ITINERARI - SPAZIO E TEMPO - L'ESPLORAZIONE DELL'UNIVERSO

INTRODUZIONE

L'esplorazione dello spazio ha sempre affascinato gli uomini, che anche con la fantasia hanno spesso cercato di immaginare viaggi extraterrestri e avventure galattiche. L'osservazione strumentale praticata già nei secoli scorsi ha permesso di rispondere a molte domande, di costruire nuove e più esaurienti teorie; il fascino del viaggio umano verso ed oltre i pianeti è rimasto tuttavia intatto finché non è stato possibile disporre di mezzi capaci di muoversi nello spazio, come il razzo e le astronavi. Lo sbarco dell'uomo sulla Luna è sembrato l'inizio di una rapida corsa alla conquista dei pianeti del Sistema Solare, poi però i programmi dei lanci spaziali hanno subito un rallentamento, sono in parte cambiati gli obiettivi delle esplorazioni spaziali e i pianeti del Sistema Solare, anziché da uomini come si poteva prevedere negli anni Settanta, sono stati visitati da sonde spaziali.
Il progetto della costruzione di una stazione spaziale internazionale

LA PROPULSIONE A RAZZO

Di là dalle svariate e spesso assai fantasiose ed inattuabili soluzioni proposte nel tempo per trovare un mezzo idoneo a vincere la forza di attrazione terrestre e a procedere nello spazio celeste, l'unico sistema che ha trovato una pratica attuazione con risultati indubbiamente positivi è quello che ha per strumento base il razzo. Il razzo è fondato sul principio della reazione, cioè su quella legge fisica per la quale «ogni forza genera una forza di reazione di uguale intensità e di direzione opposta» cosicché se un corpo proietta una parte della sua massa in una certa direzione, esso stesso viene proiettato, per reazione, in direzione opposta e con una velocità correlativa a quella della massa proiettata.
Tuttavia, prima di giungere allo sfruttamento di questo principio e quindi alla costruzione di tipi di razzo funzionali allo scopo, si dovettero compiere numerosi tentativi. Nel periodo compreso fra le due guerre mondiali, rispettivamente nel 1919 e nel 1923, apparvero due saggi di fondamentale importanza sull'argomento, ad opera di Robert Hutchings Goddard, Metodo per raggiungere le massime altitudini ed Hermann Oberth Il razzo nello spazio planetario, che si possono a buon diritto annoverare tra i fondatori della moderna scienza dei razzi. Fu quella, infatti, l'epoca nella quale il problema dell'astronautica assurse in primo piano. In questo clima veniva fondata nel 1927 a Breslavia, da parte di pochi simpatizzanti, la Società per la navigazione interplanetaria, dalla quale successivamente scaturì, nel 1938, il nucleo di tecnici che creò la famosa base di Peenemünde, centro di ricerche e di costruzioni con finalità militari promosso dal regime hitleriano, dotato di grandiosi impianti segreti, che dopo la guerra passarono in mano ai Sovietici.
Modello tridimensionale dell’aviorazzo tedesco Bachem Natter BA 349 B del 1944. Veniva lanciato da una rampa verticale, con le estremità alari inserite in due rotaie e la fusoliera poggiante su una terza rotaia

