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Ariosto, Ludovico.

Poeta italiano. Primogenito di Nicolò Ariosto, discendente da una nobile famiglia bolognese trasferitasi a Ferrara nel XIV sec., e di Daria Malaguzzi Valeri, dell'alta nobiltà reggiana, trascorse l'infanzia e la giovinezza prevalentemente a Ferrara. Frequentò i corsi di Legge dello Studio di Ferrara, abbandonandoli nel 1494 per dedicarsi agli studi letterari sotto la guida dell'umanista Gregorio da Spoleto. Alla morte del padre (1500), trovandosi sulle spalle la responsabilità di una numerosa famiglia, fu costretto ad accettare un impiego a Canossa come capitano della Rocca. A 29 anni entrò al servizio del cardinale Ippolito d'Este, ma venne licenziato nel 1517, non volendo seguirne la corte in Ungheria. Ippolito gli assegnò numerosi incarichi diplomatici delicati e gli affidò l'allestimento di varie commedie per il Teatro ducale di Ferrara, tra cui la Cassaria (in prosa, 1508), e i Suppositi (1509). Nel 1512 iniziò l'amore dell'A. per Alessandra Benucci, che sposò solo nel 1528-29, alla morte del marito di lei, Tito Strozzi. Sempre nel 1512 si ha la prima sicura notizia dell'elaborazione dell'Orlando Furioso (V.), che uscì nel 1516 e nuovamente in un'edizione ritoccata nel 1521. Passato al servizio del duca Alfonso d'Este, nel 1518, svolse incarichi di carattere rappresentativo e nel 1522 fu nominato governatore nella Garfagnana. Ritornato a Ferrara nel 1525 con il denaro accumulato alla Corte si fece costruire una piccola casa in contrada Mirasole. A parte alcuni incarichi pubblici, si occupò del Teatro ducale, dove vennero rappresentate le sue opere: la Lena (1528), il Negromante (1528), la Cassaria (in versi, 1531). Nel 1532 uscì la terza edizione dell'Orlando Furioso, ampliato di sei canti e completamente rielaborato. A. morì il 6 luglio 1533; le sue spoglie sono custodite nella Biblioteca comunale ariostea di Ferrara. Croce, commentando il teatro ariostesco, sostenne che esso rappresentava la parte meno ispirata della produzione del poeta; la necessità di fornire commedie al Teatro della Corte estense costituiva, in effetti, solo una delle molteplici funzioni di cortigiano dell'A. La fondatezza di questa tesi è indiscutibile. Infatti né la Cassaria (recitata nel 1508 e rifatta molti anni dopo, riducendola da prosastica a poetica, in endecasillabi sdruccioli), né i Suppositi (1509) (rifatta poi in versi), né la Lena (1528), né il Negromante (scritta a più riprese), né I Studenti (iniziata l'anno della sua morte e compiuta col nuovo titolo Scolastica dal fratello Gabriele) hanno un'autentica vivacità comica e gli indiscussi pregi d'arte che caratterizzano l'Orlando Furioso. La Lena, che è la migliore, ha una comicità tutta meccanica, le altre sono decorose imitazioni del teatro latino di Plauto e Terenzio. Le commedie dell'A. sono in endecasillabi sdruccioli, che tentano di rifare il verso al trimetro giambico dei comici antichi. Il risultato è quasi sempre una mediocre prosa ritmica o, se si preferisce, una poesia prosastica non eccelsa. In realtà il teatro comico dell'A. esiste ed è grande. Ma esso si deve ricercare non nelle scialbe rappresentazioni per la Corte estense, ma nelle luminose ottave dell'Orlando Furioso, che si dipana attraverso numerosi episodi in un intricato percorso narrativo in cui la realtà e l'illusione, la gioia e il dolore si mescolano continuamente. Qui gli uomini e le donne sono osservati e accettati con la sorridente ironia di chi considera la vita come una grande tragi-commedia dove tutti, buoni e malvagi, umili e potenti, sono mossi da forze e da passioni in cui è umano indulgere. Sull'opera aleggia un senso di superiore tolleranza per le debolezze dell'animo umano, che porta a considerare chiunque, indistintamente, degno d'ironico compatimento e di bonaria comprensione. L'Orlando Furioso consta di 46 canti e di 4.834 ottave. La varietà degli episodi è tale che riesce ben difficile poter ordinare in uno schema narrativo lineare e preciso le vicende del poema. Già Alfieri lamentava che "A. nel mezzo del fatto ti pianti lì", e Foscolo, analogamente, deplorava che "nell'istante medesimo che la narrazione d'un'avventura ci scorre innanzi come un torrente, questo diventa secco a un tratto, e subito dopo udiamo il mormorio di ruscelli di cui avevamo smarrito il corso...". Il poeta riprende un antico motivo cavalleresco già trattato da Boiardo: il punto di partenza è dato dall'ultimo canto dell'Orlando innamorato, dove Angelica viene consegnata al duca di Baviera perché sia data in premio al più valoroso guerriero. Con la fuga della bella Angelica ha inizio la nuova vicenda. Tema centrale del poema, vero fulcro narrativo intorno a cui si riannodano i vari episodi, è la guerra di Carlo Magno contro gli infedeli; terminata la guerra, ecco le contrastate nozze di Bradamante e di Ruggero; e infine, quando sembra che più nulla ostacoli le sospirate nozze, giunge Rodomonte a sfidare lo sposo nel mortale duello in cui il saraceno avrà la peggio. Nell'opera l'A. profonde un'intensa ispirazione fantastica, creando un'epopea di profonda umanità e di veemente passione, pur mitigata da un sereno e calmo senso dell'esistenza, che attinge a vette artistiche difficilmente raggiungibili (Reggio Emilia 1474 - Ferrara 1533).