La vittoria della Rivoluzione sovietica dell'ottobre 1917
portò alla costituzione in vari paesi di partiti e movimenti comunisti.
Le organizzazioni comuniste erano ancora in una fase costitutiva embrionale,
quando fu convocata a Mosca, nel marzo 1919, la Conferenza comunista
internazionale, che decise di costituirsi in Terza Internazionale e di assumere
il nome di Internazionale comunista, più nota col nome russo di
Comintern. Nel 1919 le sinistre marxiste che si riconoscevano nella
rivoluzione bolscevica non avevano dubbi sul fatto che il capitalismo fosse
condannato ad essere rapidamente rovesciato e che la rivoluzione mondiale fosse
già in atto. Su questa certezza, si riunì la Conferenza di Mosca,
alla quale parteciparono con diritto di voto diciannove partiti, di cui undici
dichiaratamente comunisti: russo, tedesco, ucraino, finlandese, austriaco,
ungherese, polacco, armeno e i
p.c. di Estonia, Lituania e Lettonia. A
questi primi partiti, non tardarono ad aggiungersene altri, costituitisi in
pressoché tutti i paesi europei ed extraeuropei tra il 1919 e il 1922.
L'interesse dell'Internazionale comunista per i problemi della rivoluzione
mondiale, determinò il costituirsi di
p.c., oltre che in Europa,
anche in Asia e in America (lo statunitense Partito del lavoro aveva preso parte
alla Conferenza di Mosca del 1919). ║
America latina. Nell'America
latina passarono al comunismo vari gruppi della sinistra dei partiti socialisti
e molti di coloro che avevano fatto parte dei gruppi anarchici e sindacalisti.
In alcuni paesi (Uruguay e Cile) i partiti socialisti passarono in blocco al
comunismo, in altri, come in Argentina, il Paese che aveva una più solida
tradizione socialista, fu l'ala sinistra a staccarsi e ad aderire al
Comintern, trasformandosi in
p.c. In altri ancora, essendo
pressoché inesistente l'organizzazione socialista, i
p.c. si
costituirono su di un terreno vergine, ma furono costretti alla
clandestinità. Comunque, dal 1920 in poi, i progressi del movimento
comunista nell'America latina furono rapidi. Ai primi partiti, costituitisi in
Bolivia, Uruguay, Argentina, Messico e Cile, si aggiunsero nel 1925 quelli di
Ecuador e Cuba, nel 1929, quello del Perù, nel 1930 quelli di Colombia e
Costa Rica, nel 1931 il
p.c. del Venezuela, incontrando però
dovunque notevoli resistenze e non riuscendo a costituirsi solide basi tranne
che in pochi paesi economicamente più sviluppati, come l'Argentina e il
Cile. Ad eccezione di Cuba, ancora oggi la vita dei
p.c. latino-americani
si svolge nella clandestinità, a causa della dura repressione dei governi
dittatoriali di quel continente. ║
Europa occidentale. Un quadro
complessivo della situazione dei
p.c. dell'Europa occidentale si è
avuto nella Conferenza riunita a Bruxelles nel gennaio 1974. Ad essa avevano
aderito i
p.c. di ventuno paesi, tra cui spiccavano i due maggiori,
quello italiano e quello francese. L'attuale consistenza numerica dei
p.c. dell'Europa e il loro peso politico sono indicativi del travaglio e
degli ostacoli incontrati nei vari paesi, degli errori commessi, ecc. Alcuni di
questi partiti, come quello inglese, non hanno mai avuto peso politico, altri,
come quello tedesco-occidentale, lo hanno perduto. Il
p.c. inglese
(
British Comunist Party) si costituì nel 1920 per iniziativa dei
gruppi della sinistra marxista che ispirandosi alla Rivoluzione sovietica,
credevano nella possibilità di promuovere la rivoluzione anche in un
paese come la Gran Bretagna, assumendo posizioni leniniste e scavalcando quella
marxista, secondo cui le situazioni rivoluzionarie non possono essere create, ma
solo essere determinate spontaneamente dalle condizioni interne del capitalismo.
