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Cleveland, Stephen Grover.

Ventiduesimo presidente degli USA. Iniziata l'attività di avvocato a Buffalo nel 1859, acquistò presto vasta popolarità e fu dapprima eletto sceriffo di contea, poi sindaco di Buffalo (1881) e infine governatore di New York (1882). Candidato democratico alla presidenza nel 1884, si trovò a dover fronteggiare una battaglia politicamente difficile, in cui entrambi i partiti fecero ricorso all'arma della diffamazione personale. Mentre al suo avversarlo repubblicano, Blaine, venivano mosse accuse di corruzione, i repubblicani rivelarono che C. aveva un figlio illegittimo, montando una campagna contro la sua presunta immoralità. Per quanto lo scandalo personale gli sottraesse un certo numero di consensi, riuscì a battere, sia pure di stretta misura, il candidato repubblicano e fu il primo presidente democratico dopo la guerra di secessione, e dovette sostenere le accuse dei repubblicani che lo consideravano l'erede dei democratici traditori del Sud. Inoltre egli era privo di magnetismo personale, aveva modi rudi, non cercò mai la popolarità fine a se stessa e diede prova di grande onestà e serietà. Era fondamentalmente un conservatore, benché consapevole dei pericoli insiti nel sistema monopolistico. Si dedicò alla riforma della burocrazia, alla revisione delle tariffe doganali, alle pensioni e alla politica fiscale, opponendosi con forza alle pretese dei veterani della guerra di secessione. La sua richiesta di riduzione delle tariffe doganali gli costò la mancata riconferma nelle elezioni del 1888, vinte dal conservatore repubblicano W. H. Harrison con un ristretto margine di maggioranza. Nuovamente scelto come candidato dai democratici nelle elezioni del 1892, fu favorito dall'impopolarità delle tariffe doganali e riuscì a battere nettamente il candidato repubblicano. Condusse la sua seconda presidenza con maggiore energia, trovandosi immediatamente a dover fronteggiare una grave depressione economica che, tra l'altro, aveva provocato una rapida e massiccia uscita di oro dal Paese, con conseguente pericoloso impoverimento delle riserve auree del Tesoro. Tale impoverimento era aggravato dall'applicazione del Silver Act, che consentiva di portare argento alla zecca, vendendolo in cambio di valuta cartacea legale, convertendo poi questa in oro che veniva esportato con considervole profitto. Egli convocò una speciale riunione del Congresso e chiese l'immediata abrogazione del Silver Act. Il Congresso approvò le misure nell'ottobre 1893, ma le riserve auree continuarono a diminuire. Egli ricorse allora a J.P. Morgan e ad altri grandi banchieri che prestarono al governo 62 milioni di dollari in oro, almeno per metà ottenuti all'estero, e con questo atto riuscì a restituire ai capitalisti tanta fiducia che la fuga dell'oro verso l'estero cessò. Tuttavia, questo brusco ritorno alla linea della moneta forte e l'alleanza con i grandi finanzieri, provocò la spaccatura dei democratici e una rivoluzione nell'indirizzo politico del partito democratico, in cui ebbero il sopravvento le correnti più radicali. In politica estera, per quanto personalmente ostile all'imperialismo e oppositore di una linea espansionistica, si trovò a dover ereditare una situazione che prevedeva l'annessione delle Hawaii. Egli cercò senza successo di impedire tale annessione, denunciandone l'illegittimità e rivolgendosi all'amico e collaboratore R. Olney in questi termini: "Quando ripenso agli inizi di questo miserabile affare ed esamino i mezzi usati per consumare una tale ingiustizia, me ne vergogno profondamente". Si oppose ad ogni avventura all'estero, al potenziamento della flotta e si rifiutò di intervenire a Cuba. Estese tuttavia l'ambito della dottrina Monroe e difese energicamente gli interessi statunitensi nel corso della controversia con la Gran Bretagna sul confine tra Venezuela e la Guyana britannica (Caldwell, New Jersey 1837 - Princeton 1908).