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Combustione.

Fenomeno di combinazione di una sostanza, detta combustibile, con ossigeno, detto comburente, a temperatura relativamente elevata. La c. avviene comunemente con sensibile svolgimento di calore, tanto maggiore quanto più grande è l'affinità chimica che gli elementi del combustibile presentano verso l'ossigeno. Il calore di c. di una sostanza, cioè il numero delle calorie che si svolgono nell'ossidazione completa di una grammomolecola della sostanza stessa, misurabile con un calorimetro, è dato dalla differenza fra l'entalpia di formazione dei prodotti della c. meno quella dei reagenti, essendo assunta nulla l'entalpia di formazione degli elementi allo stato molecolare. Una c. necessita in genere di un innesco, ad esempio una scintilla o un catalizzatore; il caso più comune e quello di un innesco per riscaldamento del combustibile al di sopra della sua temperatura di accensione. Una volta partita la c., la quantità di calore che si svolge è in genere tale da elevare molto la temperatura della zona in cui essa avviene; si conoscono però anche dei casi nei quali il calore prodotto dalla c. è minore di quello dissipato verso l'ambiente e la c. da sola non si mantiene. Tecnicamente si distingue poi una c. completa e una c. incompleta; si ha la prima quando gli elementi presenti nel combustibile si ritrovano fra i prodotti della c. (che sono detti fumi), al massimo stato di ossidazione stabile; si ha la seconda quando i fumi contengono sostanze suscettibili di essere ulteriormente ossidate con svolgimento di calore. Ad esempio, nella c. di un idrocarburo (che sappiamo essere composto di idrogeno e carbonio) l'H va tutto ad acqua, mentre il carbonio può andare a CO (ossido di carbonio) e a CO2 (anidride carbonica). Queste due sostanze si ritrovano anche nella c. del carbone, della legna e anche di altre sostanze contenenti C. Il CO rappresenta lo stadio di c. incompleta del carbonio; la reazione:

C+COLUMB10.png―O2 → CO

svolge circa 64.000 cal/mole, ma il CO può ancora reagire con ossigeno secondo la reazione:

C+COLUMB10.png―O2 → CO2

svolgendo ancora circa 26.000 cal/mole. Infatti nella produzione di gas povero si fa proprio l'ossidazione del carbone a CO per avere un buon combustibile gassoso. L'idrogeno invece brucia secondo

H2 + COLUMB11.png―O2 → H2O

fornendo 58.000 cal/mole circa (con l'acqua allo stato gassoso). Si noti che una mole di idrogeno pesa solo 2 g circa, onde la quantità di calore che fornisce 1 kg di idrogeno è superiore a quella fornita da quasi ogni altro combustibile; è questa la ragione per cui si usa idrogeno come propellente per missili. In genere, salvo in campi molto particolari nei quali si attua la c. con ossigeno puro, questo è sostituito da aria. La quantità di aria necessaria alla c., detta aria stechiometrica, è facilmente calcolabile allorché è nota la composizione elementare del combustibile. Nella pratica però si usa un eccesso di aria, che va dal 5% fin anche al 100%, per assicurare una c. completa, cioè per evitare ad esempio la presenza nei fumi di CO, che rappresenta una perdita di calore che poteva essere utilizzato. Il CO inoltre è molto velenoso, onde il suo tasso nell'atmosfera dovrebbe essere tenuto bassissimo, per evitare inquinamenti con gas di scarico; su alcuni tipi di auto si è adottata la postcombustione. i gas di scarico, prima di essere mandati all'atmosfera, vengono fatti passare su una rete incandescente; l'eccesso di ossigeno che è stato alimentato ossida a CO2 il CO presente nei gas uscenti dal cilindro. Si noti che non sempre la c. è accompagnata da fenomeni luminosi o da fiamma; questa in particolare si ha solo nelle c. di gas o di solidi contenenti sostanze volatili (come il carbone o la legna) che, alla temperatura di c., volatizzano e bruciano in fase gas. I metodi di spegnimento delle fiamme sono basati sulla creazione di una atmosfera di gas non comburenti (ad es. CO2) attorno alla zona di c., che resta così priva di ossigeno. la fiamma si spegne per soffocamento; un altro metodo, più tradizionale, è quello di asportare calore dalla zona di c., fino a portarla sotto alla temperatura di accensione del combustibile. Ciò si può ottenere ad es. lanciando acqua sul combustibile; la parte di acqua che evapora esercita un'azione di soffocamento. Per un dato combustibile è spesso di interesse la temperatura adiabatica di c. (con ossigeno o con aria). Essa è la temperatura che avrebbero i fumi della c. qualora essa avvenisse (con ossigeno o aria) in un reattore adiabatico, cioè in un volume isolato termicamente dall'ambiente, in modo da annullare le perdite di calore. Tale temperatura rappresenta il massimo teorico cui si può giungere con un dato combustibile; in pratica è difficile giungere anche vicino ad essa. Evidentemente la temperatura adiabatica di c. raggiungibile con ossigeno è molto maggiore di quella raggiungibile con aria. Infatti questa è composta da circa il 20% di ossigeno, l'80% di azoto e altri inerti. Per ogni mole di ossigeno si hanno dunque circa 4 moli di inerti, che non partecipano alla c., ma assorbono una quantità notevole del calore prodotto in essa; vi sono dei casi in cui gli inerti costituiscono il 60 - 80% dei fumi, e la temperatura di c. adiabatica con aria è meno della metà di quella di c. con ossigeno. Ad una c. si ricorre quasi universalmente in tutti i casi pratici in cui necessita produrre calore (riscaldamento domestico, fornelli a gas, produzione di vapore in caldaie, produzione di lavoro con motori a scoppio, ecc.).