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Beethoven, Ludwig van.

Compositore tedesco. La sua famiglia, di modeste condizioni, era di origine fiamminga: fu il nonno Ludwig, nato a Malines nel 1713, a stabilirsi a Bonn, come maestro di cappella dell'elettore. Il padre, Johann (1740-1792), cantore di corte, sposò nel 1767 Maria Maddalena Kewerich: dei loro sette figli soltanto tre sopravvissero e il più anziano di questi fu Ludwig. All'età di quattro anni, B. fu avviato allo studio del pianoforte dal padre, il quale era a ciò spinto dal desiderio di farne un bambino prodigio, un secondo Mozart. Il debutto in pubblico avvenne a poco più di sette anni di età, a Colonia: il piccolo B. si esibì come clavicembalista solista e in un trio; il successo ottenuto decise della sua carriera. Per qualche tempo studiò violino e viola con Rovantini, e organo con Zensen, organista del Duomo; poi, il padre lo affidò a Christian Neefe, organista della cappella dell'elettore e direttore dell'orchestra del Teatro nazionale. Grazie a Neefe gli studi del ragazzo, condotti fino ad allora senza grande discernimento, ebbero un'impostazione più sistematica. Nell'ambiente di Bonn, B. poté conoscere la musica dei maestri viennesi e francesi, nonché le composizioni religiose, sinfoniche e da camera di Pergolesi e Caldara. A quattordici anni di età ottenne il suo primo incarico indipendente, quello di organista aggiunto e di suonatore di viola; tre anni più tardi, il vescovo elettore lo mandò a studiare a Vienna a sue spese. Poco dopo il suo ritorno a Bonn, gli morì la madre. Il padre era ormai alcoolizzato a tal punto che le retribuzioni del suo lavoro venivano pagate al figlio, il quale, a diciannove anni, divenne il vero capo della famiglia. Grazie all'aiuto dell'elettore, nel 1792 B. tornò di nuovo a Vienna, ove studiò dapprima sotto Haydn e poi con l'eminente contrappuntista Albrechtsberger, senza rivelarsi in verità buon allievo con nessuno dei due. Le sue relazioni con Haydn, in particolare, mostrano le differenze sostanziali tra il vecchio mondo musicale e il nuovo che B. stava per inaugurare: mentre Haydn era scrupoloso, cortigiano e deferente, B. era ribelle, intollerante verso ogni freno. Il primo a dichiararsi disorientato dalle improvvisazioni alla tastiera e soprattutto dalle prime composizioni pubblicate fu proprio Haydn, che dopo avergli impartito qualche lezione lo abbandonò con la scusa di un viaggio a Londra. I tre trii per piano, violino e violoncello, contrassegnati come Op. 1 (il che equivaleva a un ripudio ufficiale di tutte le precedenti composizioni), erano dedicati al principe Lichnowsky, suo generoso protettore; non ne mancavano altri, in verità: lo strettissimo legame di parentela (erano fratelli) tra l'Elettore di Bonn e l'imperatore Giuseppe II aveva facilitato non poco a B. l'accesso ai circoli più aristocratici della città imperiale. La nobiltà viennese gli aprì le sue sale, apprezzandolo come compositore di musica da camera (ben 13 sonate per pianoforte fino al 1800 e 6 quartetti) e, più ancora, ammirando l'impeto e l'originalità delle sue interpretazioni e la brillante vena d'improvvisatore. Dopo i penosi anni di Bonn, trascorsi in ristrettezze finanziarie, questi, in cui sembrava arridergli una brillante carriera, furono i primi e forse gli unici anni sereni della sua vita. Frequentava le casate nobili più in vista e le fanciulle dell'alta società si disputavano le sue lezioni; si innamorò di alcune allieve (Giulietta Guicciardi, dedicataria della celebre sonata per pianoforte Al chiaro di luna, Bettina Brentano, Teresa Malfatti e altre ancora). Nel 1796 B. eseguì una serie di concerti in Germania, toccando tra l'altro Norimberga, Dresda e Berlino, ove suonò alla presenza di Federico Guglielmo II; poi non uscì più dai confini dell'Austria, non abbandonò Vienna se non per brevi