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Anno 2010: La Letteratura Narrativa Saggistica Poesia e Narrativa Premi, Campiello Viareggio Strega Bancarella Bagutta Un festival, un salone e un nuovo premio Premi Internazionali Addio al giovane Holden Le mostre ed esposizioni d'Arte

Anno 2010: La Letteratura Narrativa Saggistica Poesia e Narrativa Premi, Campiello Viareggio Strega Bancarella Bagutta Un festival, un salone e un nuovo premio Premi Internazionali Addio al giovane Holden Le mostre ed esposizioni d'Arte    
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Anno 2010.

Letteratura.

Premi.

Premio Campiello.

Il Premio Campiello, istituito e promosso
dagli Industriali del Veneto dal 1962 e dedicato
al genere della narrativa contemporanea, ha
celebrato quest'anno la sua 48a edizione. La
cerimonia conclusiva si è tenuta sabato 4 settembre
al Gran Teatro La Fenice di Venezia.
Come di consueto, in tale occasione, è stato
annunciato il nome del vincitore dell'anno
scelto dalla Giuria dei Trecento Lettori: la preferenza
è andata alla scrittrice sarda Michela
Murgia
, autrice di Accabadora (Einaudi).
Insieme a lei, in corsa per il riconoscimento
finale, c'erano Gianrico Carofiglio con Le perfezioni
provvisorie (Sellerio), Gad Lerner con
Scintille. Una storia di anime vagabonde (Feltrinelli),
Laura Pariani con Milano è una selva
oscura (Einaudi) e Antonio Pennacchi con
Canale Mussolini (Mondadori). La rosa dei
cinque finalisti era stata precedentemente definita
lo scorso 22 maggio dalla Giuria dei Letterati,
presieduta quest'anno dal regista Giuseppe
Tornatore
. La cinquina di finalisti è
stata festeggiata il 3 settembre con un evento
esclusivo per la consegna del Premio Selezione
Giuria dei Letterati, tenutosi negli splendidi
spazi dell'Hotel Excelsior al Lido di Venezia.
Tale cerimonia, organizzata per il secondo
anno consecutivo dalla Fondazione Il Campiello,
si è tenuta però per la prima volta nella zona
del Lido, " palcoscenico importante della cultura
contemporanea ", come ha sottolineato il
presidente di Confindustria Veneto e della Fondazione
Il Campiello, Andrea Tomat. L'edizione
2010 del Premio Campiello ha gratificato
anche Carlo Fruttero, insignito con il Premio
Fondazione Il Campiello, un nuovo riconoscimento
che da quest'anno viene attribuito
ad una insigne personalità della cultura letteraria
italiana contemporanea, e Silvia Avallone a
cui la Giuria dei Letterati ha assegnato il Premio
Campiello Opera Prima per Acciaio (Rizzoli).
Michela Murgia, al suo esordio con lo
splendido Accabadora è sempre stata in testa
durante lo spoglio e ha " tagliato il traguardo "
con 119 voti su 300. Il suo principale avversario,
il favoritissimo della vigilia Antonio Pennacchi,
reduce dal trionfo nel premio Strega
con Canale Mussolini (Mondadori), ha avuto
73 voti. Gianrico Carofiglio ha totalizzato 62
voti. A seguire Gad Lerner, fermo a 21 voti,
ultima Laura Pariani con 13 voti.. La Murgia
ha dedicato il premio a Sakineh, la donna iraniana
condannata a morte per lapidazione con
l'accusa di tradimento e complicità nell'omicidio
del marito. Premiata dal presidente di Confindustria
Emma Marcegaglia, la scrittrice ha
ammesso che " la gara con Pennacchi l'ha aiutata
a vincere " perché " la sua competitività ha
aizzato tutti quanti ". Murgia è la quarta donna
negli ultimi anni a vincere il Campiello, come
ha sottolineato Bruno Vespa, conduttore della
serata, e Marcegaglia ha replicato: " Viva le
donne. È solo l'inizio ". A margine del Premio
si è sviluppato " il caso Mondadori ", innescato
dall'addio pubblico di Vito Mancuso alla casa
editrice di Segrate. E dai tre autori del gruppo,
la stessa Michela Murgia, Pennacchi e Pariani
è venuta una difesa a spada tratta del gruppo da
quella che è stata definita " una guerra commerciale ".
" Sono distante mille anni luce da
Berlusconi e da ciò che rappresenta " ha detto
Michela Murgia " ma il beau geste contro di lui
non va certo chiesto agli scrittori. Ci deve pensare
la politica e c'è stata un'altra maggioranza
che non ci è riuscita. Ripeto, Berlusconi è
l'incarnazione di tutto ciò che io non voglio
essere, ma abbandonare per questo l'Einaudi
non può essere chiesto a noi. Io sto bene nella
mia casa editrice e se tutti noi la dovessimo
lasciare, assomiglierebbe proprio a ciò che non
vogliamo che sia ". " Ciò che penso di Berlusconi "
ha rincarato Pennacchi " sono affari
miei, anche se è chiaro. Però, devo dire che è in
atto una campagna intimidatoria contro noi
autori del gruppo. E dietro questa guerra c'è un
conflitto tra gruppi editoriali. E perché devo
risolvere io il conflitto di interessi e non magari,
gli operai, i facchini o gli stampatori del
gruppo? Se non c'è riuscito Prodi, tocca a noi
autori? Perché non vanno dagli operai della
Fiat a chiedere di licenziarsi se non gli va bene
Marchionne? L'azienda è un fatto complesso
non c'è solo la relazione con il padrone, ma
soprattutto tra persone. La verità è che la Feltrinelli
e la Rizzoli non mi hanno voluto, mentre
la Mondadori sì ". Infine secondo Laura
Pariani " alla casa editrice c'è un catalogo prestigioso "
e la scrittrice si è detta " fiera di stare
con loro " commentando che si tratta di una
" polemica meschina e insopportabile ". A festa
finita e telecamere spente è nata un'altra discussione,
scatenata dal comportamento che il
presentatore Bruno Vespa ha riservato alla vincitrice
del Premio Campiello Giovani, Silvia
Avallone. Il conduttore di RaiUno si è prodigato
in complimenti sul decolleté della ragazza
invitando ripetutamente le telecamere alla
ripresa, anziché concentrarsi sulla letteratura.
E questo fino a quando la giovane e imbarazzata
scrittrice è riuscita a riportare l'attenzione
sul Premio. Gad Lerner dalle pagine di
" Repubblica " ha raccontato come al momento
dell'annuncio della vincitrice, il conduttore
abbia detto: " Assegniamo ora il Premio Campiello
opera prima a Silvia Avallone e prego la
regia di inquadrare il suo strepitoso decolleté" .
Lerner ha poi raccontato di essersi scambiato
un'occhiata con la vicina Murgia che ha definito Vespa
" un vecchio bavoso ". Ed è stata proprio
Michela Murgia a dar vita alla polemica
affermando che " quando c'è di mezzo una
donna, si va sempre a parare sul corpo. Non
importa la sua intelligenza, non importa se
viene festeggiata, premiata, perché ha scritto
un libro importante. Tutto si svilisce, si riduce
alla carne " e sottolineando che " in altre tv
d'Europa a un conduttore non sarebbe permesso
di comportarsi così ". Ma nonostante il suo
vestito un po' provocatorio, dalla scollatura che
davvero lasciava ben poco all'immaginazione,
la Avallone ha fatto un tentativo per smorzare
la polemica, ringraziando la Murgia per sua
solidarietà e aggiungendo di essere stata così
emozionata e felice per essere su quel palco, da
non accorgersi degli apprezzamenti, ribadendo
tuttavia di rispettare il punto di vista di Michela
Murgia, che lei considera " una sorella maggiore,
una persona da cui c'è molto da imparare,
soprattutto per la scrittura ". Vespa dal canto
suo ha replicato che " l'apprezzamento alla
Avallone era fatto con molto garbo e che la
Murgia con la sua reazione ha dimostra di non
avere sense of humour ".

Premio Viareggio.

Il Premio Viareggio Répaci è giunto quest'anno
all'81a edizione: la giuria presieduta da
Rosanna Bettarini, per sua iniziativa esclusiva,
ha esaminato decine e decine di libri e ha
segnalato più di cento opere per le tre sezioni,
Narrativa, Poesia e Saggistica. Con dedizione
si è impegnata a soppesare, confrontare e scegliere
i libri ritenuti più validi secondo un concetto
aperto della letteratura che, su vasta
gamma, possa funzionare da invito al piacere
di leggere. Nella sezione della Narrativa ha
fermato l'attenzione su molte opere di indubitabile
rilievo, appartenenti a diversi modi di
affrontare il " genere " romanzo, che a volte si
confonde o si sovrappone ai modi della saggistica,
tanto approfondite risultano alcune ricostruzioni
di ambienti, di tradizioni, di storie del
passato o della contemporaneità. La lunga analisi
delle varie tendenze di scrittura è ben rappresentata
dalla terna finale, formata da " tre
libri forti e molto diversi tra loro ": Nicola
Lagioia
, Riportando tutto a casa (Einaudi),
Nicolai Lilin, Caduta libera (Einaudi) e Laura
Pariani, Milano è una selva oscura (Einaudi).
Il premio è stato assegnato al libro di Lagioia,
un romanzo di formazione che ci accompagna
alla scoperta di una generazione insicura, figlia
di un boom economico che la lacerato la società.
Nella motivazione di Giorgio Amitrano si
legge come l'autore " racconta con parole ricche
di invenzione questa storia dolorosamente
italiana riuscendo a riportare a casa, attraverso
la scrittura, i frammenti dispersi della giovinezza
di molti ". La sezione di Poesia si distingueva
quest'anno per opere di grande bellezza,
che per numero e qualità hanno reso tutt'altro
che lievi le scelte scalari e le ultime decisioni
della Giuria, la quale ha apprezzato tanto i giovani
talenti quanto gli eredi più sensibili della
grande tradizione poetica italiana, spesso plurilingue.
La terna dei finalisti è indicativa di per
sé delle lunghe e appassionate discussioni che
hanno portato alla scelta finale, secondo la tradizione
del Premio, che ha sempre avuto un
occhio di riguardo per l'arte di Orfeo: Fernando
Bandini Quattordici poesie (L'Obliquo),
Pierluigi Cappello Mandate a dire all'imperatore
(Crocetti) e Michele Sovente Superstiti
(San Marco dei Giustiniani). La Giuria ha ritenuto
di assegnare il Premio Viareggio Rèpaci
2010, a Pierluigi Cappello, " più giovane
vocazione poetica ma già con le stimmate della
propria genesi dolorosa e necessaria, che misura,
in un doppio registro emotivo-linguistico,
italiano e friulano, il suo sentimento del tempo
e del recupero memoriale " come spiega la
motivazione a firma Mario Graziano Parri.. Un
tempo, quello di Cappello, frazionato in
" minuti raddensati in secoli/ nei gesti di uno
stare fermi nel mondo ". Un ricordare di " chi
non ha più niente dietro di sé " o ha " la memoria
lunga/ di chi ha poco da raccontare ", nella
coscienza che " il futuro è quello che rimane,
ciò che resta delle cose convocate/ nello scorrere
dei volti chiamati ". Così dicono i suoi
versi, dove tuttavia di prepotenza scatta una
forza intima ed estrema, capace, da sparsi e
minuti indizi, di ricostruire l'universo e di
guardare, di noi, ciò che non resta " dopo che
tutto è stato fatto per trattenere la vita ". E dalle
riflessioni sul tempo che scorre e sulla necessità
di ricordare e recuperare i nostri ricordi
nasce una forza capace di ricostruire i tasselli
del nostro universo e di noi stessi. Perché di noi
qui si parla, e con noi di un mondo che va
comunque cantato, nella sua prepotente e sensitiva
natura, nell'eco delle voci e nell'ombra
dei volti e nella traversia delle cose che contano,
con trasporto amoroso e con tenace patire.
Nella Saggistica sono state esaminate un'infinità
di opere affascinanti appartenenti ai più
svariati generi della ricerca, libri di storia politica
e civile, di papi e di santi, di critica d'arte,
di filosofia anche sotto la forma del roman philosophique
che dimostra la transitività dei
" generi' letterari, di sport, di ricostruzione di
epoche e di ambienti. Molte di queste opere
dicono parole nuove e per gran tempo definitive
nel loro campo, per cui la Giuria ha discusso
con l'abituale vivacità per arrivare a fissare
la terna dei finalisti e per scegliere in fine il
libro vincitore. Per la Saggistica la triade era
composta da: Michele Emmer, Bolle di sapone
(Bollati Boringhieri), Melania Mazzucco,
Jacomo Tintoretto e i suoi figli. Storia di una
famiglia veneziana (Rizzoli) e da Amedeo
Quondam, Forma del vivere. L'etica del gentiluomo
e i moralisti moderni (Il Mulino). Il premio
è andato al saggio di Michele Emmer, " in
cui matematica e scienza, rigore analitico e
sensibilità artistica si corrispondono perfettamente
e producono un incrocio di prospettive
in grado di far luce su più d'uno degli infiniti
microcosmi in mezzo a cui viviamo ", secondo
la motivazione a firma di Sergio Givone. Il
libro di Emmer si apre e si chiude con una citazione
di Lord Kelvin: " fate una bolla di sapone
e osservatela: potreste passare tutta la vita a
studiarla. ". Emmer, che è un insigne matematico,
lo prende in parola, ben sapendo che nella
frase di Kelvin echeggia una tradizione di pensiero
che va da Platone a Plotino, secondo di
quali la forma, ogni forma, anche la più effimera
e insignificante, contiene tutto un mondo,
è " tutta piena di ragioni, tutta piena di logoi ", e
indicare queste ragioni è il compito di ogni
ricercatore. La Giuria quest'anno ha deciso
inoltre di attribuire un Premio del Presidente
all'opera complessiva di un autore, con specifico
riguardo alla poesia. L'assegnazione del
Premio a Quattordici poesie di Fernando
Bandini
aspira a segnalare, insieme, l'eccellenza
di un libro di versi e il significato complessivo
di una " storia " poetica più che quarantennale
(iniziata nel 1962 con In modo lampante)
inscritta con un originale, inconfondibile
rilievo nella più generale vicenda della lirica
post montaliana. Fernando Bandini è da sempre
stato fedele alla propria tradizione culturale ma
è riuscito ad inserirvi una sperimentazione linguistica
davvero eccellente quasi a volerci
ricordare che siamo un continuum del passato
ma che da lì dobbiamo progredire e diventare
sempre qualcosa d'altro. Le quattordici poesie
di Bandini (tredici, per l'esattezza, più " Omaggio
a Rimbaud ", una memorabile versione di
" Le bateau ivre ") testimoniano, dell'autore, l'ininterrotta,
strenua fedeltà alle proprie radici
culturali e per dir così psico antropologiche
(capitale, nel suo lungo e articolatissimo esercizio
inventivo, il conferimento a Vicenza Aznèvic l'ufficio
di autentico baricentro privato
e pubblico, personale e civile, come si conviene
a una città della vita) e la " varietà " e il
rigore di una sperimentazione linguistica (tra
italiano, latino e dialetto) del tutto degna del
magistrale " conoscitore " della poesia e dei
poeti che Bandini è stato ed è: si pensi non soltanto
alle investigazioni critiche dedicate a
Leopardi e a Zanella, a Rebora e a Zanzotto,
ma anche, e più, alla liberissima e talora geniale
relazione intrattenuta con i grandi modelli
offerti da Pascoli e Montale nell'ampio arco
temporale che separa Memoria del futuro
(1969) da Dietro i cancelli e altrove (2007).
Oggi, in questa esile e in realtà concentrata,
densissima silloge, l'incantevole polifonia che
Bandini deduce dalla rimodulazione della
lezione di quei due sommi ornitologi sembra
alludere, a un tempo, a una continuità e a una
discontinuità, confermando da un lato la riconoscibilità
e l'altezza della voce poetica di
Bandini, esibendo dall'altro i primi indizi
tematici e formali di una nuova, imprevedibile
stagione.
Nei mesi precedenti erano già stati assegnati il
Premio Letterario Viareggio Tobino a Sergio
Zavoli; il Premio Giornalistico Viareggio terza pagina a
Cesare Garboli
al grande illustratore
umorista Vincino e il Premio Internazionale
Viareggio Versilia allo scrittore Mario Vargas
Llosa, definito " un intellettuale il cui talento
letterario sfida tutti i luoghi comuni da sempre.
Una voce autorevole, inaspettata, che come
autore è passato da generi e forme, non più
distanti di quelle solcate dalla sua militanza
politica e dalla sua inafferrabile collocazione
fisica, divisa fra Londra eletta da vent'anni a
dimora, la Spagna di cui è cittadino e accademico,
il Perù della sua vita e delle sue famiglie,
e le molte sedi che se ne contendono le letture
ironiche e cupe, nel suo rimasticare la storia
dimenticata facendo delle persone dei personaggi,
nella sua prosa di critico letterario.