Nel 1919 il futuro leader del partito, William Callacher, credeva che la Gran
Bretagna fosse alle soglie della rivoluzione ed era sostenuto in ciò
dallo stesso Lenin, per quanto il capitalismo fosse già decisamente
passato alla controffensiva. Il BCP assunse la leadership delle lotte operaie,
ma nel 1929, alla fine di un decennio di disoccupazione, di disordini e di
lotte, culminate nel grande sciopero del gennaio 1926, si ritrovò con
3.200 iscritti (la sua consistenza massima era stata di 10.730 iscritti nel
1926), pagando duramente il prezzo di un estremismo rivoluzionario che non aveva
vere possibilità di sviluppo in un Paese come la Gran Bretagna. Negli
anni Trenta, il
p.c. inglese ebbe una certa diffusione riuscendo a
conquistare basi di massa e, da allora, la sua situazione è rimasta
pressoché immutata. L'eredità del
p.c. tedesco, fondato nel
1918 e nato dalla Lega Spartachista di K. Liebknecht e Rosa Luxemburg (esso ebbe
presto un notevole successo anche sul piano elettorale e nel 1930 elesse una
novantina di deputati), è stata assunta dalla Repubblica Democratica
Tedesca il cui
p.c. si fuse nel 1946 con quello socialdemocratico, dando
vita al Partito comunista unitario (SED -
Sozialistische Einheitspartai
Deutschland), assumendo la direzione dello Stato. Molto difficile fu la vita
del
p.c. della Germania occidentale (KPD), costituitosi dopo la
Liberazione e messo fuori legge nel 1956 dal governo di K. Adenauer.
Ricostituitosi nel 1968, sotto la sigla DKP, il
p.c. tedesco-occidentale,
di tendenza filo-sovietica, ottenne nelle elezioni del 1972 meno dello 0,5% dei
voti e nessun deputato. È tuttavia presente in varie assemblee comunali e
rappresenta una forza non trascurabile nelle fabbriche, sfruttando il diffuso
malcontento operaio nei confronti dei sindacati ufficiali. Esso si contrappone
tuttavia ai gruppi della sinistra estrema, proponendosi invece per una
più stretta collaborazione con la sinistra socialdemocratica. Altrettanto
esigua è la consistenza del
p.c. austriaco (KPO), che fu tra i
primi a costituirsi nel 1919, mentre i socialisti si ponevano come forza
dominante della nuova Repubblica Austriaca. La sua costituzione fu promossa da
una piccola frangia di sinistra che ebbe scarso seguito elettorale e non
riuscì a eleggere nessun deputato al parlamento. Messo fuori legge nel
1932 insieme col Partito socialista, operò nella clandestinità
sino alla liberazione dell'Austria, quando si presentò come una forza di
una certa importanza, per quanto minoritaria rispetto ai due partiti maggiori,
il socialista e il popolare (cattolico). La sua consistenza andò
però sempre più diminuendo e dopo il 1959 non fu più in
grado di eleggere rappresentanti al parlamento, non raggiungendo neppure l'1%
dei voti, mentre il numero dei suoi iscritti scendeva, dai 155.000
dell'immediato dopoguerra, ai ventimila circa degli anni Settanta. Nel
microcosmo di partiti come quelli austriaco, tedesco-occidentale e inglese,
appaiono in maniera esasperata le divisioni e la mancanza di presa politica del
movimento comunista in vari paesi occidentali. Quanto più questi partiti
sono piccoli, tanto maggiore è la loro incapacità di evolvere e
trasformarsi, adeguandosi al mutamento delle situazioni storiche, politiche ed
economico-sociali in cui si trovano ad operare. Da questi micropartiti si
distinguono quelli di altri paesi europei e in modo particolare i
p.c. di
Francia e Italia, caratterizzati dall'essere grandi organizzazioni di massa,
capaci di ottenere un vasto consenso elettorale. ║
P.c. francese.
