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MEDICINA - GUIDA MEDICA - I SENSI

LE FINESTRE DELL'ORGANISMO

Ogni corpo animato o inanimato esistente in natura irradia incessantemente energia nell'ambiente che lo circonda: vibrazioni meccaniche, variazioni chimiche, onde elettromagnetiche, che rappresentano informazioni, messaggi, segnali quando incontrano strutture in grado di esserne stimolate, quindi di riceverli e di rispondere a essi. Questo concatenarsi di eventi (ossia il ciclo segnale-ricezione-risposta) costituisce l'irritabilità che, anche nelle sue forme più semplici, è una delle proprietà fondamentali della vita. Anche la più umile espressione vitale - un microscopico essere unicellulare - costituisce già una unità recettrice, un organo che reagisce a uno stimolo esterno, un organo di senso.
Salendo lungo la scala dei viventi, via via che la loro organizzazione si affina, si differenziano in essi strutture che risultano specificatamente costruite per ricevere stimoli ben determinati: queste strutture specializzate sono i recettori che costituiscono i vari organi di senso. I recettori possono inviare informazioni alla coscienza provocando sensazioni o percezioni che suscitano risposte elaborate dalla corteccia cerebrale; oppure provocare attività riflesse (cioè che interessano il sistema nervoso autonomo o involontario) le quali non sempre giungono alla coscienza. Perciò la percezione è l'esperienza cosciente della presenza di uno stimolo tattile, visivo, uditivo, ecc. E la appercezione è il riconoscimento o l'identificazione della sorgente dello stimolo stesso.
È quindi sulle possibilità di percezione e di appercezione del suo organismo che l'uomo fonda le sue relazioni coscienti con l'ambiente; è con esse che ha costruito ogni idea del mondo, dalle sue rappresentazioni più elementari a quelle più complesse.
Gli organi di senso sono dunque le «finestre» che permettono all'uomo (come a ogni altro animale) di conservare la sua integrità vitale; non solo, ma di osservare e conoscere la sua «fetta» di universo, di allargarla con altri organi di senso supplementari ossia con i congegni che ha costruito.
La prima di queste «finestre» (prima nel senso di primordiale) è la pelle, o meglio i suoi recettori a cui si devono 5 tipi di sensazioni elementari: tatto, pressione, dolore, caldo e freddo. I recettori cutanei sono relativamente semplici e forniscono informazioni meno ricche di sfumature di quelli che appartengono ad altri organi di senso come la vista e l'udito. Tuttavia la loro rispettiva natura non è stata ancora chiarita del tutto. Si supponeva che alle 5 percezioni cutanee corrispondessero 5 tipi di recettori specializzati. L'esame di un frammento di pelle sotto il microscopio indica invece che per ora questa distinzione non è sempre possibile.
Nelle zone glabre della pelle (soprattutto il palmo delle mani e la pianta dei piedi) sono stati individuati recettori tattili (i corpuscoli di Meissner); nelle zone provviste di peli, plessi di fibre nervose intorno alla loro radice provocano, quando i peli sono mossi, sensazioni tattili; nel derma vi sono altri recettori (i corpuscoli di Pacini) che sono stimolati dalla pressione; terminazioni nervose nell'epidermide e nel derma promuovono sensazioni dolorose.
Ma i calocettori (recettori del caldo) e i frigocettori (recettori del freddo) non sono stati ancora riconosciuti, mentre di altre strutture nervose cutanee (come i bulbi di Krause e i corpuscoli di Ruffini) si ignora la funzione. Altre sensazioni della pelle - solletico, prurito, liscio, ruvido, secco, umido - non sembrano connesse con recettori particolari, ma sono dovute probabilmente alla stimolazione di due o più recettori e a una combinazione delle rispettive percezioni a livello della corteccia cerebrale.
Infatti gli strati profondi della pelle contengono moltissime fibre sensitive di vario spessore, ciascuna delle quali si suddivide in un gran numero di minuscoli rami che si intrecciano tra loro e con quelli di altre fibre. Alla sua terminazione, ciascun ramo presenta un recettore sensitivo che è caratteristico delle diverse fibre. Questi recettori terminali hanno una struttura molto varia, da corpi altamente organizzati e di notevole grandezza, a semplici fibrille nude indifferenziate, munite soltanto di un minuscolo ingrossamento terminale.
Il fitto intreccio dei diversi rami delle varie fibre e l'enorme numero di terminazioni differenti che si trovano in un solo punto della pelle fanno comprendere chiaramente come, in pratica, lo stimolo elettivo di una singola terminazione in una sola fibra non avvenga mai. Lo stimolo ordinario, come una lieve compressione, uno sfregamento o una puntura di spillo, eccita un gran numero di fibre sensitive diverse. È quindi evidente che una sensazione definibile come contatto, pressione, dolore, caldo e freddo deve derivare dall'attivazione contemporanea di molte fibre sensitive diverse, di varia sede e volume.
Recettori diffusi più ancora che quelli cutanei, ma dai quali molte informazioni non giungono mai alla coscienza, sono i propriocettori generali, organi di senso stimolati dai movimenti del corpo e situati nei muscoli scheletrici, nei tendini, nelle articolazioni. Essi forniscono al corpo le nozioni del suo movimento, della sua posizione nello spazio, e delle sue varie parti le une rispetto alle altre. Sono il punto di partenza per i riflessi che regolano la posizione corporea e il tono muscolare.
Fra i propriocettori generali si distinguono: l'organo di Golgi nei tendini, che viene stimolato quando il muscolo è rilassato oppure contratto; il fuso muscolare, stimolato dal rilassamento; i corpuscoli di Pacini (simili a quelli esistenti nella cute), che si trovano nel connettivo intorno alle articolazioni e sono stimolati dalla pressione che si produce nelle strutture circostanti quando le articolazioni si muovono.
