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Bullionismo.

Econ. - Termine usato per indicare la prima fase del mercantilismo (risalente ai secc. XVI-XVII), in cui la ricchezza di un Paese veniva identificata con la quantità di riserve monetarie in oro e argento disponibili. In senso più particolare, il termine si riferisce a una teoria della scuola monetaria. Nei primi anni del XIX sec. si assistette, in Inghilterra, a una vivace controversia sulla moneta che vide schierati da un lato gli economisti teorici, dall'altro i pratici e i rappresentanti della Banca d'Inghilterra. I primi, che furono chiamati bullionisti, sostenevano che quando la moneta si deprezza in termini aurei, e di conseguenza peggiorano i cambi con l'estero, ciò è dovuto a un'eccessiva circolazione monetaria. Quindi, all'interno di un regime di corso forzoso, è assolutamente necessario regolamentare i biglietti, facendo sì che la circolazione non superi quella che si avrebbe in regime di convertibilità. Inoltre è anche opportuno che le banche detengano una percentuale di copertura relativamente costante, rispetto alla circolazione. Gli antibullionisti sostenevano invece che un deprezzamento dei biglietti, rispetto all'oro, non significava, di per sé, un eccesso di circolazione della moneta; secondo loro infatti l'emissione di biglietti non è mai da ritenere eccessiva, quando avviene per esigenze commerciali e a scapito di buone garanzie commerciali a breve termine. I bullionisti ebbero la meglio all'interno della controversia con Bullion-Report, nel 1810. La questione rimase tuttavia aperta e i criteri di politica monetaria e creditizia costituirono uno dei temi più dibattuti tra la scuola monetaria e la scuola bancaria.