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Comunisti, Partiti.

La vittoria della Rivoluzione sovietica dell'ottobre 1917 portò alla costituzione in vari paesi di partiti e movimenti comunisti. Le organizzazioni comuniste erano ancora in una fase costitutiva embrionale, quando fu convocata a Mosca, nel marzo 1919, la Conferenza comunista internazionale, che decise di costituirsi in Terza Internazionale e di assumere il nome di Internazionale comunista, più nota col nome russo di Comintern. Nel 1919 le sinistre marxiste che si riconoscevano nella rivoluzione bolscevica non avevano dubbi sul fatto che il capitalismo fosse condannato ad essere rapidamente rovesciato e che la rivoluzione mondiale fosse già in atto. Su questa certezza, si riunì la Conferenza di Mosca, alla quale parteciparono con diritto di voto diciannove partiti, di cui undici dichiaratamente comunisti: russo, tedesco, ucraino, finlandese, austriaco, ungherese, polacco, armeno e i p.c. di Estonia, Lituania e Lettonia. A questi primi partiti, non tardarono ad aggiungersene altri, costituitisi in pressoché tutti i paesi europei ed extraeuropei tra il 1919 e il 1922. L'interesse dell'Internazionale comunista per i problemi della rivoluzione mondiale, determinò il costituirsi di p.c., oltre che in Europa, anche in Asia e in America (lo statunitense Partito del lavoro aveva preso parte alla Conferenza di Mosca del 1919). ║ America latina. Nell'America latina passarono al comunismo vari gruppi della sinistra dei partiti socialisti e molti di coloro che avevano fatto parte dei gruppi anarchici e sindacalisti. In alcuni paesi (Uruguay e Cile) i partiti socialisti passarono in blocco al comunismo, in altri, come in Argentina, il Paese che aveva una più solida tradizione socialista, fu l'ala sinistra a staccarsi e ad aderire al Comintern, trasformandosi in p.c. In altri ancora, essendo pressoché inesistente l'organizzazione socialista, i p.c. si costituirono su di un terreno vergine, ma furono costretti alla clandestinità. Comunque, dal 1920 in poi, i progressi del movimento comunista nell'America latina furono rapidi. Ai primi partiti, costituitisi in Bolivia, Uruguay, Argentina, Messico e Cile, si aggiunsero nel 1925 quelli di Ecuador e Cuba, nel 1929, quello del Perù, nel 1930 quelli di Colombia e Costa Rica, nel 1931 il p.c. del Venezuela, incontrando però dovunque notevoli resistenze e non riuscendo a costituirsi solide basi tranne che in pochi paesi economicamente più sviluppati, come l'Argentina e il Cile. Ad eccezione di Cuba, ancora oggi la vita dei p.c. latino-americani si svolge nella clandestinità, a causa della dura repressione dei governi dittatoriali di quel continente. ║ Europa occidentale. Un quadro complessivo della situazione dei p.c. dell'Europa occidentale si è avuto nella Conferenza riunita a Bruxelles nel gennaio 1974. Ad essa avevano aderito i p.c. di ventuno paesi, tra cui spiccavano i due maggiori, quello italiano e quello francese. L'attuale consistenza numerica dei p.c. dell'Europa e il loro peso politico sono indicativi del travaglio e degli ostacoli incontrati nei vari paesi, degli errori commessi, ecc. Alcuni di questi partiti, come quello inglese, non hanno mai avuto peso politico, altri, come quello tedesco-occidentale, lo hanno perduto. Il p.c. inglese (British Comunist Party) si costituì nel 1920 per iniziativa dei gruppi della sinistra marxista che ispirandosi alla Rivoluzione sovietica, credevano nella possibilità di promuovere la rivoluzione anche in un paese come la Gran Bretagna, assumendo posizioni leniniste e scavalcando quella marxista, secondo cui le situazioni rivoluzionarie non possono essere create, ma solo essere determinate spontaneamente dalle condizioni interne del capitalismo. Nel 1919 il futuro leader del partito, William Callacher, credeva che la Gran Bretagna fosse