Fil. - Termine filosofico indicante, in senso generale, la
coscienza di sé, cioè la conoscenza che l'Io ha di se stesso. Un
significato più specifico e tecnico il termine ha assunto nella filosofia
idealistica. L'
a. coincide con lo stesso Io pensante che non può
perciò divenire oggetto di conoscenza, poiché costituisce il
principio attivo della conoscenza stessa. Per quanto il concetto di
a.
sia già presente nella filosofia antica, da Eraclito ad Aristotele, esso
assume il suo significato più proprio nella filosofia moderna, a partire
da Cartesio, raggiungendo il massimo sviluppo in Kant e nell'Idealismo. Per
Kant, tutta la nostra conoscenza riposa sull'"unità trascendentale
dell'
a." e perciò conoscere non è che riportare il
molteplice dell'intuizione all'unità fondamentale della coscienza che si
esprime come potere unificatore. L'itinerario della
Fenomenologia
hegeliana riproduce l'evoluzione della coscienza umana, dalle sue forme
più elementari sino allo
spirito, attraverso la tappa determinante
dell'
a. I tratti più celebri della
Fenomenologia, si
trovano infatti proprio nella seconda sezione, quella appunto dell'
a., in
cui la coscienza si esprime nelle figure del "servo" e del "padrone",
raffigurando il significato della schiavitù attraverso la quale si
conquista la libertà. Per G. Gentile solo l'
a. è la vera
azione, l'atto puro, infinito e perciò assolutamente libero, che non
conosce limiti alla propria libertà. Data però
l'impossibilità di raggiungere il puro pensiero, l'assoluta e libera
a., una posizione di preminenza viene assunta dall'azione, concepita come
tentativo di raggiungere il pensiero assoluto (
attualismo). Nonostante la
ripresa, in alcune forme di neoidealismo, del tema idealistico-romantico
dell'
a., il pensiero contemporaneo tende in prevalenza a considerare
coscienza e
a. al di fuori di ogni implicazione metafisica.
• Psicol. - Per
a. o
coscienza di
sé, si intende non la consapevolezza, ma la semplice nozione che
ognuno di noi ha del proprio essere, in contrapposizione a quella che se ne
fanno le altre persone, osservandoci dall'esterno. Vista dall'interno la
personalità costituisce, al contempo, l'oggetto e il risultato di un atto
di autointerpretazione che non ha tuttavia valore scientifico. Per una
comprensione oggettiva della personalità risulta infatti insufficiente
sia il giudizio del soggetto stesso che dell'osservatore esterno. Se molti
elementi sfuggono alla comprensione dell'osservatore esterno molti altri,
altrettanto importanti, sono inaccessibili al soggetto stesso. Infatti, alcune
parti essenziali del proprio io possono essere escluse (
rimozione) dalla
memoria cosciente, senza per questo perdere minimamente la loro importanza,
risultando determinanti proprio per il fatto che il soggetto non vuole
riconoscerle. La psicologia del profondo interpreta in modo del tutto
particolare fenomeni come l'esclusione di eventi dalla percezione e dal ricordo,
attribuendo ciò al fatto che certe esperienze contrastano in modo
talmente radicale con l'immagine che il soggetto ha di se stesso, da provocare
conflitti interiori.