Si è detto che molte delle informazioni raccolte dai propriocettori generali non giungono mai alla coscienza. Ma una parte di esse può diventare percezione, cioè esperienza cosciente: per esempio, basta alzare un braccio in una stanza buia per essere informati, grazie a questi propriocettori, della sua posizione rispetto al corpo.
Un altro senso che sfugge alla consapevolezza è quello dell'equilibrio, dovuto ai propriocettori «speciali» situati nel labirinto (la parte non uditiva dell'orecchio interno), che vengono stimolati da movimenti del capo, cioè da cambiamenti di posizione della testa nello spazio. Nel labirinto di ciascun orecchio interno vi sono 3 tubi membranosi, i canali semicircolari uniti fra loro ad angolo retto, ognuno orientato sui 3 piani dello spazio e contenente un liquido detto «endolinfa».
I recettori si trovano alle estremità dei canali e sono stimolati meccanicamente sia dai moti dell'endolinfa sia dagli otoliti (cristalli di carbonato di calcio), in dipendenza dei cambiamenti di posizione della testa.
La stimolazione di questi recettori provoca impulsi nervosi i quali determinano, per via riflessa, modificazioni del tono muscolare nel collo, nel tronco e negli arti che impediscono al corpo di perdere l'equilibrio.
Vi sono poi i sensi che lavorano come laboratori di chimica analitica: sono quelli del gusto e dell'olfatto, che in una frazione di secondo riescono a identificare la struttura di sostanze che un chimico riuscirebbe ad analizzare, con gli usuali metodi di laboratorio, soltanto dopo parecchie ore o giornate di lavoro. Un naso allenato sa riconoscere, ad esempio, quasi tutti i componenti di una serie di alcool, aldeidi e acidi omologhi; e in minime quantità di materiale è in grado di ritrovare i singoli componenti nelle loro complesse mescolanze.
I sensi chimici hanno una grande importanza per il benessere dell'organismo perché determinano le sue prime reazioni ai cibi e avviano la digestione. L'odore di un arrosto, per esempio, ha un effetto immediato sul metabolismo: avvia la secrezione salivare e gastrica molto prima che il pasto abbia inizio, creando favorevoli condizioni per la digestione, gli aromi dei cibi hanno per la nutrizione una importanza paragonabile a quella delle vitamine e degli ormoni.
Ma quali sono le sostanze responsabili dei diversi odori e sapori? Si tratta di un problema complesso.
Il chimico deve partire da molti chilogrammi di materiale per riuscire ad isolare quantità ponderabili delle essenze pure che il gusto e l'olfatto sono capaci di identificare in minime tracce. Questo difficile lavoro di analisi è stato fatto finora solo per pochi alimenti, soprattutto frutti. Ma gli ingredienti naturali non rendono completa ragione del carattere dell'aroma contenuto nei cibi e nelle bevande: nuovi sapori si aggiungono infatti quando il materiale originario viene lavorato, cotto e manipolato. Basti dire che friggendo o arrostendo la carne le si conferiscono nuovi sapori, perché il calore altera le proteine e i carboidrati che essa contiene.
I sensi chimici del gusto e dell'olfatto insegnano anche a rifiutare le sostanze prodotte dai microrganismi che guastano il cibo, perché il cervello impara (ma non sempre in modo esatto) ad associare gli odori nauseanti e i cattivi sapori con gli alimenti nocivi. In realtà le sostanze responsabili dei cattivi aromi sono innocue a bassa concentrazione, ma servono come segnali di avvertimento contro le tossine che i microrganismi producono negli alimenti male conservati.
La percezione degli aromi dipende sia dall'olfatto sia dal gusto, perciò è difficile distinguere, in un cibo, quello che è odore e quello che è sapore. Dei due, il senso dell'odorato è di gran lunga più acuto e può essere stimolato a grande distanza. Perciò alcuni studiosi pensano che la stimolazione olfattiva debba essere non soltanto chimica, perché le sostanze odorose sono enormemente diluite nell'aria nel momento in cui raggiungono i recettori dell'olfatto.
Si è supposto quindi, che l'odore sia dovuto a vibrazioni molecolari. Tuttavia si può dimostrare che una singola aspirazione di una sostanza odorosa appena percettibile contiene ancora molti milioni di molecole dell'aroma. Quando queste giungono a contatto dei recettori olfattivi situati nella parte alta del naso, producono una reazione sulle cellule di questi recettori che invia un impulso elettrico al cervello.
Per diventare odorabile, una sostanza deve sottostare a due condizioni: essere volatile a temperatura ordinaria e solubile nei solventi dei grassi. Tutte le sostanze odorose conosciute sono gas, oppure hanno un'elevata tensione di vapore poiché bollono sui 300° C. La maggior parte delle sostanze inorganiche, che sono sali con tensione di vapore molto bassa, non hanno odore percettibile. Quelle organiche, invece, sono più facilmente e variamente odorose.

GLI ODORI PRIMARI

In genere, ogni odore non è altro che una combinazione di percezioni olfattive. Inoltre, i recettori olfattivi si abituano facilmente a un dato odore e non lo avvertono più: vi è insomma una «fatica» anche per gli odori. Le combinazioni olfattive derivano da una mescolanza di odori detti «primari» di cui sono stati fatti molti tentativi di classificazione. Secondo una delle più recenti, stabilita dal biochimico J. E. Amoore, gli odori che si riscontrano con maggiore frequenza sono 7: di canfora, di muschio, di fiori, di menta, etereo, pungente, putrido. La natura primaria di tali odori sembra confermata dal fatto che Amoore ha trovato qualcosa di comune in tutte le molecole che presentano lo stesso odore.