Il
p.c. francese si costituì nel dicembre del 1920 nel corso del
Congresso socialista riunito a Tours, con la vittoria delle correnti di sinistra
che, assunto il controllo del Partito socialista, lo trasformarono in
"comunista", portando con sé l'intero apparato organizzativo, la stampa
ufficiale, compreso il quotidiano l'"Humanité" che divenne l'organo del
nuovo partito. Anche se la maggioranza dei deputati socialisti non aderì
al
p.c. francese, l'Internazionale di Mosca riuscì tuttavia a
conquistarsi in blocco uno dei maggiori partiti socialisti dell'Europa
occidentale e i comunisti francesi, anziché essere costretti a costruire
dalle fondamenta il loro partito, costrinsero i loro avversari socialisti a
crearsi una nuova organizzazione. Tuttavia, proprio perché nato su basi
equivoche il
p.c. francese non ebbe vita facile. Infatti continuarono a
sopravvivere al suo interno molte tradizioni dell'ex-partito socialista e il
nuovo partito fu presto lacerato da lotte di corrente tra i sostenitori ad
oltranza di Mosca e tra i fautori di una linea nazionale. I comunisti francesi
vennero così a trovarsi coinvolti in una serie di scontri con il
Comintern che determinarono epurazioni e defezioni, mettendo in crisi il
partito ancor prima che esso potesse assumere una sua precisa configurazione.
Passato attraverso la politica del Fronte popolare, sancita dal VII Congresso
dell'Internazionale comunista nel 1935, e attraverso la lotta di Resistenza
partigiana, all'Assemblea costituente eletta nell'ottobre 1945 si
presentò come uno dei tre grandi partiti di massa, insieme con quello
socialista (SFIO) e con il gollista (democraticocristiano) MRP. Su questa base,
entrò a far parte di un governo tripartito presieduto dal generale De
Gaulle. Nelle elezioni del novembre 1946 il
p.c. francese si
affermò come il partito più forte, ottenendo 182 seggi, ma nel
maggio dell'anno seguente fu escluso dal governo e iniziò una politica di
opposizione particolarmente difficile nel clima di guerra fredda verificatosi
nella situazione politica internazionale. Subì poi i contraccolpi
dell'avvento al potere del generale De Gaulle nel 1958. Il progetto di
costituire un'alternativa al regime gollista si concretizzò nella
candidatura alle elezioni presidenziali del dicembre 1965 del socialista
Mitterrand che, al secondo scrutinio, riuscì a sottrarre il 45% dei voti
a De Gaulle. Il
p.c. francese, che nelle elezioni del 1967 riuscì
a conquistare il 21,5% dei voti e 73 seggi, vide ridursi l'anno seguente, la
propria rappresentanza parlamentare a 34 seggi, subendo le ripercussioni del
panico e del riflusso post-rivoluzionario seguito al "maggio francese". Dopo
mezzo secolo di sconfitte e di isolamento diminuivano ancor più le
speranze di diventare maggioranza o di poter entrare a far parte di una
maggioranza di sinistra. L'immobilismo del partito emergeva in tutta evidenza al
suo XIX Congresso (Nanterre, 4-8 febbraio 1970) preceduto dal clamore sollevato
dalla condanna della posizione innovatrice del filosofo R. Garaudy. Alla
segreteria veniva eletto G. Marchais, molto vicino alle posizioni di Mosca e in
fama di "stalinista". Il XXI Congresso (straordinario) si svolgeva (24-27
ottobre 1974) all'insegna del successo ottenuto nelle elezioni presidenziali in
cui il candidato delle sinistre unite, Mitterrand, aveva superato il 49% dei
voti, sfiorando il successo. Veniva affermata la necessità di
riequilibrare il blocco delle sinistre a vantaggio dei comunisti, riaffermando
l'unione delle sinistre "come dato fondamentale della vita politica francese".
