(dal latino
con e
cubare: giacere a letto). La
condizione di un uomo e di una donna che vivono insieme senza essere legati dal
matrimonio. Il
c. nell'antichità era in alcuni casi tollerato. Il
codice penale italiano vigente ravvisa il reato di
c. nella colpa del
marito che tiene una concubina nella casa coniugale o notoriamente altrove (art.
560); pena la reclusione fino a due anni. Poiché con sentenza del 19
dicembre 1968 n. 126 la Corte Costituzionale, sancendo il principio
dell'uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, aveva abrogato la prima parte
dell'art. 559 relativo all'adulterio della moglie, erano rimasti in vigore il
terzo comma del precitato articolo (che puniva con la reclusione fino a due anni
la "relazione adulterina" della moglie) e l'art. 560 relativo al
c.
Sempre in base al predetto principio di uguaglianza, con sentenza del 3 dicembre
1969 n. 147 la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittime le norme del cod.
pen. che puniscono la relazione adulterina e il
c. In conseguenza
l'infedeltà coniugale non è più reato. Restano in vigore le
sanzioni di carattere civile: l'adulterio e il
c. costituiscono infatti
una colpa per cui può essere chiesta la separazione personale. D'altra
parte, il
c. non è presupposto sufficiente per una dichiarazione
giudiziale di paternità, per quanto la nuova legislazione garantisca la
tutela della cosiddetta "famiglia di fatto" e dei figli nati fuori dal
matrimonio.