INTRODUZIONE
L'esplorazione
dello spazio ha sempre affascinato gli uomini, che anche con la fantasia hanno
spesso cercato di immaginare viaggi extraterrestri e avventure galattiche.
L'osservazione strumentale praticata già nei secoli scorsi ha permesso di
rispondere a molte domande, di costruire nuove e più esaurienti teorie;
il fascino del viaggio umano verso ed oltre i pianeti è rimasto tuttavia
intatto finché non è stato possibile disporre di mezzi capaci di
muoversi nello spazio, come il razzo e le astronavi. Lo sbarco dell'uomo sulla
Luna è sembrato l'inizio di una rapida corsa alla conquista dei pianeti
del Sistema Solare, poi però i programmi dei lanci spaziali hanno subito
un rallentamento, sono in parte cambiati gli obiettivi delle esplorazioni
spaziali e i pianeti del Sistema Solare, anziché da uomini come si poteva
prevedere negli anni Settanta, sono stati visitati da sonde
spaziali.
Il progetto della costruzione di una stazione spaziale internazionale
LA PROPULSIONE A RAZZO
Di là dalle svariate e spesso assai
fantasiose ed inattuabili soluzioni proposte nel tempo per trovare un mezzo
idoneo a vincere la forza di attrazione terrestre e a procedere nello spazio
celeste, l'unico sistema che ha trovato una pratica attuazione con risultati
indubbiamente positivi è quello che ha per strumento base il razzo. Il
razzo è fondato sul principio della reazione, cioè su quella legge
fisica per la quale «ogni forza genera una forza di reazione di uguale
intensità e di direzione opposta» cosicché se un corpo
proietta una parte della sua massa in una certa direzione, esso stesso viene
proiettato, per reazione, in direzione opposta e con una velocità
correlativa a quella della massa proiettata.
Tuttavia, prima di giungere
allo sfruttamento di questo principio e quindi alla costruzione di tipi di razzo
funzionali allo scopo, si dovettero compiere numerosi tentativi. Nel periodo
compreso fra le due guerre mondiali, rispettivamente nel 1919 e nel 1923,
apparvero due saggi di fondamentale importanza sull'argomento, ad opera di
Robert Hutchings Goddard, Metodo per raggiungere le massime altitudini ed
Hermann Oberth Il razzo nello spazio planetario, che si possono a buon diritto
annoverare tra i fondatori della moderna scienza dei razzi. Fu quella, infatti,
l'epoca nella quale il problema dell'astronautica assurse in primo piano. In
questo clima veniva fondata nel 1927 a Breslavia, da parte di pochi
simpatizzanti, la Società per la navigazione interplanetaria, dalla quale
successivamente scaturì, nel 1938, il nucleo di tecnici che creò
la famosa base di Peenemünde, centro di ricerche e di costruzioni con
finalità militari promosso dal regime hitleriano, dotato di grandiosi
impianti segreti, che dopo la guerra passarono in mano ai
Sovietici.
Modello tridimensionale dell’aviorazzo tedesco Bachem Natter BA 349 B del 1944. Veniva lanciato da una rampa verticale, con le estremità alari inserite in due rotaie e la fusoliera poggiante su una terza rotaia
Modello tridimensionale del razzo spaziale Saturn V
V1 E V2
Dalle ricerche e dagli esperimenti promossi
da questo centro derivarono i tristemente famosi V1 e V2, usati dall'esercito
tedesco nel corso della seconda guerra mondiale. Il realizzatore effettivo di
questi ordigni fu il professor Becker, generale di artiglieria, che ebbe al suo
servizio un nucleo di ingegneri militari specializzati per lo studio dei
propellenti per razzo, fra i quali Werner von Braun che divenne poi coordinatore
dei programmi spaziali americani.