Premio Strega.

Nella tradizionale cornice del Ninfeo di Villa
Giulia, a Roma, il 1° luglio è stato proclamato
il vincitore della 64° edizione del Premio Strega:
si tratta di Antonio Pennacchi, con Canale
Mussolini, che nello scrutinio finale è stato
protagonista di un testa a testa con il libro di
Silvia Avallone Acciaio, che ha battuto per 4
voti (133 a 129 voti), è Antonio Pennacchi, che
ha dedicato la vittoria al fratello Gianni scomparso
lo scorso anno e alla nipotina in arrivo.
Durante l'intervista prima della proclamazione
del vincitore, a chi sottolineava che sarebbe
stata la quarta volta consecutiva che il Premio
veniva aggiudicato ad un libro dell'editore
Mondadori, Pennacchi così rispondeva: " Desidererei
essere premiato per il libro e non per
chi lo ha pubblicato ". I votanti sono stati 396
su 430 (espressi da 400 Amici della Domenica
e da 30 lettori forti scelti da altrettante librerie
indipendenti di tutta Italia); 5 sono state le
schede bianche. Alla selezione della cinquina
finale si è arrivati, come di consueto, con la
votazione svoltasi nell'appartamento di via
Fratelli Ruspoli a Roma, già abitazione di
Maria Bellonci, e ora sede del premio letterario
più ambito in Italia. La rosa dei finalisti era
dunque composta da Acciaio (Rizzoli, 62 voti)
di Silvia Avallone, Hanno tutti ragione (Feltrinelli
55 voti) di Paolo Sorrentino, Canale Mussolini
(Mondadori 54 voti) di Antonio Pennacchi,
Sono comuni le cose degli amici (Ponte
alle grazie 50 voti) di Matteo Nucci e infine
Accanto alla tigre (Fandango 45 voti) di
Lorenzo Pavolini. Non era riuscito ad entrare
in finale Raul Montanari con Strane cose,
domani (Baldini Castoldi Dalai) che era riuscito
ad ottenere invece il premio collettivo dei
giovani.

Premio Bancarella.

Il 18 luglio alla presenza di una nutrita folla di
spettatori, fatto eccezionale se si considerano il
clima torrido e la crisi del libro e dell'editoria,
nella piazza della Repubblica di Pontremoli, è
stato assegnato il 58° Premio Bancarella, erogato
dalla Fondazione città del libro, presieduta
da Giuseppe Benelli anima culturale, unitamente
ad Andrea Baldini e a Germano Cavalli.
Il premio della terra di Lunigiana, divenuto
famoso in tutto il mondo, è stato vinto da Elizabeth
Strout
con il libro Olive Kitteridge
edito da Fazi che ha vinto con 100 voti su 187
schede pervenute superando gli altri cinque
finalisti: S.O.S. Amore di Federica Bosco
(Newton Compton), La scatola dei calzini perduti
di Vauro Senesi (Piemme), Il giudice
meschino di Mimmo Gangemi (Einaudi), L'assassino
qualcosa lascia di Rosa Mogliasso
(Salani), Confessione di Bill James ( Sellerio).
La vincitrice, che non era presente alla serata
( il premio è stato ritirato dal suo editore ), è
nata a Portland nel Maine nel 1956. Poco dopo
avere completato gli studi in giurisprudenza ha
deciso di abbandonare la professione per dedicarsi
alla scrittura. Negli anni precedenti ha già
ottenuto alcuni importanti premi letterari. La
serata è stata impreziosita dal " salotto " presentato
dalla giornalista di Sky Letizia Leviti che
ha intervistato autori e finalisti i quali hanno
illustrato le loro opere. Interessante e fuori programma
un serrato botta e risposta tra il finalista
Vauro Senesi e Stefano Zurlo de " il Giornale "
sul tema della magistratura. Nel corso
della serata il presidente della Fondazione Giuseppe
Benelli ha posto l'accento sulle peculiarità
di un premio " che nasce dall'azione dei
librai pontremolesi, fenomeno particolare e
unico in Italia ". Infatti è bene ricordare che,
sono proprio i librai di Pontremoli disseminati
in tutta Italia, a votare il libro che essi ritengono
meritevole del loro premio. Per i venditori
pontremolesi ( ha proseguito Benelli regalando
una romantica immagine del Bancarella )
l'appuntamento era in primavera al Passo della
Cisa, sull'antico itinerario della via Francigena
che divide e unisce la Lunigiana dalla Padania.
Nei verdi prati dell'Appennino si svolgeva il
rito sacro dell'assegnazione delle zone dove
andavano a vendere in modo da evitare l'inutile
e dannosa concorrenza ". Un premio dunque,
il Bancarella, che, dopo più di mezzo secolo di
vita ancora sprigiona il suo sottile e arcano
fascino dovuto alla lungimiranza dei suoi padri
fondatori. Tra i tanti scrittori che ne sono rimasti
colpiti, Oriana Fallaci la quale ebbe a dire,
riferendosi ai primi ambulanti pontremolesi
che " non avevano confidenza con l'alfabeto
ma sentivano quali libri era il caso di comperare
e quali no ".
Intanto il 22 maggio era stato assegnato il 53°
Premio Bancarellino e i sette giovani giurati
avevano decretato la vittoria di due libri finalisti
che hanno come tema l'Olocausto: Il pianoforte
di Mara di Maria Luisa Valenti Ronco
(Editrice La Scuola) e Il passato ritorna di
Nedo Fiano (Monti Editore). La Ronco aveva
dedicato questa vittoria a tutti i giovani che,
come Mara, sono morti nei campi di sterminio,
mentre Nedo Fiano, anche lui vittorioso a questa
edizione, l'aveva consacrata alla madre
arrivata e morta ad Auschwitz proprio un 22
maggio. Sulle altre trame di fantasia hanno
prevalso quindi storie vere di un passato da non
dimenticare e da condannare, perché non si
ripeta: la scelta dei giurati ha visto il plauso
anche dei 1.500 ragazzi di tutta Italia presenti a
Pontremoli per l'occasione, che non hanno
mancato di far sentire la loro voce e d'incalzare
gli autori con domande e richieste. Ecco gli
altri tre libri finalisti: La vita come viene di
Anne-Laure Bondoux (San Paolo), Il popolo di
Tarkaan di Pierdomenico Baccalario (Piemme),
La mia strada di Miley Cyrus (The Walt
Disney C. Italia). A termine della manifestazione
il segretario del Premio Enrico Polverini
ha commentato che " proprio un finale a sorpresa
come quello di quest'anno rende il Premio
Bancarellino unico nel suo genere e sa
dargli valore, perché è con scelte come queste
che i ragazzi diventano grandi ". La selezione
dei cinque finalisti è avvenuta nell'ambito dell'iniziativa
" Progetto lettura ", che ha coinvolto
gli studenti di oltre 150 istituti secondari di
primo grado di tutta Italia, con una popolazione
di lettori di oltre 10.000 alunni. La Fondazione
Città del Libro di Pontremoli che, in collaborazione
con l'Unione Librai Pontremolesi
e delle Bancarelle, organizza la manifestazione
ha inviato a ciascuna scuola venti volumi, selezionati
tra quelli per ragazzi editi nel 2009. Il
Premio Bancarellino ha le proprie origini nella
Prima Giornata dei ragazzi nella Città dei
Librai, che si tenne a Pontremoli il 17 agosto
1957, quando in occasione del Premio Bancarella
venne annunciata la nascita di un Premio
Bancarella per Ragazzi, destinato a segnalare il
miglior libro di letteratura giovanile dell'anno.
La prima edizione del Premio l'anno successivo
si basò su una scelta effettuata dai ragazzi di
tutta Italia, attraverso un referendum a mezzo
di cartoline postali. Ma subito dopo, nel 1959,
si passò alla denominazione di Premio Bancarellino
e alla scelta del vincitore in una rosa di
finalisti, scelta da effettuarsi al termine di una
discussione pubblica tra i membri della giuria,
formata da ragazzi di scuola media provenienti
da ogni parte del Paese. Da allora il Bancarellino
non ha più mutato formula di assegnazione.
Il Premio Bancarella della Cucina è
stato assegnato, sempre a Pontremoli, il 26 settembre
2010 al Teatro Della Rosa. Al termine
dello scrutinio delle 72 schede pervenute, il
notaio del Premio ha proclamato Marino
Marini
vincitore della quinta edizione con il
libro La gola pubblicato da Food Editore, che
ha ottenuto 24 preferenze dalla giuria nazionale
composta da 40 esperti del settore enogastronomico
e da 40 bancarellai. Nato a Brescia
nel 1944, Marini è un cuoco ed uno storico
della cucina e nel 1986 ha fondato con altri il
movimento " Slow Food " nel quale ricopre
incarichi di dirigenza. Collezionista di libri, ne
raccoglie circa 6.000 di cucina, presenti alla
Scuola Internazionale di Cucina Italiana di
Colorno. Il favorito della vigilia, Fabio Picchi
con il suo I 10 comandamenti per non fare peccato
in cucina, edito da Mondadori, si è classificato
al secondo posto con 19 preferenze. Lo
chef Davide Oldani, con La mia cucina pop, ha
occupato l'ultima piazza d'onore, ottenendo 14
preferenze. Infine, i giurati hanno espresso 9
preferenze per Laurel Evans con Buon appetito
America, edito da Guido Tommasi e 4 voti
per Le ricette del designer, pubblicato da Editrice
compositori. Durante lo spoglio pubblico
delle schede di votazione è stato assegnato il
Premio speciale " Angelo Paracucchi ", dedicato
alla memoria del grande chef, ad Allan
Bay curatore della collana " Il lettore goloso "
edita da Ponte alle Grazie; inoltre il Premio
" Baldassarre Molossi "
per la divulgazione
dell'enogastronomia, è stato conferito a Salvatore
Marchese e una Menzione Speciale della
Giuria
è andata al libro Niko. Semplicità reale
di Niko Romito, Clara Padovani e Gigi Padovani
(Giunti Editore). La manifestazione è
stata presentata dal conduttore Bruno Gambarotta
e la fase di premiazione è stata preceduta
da un interessante dibattito culturale, animato
dal giornalista Paolo Marchi dal titolo: " Internet
uccide il libro di cucina? ", al quale hanno
preso parte tutti gli autori finalisti. Infine, sempre
a Pontremoli al Teatro Della Rosa, il 5 settembre
John Carlin è stato proclamato vincitore
del 47° Premio Bancarella Sport, per il
suo best seller Ama il tuo nemico, con il quale
racconta la grande intuizione politica di Nelson
Mandela di usare il rugby per unire i sudafricani.
John Carlin è nato a Londra, il 12 maggio
1956, è un giornalista inglese che ha collaborato
a importanti testate giornalistiche quali
" The New York Times ", " The Independent "
(per il quale dal 1989 al 1995 è stato corrispondente
in Sudafrica), " Spin ", " Wired " e
" The Observer ". Oggi scrive per " El País ". Il
romanzo Ama il tuo nemico (Playing the
Enemy: Nelson Mandela and the Game that
Made a Nation), è un ritratto inedito di Mandela,
un racconto di sport, umanità e politica
che è diventato un film campione d'incassi
girato da Clint Eastwood. Il premio è stato
assegnato all'editor Enrico Racca in rappresentanza
della casa editrice Sperling & Kupfer che
ha pubblicato l'edizione italiana. Il volume del
giornalista inglese ha ottenuto 36 voti su 110
schede valide pervenute, secondo con 23 voti
si è piazzato Maldafrica di Lea Pericoli (Marsilio),
mentre si è posizionato al terzo posto,
con 20 voti, la biografia dell'allenatore del
Chelsea, Preferisco la coppa di Carlo Ancelotti
e Alessandro Alciato (Rizzoli), seguiti da
Giro d'Italia con delitto (Marietti 1820) di
Giampaolo Ormezzano, Il Tackle nel deserto
(Sedizioni) di Luigi Guelpa e Storia delle idee
del calcio (Baldini Castoldi Dalai) di Mario
Sconcerti. La giornata, presentata da Paolo
Liguori, è stata animata da un salotto, che ha
visto la partecipazione degli autori dei libri
finalisti, del giornalista Gianni Mura, al quale
poche ore prima era stato conferito il VI Premio
Giornalistico " Bruno Raschi ", di Paolo
Francia, Eugenio Fascetti e di Felice Magnani
e Enrico Valente autori di L'oro in bocca (Lo
Sprint), segnalato dalla Commissione di scelte
come meritevole di menzione.

