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Corrosione.

Atto ed effetto del corrodere. ● Chim. - Fenomeno per cui un materiale viene attaccato chimicamente dalle sostanze con cui viene a contatto; ciò provoca un passaggio di parte del materiale in quelle sostanze, con la graduale distruzione dell'oggetto o dell'apparecchiatura composti di quel materiale. In particolare, i danni causati dalla c. dei metalli hanno favorito numerosi studi, aventi come scopo la ricerca del meccanismo della c. e dei mezzi per prevenirla, oltre che la scelta dei materiali più opportuni per minimizzarla. La c. procede in genere per meccanismo elettrochimico; si capisce, quindi, come la corrosionistica sia nata come applicazione dell'elettrochimica. In relazione alle condizioni ambientali in cui si trova il metallo che subisce la c., si distingue una c. a umido e una c. a secco. Si verifica il primo caso quando il metallo è a contatto con un liquido (non però un sale o un altro metallo fuso); il secondo, quando il metallo che si corrode è in presenza di una fase gassosa (anche ad alta temperatura). Ci sono casi in cui la fase gassosa è suscettibile di condensazione sulla superficie metallica, almeno per quanto riguarda qualche componente (ad esempio, umidità dell'aria): queste eventualità rientrano nella c. a umido. Inoltre, vi sono vari tipi di c. e varie morfologie che essa può assumere. ║ C. distribuita: attacco del metallo che si manifesta come una perdita di peso e un assottigliamento uniforme su tutta la superficie metallica esposta all'azione dell'agente corrosivo. Non presenta zone di attacco preferenziali quali punti, fessure, erosioni. Si presenta generalmente nella c. a secco e nella c. a umido dovuta a una dissoluzione del metallo nel liquido stesso. Questo caso si può verificare solo se il materiale è ben omogeneo, cosa molto rara in quanto pressoché tutti i materiali di pratico impiego presentano delle disomogeneità dovute a inclusioni, differenze locali di composizione (facili da trovare nelle leghe), sforzi localizzati, dislocazioni, imperfezioni meccaniche dovute alla lavorazione, ecc. Questi punti di eterogeneità causano un attacco localizzato in certi punti che funzionano da anodi in una pila di c., mentre altre zone che funzionano da catodi sono esenti da attacco. Tuttavia è molto frequente il caso in cui queste eterogeneità sono molto piccole e, quindi, interessano uno strato di metallo molto minore di quello corroso in un periodo di tempo abbastanza lungo. Al procedere del processo corrosivo cambiano quindi continuamente le zone attaccate e si ha come risultato un attacco pressoché uniforme su tutta la superficie esposta. La c. di questo tipo è quella che causa forse il maggior danno, specialmente all'industria chimica, per la quale può essere doppiamente dannosa: perché provoca la distruzione progressiva delle apparecchiature e perché inquina i prodotti. A questo tipo di c. si può ricondurre la ben nota formazione della ruggine sulle superfici di ferro esposte all'atmosfera senza rivestimento. La c. uniforme è però anche quella meglio conosciuta e, quindi, spesso più facilmente contenibile con rimedi opportuni, quali la scelta del materiale più adatto caso per caso (tenuto conto dell'ambiente che provoca la c., di temperatura, pressione, velocità di moto e composizione del liquido o gas che corrode, ecc.) o l'impiego di rivestimenti metallici non attaccabili o ancora di altri materiali inerti nel confronto di quel particolare ambiente. In certi casi si può ricorrere all'impiego dei cosiddetti inibitori di c., cioè sostanze che aggiunte al liquido corrosivo impediscono alla c. di procedere; l'uso di dette sostanze si è molto diffuso soprattutto nella petrolchimica. ║ C. localizzata: tipo di c. che interessa solo certe aree, generalmente molto limitate, che vengono fortemente attaccate, mentre la c. su tutto il resto della superficie esposta è relativamente limitata. I due tipi di c. localizzata più importanti sono il pitting e la c. a caverne. Essi si differenziano in quanto nel pitting la c. parte da un punto e si addentra nel materiale sempre più profondamente, fino a perforarlo (pitting deriva infatti dall'inglese pit che significa buca, pozzo di miniera), mentre la c. a caverne inizia in un'area ristretta che però si va sempre più allargando, man mano che la c. si addentra nel materiale metallico; si giunge quindi alla