alle soglie della rivoluzione ed era sostenuto in ciò dallo stesso Lenin, per quanto il capitalismo fosse già decisamente passato alla controffensiva. Il BCP assunse la leadership delle lotte operaie, ma nel 1929, alla fine di un decennio di disoccupazione, di disordini e di lotte, culminate nel grande sciopero del gennaio 1926, si ritrovò con 3.200 iscritti (la sua consistenza massima era stata di 10.730 iscritti nel 1926), pagando duramente il prezzo di un estremismo rivoluzionario che non aveva vere possibilità di sviluppo in un Paese come la Gran Bretagna. Negli anni Trenta, il p.c. inglese ebbe una certa diffusione riuscendo a conquistare basi di massa e, da allora, la sua situazione è rimasta pressoché immutata. L'eredità del p.c. tedesco, fondato nel 1918 e nato dalla Lega Spartachista di K. Liebknecht e Rosa Luxemburg (esso ebbe presto un notevole successo anche sul piano elettorale e nel 1930 elesse una novantina di deputati), è stata assunta dalla Repubblica Democratica Tedesca il cui p.c. si fuse nel 1946 con quello socialdemocratico, dando vita al Partito comunista unitario (SED - Sozialistische Einheitspartai Deutschland), assumendo la direzione dello Stato. Molto difficile fu la vita del p.c. della Germania occidentale (KPD), costituitosi dopo la Liberazione e messo fuori legge nel 1956 dal governo di K. Adenauer. Ricostituitosi nel 1968, sotto la sigla DKP, il p.c. tedesco-occidentale, di tendenza filo-sovietica, ottenne nelle elezioni del 1972 meno dello 0,5% dei voti e nessun deputato. È tuttavia presente in varie assemblee comunali e rappresenta una forza non trascurabile nelle fabbriche, sfruttando il diffuso malcontento operaio nei confronti dei sindacati ufficiali. Esso si contrappone tuttavia ai gruppi della sinistra estrema, proponendosi invece per una più stretta collaborazione con la sinistra socialdemocratica. Altrettanto esigua è la consistenza del p.c. austriaco (KPO), che fu tra i primi a costituirsi nel 1919, mentre i socialisti si ponevano come forza dominante della nuova Repubblica Austriaca. La sua costituzione fu promossa da una piccola frangia di sinistra che ebbe scarso seguito elettorale e non riuscì a eleggere nessun deputato al parlamento. Messo fuori legge nel 1932 insieme col Partito socialista, operò nella clandestinità sino alla liberazione dell'Austria, quando si presentò come una forza di una certa importanza, per quanto minoritaria rispetto ai due partiti maggiori, il socialista e il popolare (cattolico). La sua consistenza andò però sempre più diminuendo e dopo il 1959 non fu più in grado di eleggere rappresentanti al parlamento, non raggiungendo neppure l'1% dei voti, mentre il numero dei suoi iscritti scendeva, dai 155.000 dell'immediato dopoguerra, ai ventimila circa degli anni Settanta. Nel microcosmo di partiti come quelli austriaco, tedesco-occidentale e inglese, appaiono in maniera esasperata le divisioni e la mancanza di presa politica del movimento comunista in vari paesi occidentali. Quanto più questi partiti sono piccoli, tanto maggiore è la loro incapacità di evolvere e trasformarsi, adeguandosi al mutamento delle situazioni storiche, politiche ed economico-sociali in cui si trovano ad operare. Da questi micropartiti si distinguono quelli di altri paesi europei e in modo particolare i p.c. di Francia e Italia, caratterizzati dall'essere grandi organizzazioni di massa, capaci di ottenere un vasto consenso elettorale. ║ P.c. francese. Il p.c. francese si costituì nel dicembre del 1920 nel corso del Congresso socialista riunito a Tours, con la vittoria delle correnti di sinistra che, assunto il controllo del Partito socialista, lo trasformarono in "comunista", portando con sé l'intero apparato organizzativo, la stampa ufficiale, compreso il quotidiano l'"Humanité" che divenne l'organo del nuovo partito. Anche se la maggioranza