Modello tridimensionale del razzo spaziale Saturn V

V1 E V2

Dalle ricerche e dagli esperimenti promossi da questo centro derivarono i tristemente famosi V1 e V2, usati dall'esercito tedesco nel corso della seconda guerra mondiale. Il realizzatore effettivo di questi ordigni fu il professor Becker, generale di artiglieria, che ebbe al suo servizio un nucleo di ingegneri militari specializzati per lo studio dei propellenti per razzo, fra i quali Werner von Braun che divenne poi coordinatore dei programmi spaziali americani.
Il missile V1 venne lanciato contro Londra nel giugno del 1944 ma poco dopo fu sostituito dal V2 perché era poco preciso e piuttosto lento tanto che non era difficile l'intercettazione da parte della caccia avversaria. Il V2 venne usato dai tedeschi per la prima volta nel settembre del 1946 e rappresentò un terribile strumento di morte: pesava 13 t, era lungo 18,5 m, largo nella massima sezione 1,65 m e poteva trasportare una carica esplosiva di 1 t. L'attuazione del V2 rappresentò un passo decisivo verso la pratica realizzazione dei missili teleguidati, con risultati che si dimostrarono poi, nel dopoguerra, di eccezionale utilità per le indagini scientifiche ad alta quota. Il V2 costituisce il massimo risultato ottenuto in seguito alle iniziative promosse da questo centro di ricerche. Non fu soltanto un congegno di guerra, ma il prototipo del veicolo spaziale (sarà sufficiente ricordare, a questo proposito che gli «Jupiter», i «Titan», gli «Atlas», e i «Saturno», cioè alcuni dei principali tipi di razzi usati dagli Americani per le loro imprese spaziali, sono tutti raccostabili allo schema base del V2).

IL FUNZIONAMENTO DEL V2

Il V2 è considerato il prototipo dei moderni razzi; la sua importanza nella storia missilistica è tale che sembra opportuno ricordarne brevemente le principali caratteristiche. Il corpo principale del razzo, o «cellula», aveva lo stesso aspetto della fusoliera di un aeroplano. Nella parte anteriore si trova la camera dei comandi, a forma tronco-conica, della lunghezza di 1,4 m e divisa interiormente in quattro sezioni. Il missile disponeva, inoltre, di due sorgenti di energia elettrica ad accumulatori, destinate ad alimentare la radio e i giroscopi. Dei due serbatoi quello anteriore conteneva alcool etilico, quello posteriore ossigeno liquido. I due serbatoi erano di alluminio: attraverso il serbatoio posteriore passavano delle tubature che portavano l'alcool del serbatoio anteriore alle pompe, poste più indietro; uno strato di lana di vetro faceva da isolante per il serbatoio dell'ossigeno liquido.
Per il lancio i V2 venivano disposti su un graticcio, che veniva drizzato verticalmente per mezzo di un verricello idraulico. Al missile veniva poi accostato un leggero palco metallico di circa venti metri d'altezza, munito di piattaforme mobili per agevolare le manovre da parte del personale incaricato. Il riempimento dei serbatoi veniva fatto immediatamente prima del lancio. Nell'imminenza del lancio si introduceva nella camera di combustione la torcia di accensione. Al momento stabilito veniva trasmesso elettricamente, da una casamatta alquanto distante, il comando di accensione. Dopo qualche secondo, utilizzato per le ultime verifiche, entravano in funzione i liquidi ausiliari e prendeva a funzionare la turbina che azionava le pompe, la quale raggiungeva la sua velocità di regime dopo tre secondi. Cresceva così la velocità d'afflusso dell'alcool e dell'ossigeno, aumentava la spinta e si produceva il distacco nel giro di 10 secondi circa.
Spaccato di un missile V2


