(dal greco:
komoidía). Componimento
drammatico, in prosa o in versi, di contenuto satirico o morale. Secondo
Aristotele la
c. ebbe origine dal corifeo dei canti fallici che,
inserendo nel coro elementi di parlato, avrebbe originato in questo modo le
prime forme di dialogo. Successivamente la
c. greca si arricchì di
altri elementi quali le maschere, il prologo, gli intrecci, ecc. L'elemento
drammatico venne conferito alla
c. da un'antica forma di teatro popolare
diffusa dovunque nelle regioni greche. Un successivo impulso allo sviluppo della
c. si ebbe con l'introduzione di alcuni elementi tecnici forniti dalla
tragedia. Nel 488 l'arconte concesse alla
c. il coro, iscrivendola con
questo atto nel programma delle feste urbane tenute in onore del dio Dionisio. I
primi esponenti della
c. attica antica furono Chionide e Magnete, attivi
attorno al 480 a.C. Successivamente raggiunse grande fama l'ateniese Cratino
che, da vecchio, rivaleggiò con Aristofane, il maggiore rappresentante
della poesia comica greca. Oltre a questi si ricordano anche i nomi di Eupoli,
Frinico e Platone detto il Comico. Le
c. attiche antiche erano
strutturate secondo uno schema che prevedeva un
prologo, nel quale
venivano esposti gli antefatti, la
parodos, cioè l'ingresso del
coro e l'
agòn, nel quale il protagonista si batteva per il
successo dei suoi progetti. Tutte queste parti erano spesso intervallate da
canti del coro. Dopo la caduta della democrazia ateniese in conseguenza della
guerra del Peloponneso (404 a.C.) la
c. dovette trasformare il suo
primitivo carattere di satira politica e adattarsi al nuovo ordine delle cose.
Scompare il coro e gli argomenti vengono tratti dalla vita comune. Questo tipo
di
c., detta "di mezzo", durò circa un cinquantennio (dal 380 al
330 a.C.). I suoi autori più significativi, esponenti di una cultura e di
una società più raffinata e più colta, furono Antifane.
Eubolo e Timocle. La
c. nuova, fiorita successivamente al 330, ebbe come
caratteristiche la passione per l'intreccio e per l'elemento amoroso. I suoi
autori più significativi, esponenti di una società più
colta e più raffinata, furono Difilo, Apollodoro, Posidippo, Filemone e
Menandro, senza dubbio il più significativo. In seguito la poesia comica
greca attraversò un periodo di decadenza definitiva durante il quale si
venne trasformando in un nuovo genere letterario, il mimo. ║
C.
latina. Ebbe origine nei
fescennino, nelle
satire e nelle
atellane, cioè in quei primitivi componimenti poetici grossolani e
osceni, con i quali i contadini italici solevano festeggiare determinate
solennità. Durante queste feste venivano recitate rozze rappresentazioni
che dovevano servire a propiziarsi le divinità. Questo primitivo genere
di rappresentazione venne in seguito soppiantato da forme più evolute
nelle quali il dialogo assumeva un'importanza rilevante e la danza veniva fatta
corrispondere al canto e al suono. Questa nuova forma rappresentativa venne
detta "satura" e, presso i Romani, durò per oltre un secolo, fino a
quando non venne sostituita dalla
c. palliata, introdotta a Roma da Livio
Andronico. Gli argomenti e le scene di queste rappresentazioni erano di
derivazione greca. Altro autore di palliate fu Nevio, del quale restano i titoli
di trenta
c. e alcuni frammenti. La palliata decadde progressivamente con
il venir meno dei modelli greci dai quali traeva ispirazione. Venne in seguito
sostituita dalla
c. togata, così chiamata perché in essa i
personaggi vestivano la toga romana in luogo del pallio greco. Questo genere di
c. portava sulla scena usi, costumi e personaggi romani o italici e si
distingueva dalla palliata per la maggiore semplicità di struttura e per
Il carattere più popolaresco. Fra i maggiori autori di
c. togate
ricordiamo Titinio, T. Quinzio Atta e L. Afranio. In periodo medioevale la
c., intesa come forma di rappresentazione autonoma, venne abbandonata in
favore del dramma sacro e delle rappresentazioni comiche (farse). Il nome di
c. venne dato a componimenti che, per la minore gravità della
materia trattata, si distinguevano dagli altri generi di composizione. Nel XII e
XIII sec. venne dato il nome di
c. elegiache o
epiche ad alcuni
componimenti in lingua latina che trattavano argomenti di carattere
classicheggiante ed erano spesso tratti dalle
c. del periodo romano o
greco. Un rifiorire della
c. si ebbe nel periodo umanistico, con la
riscoperta di numerose commedie di Plauto (1429) e di Terenzio (1432), che
determinarono la dissoluzione della
c. latina medioevale. Tra gli autori
di questo periodo ricordiamo P.P. Vergerio, Leon Battista Alberti e Ugolino
Pisani. Ai soggetti tradizionali tratti dalle
c. classiche si
aggiungevano gli spunti offerti dalle novelle del Boccaccio, dalla narrativa
romanza e dai casi dell'esistenza quotidiana. Lo schema rispettava solitamente
l'unità di luogo e di tempo, meno quella d'azione. L'introduzione
sistematica del "volgare" si ebbe dopo la prima rappresentazione della
Mandragola del Machiavelli, avvenuta a Roma nel 1520. Tra i lavori di
questo periodo possiamo ricordare le
c. di Ludovico Ariosto, la
Calandria di B. Dovizi,
I due felici rivali di Jacopo Nardi e le
cinque
c. di Pietro Aretino. Successivamente, gli spunti tratti dalla
classicità vengono progressivamente abbandonati in favore di un realismo
rappresentativo del quale la
c. Il Candelaio di Giordano Bruno
rappresenta l'esempio più evidente e più riuscito. La rottura con
la tradizione precedente venne portata avanti con forza anche da Angelo Beolco
detto il Ruzzante che, attraverso l'uso del dialetto padovano e la scelta di
argomenti di carattere popolaresco, si distinse come l'autore che più di
ogni altro ebbe la capacità di superare i confini della
c.
