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Capogrossi, Giuseppe.

Pittore italiano. Tra i protagonisti del panorama artistico del nostro Paese, ha giocato, specie intorno agli anni Cinquanta, un ruolo di spregiudicato innovatore. Laureato in Giurisprudenza, tra il 1927 e il 1933 si trasferì a Parigi, dove subì l'influenza del Cubismo. Al ritorno in Italia, si mosse per qualche tempo nell'ambito della "scuola romana", adottandone i modi figurativi e avvicinandosi soprattutto alle opere giovanili di Cagli e di Cavalli. Gli episodi di maggiore importanza legati a questa fase figurativa sono sottolineati dal Premio Bergamo, vinto nel 1939 e nel 1942, e dal Premio dell'Accademia d'Italia, conferitogli nel 1940. I primi esempi di quella graduale ma inesorabile evoluzione, che lo condusse a rinnovare dalle fondamenta il proprio linguaggio pittorico, apparvero verso la fine degli anni Quaranta, quando nacquero le celebri composizioni informali, articolate su una struttura a ripetizione. Soltanto nel 1951, comunque, le sue tele, esposte accanto ad opere di Hartung, Wols, Mathieu, Pollock, Bryen, De Kooning, richiamarono l'attenzione della critica più sensibile alle nuove esigenze di espressione stilistica; ciò avvenne alla famosa esposizione Véhémences confrontéés, organizzata alla Galleria Dausset a Parigi per interessamento di Michel Tapié. Da quel momento, l'opera di C. fu circondata ora da aspre polemiche e da netti rifiuti, ora da incondizionata adesione. La sua vicenda artistica seppe comunque allinearsi nel solco delle più significative avanguardie, raggiungendo altissimi livelli di prestigio. Tra le numerosissime personali allestite, ricordiamo la sua partecipazione alla Biennale di Venezia nel 1954 e nel 1962 (vincendo, nella seconda, il Premio ex-aequo con Morlotti), e la sua presenza al Salon de Mai, di Parigi, alla Quadriennale di Roma, al Guggenheim Museum di New York, alla Biennale di San Paolo, al Museo d'Arte Moderna di Torino, alla Tate Gallery di Londra, all'Esposizione Universale di Montreal, allo Stedelik Museum di Amsterdam, al Museum of Modern Art di New York e in numerosissime altre rassegne collettive. C. viene considerato tra i primi in Italia, accanto a Fontana e a Burri, ad aver compreso una terza soluzione alternativa alle poetiche figurative e ai modi dell'informale: e cioè, la poetica del "continuo spazio-temporale", che trova immediato modulo di espressione nell'uso reiterato dei frammenti segnici, prodotti in serie. Citiamo alcune delle sue opere: Ritratto di donna (del periodo figurativo, 1925); Superficie 125; Superficie 632 (Roma 1900-1972).