IL MISSILE

Il missile è un mezzo lanciato per colpire un obiettivo a distanza oppure per portare in volo o mettere in orbita una bomba o un carico di strumenti. La caratteristica del missile è quella di essere autopropulso, cioè di essere dotato di un motore proprio che lo mette in grado di raggiungere elevatissime velocità, di avere una gettata di migliaia di chilometri o addirittura di orbitare intorno alla Terra. Per ottenere queste velocità con un missile ad un solo stadio, bisognerebbe che praticamente l'intera massa iniziale del missile fosse costituita da propellente. Frazionando il missile in vari stadi destinati ad entrare in azione successivamente si ottiene che la massa che di volta in volta deve essere accelerata sia man mano minore e che quindi l'ultimo stadio possa raggiungere la velocità prefissata di fine combustione. Le tappe dello sviluppo del missile sono segnate dall'introduzione di propulsori sempre più potenti ed efficienti. Questi sono del tipo «a razzo», in essi la spinta necessaria alla propulsione viene ottenuta per reazione in seguito all'espulsione di masse in senso contrario al moto del missile. A differenza dei motori a getto che hanno bisogno di aspirare il comburente (l'ossigeno) dall'atmosfera, i motori a razzo hanno con sé a bordo riserve di combustibile e di comburente (il sistema combustibile-comburente viene detto propellente) e quindi sono in grado di funzionare nel vuoto. I razzi comunemente usati dai missili sono di tipo chimico: in essi il propellente utilizzato libera energia mediante un processo chimico. Una distinzione fondamentale per i motori a razzo chimico discende dallo stato del propellente utilizzato, che può essere solido o liquido. I razzi a propellente solido sono praticamente dei serbatoi parzialmente riempiti di impasto di combustibile e comburente allo stadio solido. Una volta iniziato il processo di combustione, esso prosegue sulla superficie libera dell'impasto e libera un'ingente massa di gas ad altissima temperatura che vengono espulsi attraverso un ugello di scarico. Quindi i razzi a propellente solido sono strutturalmente semplici, non hanno bisogno di alcun sistema di alimentazione delle camere di combustione, sono sempre pronti all'uso già carichi di combustibile, perciò di impiego immediato. Di contro presentano difficili problemi di messa a punto del miscuglio propellente. I razzi chimici a propellente liquido possono essere di tipo monopropellente, nel caso in cui il composto combustibile e quello ossidante siano mescolati insieme, o bipropellente, nel caso in cui il combustibile e l'ossidante siano separati e si miscelino solo nella camera di combustione. I monopropellenti sono composti che in condizioni normali sono stabili ma che in adatte circostanze diventano instabili decomponendosi e liberando energie. Permettono di costruire razzi semplici ma sono di trattamento assai delicato e pericoloso. I razzi attualmente più usati sono quelli bipropellenti. Sono più complessi degli altri tipi ma dal funzionamento più sicuro, e inoltre sono quelli che raggiungono le massime potenze.
La caratteristica forma fusiforme del missile serve ad ottenere una buona penetrazione nell'aria alle quote più basse dell'atmosfera, che il missile attraversa nei primi istanti del volo. Questo effetto è sensibile solo fino ad una quota di 60 km. al di là la densità dell'aria è trascurabile. In relazione alla destinazione ed al sistema di guida un missile può essere di tipo balistico o guidato. Il missile balistico segue una traiettoria di volo di tipo inerziale, guidata solo nella fase iniziale. Durante la prima fase della traiettoria, percorsa con il motore in azione, il missile viene portato nella posizione prevista con la velocità e l'orientamento prefissati. Da questo istante il missile procede per inerzia nel campo gravitazionale terrestre percorrendo una traiettoria che può essere considerata ellittica fino a colpire il bersaglio. Il missile guidato invece è dotato di dispositivi automatici atti a controllare l'intera traiettoria. Il meccanismo di guida di un missile consiste di due sistemi strettamente connessi fra loro: un sistema che ricava informazioni sul cammino percorso dal missile stesso e rileva l'eventuale errore nella posizione in rapporto alla traiettoria desiderata ed un sistema di controllo che, su comando del sistema di guida, provvede ad agire sugli organi direzionali per riportare il missile sulla rotta stabilita. I sistemi di guida e di controllo vengono classificati a seconda che la traiettoria venga programmata in anticipo o che possa essere via via modificata in funzione della mobilità del bersaglio.

