Immaginato e Visto.

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ITINERARI - SPAZIO E TEMPO - IMMAGINATO E VISTO

INTRODUZIONE

Spesso la realtà, quando si presenta con aspetti nuovi o insoliti, assume agli occhi di chi la osserva una dimensione straordinaria, fantastica, meravigliosa. Può accadere con le cose più semplici e più comuni giacché il meraviglioso non sta nelle cose, ma in chi le guarda per la prima volta. Può accadere specialmente a chi, abituato a certi oggetti, a certi costumi, a certi modi di vivere, viene improvvisamente in contatto con un ambiente o una cultura diversi e di cui sa poco o nulla. è il caso di molti viaggiatori del passato, ed anche di Marco Polo, che ha lasciato nel Milione un resoconto delle sue esperienze in Asia pieno di questo senso del meraviglioso. A leggere le meraviglie che Marco Polo racconta dei Paesi da lui visitati si è tentati di pensare che la sua fantasia deformi parecchio la realtà. è proprio quello che pensavano i contemporanei di Marco Polo, i quali erano affascinati dai suoi racconti, ma scettici sulla loro veridicità.

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IL MILIONE

Si dice anzi (ma sappiamo che non è così) che il nome di «Milione» venisse dal fatto che, siccome Marco parlava sempre della grandezza dei domini di Kublai Khan e delle sue straordinarie ricchezze, dei milioni di città, dei milioni di abitanti, dei milioni di tributi, dei milioni di giunche, dei milioni di soldati, gli ascoltatori avevano finito coll'affibbiargli quell'appellativo. Quello che i contemporanei di Marco Polo non sapevano è che il suo resoconto, pur con tutto il suo senso del meraviglioso (a cui certamente aveva contribuito Rustichello da Pisa con la sua abilità di narratore), non era affatto frutto di fantasia. In effetti:

- ha scritto la studiosa inglese Eileen Power, in un noto saggio dedicato a Marco Polo

- le moderne scoperte hanno pienamente confermato l'esattezza delle osservazioni di Marco Polo.

è vero che a volte egli riferisce fantasiose notizie, sapute da altri, sugli uomini dalla faccia di cane delle isole Andaman, e sulle «isole maschio e femmina» così care ai geografi medievali. Si trattava di leggende marinaresche, mentre le cose che Marco Polo dice di aver visto coi suoi occhi sono descritte con assoluta fedeltà ("...Tutti quelli di questa isola hanno capo di cane e denti e naso a somiglianza di gran mastino. Egli hanno molte spezie".).

è perfettamente comprensibile che i lettori o gli ascoltatori di Marco Polo, ignari com'erano dei Paesi e dei popoli di cui egli parlava, non riuscissero ad afferrare esattamente il senso e la portata dei suoi racconti. Ma era proprio da questa incomprensione che potevano nascere deformazioni fantastiche della realtà, di cui però Marco Polo non è in alcun modo responsabile.

Fantasiosa illustrazione de Il Milione

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I LIBRI DEI MOSTRI

Gli illustratori del Milione nel presentare mostri ed esseri immaginari non facevano che seguire una tradizione iconografica ben consolidata. Figure fantastiche erano comuni scolpite sui portali, nei capitelli delle colonne e dipinte sulle pareti delle cattedrali romaniche: possedevano un significato simbolico o allegorico, ma erano pur sempre raffigurazioni capaci di suscitare curiosità e fantasie. C'erano anche libri di mostri che raccoglievano, in certo senso catalogavano, le descrizioni degli esseri fantastici e ne presentavano il disegno nei vivaci colori delle miniature. In questi disegni gli autori si ispiravano ai racconti popolari, alle narrazioni dei viaggiatori ma anche ai temi della tradizione letteraria ispirate a un Liber mostrorum de diversis generibus, composto tra l'VIII e il IX secolo. Accanto al Pigmeo e ai Bramini, esseri di probabile derivazione da racconti di viaggio, appare anche il classico Cerbero dalle tre teste.

