Erudito latino, vissuto sotto Tiberio nel I secolo d.C. Di
lui ci resta un'opera di medicina:
De re medica, rimasta ignota
nell'antichità e nel Medioevo. Fu trovata da Nicolò V e stampata
successivamente nel 1478. L'opera fu scritta, a quanto pare, tra il 25 e il 35
d.C. ed è uno dei testi più importanti della medicina imperiale,
al di sopra delle sette e dei pregiudizi delle scuole, sereno nei giudizi,
indipendente nelle asserzioni. È diviso secondo le cure; dietetica,
farmaceutica e chirurgica. Nella prima parte, dopo un'introduzione sulla dieta,
tratta dei morbi universali e di quelli locali; la seconda parte consta di
un'introduzione sui rimedi, seguita da una trattazione sulle malattie che
richiedono un intervento medico immediato, cioè quelle acute e gravi.
Nella terza parte tratta delle forme chirurgiche, che vengono distinte in due
gruppi: malattie delle ossa e malattie degli organi.
C. attribuisce
grande importanza alle febbri; tratta dell'insonnia, del sonno letargico, della
tubercolosi, che da lui è stata chiamata
tabe e per la quale
consiglia la
climatoterapia, i viaggi di mare, lunghi soggiorni in
Egitto, ecc.
C. descrive poi accuratamente la polmonite, per cui
prescrive salassi, dieta leggera e aerazione delle stanze; tratta pure delle
affezioni renali, per cui prescrive bagni caldi e diuretici, proibendo cibi
salati ed eccitanti.
C. già conosce il cancro: per quello alla
mammella, consiglia l'escissione (se agli inizi); per il cancro avanzato ritiene
inutile qualsiasi intervento.
C. indica esattamene la trapanazione del
cranio e molte forme di interventi alla vescica, per l'estrazione dei calcoli.
Il
De re medica sembra che facesse parte di una vasta enciclopedia
intitolata probabilmente
Cestus, comprendente, oltre la medicina, vari
volumi dedicati all'arte militare, alla retorica e alla filosofia, andati
perduti. Prevalentemente ippocratico in patologia,
C. non trascurò
altri sistemi quando lo ritenne opportuno. Contrariamente a quanto si è
per lungo tempo ritenuto,
C. non fu un medico ma uno scrittore, il cui
compito fu quello di tradurre in ottima forma latina un buon libro greco di
medicina. Ciò spiega anche il giudizio di Quintiliano che non ebbe di lui
molta stima "uomo di mediocre ingegno" (I sec.).