formazione di una vera e propria caverna grossolanamente circolare, aperta verso l'agente corrosivo. Questi tipi di c. si presentano nel caso in cui un'area molto ristretta venga a funzionare da anodo. Nelle cavità che si formano si ha, poi, una composizione del liquido diversa da quella delle altre zone (per la difficoltà di diffusione, soprattutto dell'ossigeno), che provoca un accentuarsi della c. stessa. È molto facile che essa si verifichi in materiali passivati, allorché lo strato passivante si rompe in pochi punti che vengono pertanto esposti a un funzionamento anodico. Fra le due forme, il pitting è il più pericoloso: è infatti difficile accorgersi della sua presenza (date le piccolissime dimensioni dei fori che esso causa), fino a che lo spessore del materiale è stato completamente perforato e quindi l'apparecchiatura stessa è divenuta inutilizzabile. Inoltre, la c. per pitting è sovente molto rapida, dato che interessa appunto un'area molto limitata che non cambia di posizione. Questa c. si manifesta in pressoché tutti i materiali metallici, ma i casi più gravi si hanno con l'alluminio e le leghe inossidabili in presenza di un mezzo acquoso contenente ioni cloro, disciolti anche in piccolissime concentrazioni (dell'ordine delle parti per milione). In questi casi si ricorre a inibitori o a un trattamento della superficie con bicromati. Si tratta però di palliativi; l'unico mezzo sicuro è la scelta di un altro tipo di materiale fra quelli oggi disponibili per le soluzioni cloridriche. La c. per caverne si manifesta specialmente in luoghi dove il liquido ha una concentrazione sensibilmente diversa dal resto per contenuto di ioni metallici, concentrazione di ossigeno, ecc.; è anche detta c. da aerazione differenziale. Queste aree sono situate di solito in posti, nei quali si trova un liquido stagnante (ad esempio, sotto le guarnizioni, in fori profondi, nelle zone di contatto fra due superfici non perfettamente rettificate, ecc.). Esistono pochi mezzi per impedire che questa c. si verifichi; importante è la pulizia del materiale e dei macchinari. ║ Stress corrosion o c. da sforzi: tipo di c. molto frequente, dovuta alla presenza di sforzi applicati o residui e di un ambiente corrosivo particolare. Essa si manifesta con la rottura del materiale, senza che si sia avuta alcuna c. apparente su tutta la superficie. Anche questo tipo di c. è molto pericoloso, in quanto provoca la distruzione dell'apparecchiatura senza che si sia avuto alcun preavviso della rottura stessa. Tale eventualità è generalmente preceduta da pitting del materiale in molti punti; la rottura inizia appunto da uno dei fori del pitting e procede sia con carattere intercristallino (cioè fra i diversi cristalli del materiale), sia transcristallino (cioè attraversando i cristalli), essendo quest'ultimo il più frequente. La difesa da questo tipo di c. deve avere un carattere soprattutto preventivo: si deve cioè evitare che il materiale esposto all'ambiente corrosivo debba sopportare dei forti carichi e, soprattutto, che esso abbia delle autotensioni elevate. Queste ultime sono spesso dovute a una saldatura non seguita dal dovuto trattamento di distensione o invecchiamento; a questo effetto si sovrappone anche l'inevitabile disuguaglianza fra il metallo base e quello di saldatura. Alcuni esempi di stress corrosion sono particolarmente importanti: la criccatura stagionale (season cracking) degli ottoni ad alto contenuto di zinco, la rottura degli acciai inossidabili austenitici in ambienti cloridrici, la rottura del Monel in acido fluosilicico, la fragilità caustica delle caldaie, ecc. Il season cracking degli ottoni ad alto contenuto di zinco e formati a caldo consiste in una rottura veloce del pezzo anche sotto carichi modesti; è dovuto a una frattura intercristallina ed è particolarmente veloce in ambienti contenenti ammoniaca, ma non ne è ben noto il meccanismo. Gli acciai inossidabili austenitici non sono particolarmente attaccati dalle soluzioni cloridriche, anche in notevoli concentrazioni alle basse temperature (fino a 50 °C circa). Si è, però, notato che, allorché la superficie metallica si trova a temperatura relativamente alta (tanto da poter causare un aumento locale di concentrazione di cloroioni), può aversi una rottura per stress corrosion anche per concentrazioni assai basse di cloroioni (dell'ordine delle parti per milione). Questa c. si verifica