Premio Bagutta.

Il 30 gennaio si è concluso il Premio Bagutta
con la consueta cena di premiazione all'omonimo
ristorante milanese. Primo premio letterario
italiano, che ha visto la luce tra bicchieri
di vino e portate di ogni tipo, è nato nel 1927
per gioco: gli artisti e scrittori che si ritrovavano
a cena nel locale decisero che chiunque
fosse arrivato in ritardo o non si fosse proprio
presentato ad una cena avrebbe dovuto pagare
una multa. Quei soldi, messi da parte, avrebbero
alla fine rappresentato il premio per l'autore
del libro migliore dell'anno. Il Vincitore dell'edizione
2010 è Corrado Stajano con il
libro La città degli untori (Garzanti), un saggio
in forma narrativa incentrato su Milano di cui
si tessono i fili del passato che hanno portato
alla città che noi oggi conosciamo. Il Premio
Bagutta Opera Prima
è stato invece assegnato
a Filippo Bologna per il libro Come ho perso
la guerra (Fandango), tra le cui pagine si staglia
la storia di una guerriglia cittadina nata per
combattere un imprenditore che con i suoi progetti
rischia di mettere a repentaglio la vita di
un intero paese.

Un festival, un salone e un nuovo premio.

Appuntamento imprescindibile di ogni appassionato
bibliofilo ed evento di rilievo internazionale,
il Salone Internazionale del Libro di
Torino
, giunto alla 23a edizione, si è svolto
come di consueto al Lingotto dal 13 al 17 maggio.
Questi i numeri della manifestazione, promossa
dalla Fondazione per il Libro, la Musica
e la Cultura: 6 padiglioni, 51.000 metri quadrati
espositivi, 27 sale convegni, oltre 1.400
editori, 5 giorni di eventi attraverso una serie di
incontri, dibattiti e conversazioni che hanno
variato dalla letteratura alle scienze, al cinema,
al giornalismo e oltre 300.000 visitatori. Tema
portante di quest'anno era la Memoria in tutte
le sue declinazioni simboliche e pratiche:
cuore della trasmissione del patrimonio umano
di ogni società (e di ogni corpo, come insegna
la genetica), aiutata dapprima con la pietra, poi
via, via con la carta, fino all'evoluzione
moderna grazie alla tecnologia e ai computer.
Memoria storica, ma anche politica, sempre in
bilico tra necessità di salvaguardia e bisogno di
oblio. Ma sono stati molti altri i temi indagati
nei vari incontri del Salone 2010, cui sono
intervenuti tra gli altri il regista Giuseppe Tornatore,
il filosofo Gianfranco Ravasi e l'architetto
Mario Botta. Il paese ospite è stato
questa volta l'India, venuto prepotentemente
alla ribalta letteraria dopo la comparsa di Salman
Rushdie, 30 anni fa, in particolare l'India
degli scrittori che hanno deciso di restare in
patria: tra i molti ospiti ci saranno Anita Desai,
Anita Nair e Vikas Swarup (dal cui romanzo
Slumdog Millionaire è stato tratto il film di
Danny Boyle, che nel 2009 ha vinto 8 Premi
Oscar). Nel corso della manifestazione è stato
presentato il nuovo Premio Internazionale
Salone del libro di Torino, un riconoscimento
di 25.000 euro alla carriera di personalità eminenti
della scena nazionale e internazionale,
considerate maestri nel loro campo e selezionate
dal Consiglio di indirizzo della Fondazione
per il libro. Il vincitore è tenuto a fermarsi
nella regione Piemonte per un mese al fine di
incontrare soprattutto i ragazzi delle superiori,
in modo tale da avvicinare il premio il più possibile
alle generazioni del futuro e a un pubblico
vasto e non di nicchia. E ancora ai giovani e
al futuro di una comunicazione espressa in
forme diverse è stata dedicata l'area " Invasioni
mediatiche, evoluzione di Comics Park Animation
Studios ", dedicata a media, fumetti, giochi
e musica.
Il primo Premio Salone Internazionale del
Libro
è stato assegnato allo scrittore israeliano
Amos Oz e il ciclo di incontri piemontesi con
lui protagonista ha contato oltre 3.000 spettatori
e sale tutte esaurite. Il successo internazionale
di Oz è stato così suggellato dall'affetto del
pubblico, dalla risposta delle scuole, dall'intelligenza
e preparazione delle tante domande
poste dai giovani. Rolando Picchioni, presidente
della Fondazione per il Libro, la Musica
e la Cultura, descrivendo il nuovo riconoscimento
letterario italiano ha affermato che non
si tratta di " un copia-incolla di esperienze precedenti,
ma di un progetto del tutto inedito.
Non esiste un altro premio letterario in cui il
giurato sia il pubblico, in cui lo scrittore scenda
dal red carpet del momento celebrativo e si
immerga nell'incontro di un territorio e della
sua gente ". Le novità del Premio Salone Internazionale
del Libro parlano da sé: la giuria più
grande del mondo, con migliaia di voti elettronici
espressi al Lingotto, la partecipazione
entusiastica delle scuole piemontesi con oltre
2.200 ragazzi di 34 istituti di Alba, Asti, Casale
Monferrato e Torino, le 1.000 copie del
volume di Oz Contro il fanatismo, che la Fondazione
per il Libro ha messo a disposizione
delle classi e su cui studenti e insegnanti si
sono preparati per settimane.
Il programma ha visto lo scrittore israeliano
protagonista di un fitto calendario di appuntamenti
iniziato domenica 7 al Teatro Sociale
Giorgio Busca di Alba (Cn) con la cerimonia di
consegna del Premio, alla presenza del presidente
della Fondazione Picchioni, del direttore
del Salone Internazionale del Libro Ernesto
Ferrero
, dell'assessore al Turismo della Regione
Piemonte Alberto Cirio e dell'assessore
alla Cultura della Città di Alba Antonio Degiacomi.
In dialogo con la sua traduttrice italiana
Elena Loewenthal, Oz ha commentato: " Il
fatto che i miei libri siano stati scelti non da
una giuria di espertima dai lettori del Salone di
Torino ne fa il più bello dei premi letterari che
ho ricevuto ". Lo scrittore è stato scelto dalla
maggioranza dei voti elettronici dei visitatori
ed editori presenti al Salone 2010, imponendosi
su due altri grandi nomi come Paul Auster e
Carlos Fuentes. Dopo Alba, Oz è intervenuto
agli incontri al Centro Culturale San Secondo
di Asti assieme a Wlodek Goldkorn, al Teatro
Municipale di Casale Monferrato con Gad
Lerner
e in un gremitissimo Teatro Regio di
Torino in compagnia dello scrittore Alessandro
Piperno
. E accanto agli incontri " ufficiali ",
un variegato programma off ha offerto allo
scrittore una full immersion in alcune delle più
significative realtà del Parco Culturale Piemonte
Paesaggio Umano: il Bosco dei Pensieri
alla Tenuta di Fontanafredda, le Cantine
Bosca di Canelli, il Castello e il centro storico
di Costigliole d'Asti. E ancora l'incontro con i
lettori alla Libreria Luxemburg di Torino, il
" fuori programma " alla Comunità Ebraica di
Torino per l'incontro con il rabbino capo
askhenazita di Israele Jona Metzger. E a
Bosco Marengo (Al), la lezione dinanzi al
World Political Forum: il tavolo internazionale
permanente che promuove incontri e riflessioni
sui temi della geopolitica, con cui Oz ha
affrontato il difficile tema del conflitto e della
pace in Medio Oriente.

La 14a edizione del Festivaletteratura di
Mantova
si è svolta nella bella cittadina lombarda
dall'8 al 12 settembre. Il filo d'Arianna
della manifestazione è stato il tema del confronto
culturale, l'amore per la lettura, il desiderio
di scoprire ancora appassionate rappresentazioni
del mondo. Ampio lo spazio dedicato
alle nuove generazioni: in controtendenza
rispetto a ogni logica sensazionalistica in aprile
il festival, con un cantiere off, aveva nuovamente
proposto " Scritture Giovani ", il progetto
che ha già avuto tra i suoi protagonisti scrittori
come Valeria Parrella, Davide Longo, Flavio
Soriga, prima della loro consacrazione editoriale.
Protagonisti di questa edizione sono stati
Dora Albanese, Catrin Dafydd, Stefania
Mihalache
e Clemens Setz. A questa serie di
incontri con autori tutti da scoprire e con il portoghese
David Machado e il gallese Cynan
Jones
, che grazie al progetto nel corso dell'anno
hanno trovato un editore italiano, si è affiancato
quest'anno un cantiere di orientamento al
mondo dell'editoria e delle professioni legate
alla scrittura, destinato a giovani aspiranti scrittori
al di sotto dei 27 anni. Proprio per valorizzare
i materiali di ricerca e di approfondimento
che la manifestazione produce, continua il
percorso che ha condotto alla nascita dell'archivio
di Festivaletteratura, strumento che permette
di non disperdere il patrimonio di conversazioni,
stimoli, suggestioni nate, anche in
modo informale e imprevisto, nei giorni del
Festival e di farne materiale di riflessione e di
nuove creazioni per il domani.
Al centro del Festivaletteratura è stata posta la
memoria di due grandi italiani: Ennio Flaiano,
di cui il Festival ha ricostruito la Biblioteca di
studio, e Fernanda Pivano, della quale sono
state rese disponibili per il pubblico delle registrazioni
inedite.
Non sono mancati neanche in questa edizione i
grandi nomi della letteratura internazionale: i
premi Nobel Vidiadhar S. Naipaul e Séamus
Heaney, insieme all'autore di spy-story Frederic
Forsyth, al poeta e narratore statunitense
Edmund White, allo scrittore e illustratore per
ragazzi Tony Ross, a John Berger, Joseph
O'Connor, Azar Nafisi, Hanif Kureishi, tornati
a Mantova dopo alcuni anni. La retrospettiva
di quest'anno era dedicata ad Amos Oz,
anch'egli gradito ritorno a Festivaletteratura:
con la formula sperimentata con successo lo
scorso anno con Amitav Ghosh, è stata ripercorsa
in tre incontri l'intera opera dello scrittore
israeliano, divisa per l'occasione in " storie
di sé ", " storie di coppia ", " storie del villaggio ".
È un Occidente dalla pelle cambiata quello che
parla a Festivaletteratura, e che trova nella presenza
di autori provenienti da altri paesi o emigrati
di seconda generazione un nuovo modo di
rappresentare se stesso e il mondo. La riflessione
sui trascorsi coloniali, sulle nuove migrazioni,
sul portato dei Paesi emergenti, è stata al
centro della lezione del filosofo François Jullien,
con un intervento dedicato all'influsso
della sapienza orientale sul mutamento del pensiero
occidentale contemporaneo. Ma sono
soprattutto scrittrici come l'indiana Tishani
Doshi o la giapponese Natsuo Kirino, o, da
tutt'altri orizzonti, artisti africani poliedrici
come Stacy M.Hardy e Fatima Tuggar a portare
al festival il nuovo clima creativo di continenti
a noi sempre più vicini. Dagli Stati Uniti,
oltre a Joshua Ferris e Thomas McGuane,
vengono il nigeriano Chris Abani, uno dei più
talentuosi esponenti della letteratura nera, Said
Sayrafiezadeh, drammaturgo e scrittore di origine
iraniana, e la stessa Azar Nafisi; dalla
Gran Bretagna i pakistani Kamila Shamsie e
Rasheed Araeen, la scrittrice anglo-giamaicana
Zadie Smith; e ancora KaderAbdolah, iraniano
che ha scelto l'olandese come lingua d'espressione,
la giallista turco-tedesca Esmahan
Aykol e il senegalese-italiano Cheikh Tidiane
Gaye. Un'attenzione particolare, che origina da
un'attualità scottante, è stata riservata quest'anno
alla produzione letteraria e artistica dell'Iran.
Poco si conosce in Occidente della vitalità
del dibattito e della produzione culturale in un
Paese reso tutt'altro che passivo dal regime: in
questo senso, grazie alla collaborazione attiva
di alcuni giovani giornalisti e studenti iraniani
che vivono in Italia, sono stati organizzati
incontri in cui alcuni autori presenti al Festival
hanno potuto dialogare con blogger, artisti,
giornalisti che vivono e proseguono la propria
attività in Iran. Per tutto il Festival questi giovani
hanno animato una sorta di " isola iraniana "
dove è stato possibile per il pubblico conoscere
e avvicinare i temi più attuali della vita culturale
nell'Iran contemporaneo.
Della manifestazione mantovana è indubbia la
capacità di riconoscere e apprezzare scrittori
ancora periferici nel mondo editoriale, frutto
di un attento lavoro di ricerca, di segnalazioni
che quotidianamente arrivano al Comitato
Organizzatore da una rete diffusa e aperta di
amici che partecipano alla costruzione del
Festival lanciando idee e nomi che arrivano
subito al programma o restano in incubazione
per le edizioni future. È grazie a tutti loro che
il Festival riesce a costruire ogni anno un programma
capace di sorprendere e di far compiere
al pubblico nuove scoperte. Herta Müller,
per fare un esempio, è solo l'ultimo caso
di un'autrice destinata a larga fama che, ancora
nel 2009, un mese prima del conferimento
del Nobel si aggirava per le strade di Mantova
semisconosciuta. Inoltre va riconosciuta al
festival la capacità critica di intuire con anticipo
una tendenza, la passione per il giallo
nordico, per esempio, nata nel corso di edizioni
passate, quando ancora non era moda.

