Movimento politico italiano fondato da Giuseppe Mazzini nel
marzo del 1853, in seguito alla trasformazione dell'"Associazione nazionale
italiana", sancita col
Manifesto agli Italiani. Il
P. d'A.,
diretto da un organismo residente a Londra detto Centro d'Azione, a partire da
una pregiudiziale repubblicana e unitaria, propugnava l'organizzazione in tutta
Italia di bande a scopo insurrezionale. L'insuccesso delle azioni tentate,
però, assottigliò le fila del
P. d'A. a favore dei
"fusionisti" che appoggiavano la politica moderata piemontese. Nel 1859, con
l'adesione di Garibaldi, il movimento ebbe nuovo slancio e operò per
l'organizzazione della spedizione dei Mille, cui invano tentò di dare uno
sbocco repubblicano. Di fronte alla politica di Cavour, Mazzini accentuò
la propria critica allo Stato monarchico-conservatore e nel 1864
partecipò alla fondazione della Prima Internazionale, da cui però
presto si staccò. Il Partito, nel tentativo di risolvere le questioni
veneta e romana, appoggiò le ultime imprese di Garibaldi in Aspromonte
(1862) e a Mentana (1867). Con il fallimento di queste si consumò anche
la crisi definitiva dell'organizzazione. Nel 1870, dopo la presa di Roma e la
severa condanna di Mazzini alla Comune di Parigi, cui aveva invece dato la
propria adesione Garibaldi, si vennero a creare profonde lacerazioni nel
partito, ormai diviso tra un'ala mazziniana moderata e una socialista
garibaldina. I suoi membri si divisero fra il Partito Repubblicano e la Sinistra
costituzionale che andò al potere nel 1876. ║ Al
P. d'A.
mazziniano si richiamarono coloro che nel luglio 1942, a Milano, diedero vita al
nuovo
P. d'A. Questa formazione accoglieva uomini provenienti dalle fila
della democrazia liberale e radicale, tra cui U. La Malfa, L. Salvatorelli, M.
Vinciguerra, e nel 1943, dopo la caduta di Mussolini, si fuse con "Giustizia e
Libertà", il movimento che negli anni Trenta aveva dato il maggiore
contributo, insieme al Partito Comunista, alla lotta antifascista. Il programma
del
P. d'A., abbozzato a Firenze nel 1943 e meglio strutturato dal
congresso di Cosenza del 1944, propugnava l'abbattimento del Fascismo attraverso
l'azione delle brigate partigiane e l'uso della stampa clandestina. Si
impegnò per la nascita di una Repubblica parlamentare, la laicità
dello Stato, la garanzia delle libertà democratiche e sindacali, la
costituzione di forti autonomie locali, nonché per la realizzazione di
una riforma agraria e bancaria e la nazionalizzazione delle concentrazioni
industriali monopolistiche. Tipica organizzazione di intellettuali, il
P.
d'A. tentò di costituire una terza forza fra il socialismo e il
liberalismo; ideologicamente assai composito, sentì l'influsso di
Salvemini, di Croce, di Gobetti e di Gramsci, ma ebbe il suo riferimento
maggiore nella critica antimarxista di C. Rosselli. Dopo aver caldeggiato nel
1944 la formazione del gabinetto Bonomi e quella di una provvisoria assemblea
consultiva, il
P. d'A. partecipò, con le altre forze del CLN al
governo Parri, nel giugno del 1945, che doveva operare il passaggio dalla lotta
di liberazione alla costituzione del nuovo Stato democratico. Le divisioni
interne al partito, già manifestatesi al Congresso di Cosenza del luglio
1944, si acuirono con la crisi del governo Parri e la formazione del primo
esecutivo guidato da De Gasperi, da cui il
P. d'A. rimase escluso. Al
congresso del febbraio 1946 si ebbe la secessione dell'ala destra, capeggiata da
La Malfa e Parri, da cui nacque la Concentrazione Democratica Repubblicana,
confluita poi nel Partito Repubblicano. La disgregazione di quanto rimaneva del
partito avvenne dopo l'insuccesso elettorale del giugno 1946, quando la maggior
parte degli esponenti della sinistra aderirono al PSI.