Opera di Caio Giulio Cesare nella quale questi ideò
di narrare, come già aveva narrato la conquista delle Gallie, la guerra
civile e anche le guerre d'Egitto, d'Asia, d'Africa e di Spagna, il completo
trionfo di Cesare, insomma, avrebbero dovuto rientrare nell'opera; ma la morte
lo colse prima ch'egli potesse portarla a compimento. Vi sono narrati soltanto
gli avvenimenti del 49 e del 48 a.C. Senza preamboli, Cesare prende l'avvio
dalla seduta del senato che il 1 ° gennaio 49 lo costrinse a licenziare
l'esercito. In seguito si appaleserà la malafede degli avversari. Cesare
avanza su Rimini, ancor disposto ad accordarsi, ma Pompeo mira solo a guadagnar
tempo. La mitezza nel confronto dei vinti accattiva a Cesare generali simpatie;
le città passano a lui una dopo l'altra. Per mancanza di naviglio, Cesare
non può impedire a Pompeo di traghettare in Grecia, ma riuscirà a
vincere in Spagna l'esercito di Pompeo; ritorna quindi a Roma, dove viene
incoronato dittatore per il nuovo anno. Adesso che tiene in pugno l'Occidente,
può pensare a Pompeo e riesce a vincerlo. Di rara evidenza la descrizione
della grande battaglia nei dintorni di Farsalo, in Tessaglia, intramezzata da
considerazioni e giudizi sulla tattica di Pompeo. Dopo la vittoria, Cesare
insegue Pompeo a Cipro e di lì in Egitto, e lo fa uccidere perfidamente,
ordinando a re Tolomeo Aulete e a sua sorella Cleopatra, in guerra tra loro, di
cessare le ostilità. La disubbidienza dei generali egiziani è la
scintilla alla cosiddetta guerra alessandrina. Per i suoi soldati, sfiniti,
decimati, privi di tutto, Cesare esprime la sua commossa simpatia; ma essa va
anche agli avversari vinti, al loro valore sventurato.