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Angoscia.

(dal greco angustia). Paura, ansietà, inquietudine interiore. Stato emozionale caratterizzato da sensazioni penose avvertite anche sul piano del malessere fisico (senso di costrizione generale, difficoltà di respiro, pressione al torace, gola secca e chiusa), ma che trova spiegazione esclusivamente sul piano psicologico ed esistenziale: precarietà, incertezza, vulnerabilità, drammaticità della condizione umana. Del problema dell'a., quale stato di insoddisfazione avvertita emotivamente, più che razionalmente, si sono occupati filosofi e psicologi di varia tendenza. • Filos. - Il termine è stato introdotto per la prima volta da Kierkegaard, che operò una distinzione fondamentale tra paura e a. Mentre la paura ha sempre un soggetto determinato e specifico, l'a. è considerata un sentimento metafisico primordiale, senza oggetto chiaramente individuabile. Secondo Kierkegaard l'a. è la realtà della libertà come possibilità, cioè il puro sentimento della possibilità avvertito come libertà. L'a., in quanto condizione dell'esistenza umana, è un fenomeno universale, presente in tutte le culture, che si manifesta con sfumature diverse attraverso la storia dei popoli (nel paganesimo appare come destino; nell'ebraismo è la legge di fronte alla quale ci si sente colpevoli; nel cristianesimo assume la triplice forma del demoniaco, del genio e del genio religioso). Nel suo aspetto positivo, l'a. è scoperta del mistero e del rischio di un'esistenza che deve giustificare se stessa generando di conseguenza senso di vuoto, di solitudine, di abbandono. Essere, per Kierkegaard, significa assumere su di sé la responsabilità di se stessi e affermare la propria singolarità di fronte alla trascendenza divina. Questa chiusura in se stessi, che è scelta e limitazione, si risolve nell'a. come "senso del finito di fronte all'infinito, la constatazione dell'abisso che divide l'uomo da Dio". Secondo Kierkegaard, quella dell'a. è un'esperienza imprescindibile per un uomo che voglia vivere come uomo spirituale. Questa condizione spirituale rappresenta la dignità e la serietà del vivere umano. La coscienza è angosciata per il fatto stesso di appartenere all'uomo. Pertanto l'a. accompagna l'itinerario spirituale dell'uomo sospeso tra il finito e l'infinito. Nella concezione kierkegaardiana essa è strettamente legata al concetto di peccato originale; è il presupposto che può spiegare tale peccato e nello stesso tempo ne è la conseguenza. Poiché anche coloro che non hanno consapevolezza del peccato si trovano nella condizione di peccatori, essa insidia non solo il singolo ma anche la specie: la coscienza si angoscia perché congenitamente colpevole, anche se non si rende conto di questa sua consapevolezza. L'a. si configura in ultima analisi come rapporto dello spirito con se stesso. Liberarsi da se stesso non è possibile per lo spirito, perciò l'uomo, in quanto essere spirituale, non può evitare l'a., perché l'ama, ma amarla veramente non può perché la fugge. Il tema dell'a. è fondamentale, inoltre, nell'Esistenzialismo di M. Heidegger e J.P. Sartre, che però hanno operato una secolarizzazione (più esplicita nella filosofia atea di Sartre) dell'interpretazione originale kierkegaardiana, spogliandola di ogni significato religioso e considerandola un fenomeno universale che tutte le culture hanno conosciuto, in quanto naturale "sottosuolo" dell'uomo. Secondo Sartre, l'uomo è investito delle stesse responsabilità di cui era un tempo investito Dio: dare forma, senso, unità all'essere. • Psicol. - Generalmente, nell'ambito degli studi di psicologia medica non si distinguono nettamente a. e ansia. Entrambi i termini, infatti, vengono usati nella loro accezione patologica, per indicare uno stato di tensione emotiva e percettiva particolarmente penoso, vissuto dal soggetto senza riferimento ad alcuna situazione concreta, oppure vissuto di fronte a una situazione inadeguata o immaginaria di pericolo, sentita tuttavia come una minaccia reale e imminente. La psicoanalisi usa di preferenza il termine a. che, secondo la definizione di Freud, indica "un particolare stato spiacevole" determinato dalla reazione generale dell'Io alla condizione di dispiacere di fronte al pericolo della perdita dell'oggetto. Si tratta quindi di uno stato affettivo; quando l'Io è costretto a riconoscere la propria debolezza, esso cade nell'a.: a. reale dinanzi al mondo esterno, a. normale di fronte al Super-Io, e a. nevrotica dinanzi alla violenza delle passioni dell'Essere. Freud in un primo tempo considerò l'a. come libido trasformata, ossia come stato affettivo penoso prodotto da frustrazioni o rimozioni. Un più approfondito esame della formazione dei sintomi ha mostrato successivamente che l'a. di solito precede la rimozione, invece di seguirla, ed è quindi un segnale d'allarme di fronte a un pericolo o ad una minaccia per l'Io. Il prototipo di ogni esperienza angosciosa è la situazione della nascita, mentre il motivo fondamentale della insorgenza di tale stato angoscioso è quello del distacco: distacco dal seno materno, dalla madre protettiva, da persone amate o da loro rappresentazioni psichiche. Freud formulò infatti tre successive teorie dell'a. Secondo la prima, l'a. sarebbe una manifestazione di libido rimossa; la seconda si basava sull'ipotesi che l'a. rappresentasse una ripetizione dell'esperienza della