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Balbo, Cesare.

Storico e uomo politico. Figlio del conte Prospero, ambasciatore del re di Sardegna a Parigi e di Enrichetta Taparelli d'Azeglio, dopo aver seguito il padre in Francia, fondò nel 1802 a Torino, col fratello Ferdinando e alcuni coetanei (L. Provana del Sabbione, L. Ornato e C. Vidua), l'Accademia dei Concordi, di tendenza romantica e neoguelfa. Durante la dominazione napoleonica ricoprì numerosi incarichi pubblici: nel 1807 al Consiglio di Stato a Parigi, poi al Governatorato di Toscana nel 1808; fu segretario della Consulta per l'amministrazione imperiale in Roma nel 1809, quindi liquidatore dei conti di Lubiana e presso il ministero di Polizia a Parigi. Caduto l'Impero di Napoleone nel 1814, seguì il padre a Madrid dove nel 1817 scrisse gli Studi sulla guerra d'indipendenza di Spagna e di Portogallo, pubblicati solo nel 1847. Rientrato nell'esercito sardo non condivise il pensiero di Santorre di Santarosa, rimanendo fedele al suo lealismo monarchico, convinto che il mezzo migliore per dare vita a un sistema costituzionale sul modello inglese fosse un riformismo graduale concesso dal sovrano stesso. Si mantenne quindi estraneo ai moti rivoluzionari del 1821 ma, sebbene non iscritto a società segrete, fu perseguitato e costretto all'esilio. Rientrato in patria nel 1824, fu relegato al confino nel suo castello fino al 1826. In questi anni si dedicò agli studi storici che continuò anche dopo il rientro a Torino (Storia di Italia sotto i barbari, 1830; Vita di Dante, 1839; Pensieri sulla Storia d'Italia, pubblicati postumi; Meditazioni storiche, 1842-45; Sommario della storia d'Italia, 1846). In queste opere, nelle quali punti fondamentali risultano essere l'indipendenza dell'Italia e la funzione della religione cristiana come fonte di energia morale, egli si proponeva di contribuire alla educazione politica della Nazione. Tra i maggiori rappresentanti del neoguelfismo moderato, B. espresse il suo pensiero politico nella forma più lucida nelle Speranze di Italia (1844): appoggiando le tesi del Primato di Gioberti, sostenne che l'indipendenza dell'Italia si sarebbe ottenuta dopo la disgregazione dell'Impero turco, quando le potenze europee avrebbero costretto l'Austria, per equilibrare la sua espansione orientale antirussa, a cedere il Lombardo-Veneto al Piemonte. Nel Sommario della Storia d'Italia, B. ribadì ulteriormente il motivo della indipendenza dallo straniero. Scrisse anche un volume di racconti Novelle narrate da un maestro di scuola, dove narrò i casi di gente umile sullo sfondo delle invasioni straniere e delle guerre napoleoniche. Rientrato nella vita politica attiva, fu nominato da Carlo Alberto presidente del ministero costituzionale per tre mesi fino al luglio 1848. Capeggiò in seguito il gruppo liberale conservatore dei deputati opponendosi alla legge Siccardi nel 1850 e alla legge Boncompagni nel 1852. Dopo l'ascesa al potere di Cavour, si ritirò a vita privata (Torino 1789-1853).
Cesare Balbo