Il missile V1 venne lanciato contro
Londra nel giugno del 1944 ma poco dopo fu sostituito dal V2 perché era
poco preciso e piuttosto lento tanto che non era difficile l'intercettazione da
parte della caccia avversaria. Il V2 venne usato dai tedeschi per la prima volta
nel settembre del 1946 e rappresentò un terribile strumento di morte:
pesava 13 t, era lungo 18,5 m, largo nella massima sezione 1,65 m e poteva
trasportare una carica esplosiva di 1 t. L'attuazione del V2 rappresentò
un passo decisivo verso la pratica realizzazione dei missili teleguidati, con
risultati che si dimostrarono poi, nel dopoguerra, di eccezionale utilità
per le indagini scientifiche ad alta quota. Il V2 costituisce il massimo
risultato ottenuto in seguito alle iniziative promosse da questo centro di
ricerche. Non fu soltanto un congegno di guerra, ma il prototipo del veicolo
spaziale (sarà sufficiente ricordare, a questo proposito che gli
«Jupiter», i «Titan», gli «Atlas», e i
«Saturno», cioè alcuni dei principali tipi di razzi usati dagli
Americani per le loro imprese spaziali, sono tutti raccostabili allo schema base
del V2).
IL FUNZIONAMENTO DEL V2
Il V2 è considerato il prototipo dei
moderni razzi; la sua importanza nella storia missilistica è tale che
sembra opportuno ricordarne brevemente le principali caratteristiche. Il corpo
principale del razzo, o «cellula», aveva lo stesso aspetto della
fusoliera di un aeroplano. Nella parte anteriore si trova la camera dei comandi,
a forma tronco-conica, della lunghezza di 1,4 m e divisa interiormente in
quattro sezioni. Il missile disponeva, inoltre, di due sorgenti di energia
elettrica ad accumulatori, destinate ad alimentare la radio e i giroscopi. Dei
due serbatoi quello anteriore conteneva alcool etilico, quello posteriore
ossigeno liquido. I due serbatoi erano di alluminio: attraverso il serbatoio
posteriore passavano delle tubature che portavano l'alcool del serbatoio
anteriore alle pompe, poste più indietro; uno strato di lana di vetro
faceva da isolante per il serbatoio dell'ossigeno liquido.
Per il lancio i
V2 venivano disposti su un graticcio, che veniva drizzato verticalmente per
mezzo di un verricello idraulico. Al missile veniva poi accostato un leggero
palco metallico di circa venti metri d'altezza, munito di piattaforme mobili per
agevolare le manovre da parte del personale incaricato. Il riempimento dei
serbatoi veniva fatto immediatamente prima del lancio. Nell'imminenza del lancio
si introduceva nella camera di combustione la torcia di accensione. Al momento
stabilito veniva trasmesso elettricamente, da una casamatta alquanto distante,
il comando di accensione. Dopo qualche secondo, utilizzato per le ultime
verifiche, entravano in funzione i liquidi ausiliari e prendeva a funzionare la
turbina che azionava le pompe, la quale raggiungeva la sua velocità di
regime dopo tre secondi. Cresceva così la velocità d'afflusso
dell'alcool e dell'ossigeno, aumentava la spinta e si produceva il distacco nel
giro di 10 secondi circa.
Spaccato di un missile V2
IL MISSILE
Il missile è un mezzo lanciato per
colpire un obiettivo a distanza oppure per portare in volo o mettere in orbita
una bomba o un carico di strumenti. La caratteristica del missile è
quella di essere autopropulso, cioè di essere dotato di un motore proprio
che lo mette in grado di raggiungere elevatissime velocità, di avere una
gettata di migliaia di chilometri o addirittura di orbitare intorno alla Terra.