I SATELLITI ARTIFICIALI

Si dà il nome di satelliti artificiali agli oggetti messi in orbita dall'uomo attorno ad un corpo celeste. Il primo satellite terrestre è stato messo in orbita il 4 ottobre 1957: era lo Sputnik I.
La possibilità di inviare un oggetto in orbita è legata alla disponibilità di un sistema di lancio capace di imprimergli una velocità tangenziale tale che la forza centrifuga che ne deriva risulti in equilibrio con la Terra e il satellite. Queste velocità sono elevatissime, per esempio quelle dei primi satelliti lanciati nel 1957-58 erano di circa 8 km/s (chilometri al secondo) corrispondenti a 28.800 km/h, e quindi il lancio di un satellite presuppone l'uso di un missile potente. I satelliti vengono lanciati verso Est in modo da sfruttare la velocità tangenziale della base di lancio rispetto al centro della Terra dovuta alla rotazione della Terra stessa. Le strutture ed i componenti dei satelliti variano moltissimo in funzione dei diversi impieghi cui vengono destinati; gli elementi generali caratteristici sono: - un sistema di rilevazione; - un apparato radiotrasmittente; - un sistema di alimentazione; - un sistema di telecomando a regolazione; - una struttura.
Il sistema di rilevazione comprende tutti gli apparecchi di misura che effettuano i rilevamenti esterni richiesti, per esempio misure di radiazioni, di campo magnetico, rilievi fotografici ecc., e li trasformano in segnali elettrici. Questi segnali vengono trasmessi a terra dall'apparato radiotrasmittente. L'energia necessaria al funzionamento di queste apparecchiature (di rilevazione e radiotrasmittenti) viene fornita dal sistema di alimentazione, costituito in generale da batterie solari, da sorgenti di energia elettrica di tipo nucleare o da pile a combustibile. Il sistema di telecomando a regolazione, composto da radioricevitori e da servomotori riceve i comandi inviati via radio da terra e li esegue.
Tali comandi possono riguardare l'inizio o l'interruzione della trasmissione dei segnali, modifiche di rotta o di assetto, l'inserzione di circuiti per prove ecc. La struttura in cui tutti gli organi descritti sono alloggiati è costituita da un robusto telaio metallico, adatto a sopportare le fortissime accelerazioni a cui il satellite è sottoposto alla partenza del razzo vettore.

SATELLITI ASTRONOMICI

I satelliti astronomici, oltre a compiere rilevazioni di tipo geofisico hanno due funzioni caratteristiche: come corpi materiali offrono la possibilità di verificare o precisare complesse questioni di meccanica celeste; in secondo luogo, trasportando fuori dell'atmosfera diversi strumenti di osservazione e di misura, consentono di compiere ricerche sulla natura dei corpi celesti e dello spazio interplanetario. Tra i satelliti di questo tipo ricordiamo il modello Pegasus.

SATELLITI GEOFISICI

I satelliti geofisici raccolgono dati relativi allo spazio interplanetario. Il contributo che questi satelliti hanno dato alla conoscenza dell'atmosfera superiore ed ai fenomeni legati all'attività solare e stato determinante per lo sviluppo della navigazione spaziale. Sono state individuate, per esempio le fasce di radiazioni che circondano la Terra: le fasce di Van Allen, ed è stato scoperto un «vento solare», formato da sciami di protoni emessi dal Sole.

SATELLITI METEOROLOGICI

I satelliti meteorologici hanno assunto una grande importanza per lo studio delle perturbazioni dell'atmosfera. Vi sono satelliti capaci di trasmettere fotografie di ampie zone della crosta terrestre con la relativa coltre di nubi, altri satelliti hanno equipaggiamenti adatti ad effettuare particolari rilevamenti, come la misura dei flussi di energia solare e terrestre.
La previsione delle condizioni atmosferiche, che oggi è piuttosto esatta, e soprattutto la possibilità di anticipare tali pressioni di parecchi giorni, dipendono proprio dall'uso di questi satelliti meteorologici. I principali satelliti in orbita sono il Meteosat e il NOAA.

SATELLITI PER TELECOMUNICAZIONI

I satelliti per telecomunicazione hanno un'importanza determinante per l'attuazione di una rete mondiale di telecomunicazioni. Essi permettono di stabilire un sistema di trasmissioni a larga banda, capace di trasmettere migliaia di conversazioni telefoniche o realizzare un canale televisivo fra due centri terrestri separati da oceani o da aree desertiche. Il satellite è visibile dalle due stazioni di terra e serve da ponte per le microonde. Tra i primi modelli, ricordiamo gli americani Relay e Telstar (lanciati nel 1962), ed Early Bird (in seguito rinominato Intelsat).
Sistema di comunicazione mediante satellite


