Dir. - Elemento accidentale dei negozi o atti giuridici,
consistente in un avvenimento futuro e incerto cui viene subordinata l'efficacia
o la risoluzione del negozio o dell'atto. Per l'esistenza di una
c.
è prescritta l'incertezza assoluta e oggettiva del fatto e
l'arbitrarietà del nesso fra il suo verificarsi e l'effetto giuridico a
esso subordinato. Così non possono essere dedotti in
c. gli
avvenimenti presenti o passati, sebbene se ne ignori l'accadimento. In tali casi
mancherebbe appunto lo stato di incertezza oggettiva o dipendenza; la situazione
giuridica nel momento della conclusione del negozio sarebbe sicura, anche se il
soggetto ha dei dubbi circa l'avveramento del fatto di cui si tratta. L'evento,
subiettivamente incerto in tali casi, viene chiamato presupposto. La sua
esistenza potrà essere rilevante sull'efficacia del negozio, nel senso
che questa o ha il suo fondamento o più non lo avrà, ma non
esistono la pendenza e la retroattività proprie della
c. Non si
deve poi confondere la
c. con una figura che dottrina e giurisprudenza
conoscono sotto il nome di presupposizione. La presupposizione, come la
c., ricade fra gli elementi che influiscono sulla determinazione
volitiva; ma nella seconda il motivo è divenuto clausola del negozio,
mentre nella prima il presupposto dell'atto si sente come integrazione
necessaria della volontà, anche se non sviluppata con clausola espressa.
L'evento posto in
c., oltre che futuro, deve essere incerto: cioè
deve essere dubbio se la
c. si realizzerà o no, in modo da rendere
incerta l'esistenza o la risoluzione del rapporto. Non è rilevante,
invece, che sia certo o incerto il momento in cui si debba avverare il fatto; ma
se il futuro accadimento dedotto in
c. fosse sicuro, avremmo termine e
non
c. Le
c. si classificano secondo vari criteri. Sotto il
profilo degli effetti che ne derivano, si distingue fra
c. sospensiva e
c. risolutiva, a seconda che dal verificarsi o non verificarsi
dell'evento dipenda il sorgere degli effetti obbligatori del negozio, oppure la
risoluzione del preesistente rapporto. Rispetto alla causa produttrice
dell'avvenimento, dobbiamo distinguere le
c. in:
potestative,
quando l'avverarsi dell'evento dipende dalla volontà di una parte;
casuali, se il tatto dipende dal caso o da terzi;
miste, se la
volontà del soggetto e il caso (o terze persone) concorrano a produrre
l'evento. Tra le
c. potestative occorre però distinguere: se si
tratta di un fatto che per la parte non è indifferente compiere o non
compiere, si ha la
c. potestativa ordinaria; mentre se si tratta di un
evento la cui verificazione o meno dipende da puro capriccio della parte, si ha
la
c. meramente potestativa, la cui opposizione rende del tutto nullo il
negozio, poiché in tal caso il rapporto obbligatorio che da esso deriva
sarebbe subordinato a un fatto il cui avverarsi è rimesso all'arbitrio
della parte che si obbliga e quindi mancherebbe una vera volontà di
obbligarsi. Naturalmente la nullità non si produce quando la
c.
meramente potestativa è posta a vantaggio della parte che non assume una
posizione di obbligo, ma di diritto. Secondo che la situazione di fatto,
esistente al momento della conclusione del negozio, abbia, oppure non abbia, a
venire modificata dall'attuarsi dell'evento dedotto in
c., si dice che la
c. è, rispettivamente, affermativa o negativa. Infine si
distinguono la
c. possibile dalla impossibile, la
c. lecita dalla
illecita. L'impossibilità è fisica o giuridica; l'illiceità
corrisponde al concetto di atti contrari a norme imperative, all'ordine pubblico
o al buon costume. Negli atti fra vivi, la
c. illecita rende nullo il
negozio, sia essa sospensiva, sia essa risolutiva. Se la
c. impossibile
è risolutiva essendo certo che essa non si verificherà, il negozio
rimarrà valido per sempre. Negli atti di ultima volontà, gli
effetti sono diversi, per la preoccupazione di alterare il meno possibile la
volontà del defunto, dato che si tratta di un negozio che non può
essere rifatto; così le
c. impossibili e illecite sono nulle ma
l'atto rimane valido, purché esse non si risolvano nell'unico motivo che
ha determinato il testatore a disporre. Quando la
c. non si è
attuata nel tempo stabilito, oppure quando essa, divenendo certo che più
non si verificherà, si considera mancata; le conseguenze giuridiche sono
diverse secondo che sia sospensiva o risolutiva: nel primo caso, il diritto,
derivante dal negozio, non sorge; nel secondo, si consolida e rimane definitivo.
Anche quando la
c. si verifica, la situazione giuridica diventa
definitiva. Se la
c. è sospensiva, il diritto si considera come se
fosse nato incondizionato; se si tratta di
c. risolutiva, il diritto
è come se non fosse mai sorto. Nel negozio condizionato occorre
distinguere due periodi di tempo: quello in cui è incerto il verificarsi
dell'evento e quello in cui subentra una situazione di certezza, o perché
la
c. è mancata o perché essa si è verificata. A
queste situazioni corrispondono diverse conseguenze: il legislatore infatti si
preoccupa che il periodo della pendenza porti il minor pregiudizio possibile
agli opposti interessi. Durante la pendenza, se la
c. di cui si tratta
è sospensiva, il diritto non nasce, ma si trova in uno stato di
aspettativa; l'aspettativa, legalmente tutelata, si tramuterà in diritto
al verificarsi dell'evento posto in
c. Per taluni atti la legge dispone
l'inapplicabilità della
c.: così nella girata e
nell'accettazione cambiaria, nell'accettazione e nella rinuncia ereditaria, nel
matrimonio, nel riconoscimento del figlio naturale. ║ In diritto privato
il termine
c. è adoperato in diverso senso specifico, là
dove si parla di
c. generali di contratto (art. 1.341 del c.c.). Detto
articolo dichiara che fanno parte del contenuto obbligatorio del contratto tutte
quelle clausole che uno dei contraenti ha predisposto per il complesso delle sue
tipiche contrattazioni, anche se addirittura non sono conosciute da un altro
contraente, quando questi, usando l'ordinaria diligenza, avrebbe dovuto
conoscerle. Tuttavia alcune di esse devono venir specificamente approvate per
iscritto. Queste ultime clausole sono qualificate come vessatorie e comportano
limitazione di responsabilità o facoltà di recesso in favore di
chi le ha predisposte, o viceversa restrizioni a carico della controparte,
deroghe alla competenza giudiziale. ║
C. di polizza. Clausole che
regolano il contratto di assicurazione e che, come per ogni contratto concluso
mediante moduli e formulari (art. 1342 c.c.) si distinguono in
c.
generali (che disciplinano in maniera uniforme le polizze dello stesso tipo,
secondo le norme di legge, gli obblighi della compagnia assicuratrice e
dell'assicurato, la durata del contratto, ecc.) e
c. speciali o aggiunte
al modulo o al formulario (clausole particolari e deroghe alle
c.
generali). Queste ultime prevalgono sulle generali, qualora siano incompatibili
con esse.