Per ottenere queste velocità con un missile ad un solo stadio,
bisognerebbe che praticamente l'intera massa iniziale del missile fosse
costituita da propellente. Frazionando il missile in vari stadi destinati ad
entrare in azione successivamente si ottiene che la massa che di volta in volta
deve essere accelerata sia man mano minore e che quindi l'ultimo stadio possa
raggiungere la velocità prefissata di fine combustione. Le tappe dello
sviluppo del missile sono segnate dall'introduzione di propulsori sempre
più potenti ed efficienti. Questi sono del tipo «a razzo», in
essi la spinta necessaria alla propulsione viene ottenuta per reazione in
seguito all'espulsione di masse in senso contrario al moto del missile. A
differenza dei motori a getto che hanno bisogno di aspirare il comburente
(l'ossigeno) dall'atmosfera, i motori a razzo hanno con sé a bordo
riserve di combustibile e di comburente (il sistema combustibile-comburente
viene detto propellente) e quindi sono in grado di funzionare nel vuoto. I razzi
comunemente usati dai missili sono di tipo chimico: in essi il propellente
utilizzato libera energia mediante un processo chimico. Una distinzione
fondamentale per i motori a razzo chimico discende dallo stato del propellente
utilizzato, che può essere solido o liquido. I razzi a propellente solido
sono praticamente dei serbatoi parzialmente riempiti di impasto di combustibile
e comburente allo stadio solido. Una volta iniziato il processo di combustione,
esso prosegue sulla superficie libera dell'impasto e libera un'ingente massa di
gas ad altissima temperatura che vengono espulsi attraverso un ugello di
scarico. Quindi i razzi a propellente solido sono strutturalmente semplici, non
hanno bisogno di alcun sistema di alimentazione delle camere di combustione,
sono sempre pronti all'uso già carichi di combustibile, perciò di
impiego immediato. Di contro presentano difficili problemi di messa a punto del
miscuglio propellente. I razzi chimici a propellente liquido possono essere di
tipo monopropellente, nel caso in cui il composto combustibile e quello
ossidante siano mescolati insieme, o bipropellente, nel caso in cui il
combustibile e l'ossidante siano separati e si miscelino solo nella camera di
combustione. I monopropellenti sono composti che in condizioni normali sono
stabili ma che in adatte circostanze diventano instabili decomponendosi e
liberando energie. Permettono di costruire razzi semplici ma sono di trattamento
assai delicato e pericoloso. I razzi attualmente più usati sono quelli
bipropellenti. Sono più complessi degli altri tipi ma dal funzionamento
più sicuro, e inoltre sono quelli che raggiungono le massime
potenze.
La caratteristica forma fusiforme del missile serve ad ottenere
una buona penetrazione nell'aria alle quote più basse dell'atmosfera, che
il missile attraversa nei primi istanti del volo. Questo effetto è
sensibile solo fino ad una quota di 60 km. al di là la densità
dell'aria è trascurabile. In relazione alla destinazione ed al sistema di
guida un missile può essere di tipo balistico o guidato. Il missile
balistico segue una traiettoria di volo di tipo inerziale, guidata solo nella
fase iniziale. Durante la prima fase della traiettoria, percorsa con il motore
in azione, il missile viene portato nella posizione prevista con la
velocità e l'orientamento prefissati. Da questo istante il missile
procede per inerzia nel campo gravitazionale terrestre percorrendo una
traiettoria che può essere considerata ellittica fino a colpire il
bersaglio. Il missile guidato invece è dotato di dispositivi automatici
atti a controllare l'intera traiettoria. Il meccanismo di guida di un missile
consiste di due sistemi strettamente connessi fra loro: un sistema che ricava
informazioni sul cammino percorso dal missile stesso e rileva l'eventuale errore
nella posizione in rapporto alla traiettoria desiderata ed un sistema di
controllo che, su comando del sistema di guida, provvede ad agire sugli organi
direzionali per riportare il missile sulla rotta stabilita. I sistemi di guida e
di controllo vengono classificati a seconda che la traiettoria venga programmata
in anticipo o che possa essere via via modificata in funzione della
mobilità del bersaglio.
I SATELLITI ARTIFICIALI
Si dà il nome di satelliti
artificiali agli oggetti messi in orbita dall'uomo attorno ad un corpo celeste.
Il primo satellite terrestre è stato messo in orbita il 4 ottobre 1957:
era lo Sputnik I.
La possibilità di inviare un oggetto in orbita
è legata alla disponibilità di un sistema di lancio capace di
imprimergli una velocità tangenziale tale che la forza centrifuga che ne
deriva risulti in equilibrio con la Terra e il satellite. Queste velocità
sono elevatissime, per esempio quelle dei primi satelliti lanciati nel 1957-58
erano di circa 8 km/s (chilometri al secondo) corrispondenti a 28.800 km/h, e
quindi il lancio di un satellite presuppone l'uso di un missile potente. I
satelliti vengono lanciati verso Est in modo da sfruttare la velocità
tangenziale della base di lancio rispetto al centro della Terra dovuta alla
rotazione della Terra stessa. Le strutture ed i componenti dei satelliti variano
moltissimo in funzione dei diversi impieghi cui vengono destinati; gli elementi
generali caratteristici sono: - un sistema di rilevazione; - un apparato
radiotrasmittente; - un sistema di alimentazione; - un sistema di telecomando a
regolazione; - una struttura.
