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Capitalismo.

Sistema economico dove il capitale viene impiegato nella produzione; è caratterizzato dalla scissione tra proprietà e mezzi di produzione. Il termine, introdotto dalla critica marxista, indica infatti un sistema in cui gli strumenti, gli attrezzi, gli impianti e le scorte di beni con cui si effettua la produzione - ossia il capitale - sono in prevalenza di proprietà privata. Secondo Marx, la legge fondamentale di questo sistema economico sarebbe la realizzazione del plusvalore attraverso lo sfruttamento sistematico dei lavoratori da parte dei detentori dei mezzi di produzione e di scambio. Ciò costituirebbe la base del cosiddetto conflitto fra "capitale" e "lavoro", ossia fra le due classi principali in cui si divide la società capitalista. L'evoluzione del c. è basata sulla mobilità delle classi sociali per cui, come ha fatto presente M. Dobb, coloro che possiedono la proprietà possono talvolta avere parte attiva nella produzione, mentre coloro che lavorano, per quanto la loro principale fonte di reddito rimanga il salario o lo stipendio, possono anche possedere qualcosa in proprio. ║ La nascita del c.: il processo costitutivo del c. affonda le sue radici nel XIII sec. parallelamente alla crisi delle istituzioni feudali. Secondo quanto rileva J.A. Schumpeter nella sua Storia dell'analisi economica, alla fine del XV sec. esistevano già tutti quei fenomeni che vengono associati al termine vago di c.: imprese di notevoli dimensioni, speculazione sui titoli e sulle merci, alta finanza, ecc.; tuttavia le condizioni per lo sviluppo vero e proprio del moderno c. andarono maturando in Europa, e soprattutto in Inghilterra, solo tra il XVI e il XVIII sec., con la progressiva concentrazione di ricchezza e con le trasformazioni agrarie. Molto importante fu anche il parallelo processo socio-culturale; l'ascesa della borghesia commerciale, finanziaria e industriale (V. BORGHESIA) modificò, infatti, molto profondamente la struttura della società europea secondo due grandi linee generali: nella prima il piccolo produttore si assicurò l'emancipazione dalle prestazioni feudali che lo opprimevano; nella seconda venne separato dalla proprietà dei mezzi di produzione, sia che questa fosse costituita da un piccolo appezzamento di terra o da bestiame, sia che si trattasse di una bottega artigiana. Di conseguenza, dovette ricorrere al lavoro salariato per guadagnarsi i mezzi di sussistenza secondo un processo che Marx chiamò di accumulazione primitiva, destinato a far nascere il proletariato. L'essenza di tale processo è sempre la stessa, sia nella forma dell'"espulsione diretta", come avvenne in Inghilterra con la recinzione delle terre (V. IINDUSTRIALE, RIVOLUZIONE), sia nella forma dell'impoverimento e dell'indebolimento della proprietà produttrice e, quindi, dell'espropriazione per debiti. La fase decisiva dell'ascesa del c. si fa coincidere con la "rivoluzione industriale", cioè con quel processo di trasformazione economica che, iniziato in Gran Bretagna nel XVII sec., nel corso del secolo successivo trasformò l'intera Europa; tale processo si verificò quando una serie di innovazioni tecniche modificarono profondamente il processo produttivo, trasferendolo dalla casa o dalla bottega artigiana alla fabbrica dove il lavoro, per buona parte meccanizzato, divenne lavoro di squadra. I rapporti di produzione capitalistici, però, erano venuti maturando nel corso di oltre due secoli prima della rivoluzione industriale; già nel corso del XVI sec. in alcune industrie inglesi si verificarono sviluppi tecnici che gettarono le basi per processi produttivi simili a quelli svolti a livello di fabbrica. Si trattava però di esempi piuttosto isolati che cominciavano a svilupparsi nelle città di mercato e nei distretti rurali, al di fuori della giurisdizione delle corporazioni artigiane; in questo settore, infatti, vigeva ancora il sistema corporativo, ma la strada verso la promozione a maestro artigiano era andata facendosi sempre più difficile, divenendo prevalentemente ereditaria. Inoltre, fra gli stessi maestri, l'ineguaglianza di condizione era sempre più evidente, portando a una netta differenza di categorie fra grandi e piccoli. Ai maestri più ricchi erano concessi speciali privilegi: potevano infatti accedere con maggiore facilità