Circa 2000 anni fa, il poeta latino Lucrezio scrisse che l'olfatto funziona perché il «palato» contiene minuscoli pori di ampiezza e forma variabili, nei quali si conficcano le molecole delle sostanze odorose, generando una sensazione piuttosto che un'altra, a seconda del tipo di poro cui la loro forma si adatta. Ebbene, questo primo abbozzo di teoria «stereochimica» degli odori è passato oggi dalla poesia alla scienza: si sostituisca la mucosa olfattiva al palato, e si avrà la più moderna versione del meccanismo olfattivo.
Infatti alcuni scienziati contemporanei sono giunti alla stessa conclusione di Lucrezio attraverso la paziente ricerca degli odori primari ognuno dei quali, si suppone, ha un proprio recettore e mette in azione un solo canale nel nervo olfattivo. Basandosi sulla classificazione sopra riferita, Amoore ha potuto riscontrare che tutte le sostanze odorose di canfora hanno molecole grossolanamente sferiche e dello stesso diametro: questa constatazione porta a supporre l'esistenza di un recettore olfattivo emisferico, una specie di scodella, in grado di accogliere tutte le molecole con odore canforaceo.
Le molecole delle sostanze odorose di muschio sono fatte a disco, e anch'esse hanno pressappoco uno stesso diametro; l'odore di fiori è attribuibile a molecole conformate pure a disco, ma provviste anche di una «coda» flessibile e somiglianti a un aquilone; l'odore di menta sembra dipendere da molecole a cuneo, con un gruppo di atomi polarizzato elettricamente e in grado di formare un legame di idrogeno con il recettore; l'odore etereo si trova solo in molecole conformate a bastoncelli. Immaginare, anche per questi odori, un recettore di forma e dimensioni adatte a raccogliere le molecole, è una conclusione pienamente giustificata dalla costanza con cui a una stessa conformazione molecolare corrisponde lo stesso odore primario.
Solo gli odori pungente e putrido sembrano sottrarsi a tale schema, perché le molecole vettrici di queste sensazioni hanno forma e dimensioni indifferenti.
Tuttavia anche in esse è possibile fare una distinzione perché gli odori pungenti si trovano solo quando le molecole portano una carica positiva, e gli odori putridi solo se la carica molecolare è negativa.
È dunque ragionevole presumere che per ogni odore primario esista una struttura recettiva specifica nell'apparato olfattivo. L'aver concluso che gli odori stimolano un canale o l'altro di questo apparato, a seconda che le loro molecole si adattino, come una chiave nella serratura, a recettori posti nelle terminazioni nervose, può sembrare una conclusione brillante, ma fantasiosa; eppure questa teoria è stata confermata da controlli molto rigorosi e fino ad oggi sembra la più corretta. I 7 odori primari assicurano all'olfatto una enorme possibilità combinatoria: infatti esso è in grado di discriminare tra qualcosa come un milione di odori diversi, i quali tuttavia sembrano derivare dalla combinazione dei 7 odori primari.
Come si è detto, la sensazione olfattiva ha una parte preponderante nell'apprezzamento dell'aroma dei cibi. E chiunque è in grado di accorgersene subito, quando il suo olfatto è reso insensibile da un raffreddore: il cibo appare insipido perché funziona solo il senso del gusto.

IL GUSTO E LA VISTA

I SAPORI FONDAMENTALI

L'apparato sensoriale del gusto è localizzato soprattutto sulla faccia superiore della lingua, sul palato molle, sull'epiglottide e all'inizio della gola. Qui sono situati i cosiddetti «bottoni gustativi», che sono circa 9000. I recettori dei diversi sapori sono localizzati in aree diverse: le sensazioni di amaro sulla parte posteriore della lingua, quelle del dolce e del salato sulla sua punta e sui suoi margini. Esistono infatti solo quattro diverse sensazioni gustative primarie: quelle dell'amaro, del dolce, del salato e dell'acido.
Le sostanze vengono gustate soltanto quando sono disciolte nell'acqua. Per scoprire il sapore di una sostanza, essa deve trovarsi presente in quantità molto più abbondante di quanto sia necessario per avvertirne l'odore; in certi casi, tale quantità è 3000 volte superiore. Come per l'olfatto, si è cercato di trovare un rapporto chimico fra le sostanze appartenenti a ciascuno dei quattro gruppi di sapori.
Il sapore acido è in rapporto con l'acidità della soluzione, anche se non in proporzione con essa: per esempio, una soluzione di un duecentesimo di acido acetico ha lo stesso sapore di una soluzione di un ottocentesimo di acido cloridrico, che è 4 ÷ 5 volte più acido. I sapori salati sono prodotti da sali inorganici: per esempio, il cloruro di sodio (sale da cucina) è salato, mentre il cloruro di cesio ha un sapore predominante amaro.
Il sapore dolce è dato dagli zuccheri, dalla saccarina, dalla dulcina, ma dal punto di vista molecolare è difficile comprendere che cosa queste sostanze abbiano in comune dal punto di vista del loro sapore perché, come nel caso delle sostanze odorose, piccole differenze nella loro struttura non aboliscono il sapore dolce: per esempio, composti simili al glucosio, come la glicerina, sono dolci. Il sapore amaro è anch'esso proprio di una grande quantità di prodotti: molti alcaloidi (come la caffeina contenuta nel caffè), i sali biliari, il magnesio e i sali ammoniacali.
Amaro e dolce sono in stretto rapporto, tanto è vero che una piccola modificazione di molecole è talvolta in grado di dare origine a sostanze fortemente amare invece che dolci: per esempio, se si sostituisce con lo zolfo l'ossigeno della dulcina, si ottiene un composto amaro. Esso presenta una caratteristica interessante: per 3 ÷ 4 persone su 10 esso non è amaro, ma insipido. Questa constatazione ha permesso di scoprire che come esistono persone le quali hanno una cecità per certi colori (daltonismo) così esistono individui che hanno certe «cecità per i sapori». Si tratta, a quanto sembra, di una deficienza gustativa d'origine ereditaria. Da quando si è scoperto questa particolare cecità per il sapore, si sono trovate molte altre sostanze dotate di proprietà simili: il benzoato di sodio, insipido per la maggioranza, è dolce o amaro per certe persone. Questi fatti dimostrano chiaramente la verità del detto «sui gusti non si discute».
Una ricerca di caratteristiche comuni che rendano ragione delle somiglianze gustative di sostanze dolci o amare, acide o salate, non sembra poter dare risultati chiarificatori. Come per gli odori, anche qui bisogna studiare i recettori per comprendere il meccanismo di percezione del gusto. Chi studia tale meccanismo, si trova in una posizione meno difficile di chi investiga sui recettori olfattivi, perché i quattro sapori primari, anche se soggettivi, sono molto più chiaramente definiti che non gli odori primari.
Qui la teoria enzimatica sembra quella più vicina al vero: infatti si è potuto dimostrare che la mucosa dei bottoni gustativi contiene quantità relativamente alte di enzimi i quali sono inibiti da sostanze che hanno un sapore ben definito, e non da altre.
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L'OCCHIO E LA SUA RETINA

L'architettura delle cose in rapporti di forma e colore, il senso dello spazio, l'apprezzamento delle distanze, immagini catalogate nella memoria: ecco il significato della percezione visiva, della funzione di quegli organi recettori della luce che sono gli occhi.
Nella struttura dell'occhio la retina è il vero organo della visione perché è costituita da recettori - i fotorecettori - in grado di ricevere l'energia luminosa e di trasformarla in energia nervosa che, convogliata attraverso il nervo ottico, giunge al cervello dove diventa percezione visiva.
I fotocettori sono di 2 specie: i coni per la luce piena e colorata, i bastoncelli per la luce crepuscolare. Quando si osserva un oggetto, gli occhi sono orientati in modo che l'immagine cada su un'area particolare della retina, quella della visione distinta detta fovea che è circoscritta da un «punto giallo» (macula lutea). La fovea contiene solo coni; mentre nel resto della retina, cioè l'area della visione meno distinta, i coni diventano meno numerosi e i bastoncelli aumentano verso la sua parte periferica.
I fotocettori, siano essi coni o bastoncelli, contengono pigmenti fotosensibili, ossia sostanze colorate che si scindono chimicamente in presenza di specifiche lunghezze d'onda della luce. Si determinano così nei fotocettori stimoli chimici i quali provocano impulsi nervosi che vengono trasmessi dalla retina alla corteccia cerebrale.
I bastoncelli sono di un solo tipo, dotati di un solo tipo di pigmento (la rodopsina) e danno la visione monocromatica, cioè priva di colore. I coni, invece, sono di 3 tipi, ciascun tipo contiene un diverso pigmento (fotopsine) e insieme forniscono la visione tricromatica, ossia composta da 3 colori fondamentali, il rosso, il verde e l'azzurro. Vi sono quindi i coni recettori per il rosso (che assorbono la luce gialla-aranciata), quelli recettori per il verde e quelli recettori per l'azzurro.
Tutti e tre i tipi di coni sono probabilmente stimolati in proporzioni quasi eguali quando la retina è colpita da luce bianca, perché in realtà essa è formata dalla fusione dei vari colori. La percezione dei colori differenti dal giallo-arancio, dal verde e dall'azzurro è dovuta a variazioni di stimolo dei 3 tipi di coni. In tal modo l'occhio fornisce la percezione della vasta gamma cromatica utilizzando solo 3 colori primari ossia, come si è detto, il rosso, il verde e l'azzurro.
Quando una persona passa dall'oscurità alla luce intensa resta abbagliata, ma dopo breve tempo torna a vedere bene. Questo aggiustamento della sensibilità per esposizione alla luce intensa è chiamato «adattamento alla luce». Quando poi l'intensità della luce si riduce gradualmente, i coni cessano di reagire ad essa ed entrano in funzione i bastoncelli.
Ma quando si passa da un ambiente intensamente illuminato all'oscurità, la percezione visiva viene a cessare e si ha un accecamento temporaneo. Dopo circa mezz'ora la visione si ricostituisce. Questo aggiustamento o aumento di sensibilità, dovuto al progressivo intervento dei bastoncelli, è detto «adattamento all'oscurità». A misura che l'intensità della luce aumenta, i bastoncelli perdono la loro sensibilità e cessano di rispondere trasferendo la loro funzione ai coni.
L'occhio umano ha un'altissima sensibilità, superiore perfino a quella di un fotomoltiplicatore elettronico. Un lampo di luce monocromatica che colpisca un occhio adattato al buio, e quindi al vertice della sensibilità retinica, perde il 4% di intensità per riflessione parziale sulla cornea, il 50% per imperfetta trasparenza dei mezzi «diottrici» dell'occhio (cioè il cristallino, l'umore acqueo e il corpo vitreo), e del rimanente 46% solo il 20% viene assorbito dalla retina, quindi ha praticamente un effetto utile per la visione.
Grazie ai bastoncelli che sono le uniche cellule sensibili a quantità debolissime di luce, l'uomo è in grado di vedere un lampo di luce costituito da soli 4 ÷ 6 fotoni (particelle di luce). Ciò significa che 4 ÷ 6 molecole del pigmento fotosensibile contenuto nei bastoncelli (la rodopsina) vengono attivate ciascuna da un solo fotone, e che questa attivazione genera un fenomeno elettrico trasmissibile attraverso il nervo ottico fino al cervello. Dopo una permanenza di almeno mezz'ora nell'oscurità totale, i bastoncelli dell'occhio umano diventano così sensibili da consentire la visione, se l'atmosfera fosse perfettamente trasparente, di una fiammella di candela a 27 chilometri di distanza.
Passando attraverso il minuscolo foro della pupilla, i raggi luminosi giungono sulla retina in una immagine netta e capovolta, come quella che un apparecchio fotografico proietta sulla pellicola. Quindi, se l'uomo non vede le cose capovolte, ciò è dovuto ad un meccanismo di raddrizzamento dell'immagine, che si verifica a livello della corteccia cerebrale.
Ma l'uomo vede le cose non solo dritte, bensì anche in rilievo, cioè ha una visione tridimensionale, stereoscopica. Quando si guarda un oggetto o una scena, ciò che è visto dall'occhio destro è leggermente diverso da ciò che è visto dall'occhio sinistro. Ebbene, queste due immagini retiniche dissimili vengono fuse nei centri cerebrali così da dare una rappresentazione tridimensionale, un apprezzamento della profondità, dell'altezza e della larghezza.
Altri fattori contribuiscono al riconoscimento della dimensione, della profondità e della distanza: sono i colori che si attenuano con la lontananza ed i dettagli che diventano indistinti; la luce e l'ombra sulla superficie degli oggetti; le dimensioni delle immagini che, benché formate in scala molto ridotta sulla retina, appartengono a oggetti le cui dimensioni reali sono note; l'occultamento parziale di un oggetto distante, a opera di altri oggetti interposti tra questo e gli occhi; la prospettiva, cioè linee rette notoriamente parallele che la distanza fa apparire invece convergenti; la parallasse, per cui quando la testa si volge da un lato all'altro, gli oggetti vicini sembrano muoversi nel senso opposto, mentre quelli lontani possono sembrare in movimento in senso eguale a quello degli occhi. Attraverso complicati processi mentali, tutti questi fattori vengono interpretati in termini di distanza e di profondità.
Percepire significa apprendere attraverso i sensi. Ma anche l'uso dei sensi richiede un apprendimento, e quello della vista è certamente il più complesso. Il bambino impara a vedere per gradi: prima vede qualcosa, poi comprende di vedere qualcosa, poi capisce che cosa possa essere. Chi è nato cieco, e acquista la vista grazie ad un intervento chirurgico, non è in grado di riconoscere gli oggetti senza aver superato un periodo di apprendimento, più lungo di quello proprio dell'infanzia. Per esempio, un adulto che è sempre stato cieco può riconoscere i triangoli e i quadrati al tatto, ma non è in grado di distinguerli con la vista, quando li vede per la prima volta. Uno sperimentatore ha in mano un pezzo di cartone triangolare dipinto in giallo da una parte e in bianco dall'altra. Lo fa vedere ad un uomo che sta imparando ad usare i propri occhi.
Dopo molti sforzi, lo sperimentatore riesce a far comprendere, mostrandogli la parte bianca e facendogli contare i tre angoli, di che cosa si tratta. Poi nasconde il triangolo dietro la schiena, lo gira, e lo mostra dalla parte gialla: ebbene, l'uomo non riconosce più che si tratta di un triangolo.
Questo esempio sembra dimostrare che vi sono due tipi di percezione visiva: una pura sensazione di luce e un'interpretazione psichica di ciò che si vede.
Si potrebbe dire quindi che il bambino vede la luce prima di vedere gli oggetti. Ma sembra che una simile distinzione sia artificiosa perché l'atto di percepire (e ciò vale anche nel campo di tutte le altre sensazioni) non è un processo in due tempi, di riconoscimento della sensazione e della sua interpretazione.
È dubbio che una percezione, per elementare che sia lo stimolo, possa essere completamente priva di comprensione e di fattori emotivi. Se il bambino vedesse solo la luce e non, come avviene di regola, la luce riflessa da determinati oggetti, non imparerebbe mai a riconoscere questi oggetti. Il meccanismo della visione, come quello delle altre sensazioni, è dunque strettamente legato ad elementi psichici ed emotivi.
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LA SENSIBILITÀ UDITIVA

Un altro organo estremamente sensibile è l'orecchio, strutturato per raccogliere le vibrazioni meccaniche e in particolare quelle trasmesse sotto forma di onde sonore. L'orecchio è così sensibile da poter quasi percepire gli urti casuali di molecole d'aria contro il timpano, cioè la membrana uditiva. All'opposto, è in grado di sopportare l'energia cinetica di onde sonore tanto forti da far vibrare il corpo. Inoltre è fornito di una selettività molto alta: in un ambiente affollato di gente che conversa, è in grado di «tagliare» gran parte del rumore di fondo e di concentrarsi su una sola voce; dalla fusione di suoni di un'orchestra sinfonica, l'orecchio del direttore è capace di individuare il suono stonato di un solo strumento.
La struttura e il funzionamento dell'orecchio sono straordinariamente delicati. Un indice della sua finezza sono le piccole vibrazioni alle quali l'orecchio risponde: per alcune frequenze sonore, le vibrazioni del timpano sono di un miliardesimo di centimetro, cioè, all incirca, un decimo del diametro di un atomo di idrogeno. E le vibrazioni della piccolissima membrana dell'orecchio interno, che trasmette questi stimoli al nervo acustico, sono di ampiezza circa 100 volte minore. Ancora oggi non si sa in che modo queste infime vibrazioni possono eccitare le estremità del nervo.
Quali sono le possibilità dell'orecchio? Esso è meno sensibile alle basse frequenze, ma si tratta di un'ovvia necessità fisica, perché altrimenti l'uomo udrebbe tutte le vibrazioni del proprio corpo: infatti l'orecchio è insensibile alle basse frequenze quanto basta per evitare gli effetti disturbanti prodotti dai muscoli, dai movimenti corporei, ecc. Se fosse appena un poco più sensibile a queste frequenze, verrebbero udite anche le vibrazioni della testa prodotte dall'urto di ogni passo che si fa camminando.
Nel campo delle alte frequenze, la gamma che l'orecchio copre è notevole. Vi sono bambini che riescono ad udire bene anche a frequenze di 40 mila cicli, e quindi anche lo squittio sibilante di un pipistrello.
Ma con l'avanzare degli anni, l'acutezza uditiva delle alte frequenze diminuisce con regolarità.
Per comprendere su che cosa si fonda la sensibilità dell'orecchio, occorre dare uno sguardo all'anatomia delle sue parti media e interna. Quando le onde sonore fanno vibrare la membrana timpanica, le vibrazioni vengono trasmesse al liquido dell'orecchio interno per mezzo di un sistema meccanico formato da 3 ossicini connessi come leve. Uno di questi, la staffa (che pesa soltanto 1,2 milligrammi circa, ed è l'osso più piccolo dello scheletro umano), agisce sul liquido come un pistone, facendolo muovere avanti e indietro al ritmo della pressione sonora. Questi movimenti del liquido provocano a loro volta la vibrazione di una sottilissima membrana, detta membrana basilare. Essa, infine, trasmette lo stimolo ai recettori acustici contenuti nell'organo di Corti, una struttura complessa che contiene le estremità dei nervi uditivi.
Questa complicata catena di trasmissione è giustificata dal fatto che essa risolve un formidabile problema di meccanica: quello di trarre il massimo di energia dalle onde sonore che colpiscono il timpano. Normalmente, quando un suono colpisce una superficie solida, la maggior parte dalla sua energia viene riflessa. Il problema che l'orecchio ha risolto è quello di assorbire questa energia. Infatti esso agisce come una specie di trasformatore meccanico che converte le onde di pressione sonora dell'aria, di grande ampiezza, in vibrazioni più forti ma di ampiezza minore.
Un trasformatore di questo tipo è stato costruito anche dall'uomo: si tratta della pressa idraulica, la quale moltiplica la pressione che agisce sulla superficie di un pistone concentrando la forza di tale pressione su un secondo pistone di superficie minore. La parte media dell'orecchio agisce proprio come una pressa idraulica: la piccola base della staffa trasforma la piccola pressione sulla superficie del timpano in una pressione 22 volte maggiore che si esercita sul liquido dell'orecchio interno. In questo modo l'orecchio assorbe la maggior parte dell'energia sonora e la trasmette senza grandi perdite nella sua parte interna.
Ma occorre un altro trasformatore per amplificare la pressione del liquido in una forza ancora maggiore da applicare sui tessuti ai quali sono connessi i recettori acustici. Questo trasformatore è basato sul fatto che una membrana piana, tesa per coprire l'apertura di un tubo, presenta una tensione naturale lungo la sua superficie. Questa tensione può venire aumentata enormemente se si applica una pressione su una faccia della membrana: e questa, infatti, è la funzione dell'organo del Corti. Esso è costituito in modo che la pressione sulla membrana basilare è trasformata in sforzi di taglio molte volte maggiori sull'altra faccia dell'organo, cioè sulla membrana tettoriale. Gli sforzi di taglio così amplificati esercitano una frizione sui recettori estremamente sensibili connessi con il nervo acustico.
Ma il timpano non è la sola via dell'udito. Si ode anche attraverso il cranio, ossia per conduzione ossea: il battito del denti o la masticazione di un biscotto provocano vibrazioni del cranio che vengono percepite sotto forma di suoni. Alcune vibrazioni, poi, sono trasmesse direttamente all'orecchio interno, passando per l'orecchio medio. L'ascolto per conduzione ossea ha una parte importante nei processi della parola. Le vibrazioni delle corde vocali producono non solo suoni che vanno agli orecchi per via aerea, ma anche vibrazioni nel corpo che vengono trasmesse al canale auricolare. Mentre si parla o si canta, si odono quindi due diversi suoni, l'uno per conduzione ossea, l'altro per via aerea.
Naturalmente, un altro ascoltatore ode soltanto per via aerea i suoni così prodotti. In questi suoni vanno perdute alcune delle componenti a bassa frequenza dalle vibrazioni prodotte dalle corde vocali. Ciò spiega perché si stenta a riconoscere la propria voce quando se ne ascolta una registrazione. Infatti, quando ascoltiamo la nostra voce mentre parliamo, le vibrazioni a bassa frequenza delle corde vocali, condotte al nostro orecchio per via ossea, ci fanno sembrare la nostra voce molto più potente e dinamica che non le onde puramente sonore ascoltate da un'altra persona o registrate da un magnetofono.
Di conseguenza, la registrazione della nostra voce ci può stupire e deludere apparendoci sottile.
Fra le meravigliose possibilità delle orecchie vi è anche quella non solo di selezionare un solo suono fra una congerie di rumori, ma anche di individuare da quale direzione un suono proviene. L'orecchio è perfino in grado di localizzare chi parla anche senza vederlo, in un ambiente a pareti nude, in cui le riflessioni della voce giungono da ogni parte. È come se, guardando in una sala rivestita completamente di specchi, si vedesse soltanto la vera figura di una persona senza le centinaia delle sue immagini riflesse. L'occhio, come si è detto, permette la visione tridimensionale o stereoscopica; l'orecchio, a sua volta, l'audizione tridimensionale, cioè stereofonica.
Ma l'occhio non è in grado di sopprimere le riflessioni, l'orecchio sì: può trascurare tutti i suoni a eccezione del primo che gli perviene perché possiede un meccanismo di inibizione le cui possibilità sono quasi incredibili.
Come si è visto fin qui, oltre ai 5 sensi cosiddetti «primari» (tatto, odorato, gusto, vista e udito), ne esistono altri: i sensi della pressione, del dolore, del caldo, del freddo, della posizione, del movimento e dell'equilibrio corporeo. E a questi vi è da aggiungere la cenestesi, cioè quel complesso di sensazioni indistinte, mal definibili, che nascono dal funzionamento dei vari organi del corpo le cui terminazioni nervose in certi casi segnalano chiaramente, per esempio, la fame localizzata nello stomaco e la sete nella gola; ed è sempre alla cenestesi che vanno attribuite sensazioni generali di benessere o di malessere. I sensi che informano il cervello sul mondo circostante e sullo stato dell'organismo sono dunque più di una decina.
Una sensazione del tutto particolare è quella del dolore. Esso può venire trasmesso da due diversi tipi di fibre nervose: il dolore «rapido» da fibre relativamente grosse (avvolte da una guaina di una sostanza detta mielina) del tipo chiamato A, che il cervello interpreta come dolore acuto, pungente; e il dolore «lento», trasmesso invece da fibre nervose sottilissime (senza o con scarsissima guaina mielinica) del tipo C, che provocano la sensazione del dolore bruciante.
Trapani Struttura dell'orecchio
Trapani Parte terminale del condotto uditivo
Trapani Modello tridimensionale dell'orecchio

IL SENSO DEL DOLORE

Chiunque abbia ricevuto un urto piuttosto forte conosce questi due tipi di dolore: prima viene la sensazione acuta e ben localizzata del dolore rapido poi segue un istante in cui pare che il male sia scomparso; infine si avverte una sensazione dolorosa sorda, spesso più forte della prima, che sembra irradiarsi dal punto colpito. Ciò accade perché gli impulsi raccolti in diverse fibre nervose in seguito a un unico stimolo doloroso non restano uniti mentre percorrono il nervo, anzi corrono a velocità differenti, perché le fibre che compongono il nervo sono di vario diametro.
Infatti le fibre più grosse (del tipo A) conducono l'impulso alla velocità di oltre 100 metri al secondo, pari a quella di un aereo da trasporto; mentre quelle più piccole (del tipo C) conducono impulsi a una velocità di poco superiore a un metro al secondo, pari a quella di un uomo che cammina. Così il segnale nervoso suscitato da un unico stimolo doloroso raggiunge il midollo spinale, e infine la zona sensitiva del cervello, come un fascio di impulsi separati nel tempo e nello spazio. Questo complesso meccanico nervoso (analogo, del resto, a quello di altre sensazioni) spiega perché è così importante distinguere lo stimolo doloroso dalla percezione dolorosa.
Ma esiste un vero e proprio senso del dolore? Sulla pelle è possibile localizzare con esattezza dei punti che, quando la stimolazione è abbastanza forte, danno sensazioni dolorose per la presenza di fibre nervose molto sottili. Inoltre sembra che il dolore abbia non solo i suoi recettori specifici, ma anche i suoi centri cerebrali speciali situati nel talamo, ossia nel cervello intermedio. Ma il dolore è una sensazione la cui origine non è esclusivamente cutanea. La cornea dell'occhio, ad esempio, è ricchissima di terminazioni dolorifiche, così che basta un piccolo corpo estraneo per suscitare, al contatto, una sensazione di dolore. D'altra parte molte sensazioni possono diventare dolorose quando l'intensità dello stimolo aumenta al di là di un certo limite in cui diventa nociva. Ad esempio, una luce abbagliante «fa male» agli occhi, un rumore molto forte «lacera» gli orecchi, un alimento troppo piccante «brucia» la lingua.
Il dolore propriamente detto è l'effetto di traumi, di lesioni, di stimolazioni nocive esterne e di forme anormali dell'attività organica. Ma la sua attribuzione a organi di senso strettamente specifici, e la presenza nel cervello di «centri del dolore» sono ancora oggetto di controversia tra gli studiosi.
Ognuno sa per esperienza che cosa sia il dolore eppure la sua definizione scientifica è molto incerta. Una delle ragioni per cui il dolore è tanto difficile da definire sta nel fatto che esso ha molti aspetti diversi.
Sono stati fatti vari tentativi per stabilire una scala obiettiva di misurazione del dolore, usando come stimolo la corrente elettrica, il calore o la compressione con punte metalliche. Questi esperimenti hanno dimostrato che le persone normali hanno di solito la stessa «soglia» per il dolore: ad esempio, l'individuo medio comincia ad avvertire dolore quando il calore applicato alla pelle raggiunge all'incirca le 220 g/cal (piccole calorie) al secondo e per centimetro quadrato. Ma benché gli individui abbiano una soglia di percezione dolorifica pressoché uniforme, molto variabile invece è la loro tolleranza al dolore, sia in rapporto alla zona stimolata, sia riguardo a fattori propriamente psichici.
Nella maggior parte dei casi, il dolore dipende non tanto dall'importanza del trauma, della lesione o dello stimolo nocivo, quanto dalla ricchezza di terminazioni sensibili nella regione colpita. Le ferite superficiali sono per lo più maggiormente dolorose di quelle profonde perché la pelle è assai più ricca che i tessuti profondi di terminazioni nervose. Le ferite da proiettile sono di solito indolori anche perché l'urto della pallottola contro il corpo è in grado di paralizzare temporaneamente la conduzione nervosa. Gli organi interni possono essere tagliati, cuciti o bruciati senza che si avverta il minimo dolore; ma se si ammalano possono provocare sintomi dolorosi che non sempre funzionano da «campanelli d'allarme», come nel caso di un cancro al fegato la cui sofferenza insorge troppo tardi per servire da utile avvertimento, e non cessa una volta che l'avvertimento sia stato dato.
