Poeta italiano. Poche sono le notizie che riguardano la sua
vita. Condusse fin dalla giovinezza una vita dissipata: subì molti
processi, sprecò l'eredità del padre, e morì in miseria.
Militante nel partito dei Guelfi, fu tra le truppe di Siena durante la conquista
del castello ghibellino di Turri, in Maremma, e per due volte allontanatosi
dall'accampamento, fu multato. Nella battaglia di Campaldino fu in un piccolo
contingente senese inviato in aiuto dei fiorentini. Probabilmente fu in questa
occasione che conobbe Dante. Nel 1291, per il ferimento di un certo Dino di
Bernardo da Monteluco venne imputato di un processo, dal quale uscì
assolto. Abbandonata qualche anno dopo Siena si recò a Roma, alla corte
del Cardinale Riccardo Petroni, dove rimase sino al 1303. Sul resto della sua
vita non si sa nulla. Sull'amicizia di Dante ci illuminano tre sonetti
indirizzati al poeta fiorentino, che datano al 1289-1294 la loro conoscenza e la
fine del loro rapporto al 1304 (nel sonetto scritto in questa data
A.
rimbecca infatti i rimproveri a lui rivolti dal poeta di Firenze). Nel
Canzoniere (150 sonetti) cantò la sua vita sregolata, il suo amore
per Becchina e il suo odio per il padre e la madre: ma sarebbe sbagliato cercare
di collegare direttamente i dati biografici con la sua poesia. Se non si
può rifiutare l'esperienza personale come spunto, è da tenere
presente che ciò che appare nei sonetti è una amplificazione
letteraria nella quale il poeta sfrutta tutte le componenti della poesia
giocosa. Il
Canzoniere si articola in due filoni: da un lato abbiamo i
motivi del gioco dei dadi, della taverna, che si rifanno alla tradizione latina
e goliardica dell'
improperium e
vituperium (famoso il sonetto:
S'i fossi foco, arderei 'l mondo e
L'amai malinconia); dall'altro
vi è il motivo dell'amore per Becchina, una sorta di anti-Beatrice. Nel
trattare il primo tema il poeta passa da un registro elegiaco a improvvisi
scatti giocosi che inseriscono il testo nella poesia comica. Nell'affrontare il
secondo tema, egli dà vita a un canzoniere che è parodia del dolce
stil novo. Il passaggio alla chiave comica avviene attraverso l'esagerazione dei
temi. Si tratta quindi di una poesia cinica che si basa però tutt'altro
che su una improvvisazione e che riflette invece un'attenta ricerca letteraria,
con strutture sintattiche raffinate e un lessico volutamente ambiguo e
irriverente. Posti a confronto con quelli dei predecessori Rustico e Dante, i
versi di
A. testimoniano infatti la precisa volontà di creare un
linguaggio nuovo, adatto alla rappresentazione realistica. Ad
A. si deve
l'assunzione dei termini del dialetto e della tradizione goliardica latina
(Siena 1258-1312).