alle materie prime e ai mercati, a danno di molti altri maestri artigiani esclusi, al pari degli operai salariati, da ogni effettiva partecipazione al governo delle corporazioni e ridotti alla posizione di sotto-appaltatori; inoltre, mentre il capitalista era ancora prevalentemente un mercante (V. MERCANTILISMO) che non controllava la produzione direttamente, l'artigiano, per quanto conservasse ancora una certa indipendenza, era al centro del nuovo rapporto tra capitale e lavoro, dato che il prezzo che riceveva per il suo prodotto veniva sempre più ad assomigliare a una retribuzione per ogni pezzo di lavoro eseguito. Con il diffondersi dei cambiamenti tecnici, alla fine del XVIII e all'inizio del XIX sec., i processi di sviluppo furono fortemente accelerati e portati a una fase decisiva, cosicché, verso la metà del XIX sec., almeno in Inghilterra, quello che oggi viene considerato il sistema capitalistico di fabbrica era divenuto predominante. Un proletariato in rapido sviluppo, per gran parte proveniente dall'eccesso di popolazione agricola e dall'incremento naturale della popolazione, fornì la forza-lavoro a un'industria in espansione e il campo d'investimento per una crescente accumulazione di capitale. La Riforma protestante fu di grande stimolo, ripudiando le dottrine medioevali ostili all'usura e incoraggiando l'individualismo; soprattutto il puritanesimo, con la sua insistenza sulla parsimonia, costituì un potente fattore favorevole all'accumulazione capitalistica: il puritano risparmiava, e ciò che risparmiava produceva nuovo e più cospicuo risparmio. Pertanto, una volta avviato questo processo di accumulazione del capitale, esso prosperò molto rapidamente, dato che venivano accumulati e reinvestiti nell'industria i profitti conseguiti, e di pari passo con l'accumulazione e l'investimento del capitale, venivano attuati perfezionamenti nella tecnica produttiva. In seguito a questa più rapida accumulazione di capitale e al perfezionamento delle tecniche, il processo di concentrazione fece un ulteriore passo avanti, minando il meccanismo della concorrenza, almeno nella vecchia forma delle piccole imprese che ricorrevano alla concorrenza dei prezzi come mezzo per impadronirsi di una quota maggiore di mercato. Pertanto, il processo di concentrazione gettò le basi del monopolio (v.) nelle sue varie forme. ║ La teoria marxista: Marx, che non parlava di c. ma di "modo capitalistico di produzione", delineò per primo un modello esplicito del sistema capitalistico (V. MARXISMO e CAPITALE, IL). A lui si deve infatti una teoria sistematica che ha influenzato quasi tutte le teorie posteriori, comprese quelle che hanno respinto la teoria marxiana dello sfruttamento. Marx considerò il capitale un rapporto di produzione sociale che, per i proprietari dei mezzi di produzione, ha la facoltà di svilupparsi grazie all'acquisto della forza lavoro vivente e del plusvalore ad essa sottratto. Marx analizzò anche i problemi della concentrazione, ripresi e ulteriormente sviluppati da Lenin e dagli altri teorici della seconda generazione marxista tra cui l'austro-marxista Hilferding e Rosa Luxemburg. Dopo aver osservato che l'espropriazione dei proprietari privati si "compie attraverso il gioco delle leggi immanenti alla stessa produzione capitalistica, attraverso la centralizzazione dei capitali", Marx concluse che, con la concentrazione aumenta lo sfruttamento, ma cresce anche la ribellione della classe operaia, unita e organizzata dallo stesso meccanismo del processo di produzione capitalistica. Pertanto, la centralizzazione dei mezzi di produzione e la socializzazione del lavoro raggiungono un punto in cui diventano incompatibili col loro involucro capitalistico, determinandone la fine. In uno dei più discussi passi del Capitale Marx affermò che "con la diminuzione costante del numero dei magnati del capitale che usurpano e monopolizzano tutti i vantaggi di questo processo di trasformazione, cresce la massa della miseria, dell'oppressione, dell'asservimento, della degenerazione, dello sfruttamento, ma cresce anche la ribellione della classe operaia...". Tale passo si presta indubbiamente a varie interpretazioni, ma la sua validità appare a molti indiscutibile se riferita a una miseria intesa non in senso fisico, assoluto, ma in senso sociale, cioè relativa alle mutevoli condizioni