tradizionale e di porre le basi per un autentico rinnovamento del genere. Con lo
sviluppo della
c. dell'arte, avvenuto a partire dalla seconda metà
del XVI sec., la
c. si pose decisamente come reazione antiaccademica al
di fuori di ogni schema letterario predeterminato. Lungo tutto il XVII sec. la
c. letteraria attraversò un periodo di decadenza dal quale si
staccarono solamente autori come Francesco Mariani, Carlo Tiberi e G. B.
Andreini. La tendenza di questo periodo verificò una netta prevalenza
della prosa e una divisione in tre atti piuttosto che in cinque. Venne
abbandonato il prologo e scomparvero progressivamente alcune delle figure
più sfruttate in precedenza, quali il Pedante e il Capitano. La
c.
si aprì, tra il XVII sec. e il XVIII, all'influenza spagnola e francese,
con particolare riferimento all'opera di Molière, cui si rifece
direttamente il senese Girolamo Gigli. La
c. ritrovò una sua
vitalità con Carlo Goldoni che, prendendo atto dell'ormai avvenuta
decadenza della
c. dell'arte, seppe far rifluire gli elementi positivi
che in questa si potevano ancora rintracciare, in opere nelle quali è
possibile cogliere lo spirito del suo tempo e il rinnovamento della forma
artistica della
c. La difesa della
c. dell'arte venne portata
avanti dal principale antagonista del Goldoni, Carlo Gozzi, che nelle sue
Fiabe mise in scena un mondo popolaresco nel quale le maschere della
c. dell'arte avevano la parte principale. La scuola goldoniana
trovò numerosi imitatori, tra i quali ricordiamo Francesco Albergati e
Giovanni de Gamerra, nei cui lavori prevalse la passione per i "colpi di scena"
e per il sensazionalismo rappresentativo. Agli inizi del XIX sec., la
c.
italiana era dominata dall'influenza goldoniana e da quella del teatro comico
francese. Tuttavia la produzione italiana fu estremamente povera di spunti
originali e le note più significative vanno rintracciate nel melodramma.
Si sviluppò tuttavia una vasta attività delle compagnie che
lavoravano principalmente su
c. estere, specificamente francesi. Gli
autori italiani più significativi di questo periodo sono Riccardo di
Castelvecchio, Vincenzo Martini e, per quanto riguarda la produzione comica,
Paolo Ferrari. L'avvento del naturalismo e del verismo e il maggiore respiro
europeo della cultura italiana degli ultimi anni del XIX sec., non permettono di
seguire con linearità gli sviluppi del teatro comico nazionale. I momenti
più significativi si ebbero comunque con l'opera di Luigi Pirandello con
il quale viene decisamente superato l'impianto della
c. tradizionale.
Altri autori degni di nota sono Giannino Antona Traversi (
Carità
mondana, 1906;
I martiri del lavoro, 1908), Roberto Bracco, Dario
Niccodemi e Gioacchino Forzano. Tra la prima e la seconda guerra mondiale
proseguì la tradizione del teatro borghese, nel quale si vennero tuttavia
inserendo, sull'esempio di Pirandello, elementi grotteschi e satirici. Le opere
più significative della produzione pirandelliana furono:
Pensaci,
Giacomino! (1916),
Liolà (1916),
Il berretto a sonagli
(1917),
Cosi è (se vi pare) (1917),
Sei personaggi in cerca
d'autore (1921),
Enrico IV (1922). Autori più tradizionali e
più vicini al gusto del pubblico furono Gherardo Gherardi, Guglielmo
Zorzi, Cesare Giulio Viola, Sergio Pugliese. Nel secondo dopoguerra la
c.
di ambientazione popolare con struttura comica, ha trovato nel nostro paese la
miglior espressione artistica nelle opere di genere dialettale e ambientazione
napoletana di Eduardo De Filippo.
"La commedia greca" di Raffaele Cantarella