dei deputati socialisti non aderì al p.c. francese, l'Internazionale di Mosca riuscì tuttavia a conquistarsi in blocco uno dei maggiori partiti socialisti dell'Europa occidentale e i comunisti francesi, anziché essere costretti a costruire dalle fondamenta il loro partito, costrinsero i loro avversari socialisti a crearsi una nuova organizzazione. Tuttavia, proprio perché nato su basi equivoche il p.c. francese non ebbe vita facile. Infatti continuarono a sopravvivere al suo interno molte tradizioni dell'ex-partito socialista e il nuovo partito fu presto lacerato da lotte di corrente tra i sostenitori ad oltranza di Mosca e tra i fautori di una linea nazionale. I comunisti francesi vennero così a trovarsi coinvolti in una serie di scontri con il Comintern che determinarono epurazioni e defezioni, mettendo in crisi il partito ancor prima che esso potesse assumere una sua precisa configurazione. Passato attraverso la politica del Fronte popolare, sancita dal VII Congresso dell'Internazionale comunista nel 1935, e attraverso la lotta di Resistenza partigiana, all'Assemblea costituente eletta nell'ottobre 1945 si presentò come uno dei tre grandi partiti di massa, insieme con quello socialista (SFIO) e con il gollista (democraticocristiano) MRP. Su questa base, entrò a far parte di un governo tripartito presieduto dal generale De Gaulle. Nelle elezioni del novembre 1946 il p.c. francese si affermò come il partito più forte, ottenendo 182 seggi, ma nel maggio dell'anno seguente fu escluso dal governo e iniziò una politica di opposizione particolarmente difficile nel clima di guerra fredda verificatosi nella situazione politica internazionale. Subì poi i contraccolpi dell'avvento al potere del generale De Gaulle nel 1958. Il progetto di costituire un'alternativa al regime gollista si concretizzò nella candidatura alle elezioni presidenziali del dicembre 1965 del socialista Mitterrand che, al secondo scrutinio, riuscì a sottrarre il 45% dei voti a De Gaulle. Il p.c. francese, che nelle elezioni del 1967 riuscì a conquistare il 21,5% dei voti e 73 seggi, vide ridursi l'anno seguente, la propria rappresentanza parlamentare a 34 seggi, subendo le ripercussioni del panico e del riflusso post-rivoluzionario seguito al "maggio francese". Dopo mezzo secolo di sconfitte e di isolamento diminuivano ancor più le speranze di diventare maggioranza o di poter entrare a far parte di una maggioranza di sinistra. L'immobilismo del partito emergeva in tutta evidenza al suo XIX Congresso (Nanterre, 4-8 febbraio 1970) preceduto dal clamore sollevato dalla condanna della posizione innovatrice del filosofo R. Garaudy. Alla segreteria veniva eletto G. Marchais, molto vicino alle posizioni di Mosca e in fama di "stalinista". Il XXI Congresso (straordinario) si svolgeva (24-27 ottobre 1974) all'insegna del successo ottenuto nelle elezioni presidenziali in cui il candidato delle sinistre unite, Mitterrand, aveva superato il 49% dei voti, sfiorando il successo. Veniva affermata la necessità di riequilibrare il blocco delle sinistre a vantaggio dei comunisti, riaffermando l'unione delle sinistre "come dato fondamentale della vita politica francese". Marchais veniva riconfermato alla segreteria, ma nel gennaio 1975 era colpito da una grave malattia cardiaca e il Comitato centrale del Partito decideva di sostituirlo con una direzione collegiale, in cui una posizione preminente aveva G. Leroy. Il XX Congresso del PCF (1976), oltre a riconfermare la leadership del ristabilito G. Marchais, riconfermava la politica di alleanza con i socialisti e varava la cosiddetta "via francese" al socialismo, basata su un'azione politica che indicava come principi guida il pacifismo, il pluralismo e la democrazia. Il p.c. francese veniva così assumendo posizioni critiche nei confronti dei "paesi del socialismo reale", assumendo posizioni