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Concordato.

Convenzione, accordo. ║ Convenzione fra la Santa Sede e gli Stati, per regolare le relazioni tra il potere ecclesiastico e quello civile (V. OLTRE). • Dir. - C. fallimentare: modo di chiusura del fallimento, che, su proposta del fallito, può essere stipulato, previa approvazione della maggioranza numerica dei creditori; si perfeziona attraverso l'omologazione del tribunale. Effetto del c. è quello di tacitare i creditori mediante il pagamento di una percentuale dei crediti. ║ C. preventivo: procedura concursuale che consente all'imprenditore commerciale, che si trovi in stato di insolvenza, di evitare il fallimento pagando almeno il quaranta per cento dei crediti chirografari o cedendo ai creditori tutti i beni esistenti nel suo patrimonio. Il c. preventivo è approvato se ottiene il voto favorevole della maggioranza dei creditori votanti. L'esecuzione del c. avviene sotto la sorveglianza del commissario giudiziale. ║ C. tributario: accordo in materia di accertamento del reddito imponibile, mediante il quale l'amministrazione finanziaria e il contribuente possono porre fine a una controversia. • St. - Nei rapporti tra Chiesa e Stato il c. stabilisce le concessioni che ciascuno dei due poteri compie a favore dell'altro. Tale accordo implica, in entrambi i contraenti, una serie di garanzie e di obblighi, tra cui fondamentale quello che nega a una delle parti la facoltà di denunciare unilateralmente il c. stesso. Nonostante vari siano stati i c. stipulati ad iniziare dal 1122, quando fu firmato il primo c. della storia, quello tra papa Callisto II e l'imperatore Enrico V, che pose fine alla lotta per le investiture, oggi il termine viene usato con riferimento particolare al c. dell'11 febbraio 1929 tra la Chiesa e lo Stato italiano. Esso fu annesso, quale "necessario complemento" della Conciliazione, ai Patti Lateranensi (V. LATERANENSI, PATTI). Il c., richiamato dall'art. 7 della Costituzione repubblicana, intese regolare i rapporti tra le due parti contraenti e le "condizioni della religione cattolica e della Chiesa in Italia". In tal modo veniva riconosciuta una posizione predominante alla religione cattolica che, in epoca prefascista, aveva goduto di un trattamento eguale a quello riservato a ogni altra religione. La stipulazione di tale c. non mancò di sollevare dissensi, incontrando l'opposizione non solo dei laici ma anche dei cattolici antifascisti, che, dall'estero e attraverso pubblicazioni clandestine, ne misero in evidenza, oltre all'intrinseco valore di riconoscimento ufficiale dello Stato fascista da parte della Chiesa, le interferenze che con esso sarebbero venute a crearsi tra le leggi dello Stato e quelle della Chiesa. I dissensi andarono crescendo in seguito all'inserimento del c. nella Costituzione, così che per anni si è continuato a dibattere intorno alla stridente contraddizione fra l'art. 8 della Costituzione repubblicana che dichiara "ugualmente libere tutte le confessioni religiose" e il principio concordatario, secondo cui "la religione cattolica apostolica romana è la sola religione dello Stato". Il c., che si compone di 45 articoli, afferma infatti, all'art. 1, il carattere cattolico dello Stato italiano e il carattere sacro di Roma dove "il governo avrà cura di impedire tutto ciò che possa essere in contrasto col detto carattere". Negli articoli successivi sono comprese norme che autorizzano la Chiesa a rappresentare i cattolici di fronte al governo italiano e che sono ritenute inconciliabili con la lettera e con lo spirito della nostra Costituzione da studiosi e politici di varia tendenza. La controversia riguarda in particolare l'estensione della sovranità del Vaticano sugli ecclesiastici presenti in Italia: esentati dal servizio militare (art. 3); esonerati dall'imposta di ricchezza mobile (art. 6); sottoposti a un trattamento speciale in caso di arresto e di detenzione. L'ecclesiastico e il religioso deve essere infatti "trattato col riguardo dovuto al suo stato e al suo grado gerarchico" (art. 8); ma è assoggettato a particolari restrizioni che si estendono anche ai sacerdoti ridotti allo stato laicale. L'art. 5 stabilisce infatti che "nessun ecclesiastico può essere assunto o rimanere in un impiego o ufficio dello Stato italiano o di enti pubblici dipendenti dal medesimo senza il nulla osta dell'Ordine diocesano....In ogni caso i sacerdoti apostati o irretiti da censura non potranno essere assunti né conservati in un ufficio o in un impiego, nei quali siano a contatto immediato col pubblico". Un'altra restrizione è quella stabilita dall'art. 43 che vieta a tutti gli ecclesiastici e religiosi d'Italia "di iscriversi e militare in qualsiasi partito politico", mentre lo stesso articolo stabilisce che "lo Stato italiano riconosce le organizzazioni dipendenti dall'Azione Cattolica... sotto l'immediata dipendenza della gerarchia della Chiesa per la diffusione e l'attuazione dei principi cattolici". All'art. 30 il c. stabilisce che "la gestione ordinaria e straordinaria dei beni appartenenti a qualsiasi istituto ecclesiastico o associazione religiosa ha luogo sotto la vigilanza dello Stato italiano". La sovranità della Santa Sede e dei vescovi si estende inoltre parzialmente alla Scuola pubblica. Il c. dispone infatti all'art. 36 che "l'Italia considera fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica l'insegnamento della dottrina