Il sistema di rilevazione comprende tutti gli
apparecchi di misura che effettuano i rilevamenti esterni richiesti, per esempio
misure di radiazioni, di campo magnetico, rilievi fotografici ecc., e li
trasformano in segnali elettrici. Questi segnali vengono trasmessi a terra
dall'apparato radiotrasmittente. L'energia necessaria al funzionamento di queste
apparecchiature (di rilevazione e radiotrasmittenti) viene fornita dal sistema
di alimentazione, costituito in generale da batterie solari, da sorgenti di
energia elettrica di tipo nucleare o da pile a combustibile. Il sistema di
telecomando a regolazione, composto da radioricevitori e da servomotori riceve i
comandi inviati via radio da terra e li esegue.
Tali comandi possono
riguardare l'inizio o l'interruzione della trasmissione dei segnali, modifiche
di rotta o di assetto, l'inserzione di circuiti per prove ecc. La struttura in
cui tutti gli organi descritti sono alloggiati è costituita da un robusto
telaio metallico, adatto a sopportare le fortissime accelerazioni a cui il
satellite è sottoposto alla partenza del razzo vettore.
SATELLITI ASTRONOMICI
I satelliti astronomici, oltre a compiere
rilevazioni di tipo geofisico hanno due funzioni caratteristiche: come corpi
materiali offrono la possibilità di verificare o precisare complesse
questioni di meccanica celeste; in secondo luogo, trasportando fuori
dell'atmosfera diversi strumenti di osservazione e di misura, consentono di
compiere ricerche sulla natura dei corpi celesti e dello spazio interplanetario.
Tra i satelliti di questo tipo ricordiamo il modello Pegasus.
SATELLITI GEOFISICI
I satelliti geofisici raccolgono dati
relativi allo spazio interplanetario. Il contributo che questi satelliti hanno
dato alla conoscenza dell'atmosfera superiore ed ai fenomeni legati
all'attività solare e stato determinante per lo sviluppo della
navigazione spaziale. Sono state individuate, per esempio le fasce di radiazioni
che circondano la Terra: le fasce di Van Allen, ed è stato scoperto un
«vento solare», formato da sciami di protoni emessi dal
Sole.
SATELLITI METEOROLOGICI
I satelliti meteorologici hanno assunto una
grande importanza per lo studio delle perturbazioni dell'atmosfera. Vi sono
satelliti capaci di trasmettere fotografie di ampie zone della crosta terrestre
con la relativa coltre di nubi, altri satelliti hanno equipaggiamenti adatti ad
effettuare particolari rilevamenti, come la misura dei flussi di energia solare
e terrestre.
La previsione delle condizioni atmosferiche, che oggi è
piuttosto esatta, e soprattutto la possibilità di anticipare tali
pressioni di parecchi giorni, dipendono proprio dall'uso di questi satelliti
meteorologici. I principali satelliti in orbita sono il Meteosat e il NOAA.
SATELLITI PER TELECOMUNICAZIONI
I satelliti per telecomunicazione hanno
un'importanza determinante per l'attuazione di una rete mondiale di
telecomunicazioni. Essi permettono di stabilire un sistema di trasmissioni a
larga banda, capace di trasmettere migliaia di conversazioni telefoniche o
realizzare un canale televisivo fra due centri terrestri separati da oceani o da
aree desertiche. Il satellite è visibile dalle due stazioni di terra e
serve da ponte per le microonde. Tra i primi modelli, ricordiamo gli americani
Relay e Telstar (lanciati nel 1962), ed Early
Bird (in seguito rinominato Intelsat).
Sistema di comunicazione mediante satellite
LE ASTRONAVI
Il lancio e la messa in orbita di satelliti
artificiali doveva rappresentare la prima fase di un programma più
complesso che prevedeva il lancio nello spazio di cabine con a bordo esseri
umani. Sia da parte sovietica che da parte americana, infatti, molti dei lanci
successivi alla messa in orbita dei primi satelliti artificiali avevano
già verificato, spesso con l'ausilio di cavie animali, le
possibilità di sopravvivenza di organismi viventi nello spazio.