LE ASTRONAVI

Il lancio e la messa in orbita di satelliti artificiali doveva rappresentare la prima fase di un programma più complesso che prevedeva il lancio nello spazio di cabine con a bordo esseri umani. Sia da parte sovietica che da parte americana, infatti, molti dei lanci successivi alla messa in orbita dei primi satelliti artificiali avevano già verificato, spesso con l'ausilio di cavie animali, le possibilità di sopravvivenza di organismi viventi nello spazio. Effettivamente fra il 1960 e i primi mesi del 1961, cioè nel periodo che doveva precedere il lancio della «Vostok I» con a bordo Yuri Gagarin (il primo uomo a compiere, il 12 aprile 1961, un'orbita completa attorno alla superficie terrestre, spingendosi fino ad un'altezza massima di 302 chilometri), gli scienziati sovietici avevano posto in orbita alcune «navicelle cosmiche», contenenti insetti ed altri animali. Ma anche dopo i primi riusciti lanci di Yuri Gagarin e dei suoi immediati successori restavano ancora molti problemi da risolvere prima di poter realizzare il lancio di astronavi capaci non solo di ruotare attorno alla Terra, ma addirittura di sfuggire alla sfera d'attrazione terrestre e di allontanarsi nello spazio cosmico per missioni della durata di più giorni. Si trattava innanzi tutto dei numerosi problemi connessi con la possibilità di sopravvivenza degli organismi umani in un tipo d'ambiente completamente diverso da quello abituale e con le loro reazioni alle più disparate sollecitazioni cui sarebbero stati sottoposti nel corso delle imprese.
Una prima incognita era indubbiamente rappresentata dalle reazioni che l'organismo umano avrebbe manifestato in seguito ad una più o meno prolungata condizione di mancanza di peso che, oltre a notevoli problemi di equilibrio, avrebbe potuto comportare disturbi soprattutto all'apparato circolatorio. Proprio per ovviare a questi inconvenienti ogni astronauta viene sottoposto ad una lunga fase di preparazione e di addestramento alle condizioni nelle quali presumibilmente si troverà ad operare nel corso delle imprese spaziali.
Fra le tante prove a cui è sottoposto in questa lunga fase di preparazione una delle più indicative è quella della verifica delle sue condizioni dopo una salita fittizia nelle camere di decompressione o delle sue reazioni dopo il collaudo di resistenza alle accelerazioni che viene realizzato per mezzo di una centrifuga. L'adattabilità o meno all'assenza di gravità viene verificata nel corso di voli parabolici fatti loro compiere a bordo di aerei. Nel corso di quei voli essi sono dapprima agganciati ai loro sedili, poi sono liberi di muoversi in ogni direzione: allora devono eseguire diversi lavori che implicano movimenti coordinati delle membra, rotazioni rapide del corpo, spostamenti all'interno della cabina, ecc. Attraverso l'esposizione a temperature dell'ordine di 54 gradi centigradi, in presenza di un'umidità relativa del 20 per cento, si verifica il loro grado di resistenza anche a temperature piuttosto elevate. Un grande valore assumono anche le prove di confinamento, in quanto l'aspirante pilota può palesare, nel corso di tale esperimento, leggeri stati di claustrofobia (insofferenza per i luoghi chiusi), di angoscia, di allucinazione che è utile svelare per tempo. Naturalmente estremamente scrupolosi ed approfonditi sono gli esami clinici, che tendono ad accertare il perfetto funzionamento dell'apparato respiratorio, di quello cardio-vascolare e del sistema nervoso, oltre che dei vari organi di senso. Ogni navicella spaziale, a sua volta, presenta nel suo interno particolari condizioni tali da rendere più sicura ed agevole la permanenza degli astronauti.
