Guida Medica Dall'Embrione al Feto

 

 
    

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Medicina - Indice

Guida Medica Dall'Embrione al Feto

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MEDICINA - GUIDA MEDICA - DALL'EMBRIONE AL FETO

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COME INIZIA LA GRAVIDANZA

La vita di ogni essere umano inizia con la fecondazione ossia l'incontro, nell'apparato genitale della donna, precisamente in una delle due salpingi, di due cellule sessuali - lo spermatozoo maschile e l'ovulo femminile - che si uniscono e si fondono in un'unica cellula-uovo.

Per trasformarsi in un organismo umano, con tutti i suoi attributi, quell'unica cellula deve raddoppiarsi più volte fino a raggiungere una cifra di parecchi miliardi di cellule. Questo processo di raddoppiamento, e quindi di accrescimento, che segue una progressione geometrica, dovrà ripetersi 45 volte per fornire i 26 miliardi di cellule che costituiscono l'organismo di un neonato pienamente sviluppato.

La moltiplicazione comincia circa tre ore dopo la fecondazione, mentre l'uovo continua a scendere lentamente nella salpinge verso l'utero. La cellula iniziale si divide in 2 cellule del tutto identiche, ma che sono la metà della prima; le due ne producono 4; le quattro 8; le otto 16; le sedici 32, e così via. Attraverso questa ripetuta suddivisione cellulare, l'uovo umano, visto al microscopio, assume presto una forma sferoidale che, per la sua somiglianza con quella di una minuscola mora, prende il nome latino di moruIa. Dapprima le cellule figlie sono sempre più piccole e il volume totale dell'uovo rimane il medesimo. Esso comincia ad aumentare dopo il sesto raddoppiamento, ossia quando è formato da 6 cellule.

Mentre il processo di suddivisione cellulare è in pieno svolgimento, la morula continua a percorrere lentamente la salpinge finché - circa una settimana dopo la fecondazione - scende nell'utero, una cavità immensa per questo microscopico agglomerato di cellule il cui volume totale è inferiore a quello di una capocchia di spillo.

Per due o tre giorni, l'uovo vive libero nell'utero dove subisce importanti trasformazioni: le cellule che fino allora si erano suddivise più volte restando simili, continuano a moltiplicarsi, ma cominciano a differenziarsi e ad aumentare di volume; vale a dire che al periodo di segmentazione cellulare fa seguito quello di organizzazione (o di organogenesi) che dura sette settimane, nel corso delle quali si formeranno le cellule specializzate che costituiranno la pelle, i muscoli, il sangue, i nervi, ecc., e quindi tutti gli organi del nascituro.

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Questo periodo inizia allorché una parte delle cellule che costituivano la morula si raggruppa, mentre altre si dispongono in modo da formare una cavità piena di liquido chiaro, per cui l'uovo assume l'aspetto di una microscopica vescichetta e prende nome di blastula. Sette, otto giorni dopo la fecondazione, sulla blastula si comincia a delineare un minuscolo ispessimento che si chiama «area embrionaria», una parte della quale darà origine all'embrione, nome che il nascituro porterà per i primi due mesi. Il futuro essere umano ha dunque origine da una piccolissima porzione dell'uovo fecondato, precisamente da nove centesimi della morula che, al suo arrivo nell'utero, ha il diametro di un millimetro.

Tutto intorno all'area embrionaria si delinea poi un solco che diventa sempre più profondo e, mentre il futuro embrione s'infossa verso il centro della vescichetta, i margini esterni di questo solco si sollevano restringendosi in alto finché, arrivati a contatto fra loro, si fondono. Si formano così due vescichette: l'una, che formava la cavità della blastula e che ora si chiama «vescicola ombelicale»; l'altra, che è quella nuova formatasi intorno all'abbozzo di embrione, e che ha il nome di «sacco amniotico».