Effettivamente fra il 1960 e i primi mesi del 1961, cioè nel periodo che
doveva precedere il lancio della «Vostok I» con a bordo Yuri Gagarin
(il primo uomo a compiere, il 12 aprile 1961, un'orbita completa attorno alla
superficie terrestre, spingendosi fino ad un'altezza massima di 302 chilometri),
gli scienziati sovietici avevano posto in orbita alcune «navicelle
cosmiche», contenenti insetti ed altri animali. Ma anche dopo i primi
riusciti lanci di Yuri Gagarin e dei suoi immediati successori restavano ancora
molti problemi da risolvere prima di poter realizzare il lancio di astronavi
capaci non solo di ruotare attorno alla Terra, ma addirittura di sfuggire alla
sfera d'attrazione terrestre e di allontanarsi nello spazio cosmico per missioni
della durata di più giorni. Si trattava innanzi tutto dei numerosi
problemi connessi con la possibilità di sopravvivenza degli organismi
umani in un tipo d'ambiente completamente diverso da quello abituale e con le
loro reazioni alle più disparate sollecitazioni cui sarebbero stati
sottoposti nel corso delle imprese.
Una prima incognita era indubbiamente
rappresentata dalle reazioni che l'organismo umano avrebbe manifestato in
seguito ad una più o meno prolungata condizione di mancanza di peso che,
oltre a notevoli problemi di equilibrio, avrebbe potuto comportare disturbi
soprattutto all'apparato circolatorio. Proprio per ovviare a questi
inconvenienti ogni astronauta viene sottoposto ad una lunga fase di preparazione
e di addestramento alle condizioni nelle quali presumibilmente si troverà
ad operare nel corso delle imprese spaziali.
Fra le tante prove a cui
è sottoposto in questa lunga fase di preparazione una delle più
indicative è quella della verifica delle sue condizioni dopo una salita
fittizia nelle camere di decompressione o delle sue reazioni dopo il collaudo di
resistenza alle accelerazioni che viene realizzato per mezzo di una centrifuga.
L'adattabilità o meno all'assenza di gravità viene verificata nel
corso di voli parabolici fatti loro compiere a bordo di aerei. Nel corso di quei
voli essi sono dapprima agganciati ai loro sedili, poi sono liberi di muoversi
in ogni direzione: allora devono eseguire diversi lavori che implicano movimenti
coordinati delle membra, rotazioni rapide del corpo, spostamenti all'interno
della cabina, ecc. Attraverso l'esposizione a temperature dell'ordine di 54
gradi centigradi, in presenza di un'umidità relativa del 20 per cento, si
verifica il loro grado di resistenza anche a temperature piuttosto elevate. Un
grande valore assumono anche le prove di confinamento, in quanto l'aspirante
pilota può palesare, nel corso di tale esperimento, leggeri stati di
claustrofobia (insofferenza per i luoghi chiusi), di angoscia, di allucinazione
che è utile svelare per tempo. Naturalmente estremamente scrupolosi ed
approfonditi sono gli esami clinici, che tendono ad accertare il perfetto
funzionamento dell'apparato respiratorio, di quello cardio-vascolare e del
sistema nervoso, oltre che dei vari organi di senso. Ogni navicella spaziale, a
sua volta, presenta nel suo interno particolari condizioni tali da rendere
più sicura ed agevole la permanenza degli astronauti.
La navicella
spaziale, pur nel variare delle sue dimensioni, è costituita
essenzialmente da una cabina stagna, separata dall'ambiente limitrofo con
chiusure ermetiche, ed è dotata di un'atmosfera artificiale propria,
cioè epurata dai residui e in equilibrio termico. L'esiguità
dell'impianto fa si che ogni variazione nell'apporto o nel consumo
dell'ossigeno, come ogni modificazione nell'eliminazione o nella produzione di
anidride carbonica e dell'acqua, abbiano una ripercussione rapida ed ampia sulla
composizione dell'atmosfera artificiale; per cui il problema fondamentale
è quello dell'«acclimatazione» dell'aria della cabina, che deve
funzionare in maniera tale da poter assicurare un ambiente ottimale per
l'attività umana.