La navicella spaziale, pur nel variare delle sue dimensioni, è costituita essenzialmente da una cabina stagna, separata dall'ambiente limitrofo con chiusure ermetiche, ed è dotata di un'atmosfera artificiale propria, cioè epurata dai residui e in equilibrio termico. L'esiguità dell'impianto fa si che ogni variazione nell'apporto o nel consumo dell'ossigeno, come ogni modificazione nell'eliminazione o nella produzione di anidride carbonica e dell'acqua, abbiano una ripercussione rapida ed ampia sulla composizione dell'atmosfera artificiale; per cui il problema fondamentale è quello dell'«acclimatazione» dell'aria della cabina, che deve funzionare in maniera tale da poter assicurare un ambiente ottimale per l'attività umana.
Durante un volo spaziale l'uomo ha bisogno, inoltre, di ossigeno, di acqua e di alimenti vari, ma è evidente che le riserve accumulate a bordo di una navicella cosmica non possono essere illimitate, per cui è necessario ricorrere a procedimenti che permettano di ricostituire l'acqua, le sostanze alimentari e l'ossigeno per mezzo della rigenerazione dei rifiuti individuali: si tratta, in sostanza, di creare nel ristretto spazio di una navicella interplanetaria una specie di microcosmo, un «sistema ecologico» capace di riprodurre le condizioni della Terra. Una valida tecnologia permette di ottenere acqua potabile, che risponde a tutte le condizioni sanitarie ed igieniche desiderabili, partendo dall'urina. Per mezzo di appropriati metodi fisico-chimici può essere estratto l'ossigeno dall'anidride carbonica prodotta dalla respirazione.
Molto più difficili da ricostituire sono invece le sostanze alimentari; si pensa di riprodurre all'interno della cabina spaziale il ciclo degli scambi chimici ed energetici che esiste tra l'uomo e il suo ambiente naturale, ispirandosi il più fedelmente possibile al ciclo biologico generale della Terra, dove i vegetali hanno una parte essenziale, in quanto le piante verdi utilizzano l'energia delle radiazioni solari per convertire l'anidride carbonica in idrati di carbonio ed ossigeno. Per il momento si tratta di problemi affrontati sperimentalmente.
Uno dei primi problemi ad essere affrontati, nella previsione di viaggi spaziali, è stato quello di abituare gli astronauti a muoversi e a compiere operazioni in assenza di gravità. è un aspetto dell'astronautica che ha assunto importanza via via maggiore.
Sono stati compiuti esperimenti di permanenza nello spazio per periodi sempre più lunghi, soprattutto da parte di astronauti sovietici. Ciò è importante non tanto in vista di lunghi viaggi nello spazio, che oggi appaiono poco giustificati, quanto per preparare equipaggi in grado di lavorare per lunghi tempi nelle stazioni speciali in orbita attorno alla Terra.