abbastanza spesso in scambiatori di calore (ad esempio, in prossimità delle mandrinature) e in altre apparecchiature analoghe. La fragilità caustica si manifesta soprattutto nelle caldaie ed è un infragilimento (con relativa possibilità di rottura fragile, e quindi pericolosa) dell'apparecchiatura in prossimità di bulloni o saldature, dovuto a un ambiente anche localmente fortemente basico. Ciò causa un attacco del ferro (o acciaio) da parte dell'ambiente, con formazione da un lato di ferriti o ossidi di ferro e dall'altro di idrogeno, il quale è a sua volta dannoso in quanto decarbura l'acciaio, infragilendolo ulteriormente. Queste azioni corrosive diventano molto più spinte in quei luoghi dove sono presenti sforzi o autotensioni (quindi in prossimità delle giunzioni), per cui si tratta sempre di una stress corrosion. Nelle caldaie ciò può costituire un grave problema e non permette, tra l'altro, l'impiego di soda caustica o carbonato sodico per l'eliminazione della durezza dell'acqua di alimentazione. Infine, occorre ricordare un caso particolare di stress corrosion, detto comunemente c. da fatica: è noto che un materiale metallico sottoposto a fatica presenta una resistenza meccanica molto minore di quella che esso ha in condizioni statiche. Se a una sollecitazione da fatica si aggiunge un ambiente corrosivo, i risultati sono disastrosi. Se la c. del pezzo è precedente all'applicazione della sollecitazione di fatica, si osserva una riduzione della sollecitazione limite di rottura, più o meno marcata a seconda di quanto la c. sia proceduta. Se la c. non precede l'applicazione della sollecitazione di fatica ma è simultanea ad essa, si osserva che non esiste più un limite di fatica; al procedere del numero dei cicli il carico tende ad annullarsi. Ciò significa che un pezzo non può sopportare, per un numero di cicli indefinito, un carico anche molto esiguo in presenza di un ambiente corrosivo. Sulla riduzione del carico sopportabile, si veda la seguente tabella che fornisce il carico limite di rottura (calcolato per 100 milioni di cicli) di alcuni materiali in diversi ambienti. Il carico limite è espresso in kg/mm².
"Plastica e corrosione" di Piero Weisz


Metallo
Aria
Acqua
dolce

Acqua
di mare

Acciaio al carbonio
25
12
3,5
Acciaio al nichel
55
14
5
Acciaio inox
35
35
17,5
Bronzo
14
14
14
Ottone
12
8,5
8,5

Nel caso delle leghe ferrose si hanno, dunque, riduzioni fortissime, mentre certi materiali sono praticamente insensibili alla c. da acqua dolce e di mare. ║ C. intergranulare: c. ancora localizzata, ma su un grande numero di punti (o meglio di linee) corrispondenti alle zone di separazione dei grani cristallini, donde il suo nome. I contorni dei grani sono delle zone che si differenziano dalle altre per una diversa struttura (essendo sede di molte dislocazioni ed essendo prive di una regolarità di impaccamento degli atomi) e per diversa composizione chimica (in quanto spesso molti composti, ad esempio i carburi, precipitano appunto al contorno dei grani). Questa diversità fa sì che i bordi dei grani abbiano un comportamento anodico nei confronti dei grani veri e propri; ne risulta un attacco localizzato fra i grani che procede velocemente, asportando quel materiale che funziona per così dire da cemento fra i diversi grani. Si ha, di conseguenza, una perdita quasi completa della resistenza meccanica, benché la c. sia poco o punto evidente. Per questo motivo, anche la c. intergranulare è molto pericolosa. Numerose sono le combinazioni metallo + ambiente per cui questa c. si manifesta: i materiali più sensibili sono gli acciai inossidabili austenitici, le leghe dell'alluminio e quelle ad alto tenore di nichel. Gli acciai inossidabili austenitici in uso prima della seconda guerra mondiale e nell'immediato dopoguerra davano poco affidamento nella maggior parte degli impieghi a contatto con ambienti fortemente acidi. Allorché queste leghe sono riscaldate o raffreddate abbastanza lentamente nell'intervallo di 450-850 °C, si ha precipitazione di carburi (soprattutto di cromo) al contorno di grani; in queste stesse zone (a motivo del minor tenore di cromo libero presente nella lega) si instaura la c. preferenziale. Attualmente si è praticamente ovviato a questi inconvenienti con la riduzione del tenore di carbonio in tali acciai fino allo 0,08% o anche fino allo 0,03% (nei cosiddetti tipi low carbon) e con una scelta oculata dei cicli