Premi Internazionali.

Il prestigioso premio letterario britannico Orange Prize, assegnato ogni anno alla migliore opera di fiction pubblicata nel Regno Unito nel
corso dell'anno precedente, nel 2010 è stato vinto da Barbara Kingsolver con The Lacuna (Harper). La giuria è composta esclusivamente
di donne. Il premio consiste in una mole di 30.000 libri nonché in una scultura detta " Bessie ", opera dell'artista Grizel Niven. La stessa
Kingsolver, piazzatasi con lo stesso libro nella cinquina dei finalisti del Pen Faulkner Award (vedi sotto) ha ottenuto un premio di 5.000 dollari.
Il romanzo racconta la storia di un uomo diviso tra due nazioni, il Messico di Frida Kahlo e l'America di J. Edgar Hoover al tempo della
Seconda guerra mondiale.
Il Pen Faulkner Award per la fiction è stato assegnato a Sherman Joseph Alexie Jr. per il suo War Dances. Alexie diventa così il primo
nativo americano a vincere il premio, che consiste nella somma di 15.000 dollari.
Terry Olufemi, della Sierra Leone, si è aggiudicato il Caine Prize con il suo racconto " Stickfighting Days " per il quale il presidente della
giuria, nonché editor dell'Economist Fiammetta Rocco ha speso parole estremamente lusinghiere, paragonando la struttura e lo stile narrativo
a quello di Omero. Cresciuto tra Nigeria, Regno Unito e Costa d'Avorio, Olufemi è divenuto giornalista in Somalia e in Uganda e ha
studiato a New York. Vive a Cape Town, dove nel 2008, gli è stato assegnato dall'università un master in scrittura creativa. Gli altri finalisti
del Caine del 2010 erano Ken Barris (South Africa), Lily Mabura (Kenya), Namwali Serpell (Zambia) e Alex Smith (South Africa).
Il 23 aprile 2010 nel paraninfo della Università di Alcalá de Henares, con una cerimonia presenziata dal re Juan Carlos il poeta, traduttore
e saggista messicano José Emilio Pacheco è stato insignito del Premio Cervantes, che consiste in 120.000 euro. Il premio è il maggior
riconoscimento per la letteratura in lingua spagnola. Pacheco, eterno candidato a questo riconoscimento, è considerato un " classico
vivente " della letteratura contemporanea e secondo le parole di José Antonio Pascual, presidente della giuria della Accademia Reale Spagnola
" è un eccezionale poeta della vita quotidiana, con una profondità e una libertà di pensiero, una capacità di creare un mondo proprio,
un ironico distacco dalla realtà quando è necessario e un uso linguistico come quello della " ñ " che è impeccabile ", ha detto Pascual.
L'allusione alla ñ si riferisce al poema di Pacheco " Defensa de la ñ ", pubblicato nella raccolta " Del siglo pasado (desenlace) " del 2000, che
dice: " Questo animale che grugnisce con la " egne' di uña (unghia) / è completamente intraducibile/ Perderebbe la ferocia della sua voce/
in qualsiasi lingua straniera ". Tra i suoi libri di poemi ricordiamo Los elementos de la noche (1963), El reposo del fuego (1966), No me preguntes
cómo pasa el tiempo (1969), Irás y no volverás (1973) e Islas a la deriva (1976). Oltre al Cervantes, Pacheco ha ricevuto anche il
premio Regina Sofia di poesia iberoamericana. In aggiunta ha al suo attivo, altri premi come l'Iberoamericano di Letteratura José Donoso
(2001); il premio Internacional Octavio Paz de Poesia e saggio (2003) e quello di poesia Federico García Lorca (2005). In occasione del
conferimento del premio, il poeta ha pronunciato questo discorso: " Il 1947 è un anno lontano come il 1547. Ambedue date sono ormai
sprofondate nell'eterna oscurità e sono irrecuperabili. Talvolta la memoria inventa quello che evoca e l'immaginazione illumina la densa
contemporaneità. Tuttavia, così come per noi saranno sempre dei giganti i molini a vento che apparivano nel 1585 e che rappresentavano
la modernità prima ancora dell'invenzione di questa stessa parola, in qualche modo è reale un'altra esperienza: quella di un bambino
che a Città del Messico va insieme con tutta la sua scuola al Palazzo delle Belle Arti e assiste meravigliato ad una rappresentazione teatrale
del Don Chisciotte. Quando il sipario è ancora chiuso appare lo storico arabo Cide Hamete Benengeli al quale Cervantes attribuisce
il racconto. Benengeli ha deciso di abbreviare la storia per farla conoscere ai bambini del Messico. Il sipario si apre. Dall'oscurità appare
la locanda che è un castello per Don Chisciotte. Vuole essere armato cavaliere per poter offrire le sue prodezze alla incomparabile Dulcinea
del Toboso, la donna più bella del mondo. Due ore dopo l'opera è terminata. Scende dal cielo Clavilegno che nella rappresentazione
è come un Pegaso. Don Chisciotte e Sancho lo montano e iniziano a volare via. Il Cavaliere della Triste Figura si accomiata dicendo: " Non
sono morto e non morirò mai ". Il mio braccio forte è e sarà sempre pronto a difendere i deboli e a soccorrere i bisognosi ". Quella mattina
tanto lontana scopro che esiste una realtà chiamata invenzione narrativa. Mi si rivela anche che la mia lingua di tutti i giorni, la lingua
nella quale sono nato e che rappresenta la mia unica ricchezza, può divenire per chi la sappia usare qualcosa somigliante alla musica dello
spettacolo, ai colori dei costumi e delle case che illuminano lo scenario. La storia di Don Chisciotte possiede il dono di volare come Clavilegno.
Entrai senza saperlo in quello che Carlos Fuentes definisce il territorio della Mancha. Mai più ormai potrò abbandonarlo ".
Il Premio Pulitzer per la narrativa è stato assegnato a Paul Harding per il romanzo Tinkers. Gli altri finalisti erano Love in Infant Monkeys
di Lydia Millet e In Other Rooms, Other Wonders di Daniyal Mueenuddin.
Gli Edgar Allan Poe Awards, che premiano ogni anno il meglio dei racconti del mistero nella fiction, nel cinema, nella televisione e nel
reportage giornalistico sono stati così assegnati: Miglior romanzo a The Last Child di John Hart; migliore opera prima di un autore americano
a In the Shadow of Gotham di Stefanie Pintoff; Best Paperback Original a Body Blows di Marc Strange; Best Fact Crime a Columbine
di Dave Cullen; Best Critical/Biographical a The Lineup: The World's Greatest Crime Writers Tell the Inside Story of Their Greatest
Detectives pubblicato da Otto Penzler; Best Short Story a " Amapola " Phoenix Noir di Luis Alberto Urrea; Best Juvenile a Closed for
the Season di Mary Downing Hahn; Best Young Adult a Reality Check di Peter Abrahams; infine il Best Television Episode Teleplay è
andato a " Place of Execution " di Patrick Harbinson.

Nel 2010.

Beniamino Placido è morto il 6 gennaio a
Cambridge dopo una lunga malattia. Giornalista,
critico letterario e critico televisivo italiano,
era cugino del padre di Michele Placido,
noto attore e regista. Nato in Calabria nel 1929
si spostò a Roma dove per qualche anno ricoprì
il ruolo di consigliere parlamentare della
Camera dei deputati. In seguito si trasferì negli
Stati Uniti per studiare letteratura angloamericana,
dando così seguito a un interesse già coltivato
negli anni precedenti, seguendo le lezioni
universitarie a Roma di Mario Praz: ne derivò
una profonda conoscenza della materia,
che, tornato in Italia, insegnò per alcuni anni
presso l'Università La Sapienza, mentre
abbandonava la carriera amministrativa parlamentare.
Nel tempo il suo interesse si è spostato
sulla televisione, mezzo da " guardare con
ironia e critica creativa ", e ha collaborato fin
dai primi numeri alle pagine culturali del quotidiano
" La Repubblica ", tenendo fra l'altro la
fortunata rubrica di critica televisiva " A Parer
Mio ", e continuando a pubblicarvi interventi
sornioni e pungenti su letteratura e costume.
Sull'universo televisivo ha pubblicato: Tre
divertimenti, Variazioni sul tema dei Promessi
Sposi, di Pinocchio, e di Orazio (1990) e La
televisione col cagnolino (1993), in cui un
celebre racconto di Anton Cechov, " La signora
con il cagnolino ", diventa lo spunto, lieve,
indiretto, per meditare sul funzionamento della
televisione. A un collega inesperto che gli chiedeva
cosa significasse fare il critico televisivo,
Placido ha risposto: " Credo dipenda dalle
generazioni, e per la mia generazione significa
affacciarsi alla finestra e vedere che cosa accade,
chi passa, che cosa si dice, né più né
meno ". Al cinema è apparso nei film di Nanni
Moretti Come parli frate? (1974) e Io sono un
autarchico (1976) e in Cavalli si nasce (1989)
di Sergio Staino, mentre in televisione nei programmi
16 e 35 (1978), Serata Garibaldi
(1982), Serata Manzoni (1985) ed Eppur si
muove (1994).

Lo sceneggiatore e scrittore statunitense Erich
Segal
è morto a Londra il 17 gennaio, nella sua
abitazione, all'età di 72 anni per un attacco cardiaco.
Nato a Brooklin, figlio di un rabbino,
Segal frequentò la Midwood High School e nel
1958 si laureò all'Università di Harvard, ateneo
nel quale in seguito avrebbe insegnato letteratura
greca e latina (così come a Yale, Princeton
e a Oxford). Nel 1967, basandosi sulla
storia scritta da Lee Minoff, stese lo screenplay
per il film Yellow Submarine, protagonisti i
Beatles. Nel 1970 preparò la sceneggiatura per
il film Love Story, dalla quale trasse anche un
romanzo: ne esplose un fenomeno sia letterario
che cinematografico. Bestseller in vetta alla
classifica stilata dal New York Times, Love
Story divenne il libro di fiction più venduto
negli Stati Uniti nel 1970 e venne tradotto in 33
lingue in tutto il mondo. Il film fu il numero
uno ai box office del 1971. Nel 1977 Segal
avrebbe scritto il sequel, Oliver's Story.

Dopo un lungo periodo di malattia dovuto a un
tumore al pancreas, l'11 aprile è morto a
Modena il giornalista Edmondo Berselli.
Classe 1951, Berselli era nato il 2 febbraio a
Campogalliano, in provincia di Modena. Riservato
e fine intellettuale, ha scritto di sport (un
saggio sull'eccentricità, Il più mancino dei tiri,
dedicato al calciatore dell'Inter Mariolino
Corso), televisione, politica e cultura lavorando
per le più importanti redazioni della penisola
tra cui " Il Sole 24 ore " e " La Stampa ". La
sua ultima attività si è svolta all'interno del
Gruppo Espresso sia per il settimanale che per
il quotidiano " La Repubblica ". La vita di Berselli
ha sempre corso parallela tra il giornalismo
e l'impegno alla casa editrice Il Mulino, di
cui ha tenuto la direzione artistica dal 2002 al
2008. Nello stesso tempo si è dedicato alla
scrittura, offrendo nei suoi moltissimi saggi
uno spaccato di rara intelligenza dell'Italia di
oggi in tutte le sue declinazioni: da L'Italia
che non muore del 1995, all'eccentrico Liù.
Biografia morale di un cane (nel libro, in
parte racconto ironico, in parte saggio marginale
e in parte digressione pura, Berselli
impara a guardare l'Italia di oggi, e anche alla
vita, con gli occhi della sua labrador: senza
più fiducia nelle grandi narrazioni storiche o
ideologiche, ma con un'attenzione particolare
agli affetti e alle cose di tutti i giorni). Postitaliani.
Cronache di un paese provvisorio e a
Quel gran pezzo dell'Emilia. Terra di comunisti,
motori, musica, bel gioco, cucina grassa e
italiani di classe, passando attraverso il grande
successo di Sinistrati. Storia sentimentale
di una catastrofe politica, in cui ha commentato
con il suo caratteristico stile ironico la
sconfitta del Partito democratico e della sinistra
contro l'alleanza di Silvio Berlusconi.
Nel 2005 ha pubblicato il volume collettivo
Mai dire mai a un Martini dry un divertissement
storico che ha per protagonista James
Bond a Campogalliano. Nell'opera Venerati
maestri, Berselli traccia invece un ritratto ironico
e spietato del mondo culturale italiano.
Fra le sue prove più personali va ricordato
Adulti con riserva, uscito nel 2007, in cui ha
raccontato, con gli occhi di un ragazzo degli
anni Sessanta, "com'era allegra l'Italia prima
del 1968 ". Sono gli stessi temi che gli hanno
ispirato il testo di Sarà una bella società,
un'opera teatrale sugli anni cinquanta e sessanta,
affidata alla voce e al gruppo musicale
dello storico leader dei Rokes, Shel Shapiro.