cristiana, secondo la forma ricevuta dalla dottrina cattolica... Tale insegnamento sarà dato a mezzo di sacerdoti o religiosi approvati dall'autorità ecclesiastica, e sussidiariamente a mezzo di maestri e professori laici, che siano a questo fine muniti di un certificato di idoneità da rilasciarsi dall'ordinario diocesano. Per detto insegnamento religioso nelle scuole pubbliche non saranno adottati che i libri di testo approvati dall'autorità ecclesiastica". Ma la parte più controversa riguarda l'art. 34 che afferma la sovranità della Santa Sede sul matrimonio, stabilendo che "lo Stato italiano, volendo ridonare all'istituto del matrimonio, che è base della famiglia, dignità conforme alle tradizioni cattoliche del suo popolo, riconosce al sacramento del matrimonio, disciplinato dal diritto canonico, gli effetti civili... Le cause concernenti la nullità del matrimonio e la dispensa dal matrimonio celebrato e non consumato sono riservate alla competenza dei tribunali e dei dicasteri ecclesiastici". La controversia sollevata dall'inserimento dei Patti Lateranensi nella Costituzione della Repubblica si è trascinata sino ad oggi. Tuttavia, il pontificato di Giovanni XXIII, che ha portato ad una attenuazione dello spirito temporalistico della Chiesa, e l'evoluzione dei rapporti tra le forze politiche, ha reso attuale il problema di una revisione del c. Esso si è presentato tuttavia di assai difficile soluzione, dando luogo ad estenuanti trattative e accesi dibattiti politici. In particolare, la questione è stata riproposta dall'on. Basso nel 1965, con una mozione che, però, è stata discussa solo due anni dopo. Tale mozione - che sosteneva la necessità di una revisione del c. che ne escludesse le norme anticostituzionali - ottenne il consenso generale dei deputati, con la sola opposizione dei missini. Nel 1970 è stata presentata, sempre dall'on. Basso, un proposta di legge per la sostituzione degli art. 7 e 8 della Costituzione, in modo da garantire l'uguaglianza religiosa di tutti i cittadini. Nel 1971 alcuni deputati comunisti, tra i quali l'on. Nilde Jotti, hanno proposto un ordine del giorno per la revisione bilaterale del c. Successivamente la lotta e il dibattito giuridico-politico relativi al divorzio hanno posto l'accento sull'art. 34 del c., concernente gli effetti civili del matrimonio canonico e la giurisdizione ecclesiastica in materia matrimoniale (sull'art. citato si è pronunciata anche la Corte costituzionale). Tutte queste sollecitazioni sono state accolte dal governo Moro-La Malfa e le trattative per la revisione sono riprese a livello diplomatico nel 1975. È stata costituita una commissione mista italo-vaticana (Gonella, Jemolo e Ago per l'Italia, Casaroli, Silvestrini, Lener per la S. Sede) e il primo dibattito parlamentare si è svolto alla Camera dei deputati, nel dicembre nel 1976, sulla prima bozza di revisione. Il secondo dibattito parlamentare è avvenuto al Senato sulla terza bozza, alla quale ne sono seguite altre tre. Il negoziato è stato ripreso dopo un colloquio tra l'allora presidente del Consiglio Spadolini e il cardinale Casaroli l'11 febbraio 1982, nell'ambasciata italiana presso la Santa Sede. La commissione mista ha continuato perciò a lavorare sul testo della sesta bozza, ma senza progressi definitivi. L'iniziativa determinante è stata assunta dal presidente del Consiglio Craxi che ha deciso di riattivare il negoziato e ha realizzato - con il suo incontro con papa Giovanni Paolo II e con il cardinale Casaroli nel novembre 1983 - una intesa affinché il nuovo c. potesse essere portato al suo traguardo conclusivo. Il che si è verificato il 18 febbraio 1984, con la firma del testo del nuovo c. a Villa Madama, da parte del presidente del Consiglio, on. Craxi, e del segretario di Stato, cardinale Casaroli. Il nuovo c. innanzitutto contiene la solenne riaffermazione del principio esplicitamente riconosciuto dalla Costituzione repubblicana e dal Concilio Vaticano II - per cui lo Stato e la Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, sovrani e indipendenti; si sancisce inoltre la fine della religione cattolica come religione di Stato. Per quanto riguarda la materia matrimoniale sono soppressi tutti i privilegi di cui godeva nel sistema del vecchio c. la giurisdizione ecclesiastica. In primo luogo, una sentenza del tribunale ecclesiastico, in quanto equiparata a quelle dei tribunali di Stati esteri, deve essere convalidata dalla corte d'appello competente, affinché possa esplicare effetti civili. Il tribunale ecclesiastico, in secondo luogo, deve garantire alle parti il diritto di agire e resistere in giudizio, in conformità ai principi dell'ordinamento giuridico italiano. In ambito scolastico viene superato il sistema dell'esonero: lo Stato garantisce l'insegnamento della religione e si riconosce allo studente il diritto di avvalersene o meno. In ordine ai beni ed enti ecclesiastici si prevede la costituzione di una commissione mista che, entro sei mesi, dovrà avanzare proposte per disciplinare la complessa e difficile materia. In ogni caso si stabilisce che potranno continuare a godere dell'esenzione tributaria solo quegli enti e beni che rispondono a fini di culto e di religione. È venuto meno, infine, l'art. 1 del vecchio c. che attribuiva a Roma "carattere sacro", di modo che il governo era obbligato ad impedire tutte quelle manifestazioni che potevano essere in contrasto con quel carattere.