Il Cerbero dalle tre teste

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OLTRE LA TERRA CON FANTASIA

Ne Gli Stati e Imperi della Luna e Gli Stati e Imperi del Sole di Cyrano de Bergerac, apparsi rispettivamente nel 1642 e nel 1652, vengono prospettati diversi mezzi di propulsione per viaggi nello spazio extraterrestre. Nel primo caso si parla di bottiglie di rugiada poste intorno alla cintura dell'astronauta; nel secondo di una carrozza volante azionata da mortaretti, una vera e propria carrozza-razzo. Nel romanzo L'uomo sulla Luna, scritto nel 1638 dal vescovo inglese Francis Godwin, si immaginava invece che il protagonista avesse raggiunto la Luna con un carro trainato da una squadriglia di cigni selvatici convenientemente ammaestrati. Anche Newton considerò la possibilità di realizzare una nave cosmica mossa a reazione. Intuizioni più vicine a quelle che costituiranno poi la soluzione del problema prospettano sistemi di propulsione a razzo. Uno dei più famosi sistemi per sfuggire all'attrazione terrestre fu quello ideato da Giulio Verne. Si trattava di un possente cannone interrato, che avrebbe dovuto lanciare un proiettile abitabile con una forza capace di vincere la gravità terrestre.

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I VIAGGI DI GULLIVER

Nel 1719 viene stampata a Londra la prima edizione de La vita e le strane sorprendenti avventure di Robinson Crusoe di York, marinaio, primo romanzo dello scrittore inglese Daniel Defoe (1660-1731). Il successo dell'opera fu enorme e nel periodo di pochi mesi se ne ristamparono almeno quattro edizioni. Era una conferma della straordinaria fortuna del resoconto di viaggio come genere letterario, ma nel Robinson Crusoe il pubblico aveva trovato qualcosa di più. Aveva trovato un personaggio, di fronte alle cui avventure tutte le meraviglie del mondo finivano in secondo piano: la scena del romanzo è infatti un'isola deserta, dove Robinson, unico superstite di un naufragio, riesce con l'ingegno, con il lavoro e con un pizzico di fortuna a procurarsi tutto quanto gli serve prima per sopravvivere e poi per vivere con qualche comodità, da buon cristiano e da buon inglese (compreso un servitore, nella persona di un giovane e simpatico selvaggio, Venerdì, provvidenzialmente capitato sull'isola). Nell'Inghilterra del primo Settecento si stava affermando un nuovo tipo di lettore: il borghese, ormai protagonista in una società che fino a pochi anni prima era dominata culturalmente (oltre che politicamente ed economicamente) dalla nobiltà. Alla nuova classe sociale mancava un passato, ed essa sentiva il bisogno di affermare un proprio sistema di valori e di darsi dei modelli di comportamento. Il genere del romanzo rispondeva perfettamente a questa funzione, e in particolare vi rispondevano romanzi come Robinson Crusoe, dove era facile per il lettore identificarsi con il protagonista e trarre dalle sue avventure insegnamenti di vita. Robinson Crusoe, poi, insegnava a far da sé, a contare solo sulle proprie forze, a far fruttare con il lavoro i doni di Dio: rappresentava dunque un eroe emblematico delle virtù borghesi. Solo sette anni separano il romanzo di Defoe dalla pubblicazione, nel 1726, di un altra celebre storia di naufragi, I viaggi di Gulliver, di Jonathan Swift. Scrittore di origine inglese nato però a Dublino, in Irlanda, nel 1667, Swift almeno apparentemente riprendeva nel suo romanzo molti suggerimenti delle relazioni di viaggio, vere o fittizie, e in particolare delle avventure di Robinson Crusoe. Come quelle di Robinson, infatti, le avventure di Gulliver attraverso Lilliput, Brobdingnag, l'isola di Laputa e il paese degli houyhnhnm sono un itinerario pedagogico, una lenta ma progressiva presa di coscienza, inizialmente delle storture della società inglese contemporanea, infine della malformazione morale congenita all'uomo in quanto tale. L'apprendistato di Gulliver inizia subito dopo il suo naufragio, quando viene sospinto dalle onde sulle rive del paese di Lilliput:

... Mi posi a giacere sull'erba, che era cortissima e morbidissima, e dormii il sonno più profondo ch'io ricordi d'aver mai dormito in vita, certo nove ore all'incirca; perché quando mi svegliai il sole era allora allora spuntato. Tentai d'alzarmi, ma non potetti muovermi; ché, giacendo per caso supino, m'accorsi d'aver mani e gambe fortemente legate al suolo da una banda e dall'altra, e che i mei capelli, lunghi e folti, erano egualmente attanagliati e assicurati alla terra. Del pari mi sentii legato da sottili vincoli tra le ascelle e le cosce. Potevo solo guardare in su, il giorno cominciava a infocarsi, e la luce m'offendeva gli occhi. Udii un confuso brusio intorno a me, ma, nella positura in cui ero, altro non m'era dato vedere che il cielo. Sentii, poco dopo, qualche cosa di vivo che si muoveva sulla mia gamba sinistra, e che procedendo con passo leggero innanzi sul mio petto arrivò fin quasi all'altezza del mio mento. Allora drizzai in giù lo sguardo quanto potei, e vidi che si trattava d'una creatura umana alta nemmeno sei pollici...

Gulliver si trova dunque gigante in un paese i cui abitanti sono alti circa 15 centimetri. La miniaturizzazione degli abitanti di Lilliput rende ancora più grotteschi i problemi in cui si dibattono, soprattutto quelli politici, ampiamente suggeriti a Swift dalla sua esperienza di politica attiva, esercitata essenzialmente tra il 1710 e il 1714, nel momento di maggior conflitto tra i due partiti rivali d'Inghilterra, i conservatori (tory), di cui Swift era un esponente, e i liberali (whig). Come spiega a Gulliver il primo Segretario degli Affari privati di Lilliput:

... Dovete sapere che da circa settanta lune due partiti lottano l'uno contro l'altro in questo impero. II primo è quello dei Tramecksan, il secondo quello dei Slamecksan, nomi che loro vengono rispettivamente dai tacchi alti o bassi delle scarpe, e che li contraddistinguono. Asserzione generale è che i Tacchi Alti siano i più conformi alla nostra antica costituzione: ma è un fatto che Sua Maestà si vale solo dei Tacchi Bassi per l'amministrazione governativa e in tutti gli uffici che è privilegio della Corona distribuire, ciò che deve subito saltarvi agli occhi, insieme alla particolarità che l'Imperatore porta tacchi che sono di un durr, cioè un quattordicesimo di pollice, più bassi di quelli che si vedono a corte. [...] Sua Altezza Imperiale, l'erede al trono, sembra, purtroppo, avere una certa propensione verso i Tacchi Alti per lo meno è a tutti evidente che uno dei suoi tacchi è più alto dell'altro, e ciò fa sì ch'egli zoppichi nel camminare...

E ancora, a proposito della lotta tra i due imperi di Lilliput e Blefuscu, che ricorda molto da vicino il conflitto in Inghilterra e Irlanda tra cattolici e protestanti:

... La lite cominciò nel seguente modo. è ammesso da tutti che il sistema più antico di rompere le uova prima di mangiarle è quello di farne saltare l'estremità più grossa: sennonché il nonno di Sua Maestà regnante, volendo mangiare un uovo, e rompendolo secondo l'antico sistema, si tagliò per caso un dito. L'Imperatore suo padre non volle altro, e subito pubblicò un editto inteso ad imporre a tutti i suoi sudditi, sotto minaccia di gravi pene, di rompere le uova non altrimenti che con lo spiccarne l'estremità più piccola. [...] Centinaia di grossi volumi sono stati pubblicati su questa controversia: ma i libri dei Rompidallapartegrossa sono stati da lungo tempo proibiti e gli aderenti al partito dichiarati in massa interdetti dai pubblici uffici...