Lo scrittore e poeta inglese Alan Sillitoe è
morto il 25 aprile a Londra Aveva 82 anni, era
nato a Nottingham il 4 marzo 1928. Secondogenito
di cinque figli in una famiglia numerosa
appartenente al ceto operaio, nel 1942, ad
appena quattordici anni, Sillitoe lasciò gli
studi per andare a lavorare come tornitore alla
Raleigh Bicycle Factory. Sul tema della " classe
operaia " Sillitoe ha sviluppato quasi tutta la
sua narrativa. Già animato da un'intensa passione
per i libri e fortemente determinato a
scrivere e pubblicare un romanzo, Sillitoe si
arruolò volontario nella Royal Air Force e, dal
1946 al 1947, visse nello Wiltshire, dove lavorò
come operatore radiofonico, mansione che
poi avrebbe svolto per diciotto mesi in Malaysia:
in quel periodo sviluppò la sua passione
per la letteratura e la vena artistica fu rafforzata
dall'isolamento, per due anni, in un ospedale
militare per curare la tubercolosi. Nel 1951
Sillitoe conosce la poetessa americana Ruth
Fainlight, già sposata ma separata. La coppia
decide di lasciare l'Inghilterra e si sposta sul
continente: tra il 1952 e il 1959 risiede in
Francia, in Italia e in Spagna. In quest'ultimo
paese, e precisamente nell'isola di Maiorca, i
due si fermano per ben sette anni, durante i
quali fanno la conoscenza del poeta e romanziere
inglese Robert Graves e ne diventano
assidui frequentatori. Graves ha un ruolo decisivo
nell'evoluzione letteraria di Sillitoe: lo
incoraggia a scrivere, e soprattutto gli suggerisce
(un consiglio che si rivelerà determinante)
di concentrarsi sulla realtà a lui più familiare,
quella di Nottingham. Proprio a Maiorca
nasce Saturday Night and Sunday Morning,
che nel 1958, dopo svariati rifiuti, viene pubblicato
dalla casa editrice londinese W.H.
Allen. Il romanzo racconta il weekend di
Arthur Seaton, giovane operaio di Nottingham;
in un alternarsi di sbronze, risse e
donne, Arthur manifesta una grande insofferenza
nei confronti della società e un totale
rifiuto dei valori della borghesia. La storia è
uno spaccato di vita operaia narrata dall'interno
che Sillitoe, compiendo una scelta stilistica
del tutto inusuale per gli anni Cinquanta, sceglie
di raccontare sfruttando la forza espressiva
del linguaggio popolare, crudo, molto realistico
e pertanto di forte impatto: il libro è un
trionfo di critica, e nello stesso anno della pubblicazione
vince l'Authors' Club Prize per il
miglior romanzo di debutto inglese. La critica
è concorde nel ritenere che Sillitoe abbia aperto
una nuova strada, guadagnandosi un posto
nella storia del romanzo inglese. Dal film è
stato tratto l'omonimo film di Karel Reisz,
con Albert Finney protagonista, che ha decretato
anche il successo popolare del'opera. Nel
1959 esce la raccolta The Loneliness of the
Long Distance Runner (La solitudine del
maratoneta). La raccolta, che ottiene l'Hawthornden
Prize, va subito a imporsi come uno
dei capisaldi della nuova corrente letteraria
che ha preso piede in Inghilterra a metà degli
anni Cinquanta, un movimento che dà voce
alla sfiducia della nuova generazione nei confronti
del sistema e alla sua protesta contro l'establishment
sociale e culturale. Anche questa
volta è la successiva trasposizione cinematografica
a completare il successo di critica con
quello di pubblico: Gioventù, amore e rabbia,
di Tony Richardson, uscito nel 1962, dà al
libro la meritata visibilità popolare. Nel 1960
è la volta de Il generale, il suo secondo romanzo,
thriller di una certa potenza narrativa, ma
la critica non lo ritiene all'altezza di uno scrittore
che, con i primi due lavori, si era guadagnato
l'appellativo di " cronista della vita della
classe operaia inglese ". Sempre durante il soggiorno
a Maiorca nascono il poema The Rats,
alcuni racconti e Without Beer or Bread, una
piccola raccolta di poesie. Tuttavia la sua produzione
poetica è rimasta più in ombra rispetto
a quella letteraria e il riconoscimento è arrivato
solo nel 2008, quando, grazie al suo
Ritratto di un saccheggio, una selezione delle
sue liriche migliori, gli viene assegnato il Premio
Europeo di Poesia, come tributo all'opera
e alla carriera. Tra le altre opere in prosa ricordiamo
due titoli che costituiscono un seguito
di Saturday Night and Sunday Morning, Key
to the Door e Birthday; poi Road to Volgograd
sul suo soggiorno in Russia e la trilogia che
comprende The Death of William Posters, A
Tree on Fire e A Start in Life sul tema della
vita operaia. Degli anni Settanta sono invece
The Flame of Life, The Widower's Son e The
Storyteller. Nella sua sua autobiografia, Life
Without Armour, pubblicata nel 1995 Sillitoe
racconta le durezze patite in famiglia nell'età
giovanile, con il padre disoccupato e la madre
costretta a prostituirsi.

Elvira Giorgianni Sellerio, fondatrice con il
marito Enzo dell'omonima casa editrice, è
morta il 3 agosto a Palermo. Aveva 74 anni.
Figlia di un prefetto, era laureata in giurisprudenza,
cavaliere del lavoro, nel 1991 è stata
insignita di una laurea honoris causa in Lettere
dalla facoltà di magistero di Palermo. Ha
cominciato a lavorare nell' editoria nel 1970,
fondando la casa editrice Sellerio ( dal nome
del marito, il fotografo Enzo, dal quale si era
separata) che ha avuto tra i suoi autori Leonardo
Sciascia e Gesualdo Bufalino. Attraverso
Bufalino la Sellerio è stata premiata con il
Supercampiello nel 1981 per Diceria dell'untore.
Nel 1991 alla Sellerio è stato attribuito il
premio Marisa Belisario. La casa editrice Sellerio
si è segnalata per la sua collana di " libretti "
dalla caratteristica copertina in blu scuro
che ripropongono testi apparentemente " minori ",
che spaziano tra classico e moderno, ma di
grande spessore culturale. Tra gli altri ha pubblicato
i libri di Andrea Camilleri, che hanno
assicurato alla casa editrice un grandissimo
successo. E' stata anche membro del Cda della
Rai nel 1993-1994 all'epoca dei " professori ".

Luciano Erba, uno dei più noti poeti italiani,
è morto il 3 agosto nella sua casa milanese,
all'età di 88 anni. Nato a Milano nel 1922, non
ha mia lasciato la città se non per alcuni soggiorni
all'estero, tra Svizzera (durante la guerra),
Francia, Inghilterra e Stati Uniti. Professore
di letteratura francese all'Università Cattolica
di Milano e negli Stati Uniti, è stato un esponente
di spicco della " linea lombarda " (a riconoscerlo
tale fu Luciano Anceschi), la corrente
letteraria di stampo espressionistico che elegge
la realtà sociale metropolitana a orizzonte privilegiato
della propria attenzione lirica e
umana. Come gli altri poeti inseriti dalla critica
in tale filone letterario – ricordiamo tra gli
altri Vittorio Sereni, Bartolo Cattafi, Giorgio
Orelli, Nelo Risi, Elio Pagliarani, Giovanni
Giudici, Giovanni Raboni, Tiziano Rossi e
Maurizio Cucchi – Erba, legato alla grande tradizione
dell'illuminismo milanese, è stato
autore di poesie in cui l'impronta civile si
espletava in quadri di vita quotidiana soffusi di
malinconia misurata e pudica e a volte percorsi
da sommesse vibrazioni metafisiche, espresse
talora con metafore e suggestioni non estranee
alla grande stagione dell'ermetismo. Laureatosi
alla Cattolica nel 1947 in Lingua e letteratura
francese, si dedicò in seguito all'insegnamento.
La sua attività di saggista si concentrò
soprattutto sul XVII secolo: tra i titoli
ricordiamo Magia e invenzione (1967) e Huysman
e la Liturgia. E alcune note di letteratura
francese contemporanea (1971). Traduttore
sensibile di scrittori e poeti francesi, classici e
contemporanei e curatore insieme a Piero
Chiara di una antologia di poesia contemporanea
(" Quarta generazione " 1954), frequentò il
gruppo dei cattolici del dissenso, tra cui David
Maria Turoldo. Il suo esordio poetico, avvenne
nel 1951 con Linea K, pubblicato da Guanda;
vennero poi Il bel paese (1955), Il prete di
Ratanà (1959), Il male minore (1960), Il prato
più verde (1977), Il nastro di Moebius (1980),
Il cerchio aperto (1984), Il tranviere metafisico
(1987), L'ippopotamo (1989), Variar del verde
(1993), L'ipotesi circense (1995), Nella terra di
mezzo (2000). Nel 2007, nell'ambito del Parma Poesia
Festival, Erba è stato insignito della
Cittadinanza poetica parmigiana.
 

Addio al giovane Holden.

Lo scrittore statunitense Jerome David Salinger è morto il 27 gennaio all'età di 91 anni a Cornish, nel New Hampshire, per un tumore
al pancreas. Noto per la sua natura schiva e riservata – non ha mai effettuato apparizioni pubbliche e negli ultimi cinquant'anni ha
rilasciato pochissime interviste – è divenuto celebre per Il giovane Holden (The Catcher in the Rye, 1951), un romanzo di formazione
anomalo che racconta in presa diretta la crisi precoce di un ragazzino di buona famiglia, insofferente a tutto, un disadattato di lusso
con cui tanti adolescenti, in tutto il mondo, non hanno potuto non identificarsi. Dal 1965, anno in cui apparve sul " New Yorker " un
ultimo racconto, non ha pubblicato nulla di nuovo. Figlio di un ebreo di origini polacche e di una donna di origini scozzesi e irlandesi,
Jerome David si dedicò molto presto alla scrittura, alternandola con periodi in cui dovette occuparsi del lavoro paterno, l'importazione
di carni. Il suo debutto letterario, nel 1941, fu The Young Folks, un racconto pubblicato sulla rivista " Story Magazine ", diretta
da Whit Burnett, suo insegnante al corso serale di scrittura: si trattava di un breve ritratto di alcuni giovani senza uno scopo nella vita,
un tema poi ricorrente nella sua produzione. Nel 1942 Salinger fu sorteggiato per servire sotto le armi e con il 12º reggimento di fanteria
degli Stati Uniti, partecipò ad alcune delle più dure battaglie della seconda guerra mondiale, tra cui lo sbarco ad Utah Beach nel
D-Day e la battaglia delle Ardenne. Durante l'avanzata dalla Normandia verso la Germania conobbe Ernest Hemingway, allora corrispondente
di guerra da Parigi, e rimase in contatto epistolare con lui. Dopo aver letto gli scritti di Salinger, Hemingway rimase molto
impressionato dal talento del giovane. In seguito, assegnato al servizio di controspionaggio, Salinger fu tra i primi soldati ad entrare
in un campo di concentramento liberato dagli alleati, esperienza che lo segnò duramente sotto il profilo emotivo e che probabilmente
ispirò vari racconti, tra cui For Esmé with Love and Squalor.
Dopo la fine della guerra, Salinger si offrì per trascorrere un periodo di sei mesi dedicato all'attività di de-nazificazione della Germania,
nel corso del quale incontrò una donna tedesca di nome Sylvia che poi sposò nel 1945. La portò con sé negli Stati Uniti, ma il
matrimonio fallì dopo appena otto mesi e Sylvia tornò in Germania. Nel 1948 Salinger propose al " New Yorker " un breve racconto
intitolato Un giorno perfetto per i pesci banana (Bananafish), che gli guadagnò un contratto che concedeva alla rivista il diritto di prelazione
su tutti i suoi futuri lavori. Nel 1942 Salinger aveva avuto un primo contatto con la rivista che aveva accettato di pubblicare
un racconto intitolato Slight Rebellion off Madison, in cui compariva un personaggio semi-autobiografico chiamato Holden Caulfield,
ma quel lavoro non venne poi pubblicato a causa della guerra. Slight Rebellion era collegato a varie altre storie che avevano come
protagonista la famiglia Caulfield, ma il punto di vista con cui vennero affrontate si spostò poi dal fratello maggiore, Vince, al minore,
Holden. Salinger aveva confidato a varie persone che sentiva che il personaggio di Holden meritava di essere il protagonista di un
romanzo. Nel 1951 uscì quindi Il giovane Holden, che riscosse un immenso successo, anche se le prime reazioni della critica non
furono unanimi nel giudicarlo positivamente. Nel 1953, in un'intervista rilasciata ad un giornalino scolastico, Salinger ammise che il
romanzo era " una specie di autobiografia " e aggiunse " è stato un grande sollievo parlarne alla gente ". Il romanzo è dominato dal personaggio
di Holden, complesso e ricco di sfumature, e la trama è in sé piuttosto semplice. Divenne famoso per l'eccezionale abilità
di Salinger nel cogliere i più complessi particolari e dettagli, per la cura delle descrizioni, per il tono ironico e per le atmosfere tristi e
disperate con cui viene dipinta New York. Tuttavia, alcuni lettori si scandalizzarono per il fatto che Salinger affrontava la religione in
termini critici e dissacratori e parlava di sesso nell'adolescenza in modo aperto e disinvolto: la popolarità del libro iniziò così a vacillare.
Diversi critici sostennero che il libro non andava considerato come un'opera letteraria seria, motivando l'opinione con il tono
spontaneo ed informale con cui era scritto.
Il romanzo fu vietato dalla censura in alcuni paesi ed in alcune scuole statunitensi per l'uso disinvolto di un linguaggio volgare. Nel
1953 Salinger pubblicò una raccolta di sette racconti tratti dal " New Yorker " (tra cui Bananafish) oltre ad altri due che la rivista aveva
rifiutato. La raccolta fu pubblicata con il titolo di Nove racconti e riscosse molto successo. È dello stesso anno il trasferimento a Cornish,
dove frequentò quasi soltanto gli studenti della Windsor High School. Nel giugno del 1955, all'età di 36 anni, sposò la studentessa
Claire Douglas. In dicembre nacque la loro primogenita Margaret e nel 1960 il secondo figlio, Matt. L'isolamento del luogo in
cui vivevano e la personale inclinazione dello scrittore portò la famiglia a lunghi periodi di quasi totale solitudine. Il rapporto con la
moglie iniziò a incrinarsi – avrebbero divorziato nel 1967 – e le convinzioni religiose di Salinger, seguace della Chiesa scientista, misero
in pericolo le condizioni di salute della figlia, che venne curata in casa, senza il consulto di un medico. Nel 1961 Salinger pubblicò
Franny e Zooey, Alzate l'architrave, carpentieri e nel 1963 Seymour. Introduzione, tre lunghi racconti in cui si sviluppava la saga della
famiglia Glass, ovvero dei fratelli Seymour (già protagonista del racconto Un giorno perfetto per i pescibanana), Buddy, Walter, Franny,
Zooey e Boo Boo. Il suo ultimo lavoro sulla famiglia è stato Hapworth 16, 1924, un romanzo epistolare, una lunga lettera scritta dal
campo estivo dal piccolo Seymour Glass, di sette anni. Negli anni successivi il suo isolamento dal mondo fu totale – decine di studenti
e semplici lettori andarono fino a Cornish solo per riuscire a vederlo di sfuggita. Venuto a conoscenza del fatto che lo scrittore
britannico Ian Hamilton aveva intenzione di pubblicare In Search of J. D. Salinger: A Writing Life (1935-65), una sua biografia che comprendeva
alcune lettere che aveva scritto ad altri autori ed amici, Salinger intentò causa per impedire l'uscita del libro. Il libro uscì nel
1988 ma con le lettere, anziché in originale, parafrasate. Il tribunale aveva stabilito che, anche se una persona può possedere fisicamente
delle lettere, il linguaggio con cui sono scritte appartiene comunque all'autore.
Una conseguenza imprevista della causa fu che molti dettagli della vita privata di Salinger divennero pubblici grazie alla trascrizione
degli atti del processo. Nel 1997, con una mossa inaspettata, Salinger concesse ad un piccolo editore, la Orchises Press, il permesso
di pubblicare Hapworth 16, 1924, il racconto che in precedenza non era mai stato incluso in alcuna raccolta; la pubblicazione era
prevista per quello stesso anno, e il libro fu inserito tra l'elenco delle novità di Amazon.com e di altri librai, ma la pubblicazione non
è mai avvenuta. Nel 2000 la figlia Margaret, con l'aiuto della seconda moglie Claire, pubblicò Dream Catcher: A Memoir. Nel suo libro
di " rivelazioni ", la Salinger descrisse il terribile dominio e controllo che il padre esercitava su sua madre e sfatò molti dei miti su Salinger
che erano stati diffusi dal libro di Ian Hamilton. Poche settimane dopo la presentazione del libro, il fratello Matt, con una lettera
al " The New York Observer ", screditò il valore dell'autobiografia, definendo lo scritto della sorella " un racconto gotico ispirato ad una
nostra immaginaria infanzia ". Salinger ha rappresentato per diverse generazioni di giovani un mito alimentato anche grazie alla sua
esistenza misteriosa; all'alone di segretezza, quasi di leggenda, che la sua incredibile riservatezza aveva creato attorno a lui. Holden
resterà per sempre un simbolo di ribellione, di inquietudine, del disagio esistenziale di chi sta per attraversare la " linea d'ombra " tra
l'infanzia e l'età adulta

Anno 2010.
Arte.

