Opera satirica di Giovanni Boccaccio, scritta probabilmente
tra il 1354 e il 1355. Boccaccio si invaghisce di una graziosa vedova,
confessandole per lettera il suo "ardente desiderio". La donna mostra le lettere
ricevute a un suo amante, ridendo alle spalle di colui che le ha scritte come
"d'uno beccone". Col
C. Boccaccio immagina di errare per incantevoli
luoghi (il "laberinto d'amore"), fino al momento in cui si accorge di essere
capitato in una foresta selvaggia, in cui espiano le loro colpe i poveri amanti,
trasformati in bestie dalle perfidie delle loro donne. A salvarlo interviene il
marito della vedova, che gli racconta di quali vergogne si è macchiata
sua moglie, degna rappresentante di quel sesso femminile che egli detesta. Nel
C., scritto per vendicarsi di una donna che si era beffata di lui, vi
sono spunti di vigore autobiografico e un acre sapore sarcastico e polemico. Il
libro è apertamente misogino.