Durante un volo spaziale l'uomo ha bisogno,
inoltre, di ossigeno, di acqua e di alimenti vari, ma è evidente che le
riserve accumulate a bordo di una navicella cosmica non possono essere
illimitate, per cui è necessario ricorrere a procedimenti che permettano
di ricostituire l'acqua, le sostanze alimentari e l'ossigeno per mezzo della
rigenerazione dei rifiuti individuali: si tratta, in sostanza, di creare nel
ristretto spazio di una navicella interplanetaria una specie di microcosmo, un
«sistema ecologico» capace di riprodurre le condizioni della Terra.
Una valida tecnologia permette di ottenere acqua potabile, che risponde a tutte
le condizioni sanitarie ed igieniche desiderabili, partendo dall'urina. Per
mezzo di appropriati metodi fisico-chimici può essere estratto l'ossigeno
dall'anidride carbonica prodotta dalla respirazione.
Molto più
difficili da ricostituire sono invece le sostanze alimentari; si pensa di
riprodurre all'interno della cabina spaziale il ciclo degli scambi chimici ed
energetici che esiste tra l'uomo e il suo ambiente naturale, ispirandosi il
più fedelmente possibile al ciclo biologico generale della Terra, dove i
vegetali hanno una parte essenziale, in quanto le piante verdi utilizzano
l'energia delle radiazioni solari per convertire l'anidride carbonica in idrati
di carbonio ed ossigeno. Per il momento si tratta di problemi affrontati
sperimentalmente.
Uno dei primi problemi ad essere affrontati, nella
previsione di viaggi spaziali, è stato quello di abituare gli astronauti
a muoversi e a compiere operazioni in assenza di gravità. è un
aspetto dell'astronautica che ha assunto importanza via via maggiore.
Sono
stati compiuti esperimenti di permanenza nello spazio per periodi sempre
più lunghi, soprattutto da parte di astronauti sovietici. Ciò
è importante non tanto in vista di lunghi viaggi nello spazio, che oggi
appaiono poco giustificati, quanto per preparare equipaggi in grado di lavorare
per lunghi tempi nelle stazioni speciali in orbita attorno alla
Terra.
LO SBARCO SULLA LUNA
Una volta perfezionate e collaudate le
più importanti tecniche relative al lancio nello spazio di capsule
spaziali con uomini a bordo, nel periodo immediatamente successivo vennero
impostati, sia da parte sovietica che da parte americana, progetti ben
più ambiziosi e spettacolari, che culminarono nel 1969 con la discesa del
primo uomo sulla Luna. Prima tappa verso questo obiettivo fu la messa a punto
delle tecniche di aggancio nello spazio da parte di astronavi lanciate in tempi
diversi. Questo tentativo fu preceduto, in ordine di tempo, dalla prima
«passeggiata» nel vuoto cosmico compiuta nel marzo del 1965 dal
sovietico Aleksej Leonov. Da parte americana questi ed altri obiettivi,
propedeutici al vero e proprio programma di spedizione ed esplorazione lunare,
furono perseguiti e raggiunti principalmente fra il 1965 e il 1966, nel quadro
del progetto «Gemini», il cui nome, che in latino significa
«gemelli», derivava dal fatto che le capsule inviate nello spazio
contenevano sempre due uomini a bordo. Già nel corso del quarto tentativo
compiuto nel giugno del 1965, anche un astronauta americano, Edward White,
riuscì a compiere una «passeggiata spaziale» della durata di 21
minuti, muovendosi nel vuoto come un vero e proprio satellite autonomo.
