Dottrina di ispirazione anarchica volta a ripristinare una
connessione organica fra idee anarchiche e movimento operaio, consolidando una
rete di legami internazionali. Fu teorizzata da P. Kropotkin che, insieme ad
altri (Malatesta, i fratelli Réclus), propugnò il comunismo
anarchico in contrapposizione al collettivismo bakuniano per la concezione della
distribuzione della ricchezza sociale creata con il lavoro di tutti. Infatti, se
per Bakunin valeva il principio della partecipazione di ciascun individuo alla
ricchezza solo nella misura in cui aveva contribuito a produrla con il suo
lavoro, per Kropotkin "tutte le cose sono di tutti" poiché tutti ne hanno
bisogno e ciascuno ha collaborato a produrle secondo le proprie forze e
capacità. Operando la sintesi di idee anarchiche con la concezione
marxista di una società divisa in due classi antagoniste, il nuovo
movimento affidava all'organizzazione sindacale il compito di combattere il
capitalismo non tanto per ottenere una ripartizione del reddito più
vantaggiosa per i proletari, ma per abbattere il capitalismo stesso e realizzare
una società senza classi. In tale concezione, il sindacato, in quanto
espressione diretta, e quindi più autentica e naturale, della classe
lavoratrice - ossia del proletariato interessato alla trasformazione della
società - è considerato superiore al partito politico. Massimo
teorico del sindacalismo rivoluzionario fu G. Sorel, che conferì alla
nuova corrente di pensiero la sistematicità di una teoria politica ed
economica: nelle sue
Réflexions sur la violence (1908)
fornì una legittimazione filosofica all'impegno dei sindacati quale
strumento naturale della rivoluzione proletaria e definì lo sciopero come
arma suprema della lotta di classe. Egli giunse così alla fusione della
teoria marxista della lotta di classe e del materialismo dialettico con le idee
nietzschiane del potere e della volontà. Ne risultò una teoria
della violenza, identificata come strumento idoneo ad operare il cambiamento,
nella quale si sosteneva, tra l'altro, la necessità della leadership
politica di "minoranze audaci". Sorel attribuiva un enorme potenziale di
condizionamento politico alle azioni condotte dal sindacato, esaltando tutte le
forme di pressione e di lotta sociale usualmente promosse da questa istituzione
sorta a tutela del lavoro. Su questa base, elaborò la teoria dello
"sciopero generale" come atto rivoluzionario supremo in cui convergono e
giungono a pieno compimento tutte le azioni particolari dei sindacati. In
quest'ottica, lo sciopero generale viene considerato non un mezzo, bensì
il fine da raggiungere. La pratica degli scioperi deve perciò diffondersi
progressivamente, fino al momento in cui - giunta a un grado di potenza
superiore - si rivela capace di trasformarsi in una "conflagrazione" da cui ha
origine la rivoluzione sociale. L'esaltazione della violenza di classe fu una
reazione alla degenerazione riformistica e collaborazionistica dei vari partiti
socialisti europei, e rappresentò il tentativo di attuare l'emancipazione
del proletariato direttamente, in ossequio al motto marxista "la redenzione dei
lavoratori deve essere opera dei lavoratori stessi", evitando la mediazione dei
partiti quali rappresentanti politici degli interessi del proletariato.
Nell'affermazione di Sorel secondo cui "il sindacalismo è lo strumento
della guerra sociale" è insita la concezione anarco-sindacalista che,
dilatando enormemente i compiti del sindacato, lo porta a intromettersi nella
sfera politica delegittimando ogni altro organismo rappresentativo e giungendo a
prefigurare una società senza Stato, nella quale tutti i mezzi di
produzione sono concentrati nelle mani dei sindacati.