di dissenso nei confronti del PCUS. E sarà proprio G. Marchais ad usare per la prima volta il termine "eurocomunismo", per indicare un sistema di costruzione del socialismo diverso dalla via indicata dal modello sovietico. In politica interna l'alleanza con il partito socialista si rivelava però difficile, persistendo motivi di divergenza tra i due partiti intorno al problema delle nazionalizzazioni da realizzarsi in un eventuale governo della sinistra. I due partiti si presentavano così divisi alle elezioni del maggio 1978, nelle quali il PCF otteneva una buona affermazione. Mentre diversità di opinioni su importanti questioni di politica europea, come la CEE e gli "euromissili", allontanavano il PCF dalle posizioni del PCS e del PCI, i comunisti riprendevano la difficile via della collaborazione con il partito socialista, che doveva sfociare nell'appoggio al candidato socialista F. Mitterrand nelle elezioni presidenziali del 1981. Nel giugno dello stesso anno il PCF entrava con quattro ministri nel governo presieduto dal socialista Mouroy. Il PCF si staccava in seguito dalla coalizione con i socialisti. Nel 1984, dopo la caduta del governo Mouroy, i comunisti non entravano nel successivo governo presieduto da Laurent Fabius. Qualche tempo dopo lo stesso segretario del PCF Marchais poneva ufficialmente termine all'esperienza dell'Union de la Gauche, nata all'inizio degli anni Settanta, annunciando che il suo partito avrebbe votato caso per caso a favore o contro il governo. Nel 1985, durante il XXV Congresso del partito Marchais veniva riconfermato segretario generale a stragrande maggioranza; gli "innovatori" (fra cui Pierre Juquin), nettamente in minoranza, venivano anch'essi rieletti al comitato centrale. Il PCF si avviava nel frattempo, ma specie dalle elezioni del 1986, a svolgere un ruolo sempre più marginale nell'ambito della politica francese. Nel 1987 Juquin veniva espulso dal partito e annunciava la propria candidatura alle presidenziali del 1988. In quelle elezioni il PCF col 6,76% dei consensi toccava il minimo storico. ║ P.c. spagnolo. Fondato nel 1920, il PCE tenne il suo primo congresso nel 1922, ma fu subito costretto alla clandestinità dalla dittatura di J. Primo de Rivera (1923), destinata a durare fino al 1931. La fine della dittatura aprì per la Spagna un periodo particolarmente instabile e agitato dal punto di vista politico che segnò per il PCE l'inizio di una attività politica ricca di fremiti e propositi rivoluzionari, mirante ad una radicale trasformazione delle arretrate strutture economico-sociali del Paese e a scardinare le fondamenta sociali dei tradizionali centri di potere. Questa ferma volontà di cambiamento fu alla base della politica di unità con i socialisti, che si concretizzò nel 1936 nell'esperienza del Fronte Popolare. E proprio il PCE fu tra gli oppositori più decisi del fascismo del generale F. Franco. La vittoria franchista costrinse il PCE ad un nuovo periodo di clandestinità caratterizzato da difficoltà organizzative e da una condotta politica che, specie nell'immediato dopoguerra, si risolverà in una lunga serie di azioni di guerriglia. Un mutamento di indirizzo si ebbe nel 1960, allorché il congresso clandestino del PCE approvò una strategia che aveva come obiettivo centrale la sconfitta del franchismo e, come novità programmatica, una politica di concordia nazionale, basata sullo sviluppo del Paese in senso democratico. Tale politica si concretizzò nel 1964 con l'istituzione delle commissioni operaie, seguita dalla proposta, nel 1972, di creare un fronte antifascista esteso alle altre forze pubbliche, unitamente all'individuazione dello sciopero politico quale strumento prioritario della lotta antifranchista. Dopo la morte di Franco (1975), il PCE tornò alla legalità e partecipò alle elezioni del 1977, ottenendo il 9,4% di voti. Da