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Calcolatore analogico.

Si dice che un calcolatore elettronico (V. CALCOLATORE) è analogico quando le diverse variabili che intervengono nelle calcolazioni sono rappresentate nel calcolatore da grandezze fisiche (lunghezza di segmenti, intensità di una corrente o di una tensione, velocità di rotazione di un albero, ecc.) che variano con continuità. Naturalmente le grandezze fisiche scelte sono di comodo, in modo da rendere più semplice il trattamento del problema. I c.a. sono tutti di tipo parallelo, a differenza di quelli numerici, che possono essere sia sequenziali che paralleli; la ragione di questo sta nella relativa facilità di costruzione di c.a. paralleli e nella contemporanea difficoltà di costruirne di funzionanti secondo una sequenza di operazioni. Questo modo richiede infatti un immagazzinamento di risultati intermedi, via via prodotti durante i calcoli. Questo può essere agevole per certe grandezze fisiche (ad esempio la resistenza di un potenziometro, una volta fissato su una posizione, resta costante nel tempo) ma può essere molto difficile in altri casi (ad esempio una tensione o una corrente). Il c.a. è meno diffuso del digitale, benché in alcuni campi sia pressoché insostituibile. Esso può essere infatti costruito in modo tale da costituire un modello del sistema da esaminare; ogni grandezza significativa del sistema equivale a una del calcolatore, onde impostando certe variazioni sui fattori di ingresso se ne vede immediatamente l'influenza su quelli di uscita. In alcuni casi l'analogia non è così stretta, e solo fra alcune grandezze esistono le relazioni dette. Nel primo caso il calcolatore viene anche detto simulatore, nel secondo si parla più propriamente di modello. Su un c.a. è possibile la risoluzione di equazioni differenziali e integro-differenziali e, con opportune limitazioni, anche di sistemi di equazioni. È pertanto possibile la risoluzione di tutti quei problemi che possono tradursi in una serie di calcoli algebrici comprendenti le quattro operazioni fondamentali e quelle derivate, oltre alla generazione di funzioni trigonometriche, integrazioni, derivazioni, cambiamento di scala e di variabile, ecc. La risoluzione delle equazioni differenziali a derivate totali (ordinarie) è relativamente semplice in molti casi; non così quella delle equazioni differenziali alle derivate parziali, per le quali l'analisi matematica non fornisce alcun metodo avente carattere generale. La precisione ottenibile con un calcolatore di questo tipo dipende molto dal tipo di problema, oltre che dall'apparecchiatura usata. In generale si può dire che essa è inferiore a quella che si può conseguire con un calcolatore numerico. Per contro la risoluzione del problema ha sempre un carattere più vasto, e può essere molto più generale. Secondo i casi l'errore può essere del 10% al massimo e dell'1% circa al minimo; con calcolatori costruiti con particolari cure e per impieghi specifici può scendere anche allo 0,1% e in casi particolarissimi allo 0,01%. Occorre però notare che in molti problemi, soprattutto di ingegneria, una precisione del 99% è accettabilissima; in altri casi - allorché con altri mezzi non si può avere alcun risultato - anche un errore del 10% può essere ammesso. Per contro la soluzione è in generale ottenuta in un tempo molto breve. Da un punto di vista storico il c.a. può essere derivato da vari strumenti (regolo calcolatore, integrafi, planimetri, ecc.) in uso ormai da tanti decenni. Il regolo calcolatore può essere considerato il primo elementare c.a.: in esso i numeri (o grandezze espresse come numeri in un'opportuna unità di misura) sono trattati come segmenti, e la moltiplicazione è ridotta alla somma di due segmenti. Benché già nel 1876 W. Thompson (poi Lord Kelvin) avesse pubblicato una memoria sulla risoluzione delle equazioni differenziali ordinarie con un metodo analogico, solo nel 1925 fu iniziata presso il Massachusetts Institute of Technology (abbreviato MIT) negli USA la costruzione di una macchina in grado di farlo, ad opera di Vannevar Bush e collaboratori. Tale macchina fu chiamata analizzatore differenziale: questo nome è divenuto sinonimo di c.a. Sia questo che i successivi c.a. furono meccanici, nel senso che erano costituiti da una grande cassa nella quale si trovava un grande numero di meccanismi opportunamente connessi volta per volta secondo il problema da risolvere. Vediamo come è possibile effettuare alcuni calcoli o algoritmi mediante metodi puramente meccanici. L'operazione di addizione può essere eseguita in vari modi; i dispositivi più usati sono: la leva differenziale, la ruota differenziale e la coppia ruota-cremagliera. Quest'ultimo ad esempio è costituito da una ruota dentata (il numero di denti non ha importanza) che ingrana in due punti diametralmente opposti con due cremagliere in grado di scorrere su se stesse. Se facciamo scorrere in una direzione una cremagliera di una quantità X e la seconda di una quantità Y, il centro della ruota dentata (o un asse ad esso collegato) si sarà spostato nella stessa direzione di una quantità Z pari a (X + Y)/2. Moltiplicando per 2 questo risultato (ad esempio mediante una coppia di ruote dentate aventi l'una numero di denti doppio rispetto all'altra) si ha il risultato dell'addizione. La moltiplicazione secondo fattori interi (o anche non interi, purché razionali) può essere fatta mediante coppie di ruote dentate, come ora detto. La moltiplicazione secondo un fattore qualsiasi o secondo una variabile è invece un poco complessa. Meccanicamente si può fare col moltiplicatore a leve o con due integratori. Il moltiplicatore a leve sfrutta le proprietà dei triangoli simili; se si impostano due quantità X e Y sotto forma di due segmenti, si legge su un altro segmento la quantità P = XY/K, prodotto dei due fattori diviso per una costante dello strumento (che è nota). Il prodotto effettivo si ottiene moltiplicando P per K oppure costruendo uno strumento in cui K = 1. Il prodotto per mezzo di due integratori si effettua in base alla relazione data dall'analisi matematica:

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Basta quindi eseguire le due integrazioni scritte e sommare i risultati. L'operazione di integrazione è possibile mediante diversi dispositivi, il più usato fra i quali è l'integratore a ruota e disco. Un disco è posto in rotazione a velocità costante per mezzo di un albero; l'angolo di rotazione del disco rappresenta la variabile indipendente che diremo x. Sul disco appoggia una rotellina (collegata a un albero) che ha un bordo a coltello. La disposizione delle parti è tale che la rotellina è a contatto con il disco in una posizione che è sempre su un asse (parallelo all'albero della rotellina) ma le posizioni relative rotella-disco sono diverse secondo la posizione di un albero che fa traslare la rotella o il disco. Secondo la posizione in cui si trova questo albero (che è quello di ingresso della y, cioè della variabile dipendente) la rotellina può trovarsi al centro del disco o alla sua periferia da un lato o dall'altro del disco; la sua distanza dal centro del disco (assunto come origine) misurata lungo la retta su cui si può spostare è quindi compresa fra i valori +R e -R, essendo R il raggio del disco. Se +y è la distanza a un certo istante fra il punto di contatto rotella-disco e il centro del disco, l'albero collegato alla rotella ruoterà con una velocità proporzionale a x (velocità di rotazione del disco) e a +y. L'albero detto avrà quindi una velocità di rotazione v = Kxy, con K costante. Se si fa partire il disco da una posizione x' e lo si fa arrivare a una posizione x", facendo contemporaneamente variare la y come vuole una certa funzione y = f(x), l'albero collegato alla rotellina al termine dell'operazione avrà ruotato di un angolo z dato da:

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e quindi il risultato è l'esecuzione dell'integrale della funzione y = f(x) su un certo campo della variabile indipendente x. È poi facile disporre le cose in modo che la costante K abbia valore unitario. Comunemente il disco ha un diametro dai 4 ai 20 cm; la precisione che si può ottenere con un dispositivo di questo tipo è relativamente elevata: l'errore medio è compreso fra l' 1% e lo 0,1%. Più difficile è l'operazione di derivazione; quando possibile essa viene evitata in quanto è spesso causa di errori. Un dispositivo sovente adottato per la derivazione meccanica è basato sull'attrito fra un fluido in moto laminare e una parete (derivatore ad attrito viscoso). Un recipiente cilindrico pieno di un fluido opportuno è posto su supporti che gli consentono di ruotare liberamente attorno al suo asse; tale rotazione è però contrastata da due o più molle che entrano in tensione non appena il cilindro ruota spostandosi dalla sua posizione di riposo. Al centro del cilindro vi è - immerso in un fluido - un albero; quando questo è posto in rotazione a una certa velocità (espressa come la derivata del suo angolo di posizione rispetto al tempo), anche il fluido entra in rotazione, trascinando il tamburo nel suo moto. Dato che questo è vincolato dalle molle, si sposterà solo di poco, ruotando di un angolo (α) misurabile fino a portarsi in una posizione di equilibrio (coppia esercitata dall'attrito = coppia esercitata dalle forze delle molle). Questa posizione è proporzionale alla velocità istantanea dell'albero (escludendo fenomeni di inerzia), cioè alla derivata rispetto al tempo dell'angolo θ di rotazione dell'albero. Si può pertanto scrivere che:

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ove K è una corrente costante e t è il tempo. Si e ottenuta la derivata di una grandezza rispetto a un'altra (il tempo). La scarsa precisione è dovuta a fenomeni di inerzia che sono trascurati nei calcoli ma sempre presenti. Per quanto riguarda la generazione di funzioni, il dispositivo più semplice è una camma opportunamente sagomata; in casi particolari si possono usare anche altri sistemi. Ad esempio per la generazione delle funzioni trigonometriche, e in particolare del seno e del coseno, è molto diffusa la brida scozzese. Essa è composta da due aste, fra loro perpendicolari, vincolate a muoversi di moto rettilineo, su se stesse. Esse sono poi vincolate mediante l'equivalente di un carrello (vincolo che permette una traslazione e una rotazione) a un perno che può ruotare attorno a un centro P, descrivendo pertanto una circonferenza. La posizione di un riferimento sull'asta orizzontale rispetto a un riferimento sul telaio dà il valore del coseno dell'angolo formato dalla congiungente il perno con P e l'orizzontale per P stesso; analogamente sull'asta verticale si può leggere il valore del seno dello stesso angolo. I c.a. meccanici possiedono spesso una precisione superiore a quelli elettromeccanici e elettronici, ma sono di costruzione difficile e molto delicata, oltre che di manutenzione dispendiosa. Sono quindi superati per la risoluzione di problemi aventi carattere generale; in casi particolari quali la regolazione del carburante sugli aerei, la conversione di sistemi di coordinate, ecc. sono tutt'oggi insuperati e assai diffusi. I c.a. elettromeccanici usano una grande quantità di servo meccanismi e dispositivi identici a quelli del tipo sopra descritto, ma con grande prevalenza di motori, potenziometri, relais, e così via. In realtà la distinzione non è ben netta, in quanto un calcolatore puramente meccanico è pressoché inesistente. Sono il tipo di c.a. più diffuso, per la relativa semplicità di costruzione e manutenzione e per i buoni risultati. Vediamo come esempio un dispositivo elettromeccanico molto diffuso: il derivatore a generatore di corrente continua. Questo generatore che - tanto per semplificare le idee - potrebbe essere una dinamo, fornisce ai morsetti di uscita una tensione che in un ampio campo è proporzionale alla velocità di rotazione dell'albero, e quindi alla derivata dell'angolo di cui tale albero ha ruotato. Anche l'integrazione è possibile con un dispositivo analogo. La precisione che si raggiunge con questi dispositivi può essere molto alta (errore non superiore allo 0,1%). I c.a. elettronici sono invece caratterizzati dal fatto che la totalità (o quasi) dei calcoli è effettuata con metodi elettronici. Consistono quindi essenzialmente di circuiti elettrici ed elettronici variamente connessi. Molto usati sono degli amplificatori operazionali che sono dei gruppi base dei circuiti integratori e derivatori; molto usata è anche la retroazione. Si usa generalmente connettere questi gruppi in grado ognuno di compiere un'operazione o un algoritmo in modo da risolvere una certa equazione o sistema di equazioni differenziali o integro-differenziali. Vediamo come ciò sia possibile con un esempio. Si voglia risolvere l'equazione differenziale

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ove x' rappresenta la derivata della variabile indipendente x rispetto al tempo. Useremo dei gruppi operazionali scelti fra quelli standardizzati e precisamente: due potenziometri (che effettuano la moltiplicazione per una costante minore di uno) e due addizionatori (che danno in uscita una tensione uguale a quella in ingresso moltiplicata per una costante). Supponiamo di avere disponibile una f.e.m. di 50 Volt. Riscriviamo l'equazione in questo modo:

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e diamo a x il significato di una tensione. Supponendo nota la x, basterebbe moltiplicarla per 2 e sommarle una tensione di 5 V per ottenere proprio dx/dt. Il circuito sarà quindi costituito da un integratore (con costanti di moltiplicazione ad esempio 1 e 2) al quale si alimentano + 5 V (ottenuti moltiplicando 50 V per 0,1) sull'ingresso a fattore 1 e il segnale di uscita (che è - x) sull'ingresso a fattore 2. Pertanto l'integratore effettuerà l'integrale di (-2x + 5), cioè esattamente l'integrale di dx/dt, e quindi l'uscita sarà proprio -x (il fatto che il segno sia l'opposto di quello voluto è una particolarità di questo tipo di integratore). Basterà inviare il segnale costituente il -x su un sommatore a costante unitaria (che avrà quindi come solo effetto quello di cambiare il segno) per avere la x cercata. Un altro semplice circuito è quello che esegue il prodotto fra due variabili (che diremo a e b) per mezzo dell'identità:

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mediante due elevatori al quadrato, tre circuiti sommatori a due posizioni e un invertitore di segno. Naturalmente questi esempi sono elementari; con la connessione di molti gruppi si possono risolvere anche molte equazioni assai complesse. La difficoltà principale sta nella stesura di un grafico che esprima la formula e che mostri le connessioni da effettuare per risolvere il problema. Fatto questo, si passa alla connessione vera e propria per mezzo di spinotti che vengono inseriti in terminali generalmente raccolti su un pannello. Questa operazione richiede generalmente un tempo abbastanza lungo e una certa abilità; si ha quindi una scarsa possibilità di passare rapidamente da un problema a un altro di tipo diverso. Per questo motivo i c.a. vengono di solito costruiti per impieghi specifici (e in questo caso si può eliminare, almeno in parte, il pannello delle connessioni) che richiedono la continua esecuzione degli stessi calcoli al variare dei dati di ingresso. In questo caso il problema viene risolto da 10 a 60 volte ogni secondo, con una precisione che mediamente si aggira sul 99,9%. Se un calcolatore di questo tipo è addetto ad esempio al puntamento di una batteria di cannoni su un bersaglio mobile, esso calcola ad esempio 60 volte ogni secondo la traiettoria (ed effettua il puntamento automatico della batteria, se questo è previsto) al variare dei parametri che influenzano il tiro, quali posizione del bersaglio e sua velocità, velocità e direzione del vento, pressione e temperatura dell'aria, ecc. Il c.a. poi può essere connesso con grande facilità a tutte le apparecchiature di misura e di controllo (nel caso precedente radar, barometro, anemometro, ecc.) in quanto queste forniscono di solito dei segnali elettrici che possono essere alimentati direttamente; nei calcolatori numerici si deve invece prevedere una conversione di questi segnali. Per unire i pregi dei due tipi si sono costruiti i cosiddetti calcolatori (elettronici) ibridi (V.).