soggiorni estivi a poca distanza dalla capitale asburgica (di preferenza sceglieva Teplitz). A 26 anni insorsero, allarmanti, i primi sintomi della tragica infermità che finì per privarlo totalmente dell'udito; tale sciagura devastò l'esistenza di B., isolandolo alla fine nel regno del silenzio più assoluto. Fin che poté, tentò disperatamente di nascondere al mondo intero il proprio dramma, il che esasperò il suo stato psichico perennemente teso in un'ansia sospettosa e rese ancor più difficili i suoi quotidiani rapporti sociali. Nel 1808 la sordità aveva fatto tali progressi che egli poteva sostenere una conversazione solo con grande difficoltà; nel 1814, già non gli riusciva quasi più di sentire la musica da lui stesso eseguita al pianoforte; nel 1819, infine, il musicista dovette rinunciare alla direzione dell'orchestra. Quando fu sordo del tutto, prese l'abitudine di comunicare col prossimo mediante taccuini: si tratta dei famosi Quaderni di conversazione sui quali i visitatori scrivevano le loro domande; B., di solito, rispondeva a voce. Ben prima di giungere a tale stato di amara rassegnazione, era scoppiata acutissima la crisi della sordità; nell'estate 1802 meditò a lungo il suicidio e indirizzò ai fratelli la famosa lettera nota come Testamento di Heiligenstadt (rustico ritiro alle porte di Vienna ove tale lettera venne vergata). Poi, la ricchezza della sua vita interiore e la passione per l'arte gli diedero la forza di vivere e di esprimersi in forme di ineguagliabile bellezza. Significativo il fatto che proprio nei tempi di poco posteriori al testamento si ebbe l'esplosione del sinfonismo beethoveniano, culminato con l'Eroica, monumento dell'epos umanitaristico espresso in suoni. La Terza sinfonia (l'Eroica, appunto, cioè l'op. 55 in mi bemolle maggiore), del 1804, rappresenta qualcosa di radicalmente nuovo rispetto ai modelli del passato; segue di soli due anni la Seconda sinfonia, ma segna un gigantesco passo in avanti nel dominio dell'esposizione strumentale e della profondità psicologico-musicale. Essa recava questa dedica: "Sinfonia grande, intitolata a Bonaparte"; per B., repubblicano convinto, Napoleone sintetizzava le nuove aspirazioni politiche portate alla vittoria dalla Rivoluzione francese. La dedica venne soppressa quando Napoleone si autoproclamò imperatore. La dirompente carica eroica rimase, comunque, in questa musica che contiene un messaggio destinato a diffondersi tra l'umanità con l'ineluttabilità stessa di quello della Rivoluzione del 1789. Di poco posteriore (1806) è il Fidelio, unica opera teatrale di B., la cui vicenda si svolge in un carcere ed è imperniata sui temi della fedeltà coniugale e dell'insopprimibile anelito alla libertà. Nel 1808 ebbe luogo la prima esecuzione della Quinta sinfonia, caratterizzata da smaglianti sonorità orchestrali, ritmi scattanti, drammatica concisione: una trascrizione musicale della concezione beethoveniana della vita come lotta. Nello stesso anno Gerolamo Bonaparte, re di Westfalia, gli offrì il posto di maestro di cappella di corte a Cassel; ma B. preferì restare a Vienna, anche perché l'arciduca Rodolfo e i principi Lobkowitz e Kinsky si impegnarono a garantirgli una rendita annua di 4.000 fiorini. In realtà, però, la sua situazione finanziaria non fu mai veramente florida. Del resto, le guerre napoleoniche e l'occupazione francese di Vienna provocarono una crisi notevole nell'economia europea: gli assegnamenti dei nobili mecenati venivano spesso a mancare e quando ritornavano risultavano polverizzati dall'inflazione. L'"entourage" di B., nel frattempo, era cambiato: i nobili mecenati del passato erano morti o persi di vista, lontani gli amici di giovinezza, e accanto al maestro era rimasto un ristretto gruppo di persone d'estrazione sociale e culturale disparata, ma tenute insieme dall'amore per la musica; fra tutti, particolarmente servizievole fu Schindler, un avvocato mancato, poi violinista e direttore d'orchestra, infine factotum zelantissimo, ancorché invadente, di B., cui rimase accanto fino alla morte. Nel 1822 nacque la Messa solenne, op. 123 in re maggiore, e l'anno dopo la Nona sinfonia op. 125 in re maggiore, il cui finale, su testo di Schiller, è un inno trionfale alla gioia e alla fraternità. Gli ultimi cinque quartetti vennero scritti nel triennio 1824-26; e fu nel dicembre del 1826 che B., di ritorno da un burrascoso soggiorno in casa dell'unico fratello che gli era rimasto, si ammalò di polmonite e cirrosi epatica. Sopraggiunse, infine, l'idropisia che lo stroncò nel 1827. I funerali si svolsero in forma solenne e Grillparzer scrisse l'orazione funebre; i resti del musicista riposano ora nel cimitero di Vienna. Con B. si chiuse la schiera dei grandi classici viennesi e le sue composizioni segnarono la fine di un periodo; per molti aspetti, però, egli campeggia sulla soglia della nuova era musicale, quella romantica. B. fu il primo ad affidare alla musica strumentale il compito d'esprimere emozioni e atmosfere; per far ciò fu costretto a infrangere le regole classiche, che non permettevano alla musica di avere un contenuto "non-musicale". Una delle sue più caratteristiche rotture con il passato fu l'abbandono del minuetto (a ritmo di danza) e la sua sostituzione con lo scherzo libero; un'altra fu l'abbandono della forma classica della sonata: per renderla più espressiva, cambiò il numero canonico dei tempi (tre), componendo sonate di due, cinque, sei e anche sette tempi. Con i classici B. condivise il desiderio della semplicità e della chiarezza, e perciò non fece mai uso di armonie ricche e cangianti, ma amò lo sviluppo ampio e poderoso. Il dinamismo delle sue composizioni viene creato anche dai crescendo e dai diminuendo orchestrali, per la prima volta da lui usati nella pienezza dei loro effetti, così che i diversi temi delle sue composizioni paiono affrontarsi tra loro in autentiche battaglie di giganti. Gli ultimi quartetti per archi, composti per il principe russo Galitzin, e le ultime sonate pianistiche, specie la ciclopica sonata op. 106, nata in tre anni di accanito travaglio creativo, si spingevano ben oltre le normali capacità di comprensione della generazione contemporanea e di quelle immediatamente successive. Il fatto è che soprattutto nella stagione creativa intermedia la gamma dell'espressione beethoveniana si ripartiva in nette zone d'oscurità e di luce, rifuggendo dall'ombreggiatura ambigua e dalla sfumatura allusiva; al contrario, l'estrema testimonianza dell'arte di B. appare orientata proprio verso una sempre maggior sfaccettatura espressiva; tutto, nell'ultimo B., diviene variazione, tutto, cioè, è sottoposto all'azione a un tempo disgregante e rigenerante della mutazione integrale, sì da dar luogo a volte, come nelle Variazioni su un valzer di Diabelli (del 1823), a una prodigiosa proliferazione sulla traccia di un unico, elementare schema armonico. Tanto più, poi, che alla variazione qui si aggiunge il contrappunto, come nella già ricordata sonata op. 106 e nella Nona sinfonia, che richiese ben nove anni, a partire dal 1815, per la sua definitiva stesura. La produzione beethoveniana comprende: 9 sinfonie (della decima esistono solo scheletrici appunti), 32 sonate per pianoforte (tra cui quelle soprannominate Patetica op. 13; Al chiaro di luna op. 22 n. 2; Pastorale op. 28; Appassionata op. 57), 10 sonate per violino e pianoforte, 16 quartetti per archi, 7 concerti per strumento solista e orchestra; oltre a innumerevoli Lieder per canto e pianoforte, numerosi trii per violino, violoncello e piano, musiche di scena per vari drammi (fra cui quella per l'Egmont di Goethe) (Bonn 1770 - Vienna 1827).
Beethoven ritratto da Willibrord Joseph Mahler (Vienna, Gesellschaft der Musikfreunde)