Quasi necessario contrappeso, Gulliver si trova presto a continuare la sua rieducazione nel paese di Brobdingnag, abitato esclusivamente da giganti. Gli uomini della specie di Gulliver suscitano al Re di Brobdingnag una ben misera impressione:

... Scommetto che questi esseri hanno anche loro titoli e distinzioni onorifiche, e s'ingegnano a costruire piccoli nidi e tane, che chiamano case e città; scommetto che fanno la loro figura con vesti sfarzose ed equipaggi; che amano, combattono, litigano, ingannano, tradiscono...

La terza parte del romanzo, il viaggio sull'isola volante di Laputa in realtà è stata scritta per ultima da Swift. Laputa è il paese dei filosofi, degli scienziati, dei matematici. Qui l'uomo offre forse la sua peggiore caricatura:

... Gli abitanti infatti tenevano il capo chino a destra o a sinistra - un occhio rovesciato guardava in dentro, e l'altro era rivolto in su verso lo zenit.

[...] C'erano poi qua e là parecchi uomini in livrea, evidentemente dei servi, i quali portavano in mano una piccola verga in cima alla quale era legata, a mo' di flagello, una vescia gonfia

[...] Con queste vesciche essi, di quando in quando, percotevano le bocche e gli orecchi dei signori cui stavano dappresso,

[...] Sembra che l'intelletto di quella gente si raccolga nella speculazione con tale e tanta intensità, che per farli parlare

[...] occorre svegliarli mediante lo stimolo esterno d'una leggera percossa sull'organo della parola o dell'udito...

Le disillusioni procedono serrate: la formazione di Gulliver trova la sua degna conclusione nel paese dei cavalli, gli houyhnhnm:

... La parola houyhnhnm significa nel loro linguaggio cavallo, ed etimologicamente val quanto perfezione di natura...

Gli uomini, degradati allo stato di yahoo, assolvono le funzioni dei cavalli e questi ultimi costituiscono l'incarnazione di tutte le virtù estetiche e morali. è insomma la classica situazione del mondo alla rovescia. L'ammirazione di Gulliver per i houyhnhnm sarebbe incondizionata, se non fosse che i cavalli ignorano cosa voglia dire la parola guerra:

... Non potei tenermi dallo scuotere il capo e dal sorridere di fronte a tanta sua ignoranza. Non essendo profano all'arte della guerra, presi a descrivergli cannoni, colubrine, moschetti, carabine, pistole, proiettili, polvere, spade, baionette, battaglie, assedi, ritirate, attacchi, mine,

[...] vascelli affondati con sopra mille uomini, ventimila combattenti uccisi da ciascun lato; gemiti di moribondi

[...] campi disseminati di carogne abbandonate alla voracità dei cani, dei lupi, degli uccelli di rapina...

Di ritorno in patria, Gulliver non può però dimenticare il loro esempio:

... A furia di stare insieme con gli houyhnhnme di bearmi a guardarli, mi accade d'imitarne l'andatura ed i gesti, e ciò è ormai diventato in me una seconda natura, talché spesso gli amici mi dicono bruscamente: «ma tu trotti come un cavallo». Per me, confesso, è un gran complimento...

