(dal latino
alienatio). Allontanamento. ║
Estraniazione. • Dir. - Atto giuridico con cui
si trasferiscono ad altri soggetti una proprietà o un diritto su beni del
proprio patrimonio, mediante vendita, donazione, mutuo, ecc.
• Fil. - Nel pensiero filosofico e sociologico
il termine ha assunto il significato di "uscita da sé", assorbendo il
concetto di
Entfremdung (estraneazione) introdotto da Hegel e ripreso da
Marx. Hegel inserì il concetto di
a. nella Storia, come momento
della dialettica dello Spirito, ampliandone l'originale significato giuridico,
quello morale cristiano, presente nella teologia protestante (la tradizione
risale a Calvino che concepiva l'uomo come "alienato" da Dio a causa del peccato
originale) e quello filosofico conferitogli dagli illuministi francesi del XVIII
sec. Nella trattazione hegeliana, tuttavia, il soggetto non è l'uomo, ma
lo Spirito, per cui i vari aspetti del processo alienatorio restano su un piano
puramente speculativo. Per quanto astratto, il processo dialettico hegeliano non
manca di delineare il quadro di una società alienata e di condannare la
subordinazione dell'individuo al prodotto della sua attività.
Considerando lo Stato come "totalità", Hegel non rileva tuttavia la
contraddizione esistente tra la parità astratta dei diritti politici dei
cittadini e le disuguaglianze economiche esistenti nella società. Marx ed
Engels sottoposero a un'approfondita analisi la società borghese e il
sistema capitalistico. Mentre Engels conduceva un dettagliato studio sulla
classe operaia inglese e sulle basi economiche della società borghese,
collegando l'
a. allo sviluppo industriale e alle sue ripercussioni sulle
condizioni di vita della classe operaia, Marx svolgeva una critica serrata
contro l'idealismo hegeliano e, nei
Manoscritti economico-filosofici del
1844, denunciava il carattere mistificatore della filosofia del diritto,
riesaminando il concetto hegeliano di
a. Attraverso la critica alla
proprietà privata, e svelando le sue connessioni con l'
a., Marx
sviluppa il concetto-base del lavoro estraniato, conseguenza inevitabile di un
sistema basato sull'avere, anziché sull'essere. Un sistema cioè in
cui l'uomo si estrania dal proprio lavoro, diventato oggetto di appropriazione e
di sfruttamento da parte di altri. Ne consegue uno sdoppiamento tra "soggetto" e
"oggetto" della produzione e, conseguentemente, di qualunque aspetto della vita,
con una sopraffazione degli oggetti sulla personalità individuale. Tale
situazione alienante è avvertita innanzitutto a livello strutturale, nel
mondo della produzione, dove il lavoratore che vende la propria forza-lavoro
diventa egli stesso merce e viene perciò trattato, non più sul
piano dei rapporti umani, ma su quello puramente economico. Pertanto, secondo
Marx, l'
a. non si limita a colpire l'operaio nel momento della
produzione, ma si estende alla totalità della sua vita, di uomo e di
cittadino. Marx passa quindi a esaminare l'
a. in rapporto ai diversi
aspetti giuridici e politici, culturali e religiosi. La società
organizzata vede pertanto la crescente svalutazione di ciò che è
umano a fronte di una crescente valorizzazione delle
cose. In una
tale situazione, le relazioni sociali sono ridotte a puro meccanismo formale,
accrescendo quindi l'estraneità di ciascuno verso gli altri. Pertanto,
poiché l'
a. economico-sociale è alla base di ogni altra
forma di
a., Marx indica nell'emancipazione del proletariato la premessa
indispensabile per il passaggio da una società divisa in classi
antagonistiche a una società nuova, in cui gli uomini siano liberi da
ogni asservimento materiale e morale. Negli sviluppi postmarxiani, la tematica
dell'
a. è stata toccata da numerosi studiosi, soprattutto non
marxisti. Il concetto è stato ripreso con particolare ampiezza da Max
Weber, che lo sviluppa partendo da presupposti diversi da quelli marxisti, pur