allora il PCE si è caratterizzato sempre più in senso "eurocomunista" e ha più volte espresso la sua divergenza con l'URSS, riconfermando la propria esistenza politica nelle lezioni del 1979. Nel corso dei primi anni Ottanta la leadership di Santiago Carillo è stata più volte messa in discussione all'interno del partito e, con essa, la linea politica di indirizzo eurocomunista. Negli anni successivi Carrillo è stato sostituito alla segreteria da Gerardo Iglesias. All'interno del partito si sono quindi formate due tendenze, l'una a sostegno dell'ex segretario, l'altra a favore di Iglesias. Nel 1985 Carrillo è stato espulso dal PCE e ha dato vita ad un'altra formazione politica. Nel corso del XII Congresso del PCE, Iglesias è stato sostituito da Julio Anquita alla segreteria del partito (1988). ║ La nuova strategia. Pur nelle diverse posizioni, i p.c. dell'Europa occidentale, preso atto della realtà politica in cui sono chiamati ad operare, hanno cominciato a porsi, a partire dalla metà degli anni Sessanta, il problema di elaborare una linea idonea alle condizioni delle società industrializzate di tipo capitalista e quindi di "inventare" un comunismo diverso dai modelli offerti dai partiti calati nella realtà del potere, cioè sia dal modello offerto dai paesi a regime popolare dell'Europa orientale, sia dal modello sovietico e ancor più da quello cinese. Su posizioni particolarmente avanzate si è spinto il PCI, promotore e protagonista, insieme col p.c. francese, della Conferenza di Bruxelles del gennaio 1974, impostata su tre temi di fondo: il modello del socialismo occidentale e strategia delle alleanze interne; posizione dei comunisti nei confronti della Comunità europea (ruolo dell'Europa nel mondo); rapporti con il movimento comunista mondiale. Emergevano tre grandi linee di tendenza: quella rappresentata dal PCI, quella del p.c. francese e quelle dei partiti minori, in particolare dei paesi scandinavi e del Nord Europa. Larga era comunque la convergenza sulle posizioni enunciate dal segretario del PCI, Berlinguer, in particolare sul problema fondamentale del rapporto tra democrazia e socialismo, ossia sul carattere di una società socialista basata sul riconoscimento del "valore delle libertà personali e della loro garanzia", rivendicando inoltre, come necessaria, la pluralità dei partiti e l'autonomia del sindacato. Secondo le posizioni espresse dal PCI, infatti, l'avanzata del socialismo nell'Europa occidentale richiede "la ricerca di strade nuove, diverse da quelle seguite in altri paesi e pienamente corrispondenti alle particolarità di ogni nazione". Per realizzare questa forma originale di socialismo occorre adottare un'adeguata strategia di alleanze sociali e politiche, tenendo conto delle diverse situazioni in cui i partiti, anche all'interno della stessa area dell'Europa occidentale, si trovano ad operare: presenza di un partito cattolico come la DC in Italia; necessità di un'intesa limitatamente alle forze della sinistra in Francia; egemonia della socialdemocrazia in Svezia; presenza di grandi partiti socialisti di governo in Inghilterra e Germania; ecc. ║ P.c. cinese. Fondato il 1° luglio 1921, sulla scia di un vasto movimento culturale impegnato ad attuare una profonda revisione della cultura tradizionale cinese, il p.c. cinese nacque per iniziativa di un piccolo gruppo di intellettuali (l'assemblea costitutiva era composta da 12 delegati, tra cui Mao Tse-tung) che si erano orientati da qualche anno verso il marxismo. Ottenuti incoraggianti successi sindacali, nel 1923 il p.c. cinese decise di collaborare col Kuomintang, il partito nazionalista di Sun Yat-sen, nel quadro di una lotta antimperialistica tendente a rovesciare il governo dei "signori della guerra". La collaborazione col Kuomintang si rivelò fruttuosa e il p.c. cinese fece rapidi progressi tra la classe