Teologo e filosofo inglese. Pastore anglicano e cappellano
della regina Anna, si preoccupò di ricondurre la Chiesa anglicana alla
purezza dei primi tempi, finendo col far proprie le tesi della dottrina "ariana"
secondo cui il Verbo, intermediario tra Dio e il mondo, non è Dio,
poiché è simile, ma non uguale al padre, negando così la
dottrina cristologica ortodossa e quella della Trinità e
dell'Incarnazione. Nella sua opera,
La dottrina della scrittura sulla
Trinità (1718) riconobbe solo la
coeternità del Figlio
di Dio, testimoniata dalla Bibbia, e con la
consustanzialità
sancita dal concilio di Nicea, proponendone l'eliminazione dalla liturgia. La
sua influenza fu notevole tra gli anglicani e ancor più tra i
presbiteriani. Nell'ambito più propriamente speculativo cercò di
dimostrare con argomentazioni filosofiche l'esistenza di Dio e, insieme, la
libertà dell'uomo, considerando la ragione come la suprema guida della
condotta umana, in polemica con Spinoza, Hobbes, Locke. Accettò e
sostenne inoltre l'idea di Newton, secondo cui l'universo è il
sensorium nel quale Dio percepisce i corpi materiali, idea che
ampliò e difese in un vivace carteggio con Leibniz. Tra gli scritti:
Discorso sull'esistenza e sugli attributi di Dio (1705);
Gli obblighi
della religione naturale e la verità e certezza della rivoluzione
cristiana (1705) (Norwich 1675 - Londra 1729).