Per Lemuel Gulliver, infine, gli uomini non esistono più:

... La mia riconciliazione con la razza degli yahoo potrebbe non essere così difficile, sol che essi si contentassero di avere quei soli vizi e quelle sole follie che la natura ha data loro in sorte. Non mi ribello né punto né poco alla vista d'un avvocato, d'un borsaiolo, d'un colonnello, d'un buffone, di un Parì d'Inghilterra, d'un giocatore, d'un uomo politico, d'un ruffiano, d'un medico, d'un testimone, d'un subornatore, d'un procuratore, d'un traditore, e di altra simile genìa: tutto ciò è nell'ordine generale delle cose. Ma quando vedo un ammasso di deformità e d'infermità fisiche e morali arrogarsi perfino d'essere orgoglioso, esco allora fuori dai gangheri; né riesco a capire come mai una bestia simile e il vizio dell'orgoglio possano insieme combaciare...

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UNA STORIA VERA

Molti degli esseri strani che popolano i racconti dei viaggiatori in Paesi lontani sono il frutto di deformazioni, esagerazioni o fraintendimenti della realtà. Ma molte volte sono semplicemente il prodotto dell'immaginazione poetica, senza alcun riferimento diretto o indiretto ad esseri realmente esistenti. è quello che accade in molti racconti di fantascienza che hanno l'apparenza di relazioni di viaggio. Un esempio di libera e allegra fantasia è Una storia vera, un racconto di avventure scritto dal letterato greco Luciano nel II secolo d.C. Una storia vera è tutta un'invenzione, una «bugia», ma vuol essere insieme una parodia (ossia un'imitazione ironica) delle invenzioni e delle fantasie di viaggiatori e poeti. Luciano lo dichiara esplicitamente nell'introduzione del suo scritto:

... Il quale non solamente per la bizzarria del soggetto, e per la gaiezza dei pensieri dovrà piacere, e per avervi messe dentro molte finzioni che paiono probabili e verosimili; ma perché ciascuna delle baie che io conto, è una ridicola allusione a certi antichi poeti e storici e filosofi che scrissero tante favole e meraviglie, i quali ti nominerei se tu stesso leggendo non li riconoscessi.

[...] Onde anche a me essendo venuto il prurito di lasciar qualche cosetta ai posteri, per non essere io solo privo della libertà di novellare, e giacché non ho a contar niente di vero (perché non m'è avvenuto niente che meriti di esser narrato), mi sono rivolto a una bugia, che è molto più ragionevole delle altre, ché almeno dirò questa sola verità, che io dirò la bugia. Così forse sfuggirò il biasimo che hanno gli altri, confessando io stesso che non dico affatto la verità. Scrivo dunque di cose che non ho vedute, né ho sapute da altri, che non sono, e non potrebbero mai essere: e però i lettori non ne debbono credere niente...

Una storia vera è la narrazione di un viaggio immaginario ai confini del mondo, intrapreso, dice Luciano, «per curiosità di mente, per desiderio di veder cose nuove, per voglia di conoscere il fine dell'oceano e quali uomini abitano su quegli altri lidi». Per capire le affermazioni di Luciano bisogna ricordare che anticamente la Terra era considerata piatta (almeno dai poeti, giacché gli scienziati sapevano perfettamente ch'essa era sferica) e galleggiante sull'Oceano che la circondava da ogni parte e i cui confini si congiungevano con il Cielo. L'Oceano cominciava al di là delle colonne d'Ercole, ossia dello stretto di Gibilterra, dove finiva il mondo conosciuto. Il racconto comincia con il passaggio da parte di Luciano e dei suoi cinquanta compagni dello stretto di Gibilterra. Quasi subito scoppia una tempesta che dura settantanove giorni e che spinge la nave di Luciano verso un'isola sconosciuta «alta e selvosa». Qui Luciano e i suoi compagni fanno la prima meravigliosa scoperta: nell'isola scorre un fiume di vino squisito.