Marchais veniva riconfermato alla segreteria, ma nel gennaio 1975 era colpito da
una grave malattia cardiaca e il Comitato centrale del Partito decideva di
sostituirlo con una direzione collegiale, in cui una posizione preminente aveva
G. Leroy. Il XX Congresso del PCF (1976), oltre a riconfermare la leadership del
ristabilito G. Marchais, riconfermava la politica di alleanza con i socialisti e
varava la cosiddetta "via francese" al socialismo, basata su un'azione politica
che indicava come principi guida il pacifismo, il pluralismo e la democrazia. Il
p.c. francese veniva così assumendo posizioni critiche nei
confronti dei "paesi del socialismo reale", assumendo posizioni di dissenso nei
confronti del PCUS. E sarà proprio G. Marchais ad usare per la prima
volta il termine "eurocomunismo", per indicare un sistema di costruzione del
socialismo diverso dalla via indicata dal modello sovietico. In politica interna
l'alleanza con il partito socialista si rivelava però difficile,
persistendo motivi di divergenza tra i due partiti intorno al problema delle
nazionalizzazioni da realizzarsi in un eventuale governo della sinistra. I due
partiti si presentavano così divisi alle elezioni del maggio 1978, nelle
quali il PCF otteneva una buona affermazione. Mentre diversità di
opinioni su importanti questioni di politica europea, come la CEE e gli
"euromissili", allontanavano il PCF dalle posizioni del PCS e del PCI, i
comunisti riprendevano la difficile via della collaborazione con il partito
socialista, che doveva sfociare nell'appoggio al candidato socialista F.
Mitterrand nelle elezioni presidenziali del 1981. Nel giugno dello stesso anno
il PCF entrava con quattro ministri nel governo presieduto dal socialista
Mouroy. Il PCF si staccava in seguito dalla coalizione con i socialisti. Nel
1984, dopo la caduta del governo Mouroy, i comunisti non entravano nel
successivo governo presieduto da Laurent Fabius. Qualche tempo dopo lo stesso
segretario del PCF Marchais poneva ufficialmente termine all'esperienza
dell'Union de la Gauche, nata all'inizio degli anni Settanta, annunciando che il
suo partito avrebbe votato caso per caso a favore o contro il governo. Nel 1985,
durante il XXV Congresso del partito Marchais veniva riconfermato segretario
generale a stragrande maggioranza; gli "innovatori" (fra cui Pierre Juquin),
nettamente in minoranza, venivano anch'essi rieletti al comitato centrale. Il
PCF si avviava nel frattempo, ma specie dalle elezioni del 1986, a svolgere un
ruolo sempre più marginale nell'ambito della politica francese. Nel 1987
Juquin veniva espulso dal partito e annunciava la propria candidatura alle
presidenziali del 1988. In quelle elezioni il PCF col 6,76% dei consensi toccava
il minimo storico. ║
P.c. spagnolo. Fondato nel 1920, il PCE tenne
il suo primo congresso nel 1922, ma fu subito costretto alla
clandestinità dalla dittatura di J. Primo de Rivera (1923), destinata a
durare fino al 1931. La fine della dittatura aprì per la Spagna un
periodo particolarmente instabile e agitato dal punto di vista politico che
segnò per il PCE l'inizio di una attività politica ricca di
fremiti e propositi rivoluzionari, mirante ad una radicale trasformazione delle
arretrate strutture economico-sociali del Paese e a scardinare le fondamenta
sociali dei tradizionali centri di potere. Questa ferma volontà di
cambiamento fu alla base della politica di unità con i socialisti, che si
concretizzò nel 1936 nell'esperienza del Fronte Popolare. E proprio il
PCE fu tra gli oppositori più decisi del fascismo del generale F. Franco.
La vittoria franchista costrinse il PCE ad un nuovo periodo di
clandestinità caratterizzato da difficoltà organizzative e da una
condotta politica che, specie nell'immediato dopoguerra, si risolverà in
una lunga serie di azioni di guerriglia. Un mutamento di indirizzo si ebbe nel
1960, allorché il congresso clandestino del PCE approvò una
strategia che aveva come obiettivo centrale la sconfitta del franchismo e, come
novità programmatica, una politica di concordia nazionale, basata sullo
sviluppo del Paese in senso democratico. Tale politica si concretizzò nel
1964 con l'istituzione delle commissioni operaie, seguita dalla proposta, nel
1972, di creare un fronte antifascista esteso alle altre forze pubbliche,
unitamente all'individuazione dello sciopero politico quale strumento
prioritario della lotta antifranchista. Dopo la morte di Franco (1975), il PCE
tornò alla legalità e partecipò alle elezioni del 1977,
ottenendo il 9,4% di voti. Da allora il PCE si è caratterizzato sempre
più in senso "eurocomunista" e ha più volte espresso la sua
divergenza con l'URSS, riconfermando la propria esistenza politica nelle lezioni
del 1979. Nel corso dei primi anni Ottanta la leadership di Santiago Carillo
è stata più volte messa in discussione all'interno del partito e,
con essa, la linea politica di indirizzo eurocomunista. Negli anni successivi
Carrillo è stato sostituito alla segreteria da Gerardo Iglesias.