nascita. Nella terza, che può considerarsi la teoria psicoanalitica definitiva dell'a., Freud distinse due tipi di a.: a. primaria e a. segnale, considerate entrambe come risposte dell'Io all'aumento di tensione istintuale o emotiva. L'a. primaria è l'emozione che accompagna la disintegrazione dell'Io, mentre quella segnale è un meccanismo di allarme che avverte l'Io di una minaccia che rende precario il suo equilibrio. La funzione di quest'ultima è quella di garantire che l'a. primaria non sia mai sperimentata, mettendo l'Io in grado di istituire misure difensive e può essere considerata come una forma di vigilanza diretta all'interno. Nel linguaggio psicoanalitico corrente, per a. segnale si intende quella forma di apprensione che ci mette in allarme di fronte ai mutamenti interni che possono turbare la tranquillità e che, per esempio, ci fa svegliare prima che un sogno possa trasformarsi in incubo. L'a. primaria rappresenta un fallimento della difesa e interviene negli incubi. Si deve soprattutto agli analisti della scuola inglese, in particolare a M. Klein e E. Jones, l'approfondimento della funzione dell'a. nell'evoluzione psichica in generale e delle sue caratteristiche patologiche, con riferimento particolare ai rapporti tra a. e aggressività: ciò che il bambino teme è la propria aggressività, per cui il superamento graduale dell'a. infantile risulta in parte da formazioni di difesa alle quali l'Io è costretto dall'a. stessa. La definizione abituale dell'a. come paura irrazionale si applica strettamente solo all'a. fobica che è evocata da oggetti e da situazioni particolari: luoghi aperti (a. agorafobica), luoghi chiusi (a. claustrofobica), luoghi elevati, temporali, viaggi, folla, persone estranee, ragni, serpenti, ecc., in misura sproporzionata al loro pericolo reale. Come rileva A. Adler questa tendenza all'a. è molto diffusa e può accompagnare l'uomo dall'infanzia sino all'età più matura rendendolo inadatto a stabilire i contatti necessari per una vita socialmente attiva. Alcuni individui temono il mondo esterno ed estendono il timore a pressoché tutte le relazioni della vita umana, altri temono il loro mondo interiore: mentre i primi evitano la società, i secondi temono di rimanere soli. L'individuo che vive in tale stato ansioso è costretto a pensare quasi solo a se stesso e assai poco agli altri, che del resto sente come estranei e ai quali non può dare niente. Vi sono persone che vengono afferrate dall'a. di fronte a situazioni e a operazioni della vita di tutti i giorni, come uscire di casa, congedarsi da una persona, occupare un posto di lavoro qualsiasi, stabilire rapporti amorosi, ecc. Una forma di a., sia pure meno grave di quella che si manifesta con la claustrofobia e l'agorafobia, è la timidezza, caratteristica di chi sente i propri compiti come particolarmente gravosi e non ha sufficiente fiducia in sé per credere di poterli realizzare. Adler rileva che, nelle sue manifestazioni del carattere, l'a. è una caratteristica di quegli individui che si appoggiano sempre a qualcuno nella vita, e che finiscono col dominare e tiranneggiare, come se compito dell'altro fosse quello esclusivo di offrir loro un appoggio. Generalmente tali individui vivono con la pretesa che ci si occupi soprattutto di loro e, benché ricerchino la compagnia degli altri, hanno un debole sentimento di comunità: l'a. in questo caso è un mezzo per evitare le esigenze della vita e porre gli altri al proprio servizio. Adler mette perciò in evidenza un aspetto dell'a. che appare marginale e in parte in contrasto con le manifestazioni che interessano gli psicoanalisti freudiani. Le forme particolari di a. descritte dalla letteratura psicoanalitica sono: a. di castrazione, provocata da minacce reali o immaginarie alla funzione sessuale (la teoria dell'oggetto tende a interpretare l'a. di castrazione come una varietà dell'a. persecutoria; a. di separazione, provocata dalla minaccia di separazione da oggetti considerati essenziali alla propria sopravvivenza. Essa può essere oggettiva, ossia determinata da situazioni reali, come nella prima infanzia con il divezzamento e negli adulti invalidi, oppure nevrotica, quando la presenza di un'altra persona è usata come una difesa contro qualche altra forma di a. In entrambi i casi intervengono due fattori, costituiti rispettivamente dal timore di qualche pericolo indeterminato proveniente dall'esterno o da crescente tensione interna e dal timore di perdere l'oggetto (persona) capace di proteggere e di recare sollievo. Sono annoverate inoltre l'a. depressiva, provocata dalla paura della propria ostilità verso oggetti buoni; l'a. paranoide, provocata dalla paura di essere attaccati da oggetti cattivi; l'a. oggettiva, dovuta a un pericolo esterno reale e quindi identificabile con la paura. Nell'a. nevrotica si assommano e sintetizzano tutte le forme di a. sopraelencate, fatta eccezione per l'a. oggettiva o paura. Si tende però anche a considerare l'a. nevrotica in contrapposizione con quella depressiva e paranoide, considerate a. psicotica. È questa infatti una definizione usata per lo più dagli psicoanalisti kleiniani con riferimento all'a. depressiva e all'a. paranoide. Queste due forme sono definite psicotiche perché si crede derivino dai livelli della personalità e dagli stadi di sviluppo in cui si organizzano le psicosi e perché in esse è insita la paura di un annientamento totale.