termici. Durante la saldatura si ha, però, sempre un riscaldamento locale disomogeneo e non controllato; si avrebbe quindi sempre una c. intergranulare in prossimità delle giunzioni saldate. Si ovvia a ciò con l'uso dei cosiddetti acciai stabilizzati mediante niobio, titanio o altri elementi di grande affinità con il carbonio: precipitano solo i carburi di questi metalli e non quelli di cromo. ║ C. galvanica: in realtà, tutte le c. a umido sono elettrochimiche; si chiama, però, c. galvanica quella che si stabilisce in presenza (a contatto con l'elettrodo) di un metallo avente nobiltà molto diversa. Questa c. è notevolmente importante, in quanto non è infrequente che certe apparecchiature siano composte di pezzi di materiali diversi (o che almeno hanno subito un diverso ciclo di lavorazione); molto diffusi sono anche i rivestimenti galvanici per proteggere un metallo dalla c., mediante uno strato di altro metallo, a volte elettrodeposto. Un caso tipico è quello delle lamiere zincate; lo zinco è molto meno nobile dell'acciaio comune di cui è composta la lamiera: allorché il rivestimento si fora per una causa qualsiasi, si instaura una c. galvanica. Essendo, però, lo zinco il metallo meno nobile, esso funziona da anodo (e quindi si corrode), mentre la base di acciaio funziona da catodo (e quindi non è attaccata). In questo caso, lo zinco ha una funzione di protezione del ferro, impedendo che venga corroso. Ben diverso è il caso delle lamiere stagnate; lo stagno è più nobile dell'acciaio della lamiera: non appena il rivestimento si fora, si crea una pila di c. nella quale la lamiera è l'anodo e lo stagno il catodo. Di conseguenza l'acciaio viene attaccato più velocemente che in assenza del rivestimento. Lo stesso inconveniente è presentato da una nichelatura su una base di ferro, essendo il nichel più nobile del ferro e dell'acciaio dolce. La nobiltà che interviene nei processi di c. galvanica non è propriamente quella delle serie elettrochimica, ma è la nobiltà pratica, cioè quella che si ha nel particolare ambiente in questione, tenuto conto della possibilità di passivazione dei materiali, che causa una loro nobilitazione come conseguenza della loro diminuita tendenza alla dissoluzione nell'elettrolite. Vi sono certi metalli che hanno una nobiltà termodinamica (cioè teorica) molto bassa, ma una nobiltà pratica fra le più alte: il niobio, il tantalio e il titanio, ecc. La serie elettrochimica degli elementi va, quindi, riscritta secondo la nobiltà, inserendo anche quelle leghe di interesse pratico molto alto. Partendo dai metalli meno nobili verso i più nobili, la serie delle nobiltà pratiche è la seguente:

Magnesio
Leghe di magnesio
Zinco
Alluminio
Cadmio
Acciaio dolce e ferro
Ghisa
Acciaio inox al solo Cr, tipo AISI 410 (non passivato)
Ghisa al nichel tipo Ni-Resist
Acciaio inox 18/8/3 al Cr-Ni-Mo tipo AISI 316 (non passivato)
Piombo
Stagno
Nichel (non passivato)
Inconel (lega Ni-Cr) non passivato
Hastelloy C (lega Ni-Cr-Fe-Mo) non passivato
Ottoni
Rame
Bronzi
Cupronichel (leghe Ni-Cu)
Monel (lega Cu-Ni)
Nichel (passivato)
Inconel (passivato)
Acciaio inox tipo AISI 410 (passivato)
Titanio
Acciaio inox tipo AISI 316 (passivato)
Hastelloy C (passivato)
Argento
Grafite
Oro
Platino
Tantalio
Niobio
Rodio

In questa lista i primi termini hanno una bassissima resistenza alla c., mentre gli ultimi sono assai più resistenti; i primi hanno tendenza a funzionare da anodi, mentre gli ultimi hanno tendenza a funzionare da catodi. In un accoppiamento fra due qualsiasi di questi materiali, quello che viene prima nella serie riportata si corrode, mentre quello che segue non è attaccato. Tale proprietà può essere sfruttata per produrre appositamente la c. in certi punti, evitandola in quelli importanti. ║ C. selettiva: si presenta solo nel caso delle leghe e consiste nell'asportazione di uno dei costituenti della lega, che viene sostituito da una massa spugnosa di un altro costituente. Anch'essa è molto pericolosa, in quanto porta a una rapida perdita di resistenza meccanica senza che si abbia sensibile perdita di peso e spessore. Un tipico caso di tale c. è la cosiddetta dezincificazione degli ottoni binari. Morfologicamente essa si manifesta con l'asportazione (in certe aree o su tutta la superficie) dello zinco, al posto del quale resta una massa spugnosa di rame; a un esame superficiale essa appare con una formazione di macchie rosse più o meno