Un anno di mostre.
Mostre ed esposizioni allestite in Italia nel corso del 2010.

Edward Hopper a Milano e a Roma.
Per la prima volta in Italia, Roma e Milano
hanno reso omaggio all'intera carriera di
Edward Hopper (1882-1967), il più popolare e
noto artista americano del XX secolo, con una
grande rassegna antologica. Accolta dal pubblico
con grande successo nella sede di Palazzo
Reale a Milano tra l'ottobre 2009 e il 31
gennaio 2010, con oltre 180.000 visitatori, la
mostra si è poi spostata a Roma, dove è stata
aperta al pubblico il 16 febbraio 2010 nelle
sale del Museo Fondazione Roma, con importanti
novità: l'arrivo di altri capolavori dai
musei americani, un originale e suggestivo
allestimento e una nuova edizione del catalogo.
Promossa dalla Fondazione Roma, cui si
deve l'impulso iniziale alla realizzazione dell'evento,
grazie all'iniziativa del presidente
Emmanuele Francesco Maria Emanuele, la
mostra romana è stata prodotta con il Comune
di Milano – Cultura ed Arthemisia Group, in
collaborazione con il Whitney Museum of
American Art di New York e la Fondation de
l'Hermitage di Losanna. Così il professor
Emanuele presentava l'artista: " Edward Hopper
è senza dubbio uno degli artisti americani
più significativi del XX secolo, che ha dato
visibilità, trasferendoci sentimenti e sensazioni
originali, ad un'America meno sfolgorante di
quella che l'iconografia tradizionale ci ha trasmesso
in quell'epoca. Un'America dai contorni
meno monumentali, meno attrattivi:
un'America del quotidiano, fatta di posti apparentemente
anonimi, ma in cui pulsa la vita di
tutti i giorni di quella " middle-class " che costituisce,
lo si voglia riconoscere o meno, la vera
forza di quella grande nazione. Nel contesto di
questa America che possiamo definire in crescita
tumultuosa, Hopper visualizza gli aspetti
più borghesi, più intimi, dando loro tuttavia
una patina originale, nella quale – con grande
crudezza, frutto di una sua visione personale –
ci mostra, nel contesto urbano e agricolo, i sentimenti
di una stagione dell'anima che sono la
conseguenza della solitudine e dell'alienazione
dell'uomo ".

Schiele e il suo tempo a Milano.
Dal 25 febbraio al 6 giugno 2010 Palazzo
Reale ha ospitato la mostra promossa da
Comune di Milano, Assessorato alla Cultura, e
coprodotta e organizzata con Skira Editore.
Curata da Franz Smola, conservatore del
museo austriaco, l'esposizione presentava
circa 40 dipinti e opere su carta dell'artista
Egon Schiele, accompagnati da altrettanti
capolavori di Klimt, Kokoschka, Gerstl, Moser
e vari altri protagonisti della cultura viennese
del primo Novecento. " Egon Schiele e la Vienna
del primo Novecento " rivivono nelle sale di
Palazzo Reale con la grande esposizione promossa
dal Comune di Milano che pone al centro
dell'attenzione una stagione della Mitteleuropa
attraversata da un intenso fermento culturale
e insieme dalle contraddizioni e dai conflitti
che porteranno alla prima guerra mondiale
– ha spiegato l'assessore alla Cultura Massimiliano
Finazzer Flory – " l'obiettivo è quello
di restituire al pubblico la ricchezza di un'epoca
irripetibile e di una città-simbolo, Vienna,
che in quegli anni rappresenta il tormentato
destino del vecchio Continente ". La mostra
ricostruiva attorno alla figura di Schiele, il
clima culturale di Vienna nei primi anni del
XX secolo, partendo dalla fondazione della
Secessione, attraversando le tendenze espressioniste
della generazione successiva, fino al
1918, anno segnato dalla fine della prima guerra
mondiale e dalla morte di Klimt e Schiele.
Un breve ma intenso periodo, in cui Vienna, da
centro della cultura mitteleuropea, diventa teatro
di rovina della vecchia Europa. Si è trattato
di una rara occasione per ammirare, affiancati
alle oltre quaranta grandi opere esposte di
Schiele, tra cui i celeberrimi Donna inginocchiata
in abito rosso, 1910, Moa, 1911, Autoritratto
con alchechengi, 1912, Case con bucato
colorato, 1914, Donna accovacciata con
foulard verde, 1914, Nudo disteso, 1917, altri
capolavori dell'Espressionismo austriaco
come Ritratto di Henryka Cohn del 1908 di
Richard Gerstl, Venere nella grotta del 1914 di
Koloman Moser, Autoritratto con una mano
che sfiora la guancia del 1918-1919 di Oskar
Kokoschka, che per la prima volta erano riuniti
in un progetto tanto ambizioso, quanto completo
ed esaustivo. Schiele nasce nel 1890 a
Tulln, una cittadina nei pressi di Vienna. A
quell'epoca, la capitale asburgica conosce una
straordinaria crescita demografica ed è un centro
commerciale e culturale fiorente e di forte
richiamo, riferimento per le menti più vivaci
dell'impero. Il clima artistico è animato in quegli
anni dallo scontro di correnti di stampo
opposto e dall'affermarsi di spinte innovative
quali, prima fra tutte, la Secessione fondata nel
1898, presieduta da Gustav Klimt. Essa riconosceva
all'arte il ruolo di forza propulsiva, ma
anche di denuncia della realtà e, in quanto tale,
di forza redentrice dal falso moralismo della
società dominante. L'inclinazione a contenuti
simbolici, così come l'abbandono della prospettiva,
la centralità della figura umana incastonata
in uno spazio piatto, sono elementi tipici
dell'arte secessionista, ripresi ed estremizzati
dall'Espressionismo. All'epoca della fondazione
della Secessione, Schiele è solo un bambino,
sebbene artisticamente dotato e con una
forte passione per il disegno. Più tardi, studente
dell'Accademia, il suo stile sembra aver già
assorbito molto delle innovazioni della nuova
corrente artistica, e in particolare della lezione
di Klimt. Ma già un anno dopo queste relazioni
sembrano essere state superate. In un lasso
di tempo brevissimo, infatti, in Austria, e più
propriamente a Vienna, si assiste allo sviluppo
di controtendenze, ovvero di tendenze espressioniste,
da parte di giovani artisti " dissidenti ",
primi tra tutti Schiele, Kokoschka, Gerstl,
appartenenti alla generazione successiva a
quella di Klimt, Moll, Moser e di altri secessionisti.
Tutto ciò accade in un frangente storico
significativo, cioè mentre l'Impero asburgico
avanza nel proprio declino, mettendo in
crisi un mondo dalle fondamenta secolari.
Non a caso, proprio in questo momento storico,
mentre Freud scrive l'Interpretazione dei
sogni, interrogandosi sulle pulsioni e le paure
umane, a Vienna forti spinte creatrici demoliscono
i saldi principi delle maggiori arti. Se in
ambito musicale Schönberg introduce il metodo
dodecafonico, dal punto di vista prettamente
formale, il vincolo della linea netta e regolare
tipico della Secessione, viene superato a
favore di un tratto più libero e sciolto – si
guardi l'ultimo Klimt – per diventare tormentato
nei giovani Schiele e Kokoschka. Ciò che
accomuna sotto la stessa etichetta i giovani
artisti, è il rifiuto della tradizione, l'uso di un
segno primitivo ed elementare, l'impiego antinaturalistico
del colore, la tendenza alla deformazione
e alla riduzione delle forme a pure
sagome (particolarmente evidenti in Albin
Egger-Lienz), un linguaggio pittorico convulso
e corposo, come per Anton Kolig nelle cui
opere, le campiture cromatiche e le costruzioni
spaziali sono tipiche del Fauvismo e memori
di Cézanne; o nelle opere di Herbert Boeckl,
pittore del secondo Espressionismo, che sintetizza
la poetica di Schiele e Kokoschka con
quella cezanniana.

Da Corot a Monet. La sinfonia della natura
a Roma
.
Dal 6 marzo al 29 giugno 2010 il Complesso
del Vittoriano di Roma ha ospitato una
prestigiosa esposizione che per la prima
volta metteva in relazione le straordinarie
innovazioni, attraverso cui gli Impressionisti
rivoluzionarono la pittura tradizionale, con
una comprensione più ampia della natura,
della cultura e della modernizzazione del
loro tempo. Oltre 170 opere tra dipinti, opere
su carta e fotografie d'epoca, queste ultime
mai esposte prima in Italia, ripercorrono l'evoluzione
della rappresentazione della natura
nella pittura francese dell'Ottocento, partendo
dalle prime innovazioni ai canoni classici
apportate dai pittori della Scuola di Barbizon,
esplorando a fondo la rivoluzione
degli Impressionisti, per arrivare al trionfo
cromatico delle Ninfee di Monet.

Amedeo Modigliani a Gallarate.
Dal 19 marzo al 19 giugno 2010 la personale
dedicata a Modigliani ha inaugurato la nuova
sede del MAGa Museo d'Arte di Gallarate.
Con oltre 5.000 opere, il Museo è tra le più
importati istituzioni italiane per il contemporaneo.
La Fondazione Galleria d'Arte Moderna
e Contemporanea Silvio Zanella Onlus,
presieduta da Angelo Crespi è stata costituita
nel dicembre 2009 e ha come soci fondatori il
Ministero per i Beni e le Attività Culturali e il
Comune di Gallarate: l'accordo è stato siglato
dal Ministro Sandro Bondi e dal Sindaco di
Gallarate Nicola Mucci. A seguito di questa
svolta istituzionale il museo, storicamente
conosciuto come Civica Galleria d'arte
moderna di Gallarate, ha acquisito il nome di
Museo d'Arte di Gallarate MAGa. La mostra
inaugurale è stata questo omaggio a Modiglia-
ni curato da un comitato scientifico presieduto
da Claudio Strinati, a cui hanno partecipato tra
gli altri Beatrice Buscaroli che cura il catalogo,
Luis Godart, consigliere per la Conservazione
del Patrimonio Artistico del presidente
della Repubblica Italiana, Sandrina Bandera,
direttrice di Brera, Maria Cristina Bandera,
direttrice della Fondazione Longhi, Emma
Zanella, direttrice del MAGa, Claudio Salsi,
direttore dei Musei Civici di Milano, Rudy
Chiappini e Renato Miracco. Il coordinamento
generale della mostra era affidato a Cinzia
Chiari, responsabile del censimento delle
opere e della valorizzazione del patrimonio
della Collezione d'Arte di Eni Spa. L'allestimento
è stato curato da Maurizio Sabatini,
scenografo di Baaria di Giuseppe Tornatore,
che ha studiato una messa in scena sobria e
raffinata dove 20 capolavori diModigliani trovavano
una perfetta collocazione intorno al
Nudo coricato con le mani unite della Pinacoteca
Giovanni e Marella Agnelli, quadro scelto
per la comunicazione e la copertina del
catalogo prodotto da Electa. A chiudere la
mostra 50 splendidi disegni provenienti dai
più grandi musei e dalle più grandi collezioni
italiane e internazionali, e oltre 250 documenti
originali che ripercorrono la vita del grande
artista di cui quest'anno ricorrono i 90 anni
dalla morte.

Da Braque a Kandinsky a Chagall. Aimé
Maeght e i suoi artisti a Ferrara
.
Dal 28 febbraio al 2 giugno 2010 il Palazzo
dei Diamanti ha dedicato la mostra di primavera
ad una figura chiave della scena artistica
del secondo Novecento. Amico di maestri
come Bonnard, Matisse, Braque, Chagall,
Miró e Giacometti, Aimé Maeght fu un editore
di fama e soprattutto il fondatore a Parigi di
una delle gallerie più innovative del secolo,
nonché, a Saint-Paul de Vence, della Fondation
Marguerite et Aimé Maeght, un tempio
dedicato alla creazione artistica e un crocevia
internazionale di pittori, scultori, scrittori,
musicisti e intellettuali. Aimé Maeght promosse
l'attività di maestri affermati e contribuì
alla nascita di una nuova stagione della
loro arte incoraggiandoli a utilizzare, oltre alla
pittura, altri linguaggi. Nello stesso tempo si
dimostrò attento alle ricerche delle generazioni
più giovani, dando prova di saper competere
con le gallerie americane protagoniste del
rinnovamento artistico del secondo dopoguerra.
Inoltre, la sua instancabile attività di editore
attrasse grandi personalità del mondo artistico
e intellettuale, dal cui confronto nacquero
straordinarie creazioni collettive. Per
approfondire la conoscenza di un capitolo così
avvincente della storia dell'arte moderna, Ferrara
Arte ha organizzato la mostra che, curata
da Tomàs Llorens e Boye Llorens, è stata
anche l'occasione per studiare un aspetto della
storia dell'arte del Novecento fino ad oggi
poco indagato ma assolutamente fondamentale:
il mercato dell'arte e i suoi principali animatori,
i mercanti e i galleristi. Un centinaio di
opere, soprattutto dipinti, ma anche sculture,
ceramiche, disegni, incisioni, affascinanti
fotografie e volumi illustrati delle Edizioni
Maeght, permettevano di ripercorre il ventennio
d'oro che va dall'apertura della galleria
parigina nel 1945 all'inaugurazione della Fondazione,
nel 1964.

