il tradizionale concetto di c., oltre alle tendenze neopositivistiche del pensiero contemporaneo, contribuirono in misura notevole le moderne ricerche della psicoanalisi e dell'antropologia sociale. ● Psicol. - Complesso delle attività psichiche che permettono all'individuo di organizzare il proprio comportamento, strutturato in modo tale da superare l'elementarità dei fatti che lo costituiscono, controllando i processi di pensiero e i processi conoscitivi (attenzione, attività percettive, ecc.). Solo a partire dall'Ottocento furono condotti studi psicologici intorno al problema della c. Si accertò che i fatti psichici corrispondono in parte a stati di c. dell'individuo in cui si svolgono e come tali sono osservabili mediante l'introspezione, in parte invece si esteriorizzano nel comportamento, anch'esso possibile oggetto di studio. Nella psicanalisi, il metodo di analisi diretta, introspettivo, fu sottoposto a una serie di critiche e considerato di scarsa efficacia, in quanto esso presuppone lo sdoppiamento dell'attività mentale (un Io che osserva e un Io oggetto di osservazione); inoltre l'introspezione, per poter essere effettuata, esige uno sviluppo intellettuale e una capacità di riflessione che non è riscontrabile in tutti gli individui. Il metodo di analisi indiretta (comportamentistico) si fonda sull'osservazione degli atteggiamenti esteriori di un individuo per risalire induttivamente agli stati della c. L'attività della c. non si svolge però in modo continuo e uniforme; secondo lo schema freudiano, l'apparato psichico umano è estremamente complesso e comprende, oltre alla c., costituita prevalentemente da atti percettivi, anche il precosciente (spesso definito impropriamente come subcosciente) e l'inconscio. Dal punto di vista neurofisiologico, lo stato di c. è garantito da particolari strutture a livello del sistema nervoso centrale; determinati indici neurofisiologici (come l'elettroencefalogramma) permettono di verificare lo stato di c. in diverse situazioni (coma, sonno, ecc.). I disturbi della c. vengono distinti in due categorie. Quelli di tipo primario sono caratterizzati dalla perdita di c. totale (coma, assenza epilettica) o meno profonda, ma con assenza di apprezzabile attività psichica; quelli di tipo secondario si verificano in condizioni patologiche, con compromissione della c. (stati maniacali, psicotici, demenza, ecc.). ● Teol. - Giudizio che l'intelletto del singolo è in grado di dare in base ai propri principi morali ed etici. Essa può essere naturale (se fondata su norme di etica generale) o soprannaturale (se basata sulle leggi rivelate da Dio); vera o falsa (nel caso che il suo giudizio non corrisponda ai principi morali); certa o dubbia. ● Lett. - Flusso di c. o stream of consciousness: espressione indicante una particolare tecnica narrativa, adottata nel XX sec., attraverso la quale lo scrittore segue il personaggio nei suoi pensieri inconsci, nel complesso di memorie, immagini, associazioni di idee che esprimono il suo mondo interiore più nascosto. In questo modo è possibile portare alla luce una sorta di verità sotterranea di cui lo stesso personaggio talvolta non sembra cosciente. Nei romanzi che adottano tale tecnica la frase è spesso frantumata, priva di punteggiatura, combinata con altre frasi apparentemente prive di nessi logici; il confine tra narrazione di eventi oggettivi e monologo interiore è spesso molto sfumato, impercettibile, cosicché la realtà esterna, descritta attraverso lo specchio deformante della coscienza del personaggio, subisce un graduale processo di interiorizzazione. Espressione degli stati mentali, manifestazione del groviglio di ricordi, sensazioni, impulsi che emergono solo quando cessa il severo controllo della coscienza, l'espediente del flusso di c. fu adottato nelle loro opere da numerosi scrittori (James Joyce, Virginia Woolf, William Faulkner), soprattutto inglesi e americani. In Italia il flusso di c. fu introdotto da Italo Svevo.