LO SBARCO SULLA LUNA

Una volta perfezionate e collaudate le più importanti tecniche relative al lancio nello spazio di capsule spaziali con uomini a bordo, nel periodo immediatamente successivo vennero impostati, sia da parte sovietica che da parte americana, progetti ben più ambiziosi e spettacolari, che culminarono nel 1969 con la discesa del primo uomo sulla Luna. Prima tappa verso questo obiettivo fu la messa a punto delle tecniche di aggancio nello spazio da parte di astronavi lanciate in tempi diversi. Questo tentativo fu preceduto, in ordine di tempo, dalla prima «passeggiata» nel vuoto cosmico compiuta nel marzo del 1965 dal sovietico Aleksej Leonov. Da parte americana questi ed altri obiettivi, propedeutici al vero e proprio programma di spedizione ed esplorazione lunare, furono perseguiti e raggiunti principalmente fra il 1965 e il 1966, nel quadro del progetto «Gemini», il cui nome, che in latino significa «gemelli», derivava dal fatto che le capsule inviate nello spazio contenevano sempre due uomini a bordo. Già nel corso del quarto tentativo compiuto nel giugno del 1965, anche un astronauta americano, Edward White, riuscì a compiere una «passeggiata spaziale» della durata di 21 minuti, muovendosi nel vuoto come un vero e proprio satellite autonomo.
Col lancio successivo, quello della «Gemini 5» veniva condotto a termine per la prima volta, nell'agosto del 1965, un appuntamento nello spazio con un satellite immaginario: la capsula con a bordo due astronauti fu cioè pilotata fino ad un punto preciso dello spazio dove si era simulata la presenza, in quell'istante, di un satellite bersaglio. Il primo reale «rendez-vous» (appuntamento) spaziale avvenne, invece, nel dicembre del 1965 con la successiva spedizione della «Gemini 6» e della «Gemini 7», che giunsero fino alla distanza minima di trenta centimetri, mentre il primo contatto vero e proprio (dockin) fu ottenuto nel marzo del 1966, con la spedizione successiva. I successivi lanci del progetto «Gemini», avvenuti tutti fra il luglio e il novembre del 1966, permisero di arricchire e completare la serie dei rilievi e degli esperimenti che potevano favorire il passaggio al programma «Apollo», quello destinato a portare l'uomo sulla Luna. Ma a quel tempo, grazie alle varie sonde automatiche che, già a partire dal 1959, sia Sovietici che Statunitensi avevano cominciato ad inviare verso il nostro satellite, erano notevolmente aumentate, rispetto al passato, le conoscenze relative alla Luna. Una tappa memorabile fu la ripresa fotografica da parte dei Sovietici della «faccia nascosta» della Luna.
Una vera e propria prova generale dello sbarco sulla Luna fu compiuta nel maggio del 1969, col lancio dell'«Apollo 10», che portò due uomini a bordo del modulo lunare ad appena 15 chilometri dalla superficie del nostro satellite. Il modulo lunare era, assieme al modulo di comando e al modulo di servizio, una delle tre parti delle quali era costituita l'astronave destinata a portare il primo uomo sulla Luna. Il modulo di comando è il centro nervoso di tutto il complesso «Apollo» ed ospita i tre astronauti per tutta la durata del volo. è dotato di cinque finestre grazie alle quali essi possono osservare la progressione del volo e le operazioni di «rendez-vous» in orbita lunare: nel vertice del cono è stata praticata un'apertura in modo da permettere il passaggio degli astronauti dalla capsula «Apollo» al modulo lunare. Il modulo di servizio ospita il razzo incaricato delle manovre di metà percorso sia all'andata che al ritorno, della decelerazione in orbita lunare e dell'immissione nella traiettoria di ritorno; è pure il «magazzino» degli astronauti, poiché contiene tutte le apparecchiature la cui presenza non è indispensabile a bordo del modulo di comando. Il modulo lunare è formato da due stadi: il primo, battezzato «stadio di discesa» ospita il motore e i propellenti necessari all'allunaggio soffice; il secondo, o «stadio per l'ascesa» è disposto intorno alla cabina in cui stanno in piedi i due «viaggiatori lunari». La guida di questo modulo è affidata ad un calcolatore elettronico per le fasi di discesa e di risalita e ad un radar.
Il 19 luglio, alle 19.47, l'«Apollo 11» con a bordo Neil Armstrong, Edwin Aldrin e Michael Collins, entrava in orbita lunare; il giorno successivo, alla stessa ora, avveniva il distacco fra l'astronave e il modulo lunare. Alle 22.02 veniva acceso nuovamente il razzo frenante per la discesa finale ed alle ore 22.17 minuti e 40 secondi il modulo lunare toccava il suolo del nostro satellite, nella parte centro-occidentale del Mare della Tranquillità.
Sbarco sulla Luna: 21 luglio 1969

21 luglio 1969: l'uomo sbarca sulla Luna

Modello tridimensionale del modulo lunare Eagle che nel luglio 1969 portò il primo uomo sulla Luna

SVOLGIMENTO DELLA MISSIONE APOLLO

ll razzo Saturno V dopo aver compiuto il giro della Terra spinge la navicella verso la Luna, sfugge all'attrazione terrestre e si avvicina alla Luna. A questo punto la navicella si pone nell'orbita lunare. Il modulo lunare si stacca dalla navicella e effettua l'allunaggio. Quindi risale e si ricongiunge alla navicella che inizia la traiettoria del ritorno. Infine il modulo di comando con gli astronauti si stacca dal resto della navicella e rientra nell'atmosfera.