Le fasi della fecondazione umana

A questo stadio del suo sviluppo, l'uovo umano, che per oltre una settimana è vissuto in libertà, consumando le sostanze nutritive che aveva con sé (e che erano state accumulate dall'ovulo prima della fecondazione) sta per esaurire le proprie riserve alimentari. Infatti, mentre le uova degli uccelli, dei rettili, degli anfibi, dei pesci, degli insetti, animali che sono detti ovipari (ossia che partoriscono uova) vengono deposte, di regola, fuori dall'organismo materno perché contengono una scorta di sostanze sufficiente alla formazione di un essere vivente completo, le uova dei mammiferi - e quindi anche quello umano - hanno un'autonomia di pochi giorni e periscono se non vengono nutrite e protette fino alla nascita nell'interno dell'organismo materno.

Questa nutrizione e questa protezione avvengono nell'utero. Ciò spiega anche perché le uova degli animali ovipari - dal piccolo uovo di farfalla al grosso uovo di gallina fino al gigantesco uovo di struzzo - contenendo già tutte le sostanze occorrenti al completo sviluppo del nascituro, sono colossali rispetto al microscopico uovo di mammifero che di tali sostanze ha una scorta sufficiente per circa una settimana.

Allo stato normale, l'utero della donna ha una forma che assomiglia grossolanamente a quella di una pera di media grandezza, ma appiattita, con la sua parte larga (il «corpo» dell'utero) posta in alto, e quella più stretta (il collo dell'utero) rivolta in basso. Grazie al suo fitto intreccio di fibre muscolari, che gli conferiscono una elasticità eccezionale, l'utero ha la proprietà di aumentare enormemente il volume durante la gravidanza e di sviluppare, al momento del parto, una forza notevole.

 

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Prima della gravidanza, l'utero pesa fra i 60 e gli 80 grammi, è lungo circa 7 centimetri e largo 4, con una cavità capace di contenere una noce. Al termine della gravidanza, pesa 1.200 grammi, è lungo circa 30 centimetri, largo circa 24 ed è grande quanto una zucca.
Ora l'uovo, dopo aver trascorso due o tre giorni nell'utero ed essere giunto allo stadio di gastrula, sta per esaurire le sue scorte alimentari. Per sopravvivere e continuare a svilupparsi, non ha che una possibilità: mettere radici, cioè attaccarsi all'endometrio (la parete della mucosa uterina), che già da alcuni giorni si è preparato ad accoglierlo.

Infatti, dopo ogni ovulazione, nell'alveo del follicolo di Graaf da cui l'uovo maturo è stato espulso, le cellule ingialliscono e si trasformano nel cosiddetto corpo luteo che secerne il progesterone, il secondo ormone sessuale femminile il quale ha la proprietà specifica di favorire e proteggere, fin dall'inizio, una eventuale gravidanza. Sotto la sua azione, la parete interna dell'utero si modifica (ispessimento, aumento della circolazione sanguigna e delle secrezioni ghiandolari, ecc.), cioè comincia a prepararsi per accogliere e nutrire l'ovulo eventualmente fecondato. (Tale modificazione uterina si verifica normalmente, nel corso di ogni ciclo mensile, in seguito all'ovulazione. Se la fecondazione non avviene, l'ovulo giunge egualmente nell'utero, ma ormai privo di vitalità; nell'ovaia, il corpo luteo regredisce, il progesterone diminuisce; nell'utero, il nuovo rivestimento interno, diventato inutile, finisce con lo sfaldarsi e si rinnova: da ciò trae origine quell'emorragia fisiologica che avviene ogni 28 giorni circa, detta mestruazione, o anche «flusso mestruale» o «regola»).

Dopo la fecondazione, la mucosa dell'utero subisce ulteriori cambiamenti: la sua circolazione sanguigna diventa più intensa, nel suo strato profondo le ghiandole, notevolmente ingrossate, accrescono la loro attività, nel suo strato superficiale compaiono cellule nuove che ne aumentano lo spessore. Così trasformata, la mucosa uterina prende il nome di decidua e sarà eliminata solo nove mesi dopo, al termine del parto.