All'interno del partito si sono quindi formate due tendenze, l'una a sostegno
dell'ex segretario, l'altra a favore di Iglesias. Nel 1985 Carrillo è
stato espulso dal PCE e ha dato vita ad un'altra formazione politica. Nel corso
del XII Congresso del PCE, Iglesias è stato sostituito da Julio Anquita
alla segreteria del partito (1988). ║
La nuova strategia. Pur nelle
diverse posizioni, i
p.c. dell'Europa occidentale, preso atto della
realtà politica in cui sono chiamati ad operare, hanno cominciato a
porsi, a partire dalla metà degli anni Sessanta, il problema di elaborare
una linea idonea alle condizioni delle società industrializzate di tipo
capitalista e quindi di "inventare" un comunismo diverso dai modelli offerti dai
partiti calati nella realtà del potere, cioè sia dal modello
offerto dai paesi a regime popolare dell'Europa orientale, sia dal modello
sovietico e ancor più da quello cinese. Su posizioni particolarmente
avanzate si è spinto il PCI, promotore e protagonista, insieme col
p.c. francese, della Conferenza di Bruxelles del gennaio 1974, impostata
su tre temi di fondo: il modello del socialismo occidentale e strategia delle
alleanze interne; posizione dei comunisti nei confronti della Comunità
europea (ruolo dell'Europa nel mondo); rapporti con il movimento comunista
mondiale. Emergevano tre grandi linee di tendenza: quella rappresentata dal PCI,
quella del
p.c. francese e quelle dei partiti minori, in particolare dei
paesi scandinavi e del Nord Europa. Larga era comunque la convergenza sulle
posizioni enunciate dal segretario del PCI, Berlinguer, in particolare sul
problema fondamentale del rapporto tra democrazia e socialismo, ossia sul
carattere di una società socialista basata sul riconoscimento del "valore
delle libertà personali e della loro garanzia", rivendicando inoltre,
come necessaria, la pluralità dei partiti e l'autonomia del sindacato.
Secondo le posizioni espresse dal PCI, infatti, l'avanzata del socialismo
nell'Europa occidentale richiede "la ricerca di strade nuove, diverse da quelle
seguite in altri paesi e pienamente corrispondenti alle particolarità di
ogni nazione". Per realizzare questa forma originale di socialismo occorre
adottare un'adeguata strategia di alleanze sociali e politiche, tenendo conto
delle diverse situazioni in cui i partiti, anche all'interno della stessa area
dell'Europa occidentale, si trovano ad operare: presenza di un partito cattolico
come la DC in Italia; necessità di un'intesa limitatamente alle forze
della sinistra in Francia; egemonia della socialdemocrazia in Svezia; presenza
di grandi partiti socialisti di governo in Inghilterra e Germania; ecc. ║
P.c. cinese. Fondato il 1° luglio 1921, sulla scia di un vasto
movimento culturale impegnato ad attuare una profonda revisione della cultura
tradizionale cinese, il
p.c. cinese nacque per iniziativa di un piccolo
gruppo di intellettuali (l'assemblea costitutiva era composta da 12 delegati,
tra cui Mao Tse-tung) che si erano orientati da qualche anno verso il marxismo.