continuando a identificarlo come conseguenza dell'organizzazione capitalistica
della produzione. Weber non considera l'
a. come manifestazione tipica
della condizione operaia, ma come condizione generale dell'individuo
assoggettato alle leggi dell'organizzazione burocratica: leggi dirette non allo
sviluppo della personalità umana, ma all'efficienza della struttura
burocratica. Ne consegue che non solo le condizioni di lavoro, ma lo stesso modo
di pensare degli individui viene a trovarsi sotto un rigido controllo. È
da tale impostazione, oltre che dagli studi freudiani, che ha tratto ispirazione
gran parte della saggistica successiva sull'argomento. In particolare, va
ricordato il contributo di Karl Mannheim, che analizza la "razionalizzazione
funzionale" della società, mettendo a fuoco la condizione dell'uomo
moderno, costretto ad agire secondo schemi prestabiliti, privo di un'autentica
libertà d'iniziativa, incapace di comprendere il funzionamento dei
meccanismi che lo dominano, e perciò oggettivamente e soggettivamente
alienato. Questa denuncia della condizione dell'uomo moderno, alienato in quanto
impotente di fronte alle cose che lo sovrastano e impossibilitato a capire le
leggi dei meccanismi che lo governano, attraversa tutta la saggistica in
polemica con la società americana e con le strutture capitalistiche di
produzione e di distribuzione. Il tema si ritrova infatti nell'analisi di
studiosi quali Wright Mills, Irving Howe, David Riesmann, Erich Fromm. Per
quest'ultimo, l'aspetto soggettivo dell'
a. si presenta come un
atteggiamento di fuga; fuga da se stessi per un patologico bisogno di
autorità (come nelle società nazi-fasciste), che nei sistemi
neo-capitalistici si manifesta con un atteggiamento ricettivo verso tutte le
suggestioni consumistiche. Fromm, nelle opere successive tende però ad
allinearsi all'ideologia neo-capistalistica, soggettivando l'
a. e
riducendola a una specie di nevrosi esistenziale. In polemica con questa
versione, è l'interpretazione di Herbert Marcuse, che si riallaccia al
concetto marxiano e lo applica alle condizioni di vita nell'attuale
società capitalistica, pur evitando di condurre una critica di fondo
all'industrialismo avanzato. In tale società, secondo Marcuse, la
repressione è integrale, data l'impossibilità di operare una
scelta qualsiasi. Ogni momento della vita è infatti legato agli interessi
di un determinato meccanismo produttivo, per cui la forza-lavoro viene
integralmente recuperata nel ciclo produzione-consumo. I meccanismi repressivi
sono tali da riuscire a imporre tutta una serie di modelli di valore e di
comportamento che tendono a integrare l'individuo nel sistema, per farne un
lavoratore e consumatore sempre più disciplinato. Il senso
oggettivo del concetto di
a., cioè quello che fa
riferimento alle condizioni di lavoro nella società capitalistica, si
salda quindi in Marcuse con quello
soggettivo, proprio della saggistica
statunitense, particolarmente attenta a cogliere il complesso di valori, norme,
atteggiamenti e gusti imposti ai singoli da una cultura manipolata dai centri di
potere. Particolare attenzione a questo genere di manipolazioni culturali hanno
dedicato anche gli studiosi tedeschi Adorno e Horkheimer, che criticano con
acutezza e rigore le tendenze involutive della società
tardo-capitalistica, tendenze implicite nella vasta manipolazione dell'autonomia
individuale da parte dell'industria della cultura, che equivalgono a un vero e
proprio divieto di pensare. Ancor più critico è Enzensberger, che
considera la manipolazione culturale come un episodio di una più vasta
manipolazione dell'autonomia individuale, una vera e propria "industria della
coscienza" generata dalla trasformazione dei rapporti tra il singolo e la
civiltà industriale nella sua totalità. Se ne deduce che
l'
a. caratterizza l'esperienza dell'uomo moderno, senza che vi siano
speranze di sottrarvisi.