Frattanto il corpo luteo si sviluppa rapidamente, invece di regredire come accade ogni mese quando la fecondazione non avviene. Producendo una quantità considerevole di progesterone, esso è il grande protettore dell'uovo nei suoi primi giorni di vita.

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Infatti questo ormone non solo induce nella mucosa uterina quelle modificazioni che la rendono adatta per ospitare l'uovo destinato a diventare embrione; ma è ancora il progesterone che impedisce all'utero di contrarsi nel periodo corrispondente alla mestruazione, il che provocherebbe l'espulsione dell'uovo appena annidato; ed è lo stesso ormone che contribuisce in parte alla nutrizione dell'uovo durante il suo viaggio dalla salpinge all'utero.

Ed è infine il progesterone che blocca lo sviluppo del successivo ovulo in via di maturazione in uno dei follicoli ovarici: ecco perché, durante i dieci cicli mensili corrispondenti al periodo della gravidanza, non vi sarà più ovulazione. Anzi, anche dopo il parto e nei primi tempi dell'allattamento, la donna continuerà a non maturare più ovuli.

Il corpo luteo si manterrà in attività rigogliosa per tre o quattro mesi dopo la fecondazione, ossia fino a quando verrà sostituito dalla funzione della placenta, di cui si parlerà più avanti.

Come fa l'uovo ad «annidarsi», vale a dire ad attaccarsi alla parete dell'utero preparata per accoglierlo? L'annidamento avviene per un fenomeno attivo dell'uovo stesso, il quale scava da sé una microscopica nicchia nello spessore della mucosa uterina, per effetto dell'attività di una particolare sostanza chimica, del tipo dei fermenti, dotata di azione digestiva e dissolvente, prodotta dalle cellule del rivestimento esterno dell'uovo, il trofoblasto.

Questo speciale fermento ha il compito di corrodere la mucosa dell'utero fino a farvi penetrare completamente l'uovo, il quale viene a trovare così le sostanze nutritive necessarie per il suo sviluppo ulteriore. Un minuscolo tappo fibrinoso, che poi si trasforma in cicatrice, chiude il punto in cui l'uovo è penetrato, per cui esso si trova a essere custodito in una piccola cavità chiamata «camera incubatrice».
E così, circa nove giorni dopo l'inizio della sua esistenza, il nascituro diventa, per così dire, un parassita dell'organismo materno, il quale oppone anche una certa difesa, allo scopo di impedire una sua eccessiva penetrazione in profondità nella mucosa dell'utero: sia costituendo una specie di barriera locale mediante la trasformazione della mucosa in decidua, sia producendo una sostanza chimica, un antifermento, in grado di neutralizzare un'eccessiva azione corrosiva da parte del trofoblasto.

 

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LE SETTIMANE DECISIVE

L'aggressione dell'uovo alla mucosa uterina continua infatti anche dopo che esso vi è penetrato: sulla sua superficie esterna si vanno formando tante appendici che ramificandosi formano i villi coriali e che, proseguendo l'azione corrosiva del trofoblasto, attaccano anche i vasi sanguigni dell'utero, così che il sangue materno dilaga nella camera incubatrice dove l'uovo è contenuto.
I villi coriali continuano a svilupparsi diramandosi nella circostante mucosa uterina, come radici in un buon terreno. L'uovo è ora fissato come un innesto all'utero materno, dove si svilupperà durante nove mesi. La gravidanza ha origine dalla fecondazione, ma il suo vero inizio è il giorno in cui l'uovo si annida nell'utero, cioè quando l'organismo materno comincia a proteggere e a nutrire direttamente il nascituro.

Allo stato di gastrula, l'uovo vive per qualche tempo a spese del materiale nutritivo contenuto nel liquido della vescicola ombelicale, finché questa rimpicciolisce sempre più mentre cresce l'altra vescicola, quella nuova, formatasi intorno all'embrione, cioè il sacco amniotico anch'esso pieno di liquido che però non dà nutrimento.