Ottenuti incoraggianti successi sindacali, nel 1923 il
p.c. cinese decise
di collaborare col Kuomintang, il partito nazionalista di Sun Yat-sen, nel
quadro di una lotta antimperialistica tendente a rovesciare il governo dei
"signori della guerra". La collaborazione col Kuomintang si rivelò
fruttuosa e il
p.c. cinese fece rapidi progressi tra la classe operaia,
arrivando a contare nel 1927 circa centomila iscritti, prima che il 12 aprile di
quell'anno Chiang Kai-shek, esponente della destra nazionalista, scatenasse
contro i comunisti una sanguinosa repressione che portò a un quasi totale
annientamento del partito. Sino allora, il suo segretario politico, Ch'en
Tu-hsiu, aveva seguito una linea essenzialmente basata sul marxismo classico,
secondo cui la rivoluzione socialista doveva essere opera del proletariato
industriale e poiché, a causa dell'arretratezza del Paese, il
proletariato cinese era debole e numericamente esiguo, ne conseguiva una
strategia che lasciava alla borghesia, politicamente rappresentata dal
Kuomingtang, la guida della prima fase della cosiddetta rivoluzione borghese.
Dati questi presupposti, il colpo di mano di Chiang Kai-shek trovò il
p.c. cinese impreparato a una immediata risposta rivoluzionaria che aveva
la propria base soprattutto nelle rivendicazioni contadine. L'unica voce
dissenziente della segreteria del partito del periodo 1921-27 era stata quella
di Mao Tse-tung che nel suo
Rapporto sul movimento contadino nello Hunan
(marzo 1927), dissociò apertamente la propria posizione da quella
ufficiale del
p.c. cinese, ponendo l'accento sul potenziale
rivoluzionario del movimento contadino in un Paese come la Cina, in cui la
grandissima maggioranza della popolazione era costituita da contadini. La linea
ufficiale del partito non fu tuttavia modificata nonostante l'allontanamento
dalla segreteria di Chen Tu-hsiu e il
p.c. cinese continuò a fare
assegnamento sul potenziale rivoluzionario del proletariato urbano. A partire
dal 1927, tuttavia, si erano andate costituendo nelle campagne "basi
rivoluzionarie" che nel 1931 diedero vita a Juichin alla Repubblica dei
soviet cinesi. Essa era presieduta da Mao, i cui rapporti con la
direzione centrale del partito, insediata a Shanghai sino al 1933 e sostenuta
dal
Comintern, continuarono ad essere tutt'altro che buoni. La regione
"rossa" riuscì a resistere agli assalti delle forze nazionaliste, sino
all'ottobre del 1934 quando i comunisti, interamente circondati, decisero di
salvarsi dall'annientamento, forzando il blocco e trasferendo la loro
"repubblica sovietica" verso una base più sicura. Ebbe così inizio
la "lunga marcia" verso la regione nord-occidentale dello Shensi, raggiunta dopo
un anno da meno di un terzo dei 130.000 uomini partiti dal Kiansi. La "lunga
marcia", che seminò lungo tutto il percorso fermenti rivoluzionari e
focolai di rivolta, determinò la svolta decisiva nel
p.c. cinese;
nel gennaio del 1935 una Conferenza dell'Ufficio politico, riunitasi a Tsun-i
(Kueichan) elesse Mao presidente del partito che, sotto la sua direzione,
iniziò l'ascesa che lo avrebbe portato alla proclamazione della
Repubblica popolare cinese nel 1949, legando la propria sorte al movimento di
liberazione e di unità nazionale. Fu nel corso della lotta armata contro
il Giappone che il
p.c. cinese pose le basi per la costituzione della
nuova società cinese. Nel 1941 Mao, contro le tendenze dottrinarie e
astratte, lasciò il cosiddetto "movimento di rettifica", col proposito di
sostituire al "marxismo astratto e vuoto" un "marxismo profondamente
caratterizzato dalle esigenze cinesi" e i nuovi rapporti con la popolazione
(dialogo, educazione, propaganda, azione) vennero sintetizzati nella formula
"linea di massa". L'intenzione di Mao era di trasformare il partito da organismo
verticistico e chiuso in uno strumento partecipe delle esigenze della base.