... Venutami curiosità di conoscere da dove nasceva il fiume, montammo tenendoci sempre alla riva; e non trovammo alcuna fonte, ma molte e grosse viti piene di grappoli: e alla radice di ciascuna stillavano gocciole di vino puro, da cui si formava il fiume. Nel quale erano ancora molti pesci, che avevano il colore e il sapore del vino, e noi avendone pescati alcuni, e mangiati, ci ubriacammo; anzi, quando li aprimmo, li trovammo pieni di feccia e di vinaccioli. Poi pensammo di mescolarli con altri pesci di acqua, e così venne non troppo forte un manicaretto di vino. Traversato il fiume dov'era il guado, trovammo un nuovo miracolo di viti. La parte di giù che usciva della terra era tronco verde e grosso: in su eran femmine, che dai fianchi in sopra avevano tutte le membra femminili, come si dipinge Dafne nell'atto che Apollo sta per abbracciarla ed essa si tramuta in albero. Dalle punta delle dita nascevano i tralci, che erano pieni di grappoli: e le chiome dei loro capi erano viticci, e pampini, e grappoli. Come noi ci avvicinavamo esse ci salutavano graziosamente quale parlando lidio, quale indiano, e molte greco; e con le bocche ci scoccavano baci e chi era baciato subito sentiva per ubriachezza girargli il capo...

Fatta un'abbondante provvista di vino, Luciano e i suoi compagni ripartono ma

... Verso il mezzodì, sparita l'isola, un improvviso turbine roteò, e la sollevò quasi tremila stadii in alto, né più la depose sul mare: ma così sospesa in aria, un vento, che gonfiava tutte le vele, la portava...

Il viaggio nell'Oceano si trasforma così in un viaggio nel cielo, nel corso del quale Luciano e i suoi compagni toccano la Luna e il Sole, assistono ad una battaglia tra gli abitanti dell'una e dell'altro e vedono, naturalmente, una quantità di esseri e di cose stravaganti. Tra gli abitanti della Luna, per esempio, c'è una specie di uomini detti Arborei che nascono dalle ghiande di un albero e che hanno stranissime abitudini alimentari:

... Il cibo per tutti è lo stesso; accendono il fuoco, e su la brace arrostiscono ranocchi, dei quali hanno una gran quantità che volano per aria e mentre cuoce l'arrosto, seduti in cerchio, come intorno a una mensa, leccano l'odoroso fumo e scialano. E questo è il cibo loro. Per bere poi spremono l'aria in un calice, e ne fanno uscire certo liquore come rugiada...

L'aspetto dei Lunari è, se possibile, ancor più strano:

... Hanno i peli un po' sopra il ginocchio, non hanno unghie ai piedi, ma un solo dito tutti. Sul codrione (l'estremità inferiore della colonna vertebrale) a ciascuno nasce un cavoletto, a guisa di coda, sempre fiorito, che, se anche uno cade supino, non si rompe. Quando si soffiano il naso cacciano un miele molto agro, e quando fanno qualche fatica o esercizio da tutto il corpo sudano latte, dal quale fanno formaggio con poche gocciole di miele. Dalle cipolle spremono un olio denso e fragrante, come unguento. Hanno molte viti che producono acqua; i grappoli hanno gli acini come grandini; e io penso che quando qualche vento scuote quelle viti, si spiccano quegli acini, e cade fra noi la grandine La pancia loro è come un carniere, vi ripongono ogni cosa, l'aprono e chiudono a piacere, e non vi si vede né interiora né fegato, ma una cavità pelosa e vellosa, per modo che i bimbi quando hanno freddo vi si appiattano dentro. Le vesti i ricchi le fanno di vetro mollissimo, i poveri di rame tessuto; che nel paese c'è molto rame, e lo lavorano, spruzzandovi acqua, come la lana. Che specie di occhi abbiano ho un po' di vergogna a dirlo, perché temo di esser tenuto bugiardo, ma lo dirò lo stesso. Hanno gli occhi levatoi, e chi vuole se li cava e li serba da parte quando non ha bisogno vedere; poi se li rimette, e vede. Molti, avendo perduti i loro, se li fanno prestare, e i ricchi ne fanno provvista...

