Periodo dell'anno antecedente la Quaresima, che si festeggia
con balli e mascherate. ║ Per estens. - Tempo di baldoria e di allegria.
• St. - Diversa è nei vari luoghi la data
d'inizio del
c.: in taluni Paesi esso comincia nel giorno di Santo
Stefano, in altri all'Epifania, in altri ancora il 17 gennaio (festa di S.
Antonio) o il 2 febbraio (Candelora). Il culmine della festa si ha negli ultimi
3 giorni: secondo il rito romano il
c. termina il martedì
precedente il mercoledì delle ceneri (
martedì grasso); nel
rito ambrosiano, invece, termina il sabato che precede la prima domenica di
quaresima (
sabato grasso). Varie le usanze, che sono per lo più
sopravvivenze di antichi riti e costumanze (ritenuti da molti una continuazione
dei Saturnali, dei Lupercali o delle feste in onore di Dioniso, che gli antichi
Romani celebravano nella stessa stagione dell'odierno
c.). Tutte,
però, sono connesse al concetto di "gioia sfrenata" che si oppone alla
"penitenza" propria della Quaresima; per questo, in quasi tutte le tradizioni
carnevalesche, la scena culminante della festa è rappresentata da un
chiaro rito di purificazione, il
funerale di C.: un omaccione disteso sul
cataletto accompagnato da uno strano corteo, nella parata della mezzanotte
dell'ultima sera.
C. è qui l'anno vecchio che muore e porta via
con sé le tristezze e i mali del passato. Attorno a questo personaggio si
sono affollate poi le maschere locali, contribuendo a fare della
rappresentazione uno spettacolo folcloristico tra i più interessanti. In
passato il
c. ebbe in Italia una splendida tradizione a Venezia, Firenze,
Roma, Torino, Ivrea, tradizione che oggi sopravvive, peraltro svuotata di
significato, solo in centri turistici come Venezia e Viareggio. La progressiva
decadenza del
c. è da mettere in relazione con il processo di
laicizzazione della società: poiché il
c., malgrado le sue
radici pagane, trovava la sua giustificazione nell'antitesi con il periodo
penitenziale della Quaresima, l'affievolirsi della partecipazione popolare alle
prescrizioni ecclesiastiche ha determinato una graduale perdita del significato
buffonesco e "trasgressivo" della festa.