Rodin. Le origini del genio (1864-1884) a
Legnano
.
Dal 20 novembre 2010 al 20 marzo 2011, con
120 opere, di cui 65 sculture, 26 disegni e 19
dipinti (molti gli inediti nel nostro Paese), la
mostra ricostruisce per la prima volta la produzione
artistica dagli anni della formazione
dello scultore francese Auguste Rodin (Parigi
1840 - Meudon 1917), fino al grandioso progetto
della Porta dell'Inferno. Il ventennio
preso in questione è fondamentale per l'evoluzione
della sua attività. Frutto di un'importante
partnership tra la Città di Legnano e il
Musée Rodin di Parigi, curata da Aline
Magnien, conservatore-capo del patrimonio e
direttore del servizio delle collezioni del
Musée Rodin di Parigi, e da Flavio Arensi,
direttore di SALe - Spazi d'Arte Legnano, con
la collaborazione di François Blanchetière,
conservatore del patrimonio del Musée Rodin,
ed Hélène Marraud, la mostra è nata da un
progetto dei due curatori insieme allo scultore
Ettore Greco e Claudio Martino; sotto l'Alto
Patronato del Presidente della Repubblica Italiana,
l'iniziativa si avvaleva del patrocinio
della Presidenza del Consiglio dei Ministri,
del patronato di Regione Lombardia e dei
patrocini della Provincia di Milano, dell'Ambasciata
di Francia in Italia, del Centre culturel
français de Milan e del supporto di Civita
per l'organizzazione e la promozione. Lorenzo
Vitali, sindaco di Legnano, ha più volte sottolineato
come la mostra sia stata " una tappa
fondamentale della crescita culturale non soltanto
cittadina, ma dell'intero territorio, anche
in virtù del programma condotto negli ultimi
dieci anni, che ha portato in città alcuni fra i
grandi protagonisti della storia dell'arte, alternando
attenzione per il passato e interesse per
gli artisti del futuro. Rodin. Le origini del
genio è la più importante esposizione mai allestita
sull'opera del genio francese in Italia ed è
frutto di tre anni di studi attenti e di scambi
serrati col Musée Rodin di Parigi. " Sono felice
che il Musée Rodin abbia deciso di co-produrre
la mostra, confermando la bontà del progetto
scientifico e premiando l'impegno della
nostra comunità a promuovere eventi culturali
ed artistici di respiro internazionale ". Le origini
del genio è stata organizzata nell'ambito del
decennale delle proposte espositive di Legnano.
In dieci anni sono state molte le mostre
monografiche organizzate negli spazi cittadini:
William Congdon, Franco Francese, Joel
Meyerowitz, André Kertész, Giovanni Chiaramonte,
Georges Rouault, Federica Galli,
Gianfranco Ferroni, Lucio Fontana, Alfredo
Chighine, Käthe Kollwitz, Aldo Bergolli,
Attilio Rossi, Francisco Goya, Varlin, Jean
Rustin, Leonardo Cremonini, Ipoustéguy,
Carol Rama, James Ensor, Tino Vaglieri,
Sebastian Matta, Aligi Sassu e i giovani
Marco Mazzoni, Francesco Albano, Marta
Sesana, Enrico Savi. La prima mostra risale
infatti all'autunno del 2000 quando la città
inaugurò il restaurato Palazzo Leone da Perego,
cui nel 2007 si aggiunsero le sale del
Castello visconteo. Maurizio Cozzi, Assessore
alla Cultura della città di Legnano ha spiegato
con fierezza: " abbiamo organizzato quasi
trenta mostre, di autori del calibro internazionale
o andando a riscoprire autori fondamentali
per la nostra storia, studiando e promuovendo
l'incisione, portando in città sculture di
eminenti artisti del contemporaneo che hanno
dato fiducia al nostro progetto. Anche l'attenzione
per i giovani artisti è diventato un
momento di dialogo fra le generazioni, gli
spazi espositivi, i maestri celebrati, nel costante
e determinato tentativo di rendere la nostra
città un luogo essenziale per il dibattito culturale
lombardo. Con la mostra di Rodin festeggiamo
un lavoro decennale nel migliore dei
modi possibili, dimostrando che spesso la provincia
riesce a proporre mostre di grande rilievo,
senza comprare " pacchetti " ma costruendo
progetti scientifici raffinati ". Per tutto il periodo
di apertura, nel centro di Legnano sono
state esposte alcune opere scultoree in omaggio
a Rodin, fra cui la Porta d'Oriente di
Mimmo Paladino e L'uomo eroico di Ettore
Greco, che si aggiungono alle recenti installazioni
di opere monumentali di Aligi Sassu e
Ugo Riva già allestite negli scorsi anni. Inoltre
nel salone delle mostre della Banca di Legnano
dal 22 novembre 2010 al 18 marzo 2011, è
stato presentato il ciclo fotografico che Bruno
Cattani elaborò per conto del Musée Rodin nel
triennio 1999-2001 ritraendo i capolavori di
Camille Claudel e Auguste Rodin. La mostra,
che consta di una quarantina di scatti in bianco
e nero, metteva in relazione la vicenda artistica
dei due scultori e amanti (Camille entrò
ventenne nell'atelier di Rodin nel 1884). L'esposizione
alla Banca di Legnano dunque
cominciava dove terminava la grande monografica
dedicata al maestro francese e mette in
luce lo sviluppo della sua opera e quella della
sua geniale allieva. Lo scultore che rivoluzionò
la plasticità contemporanea, come il
Giovanni Battista, il Pensatore, il Bacio, le
Grandi Ombre è stato presentato in un viaggio
che congiunge le prime esperienze, maturate
all'interno della bottega di Carrier-Belleuse,
fino alla piena affermazione di una poetica
personale e dirompente. La mostra ha presentato
inoltre 28 gessi, ossia le forme originali da
cui si è realizzata la fusione: un prestito di
entità e qualità eccezionali, mai concesso fino
ad ora, tanto per la fragilità quanto per l'importanza
che tali opere - tra cui il Giovanni
Battista e il Pensatore - rivestono nell'allestimento
del Museo parigino. Infine per la prima
volta in Italia sono stati esposti i 19 dipinti, per
lo più vedute della foresta di Soignes (Belgio),
e alcuni lavori accademici e copie dei grandi
maestri del passato, conservati negli archivi
del Musée Rodin. In anteprima è stato anche
presentato un ritrovamento recente, la Jardinière,
ossia un vaso decorativo collocato sul
celebre Vaso dei Titani, in verità un piedistallo.
L'opera, così nel suo formato originale, era
stata ricomposta pochi mesi prima a Parigi
dopo il ritrovamento di François Blanchetière
e per l'occasione legnanese è stata nuovamente
assemblata. La mostra, organizzata in sezioni,
prendeva avvio da " Giovinezza e formazione ",
dove si trovavano i lavori giovanili,
alcuni studi accademici e i " d'après " dai maestri
antichi, come Poussin, totalmente inediti
per l'Italia. Le prime opere risalgono al 1854,
quando Rodin non era che un adolescente.
Sono ritratti dei familiari e degli amici, ancora
di stampo tradizionale, ma già con i prodromi
di quella che sarà la sua grande forza espressiva,
oltre alcuni lavori di gusto orientale, e
carte con cavalieri e cavalli. Particolarmente
interessante è L'Uomo dal naso rotto
(L'Homme au nez cassé), nella versione originale
in marmo del 1864, rifiutata al Salon di
Parigi, di cui è stata presentata anche una versione
in bronzo del 1874. Nella sezione " In
Belgio ", ha avuto posto la serie inedita di
dipinti di piccolo formato (olio su cartone)
eseguiti in Belgio fra il 1871 e il 1877, per lo
più dedicati ai paesaggi della foresta di Soignes,
caratterizzati da una luce straordinaria
che si lega alla grande tradizione francese di
Corot e Courbet. Il percorso continua attraverso
le opere che Rodin realizzò a partire dal
1871 a Bruxelles, dove rimase per sei anni.
Sono lavori di piccolo formato, molti dei quali
terrecotte, piccoli ritratti o opere di gusto per
la committenza borghese, contraddistinte da
una grande eleganza e delicatezza. In " Guardando
ai maestri ", sono stati proposti i " d'après "
da Rubens, mai visti in Italia, e alcuni
studi dei maestri italiani quali Donatello,
Michelangelo, Tiziano, realizzati durante il
primo viaggio in Italia di Rodin del 1876, nel
quale l'artista scoprì Roma e Firenze - in particolare
la basilica di San Lorenzo - dove ebbe
modo di appassionarsi a Dante e alla sua Divina
Commedia, cui in seguito dedicherà la
famosa Porta. Nella sezione " Rientro a Parigi "
erano esposti alcuni dei più importanti capolavori
di Rodin, a partire da L'Età del Bronzo
(L'Age d'airain), presentata al Salon di Parigi
con grande scandalo, oltre a Bellona (Bellone),
San Giovanni Battista (Saint Jean-Baptiste),
La Défense e alcuni ritratti di straordinaria
bellezza, come quello dedicato all'amico e
maestro Albert-Ernest Carrier-Belleuse, l'omonimo
Buste. Opere ormai pienamente innovative
che mostrano tutta la forza di Rodin,
l'impeto e la cesura con gli autori del passato,
nonché l'attenzione per i grandi maestri italiani
della scultura, Michelangelo su tutti. Nel
1880 lo Stato commissionò a Rodin una porta
monumentale per un museo dedicato alle arti
decorative, dove un tempo sorgeva l'antica
Corte dei Conti e poi la stazione d'Orsay.
Quest'ultima doveva essere ornata da undici
bassorilievi rappresentanti scene tratte dalla
Divina Commedia di Dante Alighieri. Per
questo lavoro, Rodin si ispirò alle celebri porte
che il Ghiberti aveva realizzato nel XV secolo
per il battistero di Firenze. Dopo tre anni, l'artista
francese giunse a un primo risultato che
lo vide soddisfatto, benché il progetto venne
abbandonato. Senza più una precisa destinazione,
questa porta divenne per Rodin una
sorta di serbatoio creativo per numerosi gruppi
scultorei indipendenti, come il Pensatore o
il Bacio. Alla sommità, il gruppo composto da
tre Ombre è, in un procedimento estremamente
moderno, la triplice ripetizione della medesima
figura priva di un braccio. Sul trumeau, il
Pensatore, ovvero Dante Alighieri, sovrasta
l'abisso. Sul battente di destra è riconoscibile
la figura del Conte Ugolino. Su quello di sinistra,
invece, Paolo e Francesca sono inseriti in
un viluppo di corpi rotolanti. Alla fine, la
Porta venne collocata nel luogo per il quale
era stata commissionata, senza tuttavia conservare
la sua funzione. Nella sezione " Verso
la Porta dell'Inferno ", oltre a due rarissimi e
preziosi bozzetti, si potevano ammirare alcune
delle opere che hanno reso Rodin immortale,
come il Pensatore (Penseur), nelle due versioni,
quella nel formato originale per la Porta e
il suo ingrandimento. In particolare, della versione
di quasi due metri è stato presentato il
gesso: una concessione straordinaria da parte
del Museo. Quindi l'Ugolino (Ugolin), L'uomo
che cade (L'Homme qui tombe), Eterna
primavera (L'Eternel Printemps), Il Bacio (Le
Baiser), La Donna accovacciata (La Femme
accroupie), Fugit Amor, L'Adolescente disperato
(Adolescent désespéré) per concludere
con Le tre ombre (Les Trois ombres), e le due
sculture Eva (Eve) e Adamo (Adam). Un'audioguida
gratuita, realizzata da Storyville, con
la voce dei curatori, accompagnavano i visitatori
all'interno del percorso di questa mostra
eccezionale, di non semplice fruizione. Il bel
catalogo edito da Umberto Allemandi & C.,
disponibile anche in formato digitale, contiene
i testi dei curatori e di Catherine Lampert, Barbara
Musetti, June Hargrove, François Blanchetière,
Véronique Mattiussi.