Le poche definizioni che sono state date del dolore tendono a metterne in risalto la funzione protettiva che però, come si è detto, non si presenta in tutte le situazioni perché in molti casi gravi il dolore come sintomo può essere inadeguato o mancare del tutto. La difesa più semplice deriva dall'esperienza, che determina del riflessi protettivi. Ecco un esempio molto comune: un uomo è seduto vicino a una stufa calda e per caso la tocca con una mano; immediatamente il suo braccio fa allontanare la mano prima che egli avverta il minimo dolore, senza che egli abbia il tempo di pensare e quindi di voler fare quel movimento.
Il concetto di dolore come entità fisica, vale a dire misurabile in termini di intensità dello stimolo o della risposta ad esso, non può essere applicato in tutte le situazioni. Anzi, identificare il dolore con il suo segnale è altrettanto errato come identificare un atto diretto dell'intelligenza umana con uno riflesso.
Il dolore è una percezione nella quale essere «percepito» significa, più che per gli altri sensi, essere «sentito». Il dolore è soprattutto un prodotto della coscienza, il cui elemento essenziale è la consapevolezza. Ecco perché, pur se a livello elementare il dolore determina «riflessi protettivi», negli esseri umani esso assume un significato molto più importante che negli animali.
Infatti la percezione del dolore, più che di altri messaggi provenienti dai sensi, non è mai priva di un elemento emotivo; anzi, è proprio l'elemento emotivo quello che rende la sensazione dolorosa particolarmente difficile da valutare da parte sia di chi la soffre, sia di chi la osserva. L'interpretazione che l'individuo dà di un determinato stimolo doloroso è parte intrinseca della percezione e costituisce un fattore determinante del suo tono emotivo.
Molto spesso la percezione dolorosa viene modificata dall'interpretazione che a essa viene data, cioè l'intensità del dolore non è sempre proporzionale allo stimolo. Il bambino risente meno il dolore di un colpo subìto nel giocare che quello, meno forte, di una percossa ricevuta per correzione. Ognuno ricorda per sua esperienza un dolore ben sopportato o quasi inavvertito nella foga di una gara sportiva o nell'emozione di un grave incidente, ma ricorda ancor più un mal di denti perché ha sofferto maggiormente. Se un individuo ha la fobia del cancro, ogni dolore che prova gli sembra più grande perché lo attribuisce all'inizio di un tumore. Ogni dolore, dunque, non è privo di una sua «colorazione psichica» individuale.
Lo stesso si può dire del piacere, ossia della percezione che nasce durante la soddisfazione di un bisogno (come l'appetito alimentare o sessuale) e che coinvolge tutti i sensi. Piacere e dolore sono percepiti come contrapposizione, ma spesso è solo questione di grado. Ad esempio, la sensazione di calore piacevole che un individuo infreddolito prova avvicinandosi a una stufa accesa può trasformarsi in una sensazione dolorosa se egli si scotta una mano. Inversamente, una sensazione di dolore provocata durante il rapporto sessuale può mutarsi in una accentuazione del piacere. Una carezza suscita una sensazione piacevole, ma la stessa mossa fatta con più forza, e carica di un opposto significato, diventa uno schiaffo doloroso. Anche qui, infatti, sono in gioco fattori interpretativi cerebrali: vi sono gli schiaffi eccitanti e le carezze deprimenti; il solletico, che è un esempio di puro piacere fisico, assume questo valore quando lo si riceve (e con una certa disponibilità psichica), tanto è vero che non lo si prova affatto quando ci si fa solletico da se stessi.
Vi sono piaceri e dolori fisici o morali; ma la loro distinzione è talvolta quasi impossibile.
Piacere e dolore possono essere considerati, si è detto, anche come effetti combinati di varie sensazioni. E a loro volta, la maggior parte delle sensazioni sono inscindibili dal loro contenuto emotivo.
L'intera massa di informazioni che i sensi raccolgono dall'ambiente interno (cioè dall'organismo) ed esterno (ossia dal mondo circostante), viene filtrata dal cervello che elimina quelle superflue, registra quelle utili (o anche dannose) e ne trasforma una parte in percezioni. In definitiva, l'uomo reagisce coscientemente solo a una percentuale minima delle informazioni raccolte dai suoi sensi.
Inoltre occorre tenere conto della relatività dei sensi.
Anche se l'informazione è la più accurata possibile, (ossia il senso acuto e l'attenzione vigile), non ne consegue necessariamente che l'interpretazione dell'impressione sensoria sia sempre corretta e obiettiva. Gli psicologi hanno dato prove convincenti che le percezioni non sono una copia esatta della «realtà», ma impressioni basate sull'esperienza passata. Per esempio, chi assiste a uno spettacolo illusionistico viene ingannato perché le sue impressioni non sono basate sui fatti, ma su ciò che egli ha appreso in precedenza. L'«inganno dei sensi» non è una espressione retorica: le contrastanti descrizioni fornite da testimoni di uno stesso avvenimento sono una delle più comuni esemplificazioni della relatività delle percezioni visive.
I dieci e più sensi di cui l'uomo è dotato non sono sufficienti per dargli una conoscenza completa del mondo. Vi è tutta una gamma di sensazioni che l'uomo ignora per mancanza di recettori adatti, ma che altri viventi possiedono: per esempio, vi sono animali che odono gli ultrasuoni, che vedono la luce polarizzata e il colore ultravioletto.
L'uomo è dunque privo di queste rappresentazioni sensoriali del mondo; tuttavia ne ha la rappresentazione concettuale perché, grazie alla sua mente, ha scoperto l'esistenza degli ultrasuoni, della luce polarizzata, dell'ultravioletto, e costruito apparecchi per utilizzarli. Ha creato congegni che gli consentono non solo di superare gli inganni dei suoi sensi, ma anche di esplorare con sensi supplementari, che nessun animale possiede, la materia animata e inanimata, dal virus all'uomo, dall'atomo alla stella.

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