operaia, arrivando a contare nel 1927 circa centomila iscritti, prima che il 12 aprile di quell'anno Chiang Kai-shek, esponente della destra nazionalista, scatenasse contro i comunisti una sanguinosa repressione che portò a un quasi totale annientamento del partito. Sino allora, il suo segretario politico, Ch'en Tu-hsiu, aveva seguito una linea essenzialmente basata sul marxismo classico, secondo cui la rivoluzione socialista doveva essere opera del proletariato industriale e poiché, a causa dell'arretratezza del Paese, il proletariato cinese era debole e numericamente esiguo, ne conseguiva una strategia che lasciava alla borghesia, politicamente rappresentata dal Kuomingtang, la guida della prima fase della cosiddetta rivoluzione borghese. Dati questi presupposti, il colpo di mano di Chiang Kai-shek trovò il p.c. cinese impreparato a una immediata risposta rivoluzionaria che aveva la propria base soprattutto nelle rivendicazioni contadine. L'unica voce dissenziente della segreteria del partito del periodo 1921-27 era stata quella di Mao Tse-tung che nel suo Rapporto sul movimento contadino nello Hunan (marzo 1927), dissociò apertamente la propria posizione da quella ufficiale del p.c. cinese, ponendo l'accento sul potenziale rivoluzionario del movimento contadino in un Paese come la Cina, in cui la grandissima maggioranza della popolazione era costituita da contadini. La linea ufficiale del partito non fu tuttavia modificata nonostante l'allontanamento dalla segreteria di Chen Tu-hsiu e il p.c. cinese continuò a fare assegnamento sul potenziale rivoluzionario del proletariato urbano. A partire dal 1927, tuttavia, si erano andate costituendo nelle campagne "basi rivoluzionarie" che nel 1931 diedero vita a Juichin alla Repubblica dei soviet cinesi. Essa era presieduta da Mao, i cui rapporti con la direzione centrale del partito, insediata a Shanghai sino al 1933 e sostenuta dal Comintern, continuarono ad essere tutt'altro che buoni. La regione "rossa" riuscì a resistere agli assalti delle forze nazionaliste, sino all'ottobre del 1934 quando i comunisti, interamente circondati, decisero di salvarsi dall'annientamento, forzando il blocco e trasferendo la loro "repubblica sovietica" verso una base più sicura. Ebbe così inizio la "lunga marcia" verso la regione nord-occidentale dello Shensi, raggiunta dopo un anno da meno di un terzo dei 130.000 uomini partiti dal Kiansi. La "lunga marcia", che seminò lungo tutto il percorso fermenti rivoluzionari e focolai di rivolta, determinò la svolta decisiva nel p.c. cinese; nel gennaio del 1935 una Conferenza dell'Ufficio politico, riunitasi a Tsun-i (Kueichan) elesse Mao presidente del partito che, sotto la sua direzione, iniziò l'ascesa che lo avrebbe portato alla proclamazione della Repubblica popolare cinese nel 1949, legando la propria sorte al movimento di liberazione e di unità nazionale. Fu nel corso della lotta armata contro il Giappone che il p.c. cinese pose le basi per la costituzione della nuova società cinese. Nel 1941 Mao, contro le tendenze dottrinarie e astratte, lasciò il cosiddetto "movimento di rettifica", col proposito di sostituire al "marxismo astratto e vuoto" un "marxismo profondamente caratterizzato dalle esigenze cinesi" e i nuovi rapporti con la popolazione (dialogo, educazione, propaganda, azione) vennero sintetizzati nella formula "linea di massa". L'intenzione di Mao era di trasformare il partito da organismo verticistico e chiuso in uno strumento partecipe delle esigenze della base. Proclamata la Repubblica popolare, i comunisti cinesi si trovarono di fronte al compito di ristrutturare su nuove basi un Paese arretratissimo e lacerato da mezzo secolo di lotte. La necessità di dover ricorrere all'aiuto dell'URSS determinò un rafforzamento all'interno del partito delle tendenze filo-sovietiche e di ispirazione staliniana, capeggiate