Lo spazio del sacro a Modena.
Dal 5 dicembre 2010 al 6 marzo 2011 la Galleria
Civica di Modena ha ospitato alla Palazzina
dei Giardini, che ha riaperto dopo i lavori
di restauro e a Palazzo Santa Margherita, la
mostra collettiva organizzata e coprodotta
dalla Galleria Civica di Modena e dalla Fondazione
Cassa di Risparmio di Modena che
presentava opere provenienti da istituzioni
pubbliche e collezioni private italiane e straniere
di alcuni fra gli artisti della scena contemporanea
internazionale che hanno maggiormente
riflettuto sul tema del sacro: Adel
Abdessemed, Giovanni Anselmo, Kader
Attia, Paolo Cavinato, Chen Zhen, Vittorio
Corsini, Josep Ginestar, Anish Kapoor,
Richard Long, Roberto Paci Dalò, Jaume
Plensa, Wael Shawky. Ogni opera occupava
in completa solitudine un ambiente della Galleria,
da una parte accentuando il rapporto
diretto, esclusivo, intimo che ciascuna di esse
instaura con lo spettatore, dall'altra amplificando
la propria capacità di entrare in relazione
con gli spazi architettonici. L'idea fondante
della mostra risente molto delle parole di
Mircea Eliade sul fatto che il sacro, nell'arte
contemporanea, " è divenuto irriconoscibile; si
è camuffato in forme, propositi e significati
che sono apparentemente " profani'. Il sacro
non è scontato, com'era per esempio nell'arte
del Medioevo. Non si riconosce immediatamente
e facilmente, perché non è più espresso
attraverso il convenzionale linguaggio religioso ".
Se queste erano le premesse teoriche relativamente
all'arte contemporanea, a guidare i
lettori del catalogo verso una più ampia comprensione
dei limiti, dei significati e delle possibilità
che la parola " sacro " ancora conserva
ai nostri giorni ci sono anche i saggi di Michele
Emmer, Vito Mancuso, Vincenzo Pace e
Vincenzo Vitiello. " Non di rado – si legge nel
testo in catalogo del curatore della mostra
Marco Pierini – l'opera d'arte definisce con la
sua mera presenza uno spazio di riguardo,
inviolabile, sacro nell'accezione che rimanda
direttamente all'etimologia della parola: circoscritto,
ristretto, separato. La distanza che essa
delimita – quand'anche non abbia a che vedere
con una dimensione trascendente, o comunque
" superiore " – può essere sia puramente
spaziale, fisica, sia temporale, sia culturale. In
ogni caso, tuttavia, questa distanza rimarrà
invariabilmente a segnare una straordinarietà,
un'eccezionalità, una dimensione non ordinaria
né quotidiana. Ma tale dimensione non è,
contrariamente alle apparenze, avulsa dalla
vita perché, anzi, alla sua forza attrattiva è
quasi impossibile resistere, che sia fondata
sull'incanto e la fascinazione oppure sul timore
e l'inquietudine dell'ignoto. Limite e soglia,
confine e passaggio, lo spazio sacro si costituisce
come rapporto - quando esclusivo e privato,
quando collettivo e condiviso - tra mondi
diversi e come invito per chi guardi a lasciarsi
trasportare, ad affidarsi all'opera e sperimentare
una sorta di estraniamento contemplativo
o di empatetica immedesimazione ".

Caravaggio. Una mostra impossibile a Milano.
Dal 10 novembre 2010 al 13 febbraio 2011 il
Palazzo della Ragione a chiusura delle celebrazioni
per il quarto centenario della morte di
Michelangelo Merisi ha ospitato un nuovo
straordinario evento dedicato al maestro lombardo:
in mostra, nella sua terra di origine, c'erano
tutte le opere di Caravaggio (1571 –
1610) nel loro folgorante splendore. Promossa
dal Comune di Milano - Cultura, dalla Rai
Radiotelevisione Italiana, e prodotta e organizzata
da Arthemisia Group e Palazzo della
Ragione, la Mostra impossibile del Caravaggio
raccoglie 65 capolavori - l'intero corpus
delle opere di Michelangelo Merisi, nessuna
esclusa e comprese alcune attribuite – riprodotti
ad altissima definizione e disposti lungo
un itinerario cronologico. Un viaggio " impossibile "
tra dipinti disseminati nei musei, nelle
chiese e nelle collezioni private di tutto il
mondo, che diventa realtà nell'era della riproducibilità
digitale dell'opera d'arte. A più di
mezzo secolo di distanza dalla celebre rassegna
milanese dedicata a Caravaggio nel 1951,
a cura di Roberto Longhi, il capoluogo lombardo
rende così omaggio all'artista con un
evento ancora più esaustivo e omnicomprensivo
delle sue opere. " Un Caravaggio impossibile
ma probabile, con una premessa: non c'è
cultura senza educazione. Questo è il senso
del progetto, l'arte antica ha bisogno di futuro
– ha spiegato l'assessore alla Cultura del
Comune di Milano Massimiliano Finazzer
Flory – e questa mostra virtuale ha qualcosa di
molto reale: la possibilità di conoscere la bellezza
dell'arte attraverso la tecnologia, con il
sorprendente risultato di riuscire a vedere tutte
le opere di Caravaggio in un unico spazio scenico ".
Grazie a questo progetto ideato e curato
da Renato Parascandolo, realizzato dalla
Rai in collaborazione con il ministero per i
Beni e le Attività culturali, e con un comitato
scientifico composto da Ferdinando Bologna e
Claudio Strinati, le opere di Caravaggio conservate
da Parigi a San Pietroburgo, da New
York a Princeton, da Dublino a Vienna, da
Roma a Napoli, Firenze, Siracusa, ecc. erano
fruibili in uno stesso luogo. I quadri, riprodotti
in digitale con tecnologie d'avanguardia ad
altissima definizione, nel rigoroso rispetto
delle dimensioni, dei colori e della luce originali,
si trovavano finalmente riuniti realizzando
un sogno a lungo coltivato da studiosi, critici
e appassionati. L'esposizione superava
spazio e tempo e faceva rivivere a distanza di
secoli il pittore più moderno e rivoluzionario
della storia, seguendo passo dopo passo le
tappe dalla sua opera e della sua vita intensa.
Entrando in una vera e propria wunderkammer,
i visitatori venivano infatti accolti da
performer nei panni del grande maestro e poi
condotti nel suo mondo attraverso aneddoti di
vita vissuta e racconti sulle opere, scanditi in
tre fasi temporali: gli esordi, la maturità, il
periodo precedente la prematura scomparsa.
Caravaggio rivive altresì attraverso numerosi
film, documentari storici e spettacoli a tema,
proiettati su grandi schermi televisivi; l'atmosfera
dell'epoca si respira nella sezione con i
quattro dipinti del maestro in cui compaiono
strumenti musicali e spartiti. Un sottofondo
sonoro di madrigali, cantati da un coro a quattro
voci, pervadeva l'ambiente: erano le musiche
" dipinte " dal Caravaggio in quattro opere
famose: Riposo durante la fuga in Egitto
(1596), le due versioni del Giovane che suona
il liuto (1596- 97) e Amore vincitore (1602).
Non si è trattato quindi di una mostra convenzionale,
ma innanzitutto un sistema di comunicazione
innovativo e altamente didattico,
che coinvolgeva e rendeva partecipe il visitatore-
spettatore, con un'esperienza visiva e
acustica a tutto tondo. Si trattava inoltre di una
tipologia di mostra senza precedenti in quanto
omnicomprensiva rispetto a qualsiasi altra
esposizione, anche perché, a causa dei costi
proibitivi di allestimento e della crescente difficoltà
di ottenere dai musei il prestito delle
opere d'arte, una mostra di tutti i dipinti del
Caravaggio era e resta impossibile in assoluto.
Inoltre, la riproduzione digitale dei dipinti
consente di prolungarne la memoria al di là
dell'usura e degli eventi, di trasmetterne ai
posteri una testimonianza attendibile e, soprattutto,
rende possibile una più esauriente e analitica
" leggibilità " delle opere stesse, consentendo
di percepire aspetti cromatici e luministici,
che della pittura caravaggesca sono l'essenza
– solitamente inaccessibili all'occhio
umano di fronte all'originale, a causa del contesto
in cui viene esposto e per lo stato di conservazione
dell'opera.
L'esposizione seguiva un'impostazione
cronologica e tematica per illustrare il percorso
artistico di Michelangelo Merisi dagli esordi
romani agli ultimi anni, riunendo in due
sezioni apposite i dipinti eseguiti nella capitale
(1599-1603) per la Cappella Contarelli in
San Luigi dei Francesi: la Chiamata di Levi
d'Alfeo (San Matteo), San Matteo e l'angelo e
Il martirio di San Matteo; e per la Cappella
Cerasi in Santa Maria del Popolo: la Conversione
di Saulo e la Crocifissione di San Pietro,
accostate alla prima versione della Conversione
di Saulo, appartenente alla Collezione Odescalchi-
Balbi. Un'altra sezione era dedicata ai
quattro dipinti sul tema della musica, con sottofondo
sonoro – esecuzione dall'ensemble
Musica Picta diretto da Paolo Camiz – tratto
dagli spartiti dei madrigali raffigurati nel
Riposo durante la fuga in Egitto (1596) della
Galleria Doria Pamphilj di Roma, nelle due
versioni del Giovane che suona il liuto (1596-
97) conservati all'Ermitage di San Pietroburgo
e al Metropolitan di New York, e in Amore
vincitore (1602) del Staatliche Museen,
Gamäldegalerie di Berlino. Nell'insieme spiccavano
inoltre per imponenza le immagini di
grandi quadri come la Decollazione del Battista
(1608) di oltre cinque metri di altezza, conservata
nella Concattedrale di San Giovanni a
La Valletta, Malta; e altri celebri dipinti come
il Giovane con un canestro di frutti (1592-93)
della Galleria Borghese, il Bacco (1593) della
Galleria degli Uffizi, la Cattura di Cristo
(1602) della National Gallery of Ireland a
Dublino, la Cena in Emmaus (1608) della
Pinacoteca di Brera. Completano il percorso
video di film storici, documentari e spettacoli
a tema, conservati nelle Teche Rai. " L'idea
delle Mostre impossibili – dice Renato Parascandolo,
ideatore del progetto – nasce dalla
considerazione che nell'epoca contemporanea
la riproduzione deve essere tutelata e valorizzata
quanto l'originale: una diffusione di
massa delle opere d'arte, garantita dalle riproduzioni,
risponde a un'istanza di democrazia
culturale formulata da Walter Benjamin e
André Malraux. La mostra rende accessibile a
un pubblico vastissimo la fruizione di opere
d'arte che finora potevano essere ammirate
soltanto sul posto o che, tutt'al più, potevano
essere intraviste in riproduzioni di piccolo formato.
Ora invece, impiegando tecniche digitali
d'avanguardia, è possibile realizzare riproduzioni
di altissima definizione, in scala 1 : 1,
di qualsiasi affresco, dipinto o pala d'altare,
ponendo lo spettatore virtualmente di fronte
all'opera d'arte originale ". I tecnici della Rai
hanno messo a punto una tecnica di riproduzione,
basata su supporti trasparenti retro illuminati,
che ha consentito di ottenere risultati
straordinari, apprezzati anche da severi e autorevoli
storici dell'arte come Ferdinando Bologna,
Salvatore Settis, Claudio Strinati, Maurizio
Calvesi, Denis Mahon, Dominique Fernandez.
Come scrive Claudio Strinati:
" Numerosi sono gli studiosi e gli appassionati
di musica che conoscono certe composizioni
ed esecuzioni quasi esclusivamente attraverso
la riproduzione discografica. La riproduzione
di un'opera pittorica, purché di qualità, sia
nell'esecuzione, sia nella rappresentazione,
presenta qualche analogia con la riproduzione
musicale. Il che non vuol dire che la riproduzione
è equivalente all'originale: cionondimeno
un'ottima riproduzione di un'opera d'arte
può dare una serie di cognizioni, stimoli e
intuizioni molto importanti e interessanti. Di
qui il mio apprezzamento per il progetto delle
" Mostre impossibili ". Ferdinando Bologna, a
sua volta, spiega: " Le " mostre impossibili "
consentono una più approfondita conoscenza
delle opere e un accostamento, per confronto,
di opere che sono normalmente lontanissime
fra di loro. Soprattutto, questa nuova generazione
di riproduzioni d'arte, ad altissima definizione
e a grandezza naturale, consente un
approccio agli originali che gli originali stessi,
nelle condizioni in cui normalmente si trovano,
sia nei musei sia nelle sedi proprie, non
consentono. Anche per questo considero
geniale il progetto delle " mostre impossibili "
ideato e sviluppato, con perseveranza e rigore,
da Renato Parascandolo ". Sembra un paradosso,
ma la mostra impossibile sul Caravaggio è
una manifestazione che ha altresì lo scopo di
incoraggiare il pubblico verso la conoscenza
degli originali. In una società che vive di
" riproduzioni " di ogni tipo, il contatto rinnovato
con ciò che appare vero e naturale consente
un approccio intellettuale, da cui scaturisce
il desiderio di accesso reale alle cose.

Aldo Mondino, maestro di fantasmagorie ad Acri.
A partire dal 20 novembre 2010, il MACA (Museo Arte Contemporanea Acri) ha dedicato una
personale al grande artista torinese Aldo Mondino, senza dubbio uno degli artisti italiani
più
eclettici della sua generazione, tra i principali protagonisti della sorprendente stagione
creativa
degli anni Sessanta del capoluogo piemontese. Poliedrico, dotato di una vasta e profonda
cultura internazionale, di uno sguardo ironico capace di partorire doppi sensi eleganti e
raffinati, e, soprattutto, di una curiosità instancabile, Mondino non ha mai cessato di
reinventare
se stesso e la propria arte durante tutto l'arco della sua carriera. Il suo percorso
artistico
è stato segnato da un fluire costante di ispirazioni sempre nuove, di influenze disparate
che l'artista è stato in grado di assorbire, metabolizzare e successivamente riproporre
attraverso il suo stile originale ed inconfondibile; dai primi passi parigini mossi presso
l'Atelier
17 del pittore surrealista ed espressionista William Heyter, e gli studi sul mosaico fatti
sotto la guida del futurista Gino Severini, per poi passare attraverso una fase citazionista
dai
forti richiami pop, e il successivo periodo orientalista nato negli anni Settanta con la
serie King
e proseguito con quella dei Dervisci e con le sperimentazioni formali estrose ed audaci.
Proprio
questo suo essenziale gusto per lo studio manipolatorio di materiali e medium artistici
innovativi, ma mai distaccati dalla realtà quotidiana – sua fonte di ispirazione primaria
sin dai
tempi delle frequentazioni dell'artista con il gruppo dei poveristi –, lo ha portato a
realizzare
le famose sculture in cioccolato e zucchero di canna, o le opere fatte con confezioni di
torrone,
selle da cavallo o aringhe affumicate. A cinque anni dalla sua morte, il MACA ha ospitato
nei suoi spazi una collezione di venti opere di grandi dimensioni, tra sculture e dipinti,
in
grado di veicolare alla perfezione il carattere poliedrico, arguto ed esotico del grande
artista
torinese. Il titolo della mostra riecheggia un verso di Arthur Rimbaud, perché anche Mondino
potrebbe essere definito un " maestro di fantasmagorie ", un artista che attraverso le sue
opere affascinanti, ironiche e seducenti, sembra rivolgersi al suo pubblico come faceva il
poeta francese in Una Stagione all'Inferno: " Ascoltate!... Ho tutti i talenti! "

   

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