Proclamata la Repubblica popolare, i comunisti cinesi si trovarono di fronte al
compito di ristrutturare su nuove basi un Paese arretratissimo e lacerato da
mezzo secolo di lotte. La necessità di dover ricorrere all'aiuto
dell'URSS determinò un rafforzamento all'interno del partito delle
tendenze filo-sovietiche e di ispirazione staliniana, capeggiate da Wang Ming,
parzialmente emarginate dopo il 1955. Pur non manifestandosi contrasti evidenti
all'esterno, andarono così sviluppandosi due linee contrapposte: una
maoista, l'altra detta "economicistica", facente capo a Liu Shao-ch'i, che,
rifacendosi allo schema classico marxista (fase feudale borghese-socialista) e
ispirandosi al modello sovietico, subordinava la costruzione del socialismo allo
sviluppo delle forze produttive. In contrapposizione alla linea economicistica,
quella maoista poneva decisamente l'accento sui fattori politici, affermando che
la costruzione socialista doveva procedere di pari passo con lo sviluppo delle
forze produttive e doveva anzi guidarlo e condizionarlo per evitare che si
venisse a creare una netta spaccatura tra settori moderni e arretrati
dell'economia e l'istituzionalizzazione di situazioni di privilegio. Inoltre,
promuovendo e rafforzando l'impegno politico delle masse, si sarebbe evitato il
pericolo di una sclerotizzazione burocratica, incoraggiando la denuncia di
qualsiasi sintomo di involuzione. Nei primi anni della Repubblica popolare ebbe
il sopravvento la linea economicistica, forte sino al 1955, quando Mao
lanciò una vasta campagna in favore della colonizzazione agricola,
seguita dalla "campagna dei cento fiori" che intendeva incoraggiare la critica
costruttiva. Successivamente fu lanciata la campagna del "grande balzo in
avanti", iniziata nel 1958 col lancio delle "comuni del popolo". Il fallimento
del grandioso piano tendente ad accelerare il ritmo delle trasformazioni
economiche e l'emergere del contrasto con l'URSS ebbe come conseguenza un
indebolimento della posizione di Mao messo in minoranza dalla corrente
"moderata" e costretto a cedere nel 1959 la carica di presidente della
Repubblica a Liu Shaoch'i. La linea maoista non tardò però a
ottenere un nuovo successo con la sostituzione, nello stesso anno, del ministro
della Difesa, il filosovietico Peng Te-huai, con Lin Piao. La lotta tra le due
linee si riaccese nel 1963 e rimase incerta sino al 1966 quando ebbe inizio la
riscossa maoista con il lancio della "rivoluzione culturale", per l'affermazione
di un nuovo sistema di valori e di organizzazione politico-sociale che affidava
direttamente al popolo una funzione dirigente. Con la morte di Mao (settembre
1976) si accentuava il contrasto tra la linea moderata della "rivoluzione
culturale" e quella "economicistica", che sottolineava soprattutto la
necessità di un rapido sviluppo delle capacità produttive del
Paese. Il confronto si risolveva con il prevalere di quest'ultima linea
politica, mirante ad una forzata modernizzazione economica della Cina
(V. CINA). ║
P.c. giapponese. Tra i
p.c. dei paesi asiatici, una posizione
particolare presenta quello giapponese, operante in un'area tra le più
industrializzate del mondo. Nato nel 1922 da un eterogeneo raggruppamento di
socialisti fabiani, anarco-sindacalisti e bolscevichi, poté entrare nella
legalità solo nel 1945. Dopo aver ottenuto qualche successo durante
l'occupazione americana (nel 1949 ottenne il 10% dei voti e 36 seggi al
parlamento), andò perdendo terreno, ponendosi ai margini della vita
politica giapponese sino all'inizio degli anni Sessanta (nel 1958 era ridotto a
un solo deputato), inviso sia a Mosca sia a Pechino. Sotto la direzione di
Miyamoto Kenji, a partire dal X Congresso, convocato nel 1966, il
p.c.
giapponese andò adottando una linea che attraverso un serio lavoro di
base, lo portava a guadagnare terreno, in modo tale da raddoppiare il numero dei
propri voti nelle elezioni del dicembre 1972 (10,5% dell'elettorato), passando
da 14 a 36 seggi e divenendo il secondo partito dell'opposizione. Nel panorama
politico giapponese esso rimane tuttavia una forza modesta, potendo contare su
circa trecentomila iscritti, cui fanno riscontro poco meno di sei milioni di
elettori.