Col
lancio successivo, quello della «Gemini 5» veniva condotto a termine
per la prima volta, nell'agosto del 1965, un appuntamento nello spazio con un
satellite immaginario: la capsula con a bordo due astronauti fu cioè
pilotata fino ad un punto preciso dello spazio dove si era simulata la presenza,
in quell'istante, di un satellite bersaglio. Il primo reale
«rendez-vous» (appuntamento) spaziale avvenne, invece, nel dicembre
del 1965 con la successiva spedizione della «Gemini 6» e della
«Gemini 7», che giunsero fino alla distanza minima di trenta
centimetri, mentre il primo contatto vero e proprio (dockin) fu ottenuto nel
marzo del 1966, con la spedizione successiva. I successivi lanci del progetto
«Gemini», avvenuti tutti fra il luglio e il novembre del 1966,
permisero di arricchire e completare la serie dei rilievi e degli esperimenti
che potevano favorire il passaggio al programma «Apollo», quello
destinato a portare l'uomo sulla Luna. Ma a quel tempo, grazie alle varie sonde
automatiche che, già a partire dal 1959, sia Sovietici che Statunitensi
avevano cominciato ad inviare verso il nostro satellite, erano notevolmente
aumentate, rispetto al passato, le conoscenze relative alla Luna. Una tappa
memorabile fu la ripresa fotografica da parte dei Sovietici della «faccia
nascosta» della Luna.
Una vera e propria prova generale dello sbarco
sulla Luna fu compiuta nel maggio del 1969, col lancio dell'«Apollo
10», che portò due uomini a bordo del modulo lunare ad appena 15
chilometri dalla superficie del nostro satellite. Il modulo lunare era, assieme
al modulo di comando e al modulo di servizio, una delle tre parti delle quali
era costituita l'astronave destinata a portare il primo uomo sulla Luna. Il
modulo di comando è il centro nervoso di tutto il complesso
«Apollo» ed ospita i tre astronauti per tutta la durata del volo.
è dotato di cinque finestre grazie alle quali essi possono osservare la
progressione del volo e le operazioni di «rendez-vous» in orbita
lunare: nel vertice del cono è stata praticata un'apertura in modo da
permettere il passaggio degli astronauti dalla capsula «Apollo» al
modulo lunare. Il modulo di servizio ospita il razzo incaricato delle manovre di
metà percorso sia all'andata che al ritorno, della decelerazione in
orbita lunare e dell'immissione nella traiettoria di ritorno; è pure il
«magazzino» degli astronauti, poiché contiene tutte le
apparecchiature la cui presenza non è indispensabile a bordo del modulo
di comando. Il modulo lunare è formato da due stadi: il primo, battezzato
«stadio di discesa» ospita il motore e i propellenti necessari
all'allunaggio soffice; il secondo, o «stadio per l'ascesa» è
disposto intorno alla cabina in cui stanno in piedi i due «viaggiatori
lunari». La guida di questo modulo è affidata ad un calcolatore
elettronico per le fasi di discesa e di risalita e ad un radar.
Il 19 luglio, alle 19.47,
l'«Apollo 11» con a bordo Neil Armstrong, Edwin Aldrin e Michael
Collins, entrava in orbita lunare; il giorno successivo, alla stessa ora,
avveniva il distacco fra l'astronave e il modulo lunare. Alle 22.02 veniva
acceso nuovamente il razzo frenante per la discesa finale ed alle ore 22.17
minuti e 40 secondi il modulo lunare toccava il suolo del nostro satellite,
nella parte centro-occidentale del Mare della Tranquillità.
Sbarco sulla Luna: 21 luglio 1969
21 luglio 1969: l'uomo sbarca sulla Luna
Modello tridimensionale del modulo lunare Eagle che nel luglio 1969 portò il primo uomo sulla Luna
SVOLGIMENTO DELLA MISSIONE APOLLO
ll razzo Saturno V dopo aver compiuto il
giro della Terra spinge la navicella verso la Luna, sfugge all'attrazione
terrestre e si avvicina alla Luna. A questo punto la navicella si pone
nell'orbita lunare. Il modulo lunare si stacca dalla navicella e effettua
l'allunaggio. Quindi risale e si ricongiunge alla navicella che inizia la
traiettoria del ritorno. Infine il modulo di comando con gli astronauti si
stacca dal resto della navicella e rientra nell'atmosfera.
L'ESPLORAZIONE DEI PIANETI
L'esplorazione diretta dei pianeti del
Sistema Solare ebbe inizio nel novembre del 1962 quando i Sovietici effettuarono
il lancio della stazione automatica interplanetaria «Mars
1».