Intanto, dall'embrione che si trova nell'interno dell'uovo, spunta un microscopico bottone provvisto di una ricca rete di vasi sanguigni. Questo bottone si chiama allantoide ed è una formazione importantissima perché, allungandosi rapidamente, raggiunge presto con la sua estremità la parete dell'uovo dove contrae intimi rapporti non solo con la superficie interna dell'uovo stesso, ma anche con la sua superficie esterna, dove nel frattempo sono cresciuti i villi coriali.

Attraverso questi intimi rapporti che l'allantoide stabilisce con i villi, inizia lo scambio nutritivo fra l'embrione (che nel frattempo ha esaurito le riserve della vescicola ombelicale, ridotta a minime proporzioni) e la parete dell'utero nella quale i villi coriali hanno preso radice.

Contemporaneamente il liquido amniotico che bagna il dorso dell'embrione aumenta sempre più dilatando il sacco il quale finisce presto col rivestire tutta la superficie interna dell'uovo, riducendo lo spessore dell'allantoide e del residuo della vescicola ombelicale a un sottile cordone che sarà il futuro cordone ombelicale del nascituro.

Ora è il quindicesimo-ventesimo giorno dopo la fecondazione. L'uovo umano, sempre annidato nella parete dell'utero, ha le dimensioni di una vescichetta di 2 o 3 centimetri di diametro, ripiena di liquido amniotico nel quale è sospeso l'embrione.

La parete della vescichetta è costituita da due membrane: una interna chiamata amnios, e una esterna detta corion il quale è ricoperto interamente dai villi.

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Finora si è visto come l'uovo fecondato ha cominciato a moltiplicarsi, raggiungendo successivamente gli stadi di morula, blastula e gastrula per annidarsi infine nell'utero materno. Si è anche visto come, dopo aver esaurito le sue scorte alimentari, esso si nutre per mezzo dei villi coriali che, simili a radici, traggono le sostanze nutritive dalla mucosa uterina per inviarle all'embrione. Adesso occorre descrivere come questo si sviluppa nell'interno dell'uovo.

Il suo primo abbozzo si comincia a delineare verso il settimo giorno dopo la fecondazione, quando l'uovo è giunto allo stadio di blastula. Questo primo abbozzo, chiamato (come si è già detto) «area embrionaria» è di forma pressoché circolare e ha un diametro di 2 millesimi di millimetro. È al centro delle grosse cellule che si sono raggruppate all'inizio del periodo di organizzazione dell'uovo.

Le cellule dell'area embrionaria si ripartiscono in tre strati o «foglietti germinativi», dai quali deriveranno tutti gli organi dell'adulto: il foglietto superiore (detto ectoderma) dal quale avranno origine la pelle, i peli, le unghie, il sistema nervoso; il foglietto intermedio (chiamato mesoderma) che fornirà i muscoli, lo scheletro e i vasi sanguigni; il foglietto inferiore (o endoderma) che produrrà i polmoni, il tubo digestivo e le ghiandole con esso collegate.

Verso il diciottesimo giorno dopo la fecondazione l'area embrionaria cambia forma: prima quasi circolare, ora si allunga e diventa ovale fino ad assumere l'aspetto grossolano di una suola di scarpa che poi si incava nel mezzo formando come una scanalatura da cui deriverà tutto il sistema nervoso. A ciascun lato della scanalatura appaiono, una dopo l'altra, delle sporgenze cubiche che in poche settimane saranno 41 e da cui avranno origine le vertebre, le costole e i muscoli del tronco. Frattanto nell'interno dell'embrione si forma un primo rudimento di intestino.

Al ventunesimo giorno circa, l'uovo ha ancora il diametro di 2 o 3 centimetri e dentro di esso l'embrione già può essere visto a occhio nudo perché è lungo alcuni millimetri. Il futuro essere umano comincia a prendere corpo. I bordi della scanalatura si avvicinano e diventano come un tubo, nel quale si forma il midollo spinale che ha lo spessore di un filo. A una delle estremità dell'embrione si delinea un rigonfiamento: è la futura testa, dove già cresce un rudimentale cervello.

Nella quarta settimana di vita, è la volta del cuore.

Non ha alcuna somiglianza con l'organo complesso che esso diventerà pochi mesi dopo. Ora è soltanto un tubo formato dalla fusione di due vasi sanguigni, ma che già batte, e non cesserà di battere fino alla morte. Si forma un abbozzo di circolazione e l'embrione comincia a produrre il proprio sangue.

 

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Ventotto giorni sono passati dall'istante in cui la fusione della cellula paterna con quella materna ha acceso la scintilla di una nuova vita umana. Adesso l'embrione è lungo circa un centimetro e pesa poco più di un grammo. E una piccola massa di cellule a forma di ellisse, il cui aspetto non ha nulla che faccia pensare a un essere umano, nemmeno in miniatura. Assomiglia piuttosto a un girino di rana: un corpo senza viso e senza membra, dove il cuore batte instancabile.

Ora all'embrione restano solo quattro settimane per formare l'abbozzo di tutti gli organi che gli mancano. Le membra, prima le braccia poi le gambe, cominciano a fare la loro apparizione. Ma sono soltanto minuscole appendici. Poi anche il viso si delinea: due piccole sporgenze cave per gli occhi, due fossette a forma di virgola per le orecchie, un foro unico per la bocca e il naso. Frattanto il sistema nervoso si sviluppa: il tubo che contiene il midollo spinale si chiude completamente. La pelle della testa è così trasparente, che si scorge il cervello e le sue circonvoluzioni appena delineate.

Nella sesta settimana, il viso si precisa: si formano le narici, il padiglione delle orecchie, il mento, il collo. Sul ventre appare il fegato che, con il cuore, formerà un'unica protuberanza. Sul dorso le sporgenze cubiche, diventate 41, sono al completo per formare le vertebre, le costole e i muscoli del tronco.

Le membra si allungano, si allargano e nella settima settimana cominciano a sbocciare le mani e i piedi. All'interno dell'organismo, l'apparato digestivo si completa con la formazione dello stomaco.

Alla fine della settima settimana, comincia l'ossificazione dello scheletro, che sarà completa all'età di 20 anni circa.

Al termine dell'ottava settimana l'embrione è lungo circa 4 centimetri e pesa 10 grammi. Eppure in questo minuscolo organismo, del quale la madre non avverte ancora l'esistenza, l'abbozzo di tutti gli organi è terminato. Sono occorsi 2 mesi, e ce ne vorranno altri 7, perché quell'abbozzo si trasformi in opera finita. Prima di iniziare il terzo mese, il nascituro perde il nome di embrione e acquista, fino alla nascita, quello di feto.

Al principio del terzo mese, il sesso del nascituro (determinato, come si è detto, al momento della fecondazione) non è visibile esteriormente, perché i genitali, già nettamente abbozzati e differenziati, sono ancora del tutto racchiusi nell'addome. Sempre nel terzo mese, il viso acquista caratteristiche più umane, le braccia si allungano più che le gambe, le dita si completano con le unghie, appaiono i primi peli, cominciano a formarsi le corde vocali e i reni, il fegato e gli intestini si sviluppano in modo considerevole, lo scheletro cresce.

 

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Alla fine del terzo mese il feto è lungo circa 9 centimetri, pesa 40 grammi e incomincia a muoversi, ma così debolmente che la madre non se ne accorge. Nelle ultime 4 settimane lo sviluppo è stato rapido: le sue dimensioni sono più che raddoppiate e il peso è quadruplicato. Nel corso dei 6 mesi seguenti, pur sviluppandosi considerevolmente, il feto muterà di poco il suo aspetto esteriore. Le maggiori modificazioni riguarderanno lo scheletro. Ma il terzo mese è importante anche sotto un altro aspetto: perché in questo periodo si perfeziona il meraviglioso rapporto fra la madre e il nascituro.

Si è detto che l'uovo umano, annidandosi nell'utero emette dal suo rivestimento esterno, il corion, dei sottili filamenti radicolari detti villi coriali, che penetrano come radici nella mucosa uterina. Immersi nel sangue materno, questi villi vi traggono gli alimenti di cui l'uovo ha bisogno per svilupparsi.

Ma dopo 9 o 10 settimane, questo sistema relativamente elementare di approvvigionamento diventa insufficiente per soddisfare tutte le esigenze dell'embrione in pieno sviluppo. Ed è proprio al terzo mese che l'organismo materno e l'uovo stringono più intimi e più complessi rapporti vitali con la formazione di un organo che ha del prodigioso: la placenta.

I villi coriali, dalla terza settimana in poi, cominciano a scomparire da una parte del corion. Ma da un'altra si sviluppano in modo rigoglioso, ramificandosi e penetrando sempre più profondamente nell'utero. È in questa zona che si forma la placenta, costituita da una parte dalle villosità dell'uovo (placenta fetale) e dall'altra dalla mucosa uterina (placenta materna). La placenta è dunque di origine sia fetale che materna.

I rapporti che queste due parti contraggono fra loro sono molto interessanti. Dalla superficie della placenta materna partono dei piccoli tramezzi, chiamati sepimenti, che si dirigono verso la placenta fetale e si insinuano fra i ciuffi dei villi, costituendo tante concamerazioni, ognuna delle quali si chiama cotiledone. Dalle pareti dei cotiledoni partono altre propaggini più brevi che suddividono i cotiledoni stessi in blocchetti sempre più piccoli detti lobuli i quali, a loro volta, circoscrivono degli spazi pieni di sangue materno chiamati lacune.

In queste lacune si insinua un numero enorme di minuscoli villi coriali, i quali per la maggior parte vi pescano liberamente. Alcuni di essi raggiungono i sepimenti e si attaccano ad essi prendendo il nome di villi barbicanti, con il compito di ancorare, per così dire, l'uovo all'organismo materno.

Vista nel suo insieme, ossia nelle sue due parli, fetale e materna, la placenta ha l'aspetto di una focaccia. (Placenta in latino vuol dire proprio focaccia). Quando è sviluppata completamente - vale a dire al termine della gravidanza - essa ha un diametro di 15-18 centimetri, uno spessore massimo di 15-30 centimetri e pesa 500-600 grammi. La funzione della placenta è molto complessa e di natura molteplice: attraverso la placenta avvengono tutti gli scambi nutritivi necessari alla vita e allo sviluppo del feto; essa è una barriera che di regola non consente il passaggio di agenti infettivi e di sostanze tossiche dalla madre al nascituro; inoltre esplica una funzione modificatrice verso l'organismo materno, creandovi un sufficiente adattamento alla speciale condizione in cui esso viene a trovarsi durante la gravidanza.

Il tessuto che nella placenta si assume tutte queste attività è il rivestimento del villo, formato in maniera molto semplice: da una specie di vernice chiamata sincizio e, al di sotto di essa, da uno strato di cellule specializzate. Ma verso il termine della gravidanza queste cellule tendono a scomparire e il villo, che pesca liberamente nel sangue materno delle lacune, finisce così con l'essere rivestito solo dello strato di sincizio.

Gli scambi nutritivi tra la madre e il nascituro avvengono attraverso il sottile strato di rivestimento del sincizio, che però è molto esteso, dato l'enorme numero di villi esistenti nella placenta. Attraverso questo strato, il feto assume i materiali nutritivi e l'ossigeno; e sempre attraverso questo strato, il feto versa nel sangue materno i prodotti di rifiuto del suo ricambio organico.

 

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Una volta si credeva che il passaggio di tutte queste sostanze avvenisse per una semplice filtrazione. Oggi invece si ritiene che il sincizio abbia un'attività biochimica molto elevata e sia esso a «scegliere» nel sangue materno le sostanze necessarie per la nutrizione del feto.
Inoltre ciò non avviene mediante un passaggio puro e semplice di sostanze da una parte all'altra del rivestimento costituito dal sincizio. Le sostanze che esso assorbe nel sangue materno subiscono infatti delle modificazioni chimiche le quali in un certo senso sono simili a quelle che, dalla nascita in poi, si verificano per opera dei villi intestinali quando assorbono gli alimenti digeriti.

Per questo fatto, sia le sostanze proteiche, sia i grassi, sia gli idrati di carbonio, che nel complesso rappresentano le sostanze fondamentali della nutrizione, vengono trasformati in composti chimicamente più semplici, quindi assorbiti e, prima di essere versati nel sangue del nascituro, nuovamente ricostruiti in sostanze proteiche, grassi e idrati di carbonio.

Contemporaneamente, tutte le sostanze di rifiuto prodotte dalle attività vitali del feto vengono riversate nel sangue materno che provvede poi a eliminarle all'esterno attraverso i reni della madre.

Ma la meravigliosa attività del sincizio non termina qui. Come tutti gli organismi viventi, il nascituro ha bisogno di ossigeno. La fisiologia insegna che l'ossigeno è legato ai globuli rossi del sangue, grazie alla proprietà posseduta da un componente di essi, l'emoglobina, di assorbirlo dall'aria che la respirazione porta ai polmoni. Il nascituro, che non ha respirazione polmonare, deve quindi prendere l'ossigeno dai globuli rossi della madre.

Il sincizio si assume anche questo compito: assorbe l'ossigeno dai globuli rossi del sangue materno e cede loro l'anidride carbonica, cioè il gas di rifiuto del feto. Ecco perché, se la circolazione sanguigna nella placenta è difettosa, il nascituro va incontro ad asfissia per insufficienza di ossigeno.

Infine il nascituro ha bisogno, fra gli altri, di un minerale importante per il suo accrescimento e per la formazione dei suoi globuli rossi: il ferro. Ma questo è contenuto solo nei globuli rossi della madre. Quindi, per rifornire di ferro l'organismo in formazione, il sincizio produce una speciale sostanza che è in grado di sciogliere i globuli rossi materni. In tal modo il ferro, restando libero nelle lacune della placenta, passa nel sangue fetale insieme con gli altri minerali occorrenti.

Oltre che la funzione nutritiva ora descritta, la placenta esplica anche un'azione protettiva in due direzioni: protegge il nascituro dalla madre e protegge la madre dal nascituro.

La protezione del nascituro consiste nel fatto che la placenta impedisce il passaggio di sostanze nocive dalla madre al feto: forma una barriera ai virus, ai microbi e alle sostanze tossiche del sangue materno. Fanno eccezione gli agenti della rosolia, della sifilide e certi batteri come i colibacilli. Ecco perché certe malattie sono particolarmente pericolose durante la gravidanza e richiedono quindi sollecite cure. Fra le sostanze tossiche sono pericolosi alcuni farmaci, ad esempio, i narcotici e gli anestetici: infatti, se durante un parto operativo la paziente è stata anestetizzata, il bambino nasce addormentato come la madre. Anche la nicotina riesce a superare la barriera placentare, quindi è prudente che la madre non fumi.

La placenta, che arresta le principali tossine, lascia invece passare gli anticorpi, cioè le sostanze prodotte dal sangue materno per combattere microbi e virus apportatori di malattie. Grazie a questo contributo materno, il bambino nasce con un sangue contenente una carica di anticorpi che basta per proteggerlo, nei primissimi mesi, dalle più comuni infezioni. Le medicine ingerite dalla madre non passano al nascituro, eccetto alcune come l'arsenico, il bismuto, il mercurio e gli antibiotici.

La protezione della madre ad opera della placenta è egualmente importante perché (come si è detto) l'embrione, che poi diventa feto, si comporta come un parassita. Che sia un parassita è vero in parte, se si considera che l'organismo materno non reagisce per distruggerlo, anzi cerca di aiutarne lo sviluppo, pur approntandosi un sistema di difesa che però ha solo lo scopo di contenere entro i limiti normali l'aggressività del nuovo essere.

Tempi di formazione degli organi del nascituro

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IL SANGUE NON SI MESCOLA

L'azione parassitaria pericolosa, contro la quale la madre è costretta a difendersi, è dovuta essenzialmente all'azione dei villi coriali. Teniamo presente che il rivestimento esterno dei villi, il sincizio, corrode la mucosa dell'utero per annidarvi l'uovo; inoltre distrugge i globuli rossi del sangue materno per provvedere al bisogno di ferro del nascituro; infine, nel suo continuo crescere e rinnovarsi, facilmente abbandona frammenti delle sue propaggini nelle lacune piene di sangue materno dove è immerso. E questi minuscoli frammenti, che hanno potere tossico, sono portati in circolo dalla corrente sanguigna della madre. Contro questo triplice ordine di azioni nocive la madre si difende mediante la produzione di particolari sostanze.

La funzione regolatrice della placenta verso l'organismo materno si esplica, a sua volta, determinando in esso un particolare atteggiamento funzionale dei vari organi, per cui la donna è resa più atta a sopportare la gravidanza e a favorirne il regolare decorso.
Questa azione così speciale viene compiuta mediante la secrezione di sostanze ormonali, per cui sotto questo riguardo la placenta può essere anche considerata come una ghiandola a secrezione interna. Fra tali sostanze vi è anche il progesterone, l'ormone protettore della gravidanza che (come si è detto in precedenza) viene prodotto dapprima dal corpo luteo dell'ovaia. Quando, verso il quarto mese, il corpo luteo è esaurito, la placenta ne assume le funzioni producendo a sua volta il progesterone. Gli ormoni della placenta sembra siano elaborati dal sincizio.

L'organo di collegamento fra la placenta e il nascituro è il cordone ombelicale, lungo in media 50 centimetri, che parte dall'ombelico del feto e si inserisce generalmente al centro della placenta. Come la placenta, esso si forma interamente nel corso del terzo mese.
È dunque il cordone ombelicale che porta al feto il nutrimento e l'ossigeno (prelevati dalla placenta nel sangue materno) e che riversa le sostanze di rifiuto del feto nella placenta, la quale le incanala nella circolazione sanguigna della madre. Questo scambio si compie attraverso due arterie e una vena (tenute insieme da uno speciale tessuto mucoso e avvolte da una membrana, e il tutto forma appunto il cordone ombelicale) collegate da una parte ai vasi sanguigni del nascituro e dall'altra ai vasi sanguigni della placenta.

Risulta evidente che il cordone ombelicale non è, come si ritiene comunemente, un tubo che arriva direttamente al corpo della madre. Il sangue del nascituro e il sangue della madre si incontrano ma non si mescolano. Il sangue del nascituro si dirama nella placenta dentro miriadi di villi, che pescano nel sangue della madre. Ma fra i due sangui si interpone il filtro selettivo del sincizio.

Molte madri credono che il loro sangue passi direttamente al proprio figlio attraverso la placenta e il cordone ombelicale. Invece il sangue materno non si mescola mai con quello del nascituro: madre e figlio non hanno neppure una goccia di sangue in comune. Altrimenti i due sangui sarebbero simili, quando in realtà sono differenti e spesso hanno gruppi sanguigni diversi. Tanto è vero che, proprio a causa della composizione diversa del sangue materno e di quello fetale, possono verificarsi gravi inconvenienti provocati dal fattore Rh, ossia da una incompatibilità tra un sangue materno privo di Rh e un sangue fetale in cui tale fattore è presente perché ereditato dal padre.

In nessun momento e in nessun punto esiste dunque un collegamento diretto fra madre e figlio. Dalla primissima fase della sua vita fino a] giorno della sua nascita, il figlio è un individuo separato e distinto, che con la madre ha solo un collegamento indiretto attraverso la placenta.

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