Sigla della
Confederazione Italiana Sindacati
Lavoratori, costituitasi il 1 maggio 1950. La nascita della
C.
avvenne in seguito alla fusione della LCGIL (Libera Confederazione Generale
Italiana dei Lavoratori) con la FIL (Federazione Italiana del Lavoro)
rappresentanti rispettivamente i lavoratori cattolici e
socialdemocratico-repubblicani, usciti nel 1948 dalla CGIL. Giulio Pastore fu
nominato segretario generale del nuovo sindacato che, poco dopo la sua
costituzione, contava già circa seicentomila iscritti, in grande
maggioranza appartenenti al settore del pubblico impiego. La fusione tra i due
sindacati, nati da una scissione politica di segno anticomunista, risultò
mal riuscita perché l'opposizione di una parte della base
socialrepubblicana, legata alla propria tradizione laica, sconfessò
l'accordo, aderendo alla
UIL (Unione Italiana del Lavoro), sorta in
seguito all'espulsione dalla CGIL dei sindacalisti socialisti del gruppo Romita
che aveva lasciato il PSI. La
C. si trovò pertanto ad essere un
sindacato essenzialmente cattolico, favorito dal governo che, nel 1951,
designò Giulio Pastore a rappresentare l'Italia nel
Bureau
International du Travail nonostante la CGIL rimanesse la Confederazione
sindacale italiana più rappresentativa. Proiezione sindacale di un
partito interclassista di governo, la
C. (che si era data una struttura
organizzativa in senso orizzontale, attraverso le unioni sindacali, e in senso
verticale, attraverso i sindacati e le federazioni nazionali di categoria),
avvertì sin dall'inizio la necessità di dimostrare un certo
margine di autonomia della
C., per essere credibile come sindacato.
Tuttavia, per quanto la tematica autonomistica abbia avuto un notevole peso sin
dagli anni immediatamente successivi alla sua costituzione, essa non si
realizzò sul piano pratico e il passaggio dalle enunciazioni teoriche a
concrete misure di indipendenza fu lento e contraddittorio e poté dirsi
concluso solo verso la fine degli anni Sessanta. Nata sotto l'insegna
dell'anticomunismo, alla
C. aderì immediatamente l'omonima
organizzazione sindacale internazionale e fu ammessa all'Organizzazione
Internazionale dei Sindacati Liberi (ICTFU), sotto controllo americano. Nel
corso del ventennio successivo essa passò attraverso fasi contrastanti
nella sua attività sindacale. Nella prima fase di rottura con la CGIL,
furono prevalenti i motivi politici, in gran parte di origine internazionale,
che ne avevano determinato la nascita. Negli anni immediatamente successivi, la
massima preoccupazione dei suoi dirigenti sembrò quella di evitare tutto
ciò che potesse procurare delle difficoltà al governo, rinunciando
in tal modo a qualsiasi impegno rivendicativo. Né poteva essere
diversamente, dato che non vi era una precisa linea di separazione tra partito e
sindacato e nel 1953 vennero eletti in Parlamento nelle liste democristiane ben
23 dirigenti della
C. Inoltre, nonostante cominciassero a levarsi voci di
protesta per le interferenze padronali nelle elezioni per le commissioni
interne, durante l'intero arco degli anni Cinquanta la
C. poté
contare sull'appoggio padronale, sia nelle piccole che nelle grandi aziende.
Seguì poi una fase di più concreta attività che le
consentì di rendersi politicamente sempre più autonoma e di
sviluppare una serie di lotte unitarie con la CGIL e la UIL. L'anno di passaggio
alla seconda fase può essere considerato il 1958 quando, per mettere fine
a una situazione che gettava discredito sul sindacato "bianco" lo stesso
segretario Pastore si recò a Torino in vista delle elezioni alla FIAT per
respingere l'interferenza della direzione aziendale e rivendicare garanzie alla
libertà di voto. Il prezzo pagato fu l'uscita dalla
C. di 100 dei
114 rappresentanti che aveva nella commissione interna e la fondazione di un
sindacato aziendale autonomo (SIDA) che raccolse la grande maggioranza nei voti,
mentre la rinnovata FIM-
CISL ottenne appena settemila voti e gli iscritti
nella provincia di Torino si riducevano da quindicimila a un migliaio. Non
più pesantemente condizionate da interferenze padronali, le forze rimaste
costituirono a Torino il nucleo delle nuove leve cisline che, nel giro di pochi
anni, fecero della FIM (Federazione Italiana Metalmeccanici) un'avanguardia
molto combattiva, particolarmente interessata a portare avanti il dibattito
sull'unità sindacale. Il passaggio alla nuova fase fu inoltre
contrassegnato dall'assunzione della segreteria generale da parte di Bruno
Storti in sostituzione di Pastore, entrato al governo come ministro della Cassa
per il Mezzogiorno. Un decisivo rifiuto a ogni copertura al governo centrista
venne al Congresso di Firenze del marzo 1959, in cui i delegati come Carlo
Donat-Cattin, segretario della
C. di Torino, attaccarono duramente il
governo Segni, mentre il discorso sull'unità sindacale rimaneva ancora
circoscritto alle frange più giovani e combattive della FIM-
CISL
(in particolare quella lombarda capeggiata da Pierre Carniti) che cominciavano a
contestare vivacemente le titubanze dei dirigenti. La costituzione nel 1962 del
primo governo aperto ai socialisti favorì anche il dibattito
sull'unità sindacale e cominciarono ad esserci iniziative unitarie di
lotta contrattuale, soprattutto tra i metalmeccanici. All'inizio degli anni
Sessanta la
C. elaborò un piano tendente a favorire lo sviluppo
economico e a modificare gli equilibri sociali. Tale piano, basato sulla teoria
del "risparmio contrattuale", consisteva nella richiesta di un nuovo accordo sul
sistema contrattuale, tale da consentire di immettere sul mercato degli
investimenti una parte degli aumenti salariali ottenuti dai lavoratori. La
proposta fu accolta favorevolmente dal ministro del Lavoro, ma incontrò
l'opposizione della CGIL e dei partiti di sinistra e, dopo alcuni anni, il
progetto fu abbandonato dalla stessa
C., che nel frattempo era andata
evolvendo dalle precedenti posizioni "partecipazionistiche" e
"produttivistiche". Nello stesso periodo, posta di fronte al problema della
programmazione economica, la
C. pur manifestando la propria
disponibilità, respingeva ogni ipotesi del "blocco salariale" e ribadiva
la propria opposizione ai progetti di riconoscimento giuridico dei sindacati che
avrebbero posto gravi impedimenti alla loro attività rivendicativa. Non
si mostrò tuttavia contraria a una collaborazione al Piano Economico
quinquennale e, in questo senso, si svolse la relazione del segretario Storti al
Congresso Nazionale convocato a Roma nell'aprile 1965. La linea Storti
incontrò tuttavia vivaci critiche da sinistra, espresse soprattutto dal
segretario della FIM-
CISL, Macario, e da Donat-Cattin. Contemporaneamente
veniva presa una più precisa posizione in favore dell'unità
sindacale, concretatasi nel gennaio 1966, con l'accettazione di aderire alla
proposta della CGIL per una serie di incontri ufficiali, proponendo come temi di
discussione le cosiddette "premesse di valore": difesa della personalità
umana, accettazione del metodo democratico, autonomia sindacale. Il problema
dell'autonomia politica portò alla proposta dell'abbandono delle cariche
di partito da parte di quei dirigenti impegnati sia nel partito che nel
sindacato. Nella primavera del 1966, la
C., insieme con le altre due
confederazioni, diede vita agli incontri unitari per quello che fu definito
l'"accordo quadro". Questi incontri diedero un contributo obiettivo al discorso
politico unitario, nonostante le pressioni interne ed esterne e la presa di
posizione contraria della
C. internazionale, dominata dal gruppo
americano dell'ALFCIO, che, al Congresso tenutosi ad Amsterdam nel luglio 1965
aveva ribadito che le posizioni dei "sindacati liberi" verso i sindacati
occidentali controllati dai comunisti non erano mai state "così lontane
le une dalle altre". I colloqui tra i dirigenti delle tre centrali sindacali
ebbero ripercussioni immediate e profonde tra i lavoratori, accentuando lo
spirito unitario di base. Nel 1966, per la prima volta, i sindacati dei
metalmeccanici presentarono una piattaforma unitaria e la FIM-
CISL si
pose per la prima volta alla sinistra dell'intero schieramento sindacale
proponendo che gli scioperi proclamati proseguissero anche durante le
trattative. I nuovi fermenti che agitavano il sindacato cattolico trovarono
alimento in organismi collaterali come le ACLI che tra le linee di sviluppo da
perseguire ponevano al primo posto l'unità sindacale. Il discorso
unitario procedette tuttavia stentatamente, subendo i contraccolpi della
situazione politica, mentre nelle fabbriche andavano manifestandosi nuovi
fermenti che sfociarono nella contestazione del 1968-69 e nel distacco di larghe
frange dalle centrali sindacali. Nella primavera del 1968, sotto la spinta del
Movimento Studentesco, si costituirono i primi Comitati Unitari di Base (CUB),
in cui confluirono anche alcuni gruppi che sino allora avevano svolto un'azione
minoritaria di punta nella
C.. La sua più importante punta
avanzata rimaneva comunque la FIM che non mancò di cercare il dialogo
anche con la nuova sinistra di base e, al congresso del giugno 1969,
confermò il proprio assoluto distacco da ogni vincolo di collaborazione
con la DC. Meno netta la posizione della
C. nel suo complesso, che al
Congresso di Roma si spaccò in due, anche se Storti, confermato
segretario generale, lasciò intendere di tenere soprattutto conto delle
indicazioni espresse dalla "sinistra", cioè delle categorie industriali,
per una linea rivendicativa più avanzata, autonoma e unitaria.
Seguì il famoso "autunno caldo" che favorì il processo unitario,
così che dall'inizio degli anni Settanta le tre Confederazioni sindacali
si presentavano in un modo nuovo, cementate, oltre che dalle comuni lotte
salariali, dalle comuni lotte politiche, contro la "strategia della tensione".
Nel luglio 1972 nasceva la Federazione unitaria CGIL-
C. -UIL, guidata da
una segreteria di quindici membri, cinque per ogni Confederazione. Il processo
verso l'unità più organica procedette non senza incontrare
contrasti all'interno della
C., dove spinte antiunitarie continuarono a
venire dalla destra raccolta attorno a Scalia, rappresentante soprattutto il
settore contadino e il settore del pubblico impiego, in contrapposizione alle
categorie dell'industria del Nord. Negli anni seguenti però anche queste
resistenze antiunitarie venivano meno e si può dire quindi che, a partire
da questi anni, l'azione sindacale della
C. ha trovato espressione negli
orientamenti della Federazione sindacale Unitaria
(V. SINDACATO). Nel
settembre 1976 Luigi Macario subentrava a Bruno Storti alla guida della
C., carica che manteneva fino al 1979. Eletto infatti senatore, veniva
sostituito da Pierre Carniti. Nel 1981 Carniti avanzava, su proposta
dell'economista Ezio Tarantelli, un progetto di raffreddamento della scala
mobile che incontrava la dura opposizione della CGIL e di una parte della base.
Nel 1985 il referendum sulla contingenza decretava la fine della Federazione
unitaria CGIL
C. e UIL. Nello stesso anno Carniti, leader dei
metalmeccanici nell'
autunno caldo, lasciava la segreteria generale a
Franco Marini. In seguito la
C. seguiva una linea di più morbida
contrapposizione alla Confindustria, dimostrando una maggiore attenzione alle
esigenze del mercato. Nel 1991 Sergio D'Antoni prendeva il posto di Marini. I
primi anni Novanta, caratterizzati dall'aggravarsi della crisi
economica-finanziaria, vedevano il sindacato impegnato nella discussione sul
costo del lavoro, mentre le drastiche misure imposte dalle leggi finanziarie -
governo Andreotti (1991) prima, Amato in seguito (1992) - spingevano i tre
maggiori sindacati a indire scioperi nazionali. In tema di scala mobile, la
C. si mostrava intenzionata a lasciar cadere il vecchio sistema di
indicizzazione, purché venisse garantito ai lavoratori un salario minimo.
Nel 1992 veniva raggiunto tra i sindacati e la Confindustria l'accordo sul costo
del lavoro, culminato nella decisione di sopprimere, a partire dal gennaio 1993,
la scala mobile. L'accordo avviava una profonda spaccatura tra base e vertici
sindacali, mentre cresceva il malcontento per la politica economica del Governo.
L'ala più estremista dei sindacato esigeva dai dirigenti una posizione
più dura con il Governo. Nonostante queste divergenze D'Antoni veniva
riconfermato alla guida del sindacato nel luglio del 1993. Nel novembre del
1999, il segretario generale D'Antoni lasciava la dirigenza per entrare in
politica lasciando la guida della
C. a Savino Pezzotta.