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Cemento.

Sostanza usata per l'unione di corpi qualsiasi. Per antonomasia indica la miscela di sostanze usata per preparare gli impasti con sabbia e ghiaia (agglomerati cementizi), usati nelle costruzioni edili. Per la legge italiana (legge 26 Maggio 1965, n. 595) si distinguono quattro tipi di c.: a) normali (suddivisi in: portland, pozzolanico, d'alto forno), b) alluminosi, c) per sbarramenti di ritenuta, d) ad alta resistenza (suddivisi come in a). Tutti gli altri leganti idraulici in uso vengono denominati calci. 1) C. Portland. Il nome deriva dal fatto che dopo la presa l'aspetto del materiale è molto simile a quello di una pietra presente in grande quantità presso Portland in Inghilterra. Si ottiene per cottura di un calcare contenente il 25% circa di argilla a 1.400 ÷ 1.500 °C circa. Si distingue in naturale o artificiale: i due prodotti sono però identici, e tale denominazione indica solo se provengono da cottura di una marna naturale o prodotta miscelando due diversi calcari o un calcare con rocce siliciche o alluminose. Una composizione tipica di un Portland è: silice 19 ÷ 25%, calce 62 ÷ 66%, allumina 4 ÷ 10%. Le impurezze principali sono da ossido di ferro e di magnesio, oltre ad alcali. Si usa assegnare la composizione del c. dando i singoli ossidi e non le sostanze effettivamente presenti, in quanto queste sono molte, difficilmente riconoscibili con esattezza, e molto diverse da un c. all'altro, in funzione del tipo di impurezze. La produzione inizia dall'estrazione del calcare, o marna da calce; questa, corretta per portarla alla composizione voluta, viene frantumata con contemporaneo miscelamento nei mulini a pale o di altri tipi; spesso la macinazione si può fare ad umido con molazze. La miscela viene inviata, umida fino al 30% di acqua, in forni che sono di tipi molto diversi. Il tipo più affermato è il forno rotativo che consta di un lungo tubo cilindrico (50 ÷ 70 m, con diametro 2 ÷ 3 m) rivestito internamente di materiale refrattario alluminoso o di materiale analogo al c. stesso. Il tubo è leggermente inclinato e ruota lentamente attorno al suo asse. Nella parte più bassa del cilindro è posto un bruciatore di nafta o polverino di carbone; i fumi caldi salgono lungo il tubo in controcorrente col materiale, che viene caricato nella parte più alta in pasta fluida con il 30% circa di acqua. Nella prima zona si ha un essiccamento di tale pasta; scendendo il materiale viene a trovarsi in zone via via più calde: alcuni ossidi si portano a temperature vicine a quelle di fusione; per reazioni fra loro si formano fasi cristalline di alite (silicato tricalcico), di belite (silicato bicalcico), di celite (alluminoferrito di calcio), che contengono però varie sostanze sciolte come soluzioni solide. L'alta temperatura provoca però l'agglomerazione del materiale in granelli di dimensioni varie: in questa forma il c. si chiama clinker, e non fa presa per la difficoltà di assorbire acqua. Lo si sottopone dunque ad una macinazione finissima, operazione notevolmente difficile perché occorre evitare l'effetto dell'umidità atmosferica. Il consumo di combustibile per la cottura si aggira sui 15 ÷ 25 kg di coke e 10 KWh per quintale di c. Per l'uso il c. viene mescolato con sabbia e acqua (da una a 4 parti di sabbia per parte di c., in peso) a dare la malta, oppure con sabbia, e ghiaia e acqua a dare calcestruzzo. Sia questo che la malta vanno preparati secondo rapporti fissati dalle leggi, in base alla resistenza specifica che dovrà avere il manufatto e in base ai metodi di messa in opera. Un conglomerato molto comune è quello detto normale: 300 kg di c., 0,4 m3 di sabbia, 0,8 m3 di ghiaia, 150 l di acqua. La ghiaia e la sabbia devono avere un'opportuna granulometria ed essere costituite di grani resistenti, non provenienti da rocce decomposte, gessose o gelive. L'impasto va preparato poco prima dell'uso. Per la messa in opera si prepara l'armatura in legno con le casseforme: in queste, se necessario si pone l'armatura di tondini in ferro tenuta a posto da fili, indi si procede alla gettata. Il calcestruzzo deve essere battuto o vibrato per essere sicuri che la forma sia accuratamente riempita. Per le opere di un certo rilievo e per le abitazioni civili si procede per ogni gettata principale al prelievo di campioni (serie di 4 cubi di spigolo 16 o 20 cm). Questi, stagionati sotto sabbia umida vengono inviati ad un laboratorio perché su di essi sia determinata sperimentalmente la resistenza a rottura, secondo le disposizioni di legge. La presa del c., cioè il fenomeno chimico-fisico per cui esso acquista consistenza e durezza, dura un periodo variabile secondo il tipo e le condizioni ambientali. In genere la presa vera e propria dura da 6 a 12 ore ed è seguita da un indurimento graduale che prosegue per diversi anni, ma che già a 30 giorni circa ha raggiunto un valore vicino al massimo. Per questo le prove a norma di legge sono eseguite sui cubetti dopo 28 giorni dalla loro fabbricazione: si determina la resistenza a rottura di compressione come media dei tre valori migliori ottenuti dai 4 provini. Tale resistenza deve essere almeno tripla del carico di sicurezza a pressione semplice adottato nei calcoli di progetto della struttura. La presa e l'indurimento sono provocati da reazioni chimiche fra gli ossidi, con formazione di nuovi composti, e da fenomeni fisici, in particolare dalla formazione di geli colloidali per idratazione e fusione dei granelli; in ciò soprattutto consiste l'indurimento, che è favorito dalla presenza costante di acqua: il manufatto, viene perciò periodicamente bagnato. Durante la presa si ha sviluppo di calore, ma in quantità trascurabile eccetto che per le opere di grande mole; la presa non avviene sensibilmente sotto 0 °C, ed è tanto più favorita quanto più alta è la temperatura. Per i c. normali si è stabilita una resistenza minima a trazione di 730 kg/cm2 dopo 28 giorni; si fanno anche prove supplementari dopo 3 e 7 giorni, per decidere sulla possibilità di eseguire il disarmo della struttura. Norme particolari regolamentano le date per le prove sulle gettate eseguite a bassissime temperature o con sostanze additive per abbreviare la presa e l'indurimento, o per migliorare la lavorabilità o l'impermeabilità del c. 2) C. pozzolanico. Si ottiene per macinazione del clinker preparato come sopra in miscela con pozzolana (25 ÷ 30%). Questa aggiunta ha duplice effetto: impedisce il disgregarsi del c. per effetto della dissoluzione in acque molto ricche di anidride carbonica del silicato tricalcico, e impedisce lo stesso effetto provocato dall'acqua marina che scioglie l'alluminato tricalcico. Il portland normale non è dunque adatto per la costruzione ad es. di fognature e opere portuali, onde è sostituito con pozzolanico. 3) C. d'altoforno. Prodotto ottenuto dalla macinazione di una miscela di clinker e di scorie basiche ottenute dalla produzione di ghisa nell'altoforno. Ciò permette una sensibile economia sia per l'industria siderurgica, che utilizza le scorie come un sottoprodotto, sia per l'industria cementifera in quanto le scorie, essendo state fuse dall'alta temperatura del forno, sono già cotte. La percentuale di scorie unita al clinker è del 30 ÷ 70% del prodotto finale. 4) C. alluminoso. Tipo di c. nel quale la silice è contenuta entro il 10% mentre l'allumina e la calce sono presenti in quantità circa eguali. Si ottiene per cottura e finissima macinazione di una miscela intima di bauxite e calcare. La cottura va condotta a temperatura più alta che per il portland: deve essere sui 1.500 °C, onde tali c. si dicono anche fusi. La composizione chimica media è: silice 4 ÷ 10%, allumina 35 ÷ 44%, calce 36 ÷ 44%, ossido ferrico 1 ÷ 14% ossido di magnesio inferiore a 3%, impurezze varie con la provenienza della carica. Tale c. è costituito prevalentemente da alluminati, soprattutto quello monocalcico e il pentacalcio-trialluminato. Caratteristica peculiare ne è il brevissimo tempo richiesto per la presa: a sole 24 ore dalla messa in opera il manufatto presenta una resistenza pari all'85% della resistenza finale. Tali c. si usano dunque per la costruzione di opere in tempi brevissimi; tuttavia l'elevata quantità di calore che si libera nella presa rende impossibile l'esecuzione di opere di grande mole. La resistenza chimica dei c. fusi è molto buona, onde possono essere usati a contatto con acque marine, con acque di scarico di industrie chimiche, ecc. Inoltre essi hanno la proprietà di far presa anche in ambienti a temperatura minore di 0 °C. 5) C. magnesiaco. Ha una composizione molto diversa dai precedenti, essendo costituito prevalentemente di una miscela di ossido di magnesio e cloruro di magnesio. Fa presa in pochissimo tempo e ha grande resistenza meccanica; si usa per gettate di pavimenti (caricato con coloranti) e in odontotecnica. 6) C. bianco. Si differenzia dai tipi precedentemente visti, in particolare dal portland, per la colorazione bianca anziché grigia. Ciò si ottiene partendo da marne esenti da ossido di ferro ed evitanto che le ceneri della combustione restino nel clinker: a tal scopo si fa la cottura in forni a gasogeno o a nafta. Ha una resistenza a trazione, dopo 28 giorni, di 500 ÷ 680 kg/cm2 (contro i 730 del portland e i 600 ÷ 800 dell'alluminoso), per malte normali. Presenta però applicazioni particolari, in quanto è un prodotto più pregiato dei sopra menzionati: si usa per piastrelle, lavabi, vasche da bagno, per intonaci, ecc. Si presta molto bene ad essere variamente colorato ed è usato anche nella fabbricazione del vetrocemento. 7) C. senza ritiro. È un particolare tipo, prodotto per eliminare l'inconveniente del ritiro presentato dai tipi comuni: dopo la messa in opera, si ha durante la presa una diminuzione di volume corrispondente ad un accorciamento del 3 ÷ 4% della dimensione lineare. Il c. senza ritiro è una miscela di portland, scoria d'altoforno e di un c. solfoalluminoso: quest'ultimo da solo è un c. espansivo, cioè che fa presa con aumento di volume; nella miscela tale aumento compensa la contrazione provocata dagli altri composti. Ha buone caratteristiche chimiche. 8) C. ferrico. Tipo di portland ottenuto partendo da cariche povere in allumina e ricche in ossido ferrico; il prodotto presenta maggior quantità di ossido che di allumina. Si produce anche da marne normali, aggiungendo al clinker scorie d'altoforno, minerali di ferro molto poveri, ceneri di pirite, Si usa per la sua resistenza agli agenti chimici; ha caratteristiche meccaniche circa pari ad un portland. Queste possono però essere migliorate mediante aggiunta di pozzolana (si ha allora un c. ferrico pozzolanico, molto usato per opere di grandi dimensioni. 9) C. amianto. Impasto intimo di c., in genere portland, e di fibre spappolate di amianto (serpentino, crisotilo o anfibolo). Fu brevettato nel 1900 dall'austriaco L. Hatscheck. L'amianto, in proporzione di una parte ogni 6 ÷ 10 di c., viene ridotto a sottilissime fibre mediante molazze e disintegratori, indi passa nelle mescolatrici insieme con il c., preparato a parte. La miscela, altamente fluida per l'acqua aggiunta, passa attraverso una serie di vasche, alla macchina in tondo. Questa è costituita schematicamente da un cilindro pescante nella miscela, il quale raccoglie le fibre, cui aderisce il c., e le passa su un nastro di feltro in moto continuo. Da questo esse sono asportate da un cilindro cui aderiscono, formando uno strato il cui spessore va aumentando finché non lo si taglia e stacca. La lastra così ottenuta (di spessore circa 5 mm) può essere sagomata, e si lascia a fare presa. Tale materiale presenta notevoli caratteristiche che lo rendono utilissimo per gli impieghi più svariati: è leggero, impermeabile, può essere colorato, può essere tagliato e forato come il legno. Ha una resistenza alla compressione di 650 ÷ 950 kg/cm²; notevole è anche la resistenza a trazione: 200 ÷ 350 kg/cm2 contro i 30 ÷ 40 kg/cm2 dei comuni impasti di c. Se ne fanno lastre piane od ondulate usate per copertura, serbatoi, canne fumarie, fosse settiche, tubazioni, ecc. Il c. amianto è detto anche eternit dal nome della grande fabbrica Eternit di Casale Monferrato. 10) C. legno. Analogo al precedente, ma di minore costo in quanto l'amianto è sostituito con fibre o trucioli di legno. E molto usato per soffittature, pareti divisorie, ecc. 11) C. intercristallino o intergranulare. Nello studio della struttura dei metalli è la parte dispersa che lega gli aggregati cristallini. • Anat. - C. del dente: strato esterno del dente, in corrispondenza della radice.
Schema di produzione del cemento