L'ESPLORAZIONE DEI PIANETI

L'esplorazione diretta dei pianeti del Sistema Solare ebbe inizio nel novembre del 1962 quando i Sovietici effettuarono il lancio della stazione automatica interplanetaria «Mars 1».
Sebbene un guasto verificatosi proprio in prossimità del pianeta facesse fallire lo scopo principale della missione, la sonda riuscì a fornire ugualmente informazioni di indiscutibile valore sulle condizioni fisiche esistenti nello spazio interplanetario. Nel frattempo anche gli Americani avevano approntato, con la messa a punto delle sonde «Mariner», un programma di esplorazione di Marte. La sonda «Mariner IV» nel 1965, riuscì a passare a meno di 8700 chilometri dalla superficie marziana. Immagini e rilievi scientifici dell'ambiente e della superficie marziana furono trasmessi dalle sonde «Mariner VI» e «Mariner VII», lanciate nel 1969 e giunte a circa 3000 chilometri dal pianeta. Con le sonde «Mariner» gli Americani hanno intrapreso anche l'esplorazione di Venere.
I Sovietici, intanto, dopo i lanci della «Venus 1» (1961) e di «Zond 1» (1964), riuscivano a far passare la «Venus 2», lanciata il 12 novembre 1965, ad una distanza di 24.000 chilometri dalla superficie di Venere. Con la «Venus 4» ottennero invece, nell'ottobre del 1967, il primo atterraggio «morbido» su Venere.
L'esplorazione dei pianeti del Sistema Solare è continuata con nuove sonde. Dopo la serie dei Pioneer (Pioneer 10 ha fotografato la superficie di Giove alla fine del 1973), sono stati lanciati dagli americani i Voyager che hanno raccolto dati scientifici di grande interesse; il Voyager 1 ha trasmesso nel 1979 immagini di Giove e dei suoi satelliti. La missione di Voyager 2 è stata assai più ambiziosa: nel 1981 ha "incontrato" Saturno (ottenendo informazioni eccezionali sui suoi satelliti) e alla fine del 1986 Urano. Nel 1989 dovrebbe raggiungere Nettuno.
Una versione del satellite Voyager

Dopo lo sbarco sulla Luna, i programmi spaziali prevedevano altre clamorose tappe: per i primi anni Ottanta era prevista una missione su Marte che venne effettuata, con una sonda atterrata sul pianeta, nel 1997. Le missioni con mezzi meccanici sono meno costose e rischiose, ottengono risultati scientifici uguali se non superiori a quelle condotte da astronauti anche se non producono gli stessi effetti propagandistici. Ma vi è stato anche un cambiamento di strategia: appariva più importante, per motivi economici e militari, porre sotto controllo lo spazio immediatamente attorno alla Terra, con la costruzione e la messa in orbita di stazioni spaziali permanenti. In questo campo i sovietici hanno realizzato migliori successi grazie all'impiego di missili di grande potenza in grado di trasportare gran quantità di materiale.
I programmi americani invece puntavano sull'uso di una navetta, lo "Shuttle", che poteva essere messo in orbita da due missili ma che era in grado di rientrare planando come un normale aeroplano, dopo aver compiuto la missione: messa in orbita di satelliti, correzione della rotta, riparazioni, ecc.. La navetta poteva così essere riutilizzata per nuovi viaggi. Il primo Shuttle, "Columbia", lanciato il 12 aprile 1981 sembrò segnare il successo degli americani che potevano adoperare così un mezzo abbastanza economico e commercialmente remunerativo; lo Shuttle possiede strumentazioni in grado di analizzare la conformazione del terreno e di "vedere sotto terra" (da sue rilevazioni si sono scoperte, ad esempio, tracce di antiche zone fertili e di insediamenti umani in una zona oggi totalmente desertica tra Egitto e Sudan). Il disastro del "Challenger", avvenuto in pieno volo il 28 gennaio 1986 causando la morte dei sette astronauti di bordo, rallentò temporaneamente il programma Shuttle che, comunque, alla fine del XX secolo, arrivò a un centinaio di missioni per le quali erano state impiegate, oltre alle succitate Columbia e Challenger, le navette Atlantis, Discovery ed Endeavour.
Passeggiata di un astronauta nello spazio

Robot utilizzato per l'esplorazione di Marte

Il disastro dello Space Shuttle Challenger del 28 gennaio 1986

Modello tridimensionale del veicolo spaziale statunitense Space Shuttle

 

 

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