da Wang Ming, parzialmente emarginate dopo il 1955. Pur non manifestandosi contrasti evidenti all'esterno, andarono così sviluppandosi due linee contrapposte: una maoista, l'altra detta "economicistica", facente capo a Liu Shao-ch'i, che, rifacendosi allo schema classico marxista (fase feudale borghese-socialista) e ispirandosi al modello sovietico, subordinava la costruzione del socialismo allo sviluppo delle forze produttive. In contrapposizione alla linea economicistica, quella maoista poneva decisamente l'accento sui fattori politici, affermando che la costruzione socialista doveva procedere di pari passo con lo sviluppo delle forze produttive e doveva anzi guidarlo e condizionarlo per evitare che si venisse a creare una netta spaccatura tra settori moderni e arretrati dell'economia e l'istituzionalizzazione di situazioni di privilegio. Inoltre, promuovendo e rafforzando l'impegno politico delle masse, si sarebbe evitato il pericolo di una sclerotizzazione burocratica, incoraggiando la denuncia di qualsiasi sintomo di involuzione. Nei primi anni della Repubblica popolare ebbe il sopravvento la linea economicistica, forte sino al 1955, quando Mao lanciò una vasta campagna in favore della colonizzazione agricola, seguita dalla "campagna dei cento fiori" che intendeva incoraggiare la critica costruttiva. Successivamente fu lanciata la campagna del "grande balzo in avanti", iniziata nel 1958 col lancio delle "comuni del popolo". Il fallimento del grandioso piano tendente ad accelerare il ritmo delle trasformazioni economiche e l'emergere del contrasto con l'URSS ebbe come conseguenza un indebolimento della posizione di Mao messo in minoranza dalla corrente "moderata" e costretto a cedere nel 1959 la carica di presidente della Repubblica a Liu Shaoch'i. La linea maoista non tardò però a ottenere un nuovo successo con la sostituzione, nello stesso anno, del ministro della Difesa, il filosovietico Peng Te-huai, con Lin Piao. La lotta tra le due linee si riaccese nel 1963 e rimase incerta sino al 1966 quando ebbe inizio la riscossa maoista con il lancio della "rivoluzione culturale", per l'affermazione di un nuovo sistema di valori e di organizzazione politico-sociale che affidava direttamente al popolo una funzione dirigente. Con la morte di Mao (settembre 1976) si accentuava il contrasto tra la linea moderata della "rivoluzione culturale" e quella "economicistica", che sottolineava soprattutto la necessità di un rapido sviluppo delle capacità produttive del Paese. Il confronto si risolveva con il prevalere di quest'ultima linea politica, mirante ad una forzata modernizzazione economica della Cina (V. CINA). ║ P.c. giapponese. Tra i p.c. dei paesi asiatici, una posizione particolare presenta quello giapponese, operante in un'area tra le più industrializzate del mondo. Nato nel 1922 da un eterogeneo raggruppamento di socialisti fabiani, anarco-sindacalisti e bolscevichi, poté entrare nella legalità solo nel 1945. Dopo aver ottenuto qualche successo durante l'occupazione americana (nel 1949 ottenne il 10% dei voti e 36 seggi al parlamento), andò perdendo terreno, ponendosi ai margini della vita politica giapponese sino all'inizio degli anni Sessanta (nel 1958 era ridotto a un solo deputato), inviso sia a Mosca sia a Pechino. Sotto la direzione di Miyamoto Kenji, a partire dal X Congresso, convocato nel 1966, il p.c. giapponese andò adottando una linea che attraverso un serio lavoro di base, lo portava a guadagnare terreno, in modo tale da raddoppiare il numero dei propri voti nelle elezioni del dicembre 1972 (10,5% dell'elettorato), passando da 14 a 36 seggi e divenendo il secondo partito dell'opposizione. Nel panorama politico giapponese esso rimane tuttavia una forza modesta, potendo contare su circa trecentomila iscritti, cui fanno riscontro poco meno di sei milioni di elettori.