Sebbene un guasto verificatosi proprio in prossimità del
pianeta facesse fallire lo scopo principale della missione, la sonda
riuscì a fornire ugualmente informazioni di indiscutibile valore sulle
condizioni fisiche esistenti nello spazio interplanetario. Nel frattempo anche
gli Americani avevano approntato, con la messa a punto delle sonde
«Mariner», un programma di esplorazione di Marte. La sonda
«Mariner IV» nel 1965, riuscì a passare a meno di 8700
chilometri dalla superficie marziana. Immagini e rilievi scientifici
dell'ambiente e della superficie marziana furono trasmessi dalle sonde
«Mariner VI» e «Mariner VII», lanciate nel 1969 e giunte a
circa 3000 chilometri dal pianeta. Con le sonde «Mariner» gli
Americani hanno intrapreso anche l'esplorazione di Venere.
I Sovietici,
intanto, dopo i lanci della «Venus 1» (1961) e di «Zond 1»
(1964), riuscivano a far passare la «Venus 2», lanciata il 12 novembre
1965, ad una distanza di 24.000 chilometri dalla superficie di Venere. Con la
«Venus 4» ottennero invece, nell'ottobre del 1967, il primo
atterraggio «morbido» su Venere.
L'esplorazione dei pianeti del
Sistema Solare è continuata con nuove sonde. Dopo la serie dei Pioneer
(Pioneer 10 ha fotografato la superficie di Giove alla fine del 1973), sono
stati lanciati dagli americani i Voyager che hanno raccolto dati scientifici di
grande interesse; il Voyager 1 ha trasmesso nel 1979 immagini di Giove e dei
suoi satelliti. La missione di Voyager 2 è stata assai più
ambiziosa: nel 1981 ha "incontrato" Saturno (ottenendo informazioni eccezionali
sui suoi satelliti) e alla fine del 1986 Urano. Nel 1989 dovrebbe raggiungere
Nettuno.
Una versione del satellite Voyager
Dopo lo sbarco sulla Luna, i programmi spaziali prevedevano altre clamorose tappe: per i
primi anni Ottanta era prevista una missione su Marte che venne effettuata, con
una sonda atterrata sul pianeta, nel 1997. Le missioni con mezzi meccanici sono
meno costose e rischiose, ottengono risultati scientifici uguali se non
superiori a quelle condotte da astronauti anche se non producono gli stessi
effetti propagandistici. Ma vi è stato anche un cambiamento di strategia:
appariva più importante, per motivi economici e militari, porre sotto
controllo lo spazio immediatamente attorno alla Terra, con la costruzione e la
messa in orbita di stazioni spaziali permanenti. In questo campo i sovietici
hanno realizzato migliori successi grazie all'impiego di missili di grande
potenza in grado di trasportare gran quantità di materiale.
I
programmi americani invece puntavano sull'uso di una navetta, lo "Shuttle", che
poteva essere messo in orbita da due missili ma che era in grado di rientrare
planando come un normale aeroplano, dopo aver compiuto la missione: messa in
orbita di satelliti, correzione della rotta, riparazioni, ecc.. La navetta
poteva così essere riutilizzata per nuovi viaggi. Il primo Shuttle,
"Columbia", lanciato il 12 aprile 1981 sembrò segnare il successo degli
americani che potevano adoperare così un mezzo abbastanza economico e
commercialmente remunerativo; lo Shuttle possiede strumentazioni in grado di
analizzare la conformazione del terreno e di "vedere sotto terra" (da sue
rilevazioni si sono scoperte, ad esempio, tracce di antiche zone fertili e di
insediamenti umani in una zona oggi totalmente desertica tra Egitto e Sudan). Il
disastro del "Challenger", avvenuto in pieno volo il 28 gennaio 1986 causando la
morte dei sette astronauti di bordo, rallentò temporaneamente il
programma Shuttle che, comunque, alla fine del XX secolo, arrivò a un
centinaio di missioni per le quali erano state impiegate, oltre alle succitate
Columbia e Challenger, le navette Atlantis, Discovery ed Endeavour.
Passeggiata di un astronauta nello spazio
Robot utilizzato per l'esplorazione di Marte
Il disastro dello Space Shuttle Challenger del 28 gennaio 1986
Modello tridimensionale del veicolo spaziale statunitense Space Shuttle