della società, e soprattutto se riferita a tutti i popoli su cui il c. esercita la propria egemonia. Altrettanto discussa, alla luce dell'attuale livello dell'occupazione e dei salari, è la tesi di Marx secondo cui, mentre la proprietà capitalistica dei mezzi di produzione mette i capitalisti in grado di appropriarsi dei benefici della produttività crescente, la parte spettante agli operai produttori è mantenuta a un livello che permette loro appena il minimo vitale. Indipendentemente dall'importanza avuta nel miglioramento delle condizioni dalla resistenza organizzata dagli operai, può essere utile ricordare con lo storico inglese G.D.H. Cole (A che punto è il capitalismo?, 1957), che il livello minimo vitale non può essere considerato come un "livello assolutamente fisso di consumo fisico: si tratta piuttosto del livello di consumo sufficiente, in qualsiasi momento e in qualsiasi luogo". ║ Il c. moderno: durante tutta la sua storia il c. ha mostrato notevoli disuguaglianze di sviluppo in senso spaziale e settoriale, alternando periodi di espansione a periodi di stasi e persino di contrazione. Per un lungo periodo queste fluttuazioni avvennero con tanta regolarità da indurre a parlare di "ciclo decennale" (V. FLUTTAZIONI CICLICHE). Di queste crisi quella del 1929-31, che dagli Stati Uniti si diffuse nel resto del mondo, fu per molti aspetti la più grave in senso assoluto; tra il culmine del boom nel 1929 e l'estate del 1932, la produzione industriale degli Stati Uniti diminuì della metà, la disoccupazione salì a quattordici milioni di unità, ossia toccò un lavoratore su quattro, e la capacità produttiva inutilizzata degli impianti industriali fu stimata al 50% (V. NEW DEAL). Uno dei fenomeni più importanti nello sviluppo del c. negli anni del dopoguerra fu costituito dal c. di Stato, ossia dal crescente peso dello Stato come imprenditore. L'intervento e la tutela dello Stato ebbero infatti un ruolo di primo piano nel modificare il volto del moderno c. Nella maggior parte dei Paesi capitalistici si vennero costituendo grandi e moderni settori pubblici, alla base della pianificazione (v.) e dello sviluppo anche della struttura del settore privato. L'intervento statale si collegò indissolubilmente al crescente ruolo delle spese militari nella regolazione della domanda; soprattutto negli Stati Uniti, infatti, l'entità delle spese per gli armamenti consentì allo Stato di esercitare una notevole influenza sull'economia nel suo complesso. Inoltre, nel c. su scala mondiale, ebbero grandi conseguenze i movimenti per l'indipendenza dei Paesi ex-coloniali o semicoloniali, imboccando la strada anche dell'indipendenza economica, come la Cina. Nelle discussioni intorno al c. post-bellico molti hanno concluso che i cambiamenti avvenuti sono così grandi e numerosi da determinare la sua completa trasformazione, tanto da ritenere inesatto parlare ancor oggi di c. Altri, anche di tendenza socialista, ritengono che l'attuale sistema economico, vale a dire il c., sia entrato in una fase nuova e distinta, almeno nei Paesi industriali più progrediti; oltre alle tendenze che portano verso il c. di Stato, tra le ragioni fondamentali addotte a sostegno di questa tesi, figurano le cosiddette "rivoluzione dei tecnici" e "rivoluzione dei redditi". In seguito alla "rivoluzione dei tecnici" il potere sarebbe passato dalle mani dei capitalisti in quelle di una nuova classe di tecnici stipendiati, alla testa delle grandi imprese industriali e finanziarie senza possedere il capitale delle società di cui controllano le politiche. Quanto alla "rivoluzione dei salari", essa avrebbe alterato il meccanismo del profitto, comportando una radicale ridistribuzione del reddito in favore dei lavoratori. Pur nella diversità di opinioni, soprattutto considerando l'accentuazione del fenomeno della disoccupazione (v.), particolarmente grave negli Stati Uniti, resta certo che uno dei mutamenti più cospicui avvenuti negli ultimi decenni è quello legato alla massiccia crescita dell'apparato di persuasione e di stimolo connesso alla vendita di beni di consumo che, come osserva l'economista americano J.K.L. Galbraith (Il nuovo Stato industriale 1967), per il suo costo e per l'entità delle risorse umane che richiede, viene sempre più a competere con lo sforzo stesso diretto alla produzione dei beni (V. NEOCAPITALISMO).