Tornati nell'Oceano, Luciano e i suoi continuano la serie delle meravigliose avventure visitando isole misteriose, paesi di Cuccagna (come quell'isola galleggiante in un mare di latte che, racconta Luciano, «era un grandissimo formaggio ben rassodato»), il regno dei morti, l'isola dei sogni («che pareva e non pareva, proprio come un sogno, che come noi ci avvicinammo, essa si ritraeva, ci sfuggiva e più si allontanava»). Non manca l'episodio, frequente in questo tipo di racconti, dell'incontro con le balene.

... Due soli giorni navigammo con buon tempo. Al comparire del terzo dalla parte dove spunta il sole vediamo a un tratto un grandissimo numero di fiere diverse e di balene, e una più grande di tutte, lunga millecinquecento stadi, che veniva verso di noi con la bocca spalancata, con larghissimo rimescolamento di mare innanzi a sé, e fra molta schiuma, mostrandoci denti più lunghi dei priapi di Siria, acuti come spiedi, e bianchi come quelli d'elefante. A vederla: - Siamo perduti! - dicemmo tutti quanti, e abbracciati insieme aspettavamo; ed eccola avvicinarsi, e tirando a sé il fiato c'inghiottì con tutta la nave; ma non ebbe tempo di stritolarci, che fra gl'intervalli dei denti la nave sdrucciolò giù. Come fummo dentro la balena, dapprima era buio, e non vedevamo niente; ma poi avendo aperta la bocca, vediamo una immensa caverna larga e alta per ogni verso, e capace di contenere una città di diecimila abitanti. Stavano sparsi qua e là pesci minori, molti altri animali stritolati, e alberi di navi, e ancore, e ossa umane, e balle di mercanzie. Nel mezzo era una terra con colline, formatasi, come il credo, dal fango inghiottito; sopra l'isola una selva con alberi d'ogni specie, ed erbe e ortaggi, e pareva coltivata; misurava intorno un duecento quaranta stadi, e ci vedevamo anche uccelli marini, come gabbiani e alcioni, fare i loro nidi sugli alberi. Allora venne a tutti un gran pianto, ma infine io diedi animo ai compagni, e fermammo la nave...

Dopo tante avventure, il racconto non finisce: o meglio finisce con la promessa di un seguito, che Luciano non scrisse mai, forse per non smentire quanto aveva dichiarato nell'introduzione, ossia che nulla in Una storia vera doveva essere preso sul serio, neppure la promessa finale.

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UN LETTERATO E UN NATURALISTA ALLE GALAPAGOS

A più di mille chilometri dalla costa dell'Ecuador, di cui costituisce una provincia, proprio sulla linea dell'equatore si trova l'arcipelago delle Galapagos (ossia, in spagnolo, delle Tartarughe), detto anche delle Isole Incantate (Islas Encantadas) o, secondo la denominazione ufficiale, di Colòn. L'arcipelago, tredici isole maggiori e una quarantina di isolotti, è di natura vulcanica: alcuni vulcani sono ancora attivi, e in tutta l'area si contano centinaia e centinaia di crateri, in qualche caso larghi anche parecchi chilometri. L'ambiente delle Galapagos presenta un enorme interesse naturalistico e dal 1936 l'arcipelago è stato dichiarato dal Governo ecuadoriano parco nazionale. Scoperte dagli Spagnoli nella prima metà del Cinquecento, le Galapagos sono state utilizzate come base dai corsari e bucanieri inglesi che tra il XVII e il XVIII secolo attaccavano le navi spagnole sulle rotte del Pacifico, e che ribattezzarono con nomi inglesi molte delle isole. I primi insediamenti stabili, legati all'attività delle navi baleniere che occasionalmente vi facevano scalo, alla raccolta di materie coloranti e infine a modeste attività agricole, risalgono al secolo scorso. Oggi vi abitano poche migliaia di persone dedite principalmente alla pesca. Nella prima metà dell'Ottocento capitarono alