Opera filosofica di Friedrich Nietzsche, scritta nel 1888.
Rappresenta il "saggio di una critica del Cristianesimo" e tratta il problema
della morale cristiana. Per Nietzsche la virtù cristiana, nutrita di
pietà per i deboli e i malati, è pericolosa e dannosa. Secondo le
leggi naturali, solo l'uomo forte e sano avrebbe diritto di esistere. Invece il
Cristianesimo protegge l'uomo malato, creandogli un mondo ideale e offrendogli
un Dio buono e misericordioso che costituisce un'ancora di salvezza per i
deboli. Nietzsche scorge in Gesù i caratteri dell'uomo mite, incapace di
ogni forma di resistenza ed estremamente sensibile al dolore. La paura del
dolore generò la religione dell'amore che però ben presto, ad
opera dei discepoli di Gesù, perdette qualcosa del suo carattere
evangelico, per divenire movimento di protesta contro l'ordine sociale
esistente. Infine Paolo, introducendo nel Vangelo la dottrina
dell'immortalità personale che atterriva gli uomini con lo spettro
dell'inferno e li adulava con la speranza del paradiso, fece del Cristianesimo
la negazione degli istinti costruttivi della vita e di tutto ciò che
è sano e pregevole. In nome della vita Nietzsche pronuncia la sua
condanna della morale cristiana, "morale di schiavi e di malati".