estese. Nei casi più gravi la dezincificazione prosegue fino alla foratura delle pareti. Il suo meccanismo è ancora oggetto di discussione; sembra però che si tratti di una dissoluzione locale della lega per opera di pile di c. locali: il rame in soluzione viene, quindi, spostato dallo zinco non ancora corroso con il risultato già illustrato. La protezione dalla dezincificazione (sempre pericolosa quando si è in presenza di agenti chimici che possono dissolvere il rame e lo zinco) si ottiene aggiungendo all'ottone degli inibitori di c., e precisamente certi elementi quali arsenico, fosforo o antimonio in piccole percentuali (0,02-0,2%). Un altro esempio è costituito dalla c. grafitica delle ghise per la diversa nobiltà della grafite e dei grani di ferro. Si ha distruzione di parte della ghisa (che può anche attraversare tutto lo spessore del materiale) al posto della quale rimane una massa spugnosa di prodotti di c., che non hanno alcuna resistenza meccanica. Questa c. della ghisa è molto frequente nelle tubazioni interrate, soprattutto in suoli umidi e in presenza di un'acidità anche debole. ║ C. erosione: la c. in un ambiente può essere grandemente accelerata dalla presenza di fenomeni erosivi, per esempio ad opera di un liquido o di un gas che contengano in sospensione delle particelle solide. In generale, l'erosione accelera la c. in quanto gioca un ruolo dominante nella rottura dello strato di passivazione che ricopre il metallo. Anche la cavitazione può essere intesa come c. erosione, benché si manifesti anche in ambienti essenzialmente non corrosivi. ║ C. usura: si manifesta su parti metalliche in ambiente corrosivo a contatto con altre parti in moto relativo (anche piccole vibrazioni possono bastare). La c. è molto accelerata per la continua distruzione del film passivante, come nel caso precedente. ║ C. biologica: il ferro e molti acciai possono essere danneggiati più o meno direttamente dall'azione di microrganismi. Questi possono, infatti, produrre nel loro metabolismo delle sostanze corrosive, oppure alterare gli strati superficiali passivanti o creare dei prodotti della superficie, favorendo l'insorgere di celle di concentrazione. Si produce una c. che ha generalmente l'aspetto di un pitting, frequente in tubazioni che attraversano paludi o suoli argillosi. Tutti i tipi di c. finora citati sono essenzialmente a umido. ║ Esaminiamo ora i principali tipi di c. a secco. ║ C. ad alta temperatura: avviene per reazione di un costituente della massa gassosa con la superficie metallica. I prodotti di c. possono essere volatili (e quindi asportati dal gas) o solidi. In quest'ultimo caso la c. può essere contenuta, dato che la formazione di uno strato di prodotti impedisce al gas reagente di penetrare fino alla superficie metallica. Sovente, però, lo strato è soggetto allo scaling, cioè alla frantumazione in scaglie, e quindi il suo potere protettivo diventa praticamente nullo. Lo scaling è molto favorito dall'alternarsi di cicli di riscaldamento e di raffreddamento, dati i diversi coefficienti di dilatazione del metallo e dello strato. La c. ad alta temperatura più comune è quella da ossigeno, con formazione di uno strato di ossidi. Generalmente quest'ultimo è soggetto allo scaling, ma la presenza di certi elementi in grande quantità può portare alla formazione di uno strato stabile. Le leghe per alte temperature che devono resistere a un ambiente ossidante contengono in generale almeno il 20% di cromo e altrettanto di nichel. Anche i gas contenenti acido solfidrico o, in generale, i composti solforati (come quelli di combustione del carbone e di nafte poco raffinate) sono molto corrosivi. Si ha allora un attacco con formazione di solfuri, localizzato soprattutto al contorno dei grani. Il risultato è analogo a quello della c. intergranulare. Le leghe di nichel sono particolarmente sensibili a questo attacco; esso viene però fortemente ridotto mediante l'aggiunta di cromo come elemento alligante. ║ C. da idrogeno: è dovuta alla penetrazione nel metallo (di solito acciaio) di idrogeno atomico; si manifesta con la formazione di microfessure e bolle e con perdita di duttilità (e conseguente pericolo di una rottura fragile). È frequente nelle apparecchiature di acciaio, nelle quali si trova idrogeno a temperatura e pressione elevate o nelle soluzioni che contengono acido solfidrico. Il meccanismo sembra diverso nei due casi; nel primo si tratta di una c. a secco, dovuta al fatto che l'idrogeno che penetra nel metallo si combina con il carbonio, producendo metano o altri idrocarburi. Di qui un infragilimento (per perdita di carbonio) e la formazione di bolle durante un raffreddamento o un riscaldamento, per effetto dei gas presenti nel metallo. La c. da idrogeno ad alta temperatura può essere molto ridotta alligando l'acciaio con molto cromo; il carbonio viene, pertanto, stabilizzato come carburo di cromo e non è più asportato dall'idrogeno. La c. da soluzioni solfidriche è dovuta alla penetrazione di idrogeno atomico nella massa metallica; qui il ferro ne catalizza la combinazione a idrogeno molecolare e ciò avviene generando una pressione tale da causare la formazione di microfessure o bolle. La difesa da questa c. è alquanto difficile; consiste nella riduzione degli sforzi applicati (che potrebbero dare un'azione concomitante di stress corrosion), nell'adozione di materiali più duttili (che possono meglio assorbire gli sforzi locali senza rompersi) e nell'uso di inibitori di c., quali certe ammine. ║ C. da correnti disperse: il sottosuolo, pur avendo una conducibilità molto modesta, è sede della circolazione di molte correnti causate dalla dispersione da parte di linee di conduzione o di rotaie, ecc. Allorché sul cammino di queste correnti si trova una tubazione metallica, questa costituisce una via di minor resistenza e la corrente la percorre, almeno per un certo tratto. Nella zona in cui la corrente vagante lascia il tubo per tornare nel terreno, il tubo funziona da anodo e, quindi, si corrode. Esistono apposite norme che regolano (specialmente in città) le perdite massime che le linee elettriche possono avere, ma la rottura di una tubazione per c. da correnti vaganti è tutt'altro che rara. Soprattutto nel caso di tubazioni molto importanti (oleodotti, gasdotti, acquedotti, ecc.) si deve disporre un'opportuna protezione, soprattutto nei tratti di conduttura che corrono vicini e paralleli a rotaie ferroviarie o tranviarie o a conduttori elettrici. Un primo metodo di protezione consiste nel rivestire la tubazione con un materiale isolante (molto usato il catrame), che pone una resistenza supplementare a ingresso e uscita della corrente nella conduttura. Un secondo metodo consiste nell'interrompere la continuità elettrica della tubazione, interponendo ogni tanto un tratto di tubo in materiale isolante; i due tratti sono poi collegati con una resistenza elettrica di valore opportuno, altrimenti si avrebbe c. delle zone finali di tutti i tratti metallici, laddove la corrente esce da un tratto per passare nel successivo. Un ulteriore metodo consiste nella protezione anodica, disponendo dei blocchi di metallo sacrifiziale a distanze opportune; non sempre, però, tale misura è abbastanza efficace. A volte si può ricorrere al cosiddetto drenaggio, collegando con la rotaia (per mezzo di un conduttore elettrico) il tratto di tubo dal quale esce la corrente; si evita il passaggio di questa dal tubo al terreno, che è la causa della c. Dato però che la corrente in questo collegamento potrebbe invertirsi (con risultati disastrosi), si usa inserire sul collegamento un diodo, che permette il passaggio della corrente solo in direzione tubo-rotaia. Il metodo migliore consiste, però, nel drenaggio forzato: si realizza ancora il collegamento detto, ma al posto del diodo si inserisce un generatore di valore opportuno in modo che la corrente fluisca sempre nel senso voluto. ║ C. dei materiali non metallici: si verifica spesso con un meccanismo puramente chimico di attacco e dissoluzione del materiale, dovuto a uno o più componenti della soluzione. In altri casi, la c. è più propriamente una dissoluzione fisica del materiale, soluzione nel mezzo corrosivo; si può anche avere un attacco di alcuni componenti del mezzo corrosivo con trasformazione del materiale (o di qualche suo componente) in sostanze solubili fisicamente nel mezzo. Questi ultimi tipi di c. sono molto frequenti nelle materie plastiche (soprattutto nelle resine termoplastiche), che resistono bene a molti acidi anche concentrati ma non resistono affatto a certi solventi organici. Ad esempio, il polietilene a bassa densità presenta un'ottima resistenza agli acidi minerali non ossidanti, mentre è attaccato da quelli ossidanti ed è praticamente disciolto (anche se lentamente) dagli idrocarburi aromatici e clorurati.