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Bipartitismo.

(o sistema bipartìtico). Sistema politico (che si contrappone a quello pluripartitico e a quello monopartitico) basato sulla presenza di due partiti, caratteristico dei sistemi elettorali maggioritari a turno unico. Di solito i sistemi politici occidentali, a democrazia rappresentativa, vengono classificati in due gruppi: bipartitici e pluripartitici. Tale classificazione non esclude però che anche nei sistemi pluripartitici spesso sia dominante la tendenza dualistica o bipolare. In questo caso si assiste al prevalere nella dialettica politica di una forte demarcazione ideologica che - delineando una fondamentale bipartizione - coagula e oppone le varie forze di partito intorno a schieramenti alternativi: destra e sinistra, conservazione e progressismo, moderatismo e radicalismo. In questo caso sarebbe comunque più appropriato parlare di "bipolarismo", ed è la situazione creatasi recentemente in Italia in seguito alla riforma elettorale che ha abrogato il proporzionalismo introducendo un sistema prevalentemente uninominale maggioritario. Il b. (two parties system), caratteristico dei Paesi anglosassoni, trova oggi le sue applicazioni paradigmatiche in Gran Bretagna, in Canada, negli Stati Uniti. In questi sistemi, che hanno il pregio di garantire grande stabilità all'esecutivo (a differenza dei sistemi partitici fortemente frammentati che richiedono la formazione di governi di coalizione), il partito di maggioranza detiene stabilmente le redini del governo per l'intera durata della legislatura, mentre quello di minoranza esercita la funzione di critica e di controllo dell'operato del governo attraverso l'opposizione. In Gran Bretagna questo ruolo è considerato a tal punto essenziale, ai fini di una corretta dialettica democratica, da esservi riconosciuto ufficialmente: poco prima dell'ultima guerra, infatti, è entrato a far parte integrante del sistema costituzionale, tanto che è prevista la corresponsione di un appannaggio speciale al leader dell'opposizione affinché sia agevolato nello svolgimento del suo alto compito istituzionale. Pertanto, nei sistemi bipartitici si istituisce sovente una naturale - e autenticamente democratica - dialettica dell'alternanza tra partito di maggioranza e partito di opposizione, un movimento "pendolare" che consente periodicamente ai due partiti di avvicendarsi alla guida del governo, consentendo il salutare ricambio della classe dirigente. Tuttavia non esistono sistemi bipartitici perfetti, dato che - a fianco dei due partiti maggiori che si contendono il potere - si collocano in genere gruppi minori, attenuando in taluni casi la distinzione tra b. e pluripartitismo. Ad esempio, per quanto il sistema americano sia tipicamente dualista, negli Stati Uniti, dietro ai due maggiori schieramenti che si contendono il potere, sono presenti numerosi partiti minori: laburista, socialista, comunista, contadino, progressista, delle pantere nere, ecc. Spesso queste formazioni minori giocano un ruolo importante nelle assemblee dei singoli Stati o in quelle municipali, riverberando gli effetti della loro azione anche sul piano della politica federale. Anzi, gli schieramenti minori possono spesso contare su una solida struttura partitica e su un radicamento territoriale più circoscritto ma meglio definito e rispondente a interessi e aspirazioni specifiche, che non i due partiti che si contendono il potere. Infatti, i due maggiori partiti americani devono necessariamente ricomprendere in sé istanze e dottrine del tutto eterogenee per rispondere alle esigenze di un elettorato vastissimo e composito. In fin dei conti i massimi partiti finiscono per svolgere il ruolo di gigantesche macchine per la conquista delle cariche politiche e amministrative e per la designazione dei candidati nei pre-scrutini veri e propri. I partiti britannici sono invece più vicini al concetto classico di partito politico, ma - rispetto a un criterio ideale di perfezione del sistema bipartitico - la questione è ancora più delicata e complicata che negli Stati Uniti, come rileva Maurice Duverger (I partiti politici, 1961). A fianco dei partiti conservatore e laburista è infatti presente il partito liberale, che si rifà a una vecchia e solida tradizione, ancora corrispondente all'opinione di una parte significativa della popolazione britannica. Tra i Paesi non anglosassoni, il b. è presente in Turchia, e anche in America latina, dove - nota Duverger - "è rilevabile una generale tendenza al b., molto spesso deformata e contrastata dalle rivoluzioni, dai colpi di Stato, dalle manipolazioni elettorali e dalle lotte di clan che caratterizzano la vita politica di quel continente". Quanto all'Europa occidentale, Duverger rileva che, per quanto il sistema bipartitico fosse ufficialmente assente, due Paesi, ossia la Germania e l'Italia, dimostravano una tendenza assai spiccata alla sua realizzazione. Infatti, dietro a un apparente pluripartitismo, "la lotta politica si circoscrive a due grandi formazioni decisamente sproporzionate rispetto alle altre: partito socialista e cristiano-democratico in Germania; partito comunista e democratico-cristiano in Italia". Di più, secondo il Duverger, il movimento "naturale" della società occidentale inclinerebbe comunque al b., poiché - anche laddove il sistema bipartitico non sia ancora realizzato - prevale un "dualismo di tendenza". Non poche sono state le critiche e le contestazioni rivolte alla tesi e alla classificazione proposta a suo tempo da Duverger, e fatta propria in certa misura da G. Galli che, a proposito della situazione italiana, parlava di "b. imperfetto", data la presenza a quell'epoca di due partiti, come il PCI (oggi sostituito dal Partito democratico della Sinistra) e la DC (oggi frantumata nel Partito popolare e nel Centro cristiano democratico), sovrarappresentati sul piano politico-elettorale (Il Bipartitismo imperfetto, 1966). Tra gli studiosi che consideravano carente o inesatta questa tesi figurava G. Sartori (Bipartitismo imperfetto o pluralismo polarizzato?, 1967), secondo cui l'Europa occidentale conosce non due, ma tre tipi di sistemi di partito: il pluralismo semplice (b.), il pluralismo moderato (bipolare); il pluralismo estremo (multipolare). Infatti, se in riferimento alla situazione della ex Repubblica Federale Tedesca, del Belgio, della Svezia e di altri Paesi più piccoli, poteva valere un' interpretazione in chiave di dualismo di tendenza, lo stesso non si poteva dire della Francia e dell'Italia, tale da dover essere inclusa nel novero dei sistemi di pluripartitismo estremo. Quando si parla di sistema bipolare si intende che il sistema partitico s'impernia su due poli, indipendentemente dal numero effettivo dei partiti, cioè anche se i partiti, anziché essere due, sono molti di più. È ovvio, quindi, che i partiti si aggregano intorno ad alleanze, coagulandosi in due poli. In questo caso il sistema non ha un centro politico, intorno al quale far convergere le alleanze e sul quale imperniare il sistema. I sistemi bipolari tendono comunque a convergere verso il centro (sono perciò centripeti), caratterizzando l'orientamento politico in senso moderato; mentre i sistemi multipolari tendono a essere centrifughi, con accentuazione estremistica delle posizioni e assenza di un consenso di base. Quindi l'esperienza europea, escludendo i regimi a partito unico, si articola in tre tipi di sistema partitico. Di questi il b. o pluripartitismo semplice risulta la soluzione più funzionale a patto che s'innesti su una cultura politica omogenea e che l'orientamento dell'elettorato sia tale da garantire l'alternanza di governo. Si tratta, come rileva Sartori, di condizioni non facili, come del resto è confermato dal fatto che in tutto il mondo i sistemi bipartitici sono al massimo una decina, quasi tutti imperfetti. Se però vengono soddisfatte le condizioni-base per un corretto assetto democratico, il b. rappresenta senz'altro il sistema di democrazia rappresentativa di tipo occidentale ideale, in quanto "non solo beneficia della stimolazione ragionevole di un'opposizione responsabile", ma scoraggia dalle avventure "ideologiche" e costringe i partiti a perseguire una politica di flessibilità "aggressiva". Questo, ovviamente, a patto che il sistema bipartitico funzioni a dovere, altrimenti le conseguenze di un suo malfunzionamento possono rivelarsi anche più gravi che in altri sistemi. Quando funziona a dovere il sistema bipartitico svolge un compito di integrazione, ossia "tende a unire più che a dividere, e si presta assai bene ai cambiamenti ordinati, graduali e realistici". Il pluralismo estremo è, per contro, la soluzione meno vitale e peggio funzionale, paralizzato com'è dalla complicazione bizantina delle sue linee di divisione, dall'instabilità e, soprattutto, dall'eterogeneità delle coalizioni di governo. Inoltre, deve fronteggiare l'azione di forti partiti anti-sistema, che danneggia l'andamento complessivo dell'assetto istituzionale. Per gran parte dei Paesi, la soluzione più congeniale e soddisfacente rimane quella del pluralismo moderato, da un lato perché più facilmente conseguibile del b. in quanto richiede meno condizioni per la sua realizzazione, dall'altro perché consente di non perdere i benefici di una meccanica bipartitica. Pertanto, si può dire che "i sistemi a tre-quattro partiti rimpiazzano vantaggiosamente i sistemi bipartitici in tutte quelle circostanze in cui il b. è inapplicabile o, comunque, rischia di fare più male che bene". Esso è però più esposto del b. alle tentazioni di evolvere verso il pluralismo estremo: ma l'esperienza ha in genere dimostrato, come nel caso della Norvegia e della Svezia, che una volta arrivati al consolidamento strutturale, il pluralismo moderato è in grado di assicurare l'alternanza di coalizioni bipolari. Il b., come dimostra l'esempio dell'Austria, può essere imposto dall'alto, anche se ciò richiede il sostegno di un sistema elettorale rigorosamente uninominale. Infatti, come nota il Duverger, uno dei sistemi che consentono con maggiore efficacia di tenere in vita un b. stabile, contro le scissioni dei vecchi partiti e il sorgere di partiti nuovi, è il sistema elettorale maggioritario a turno unico. Tale sistema può, inoltre, favorire la creazione del b. anche nei Paesi pluripartici, soprattutto se in essi è in atto una tendenza dualistica già abbastanza netta. Infatti, lo scrutinio maggioritario a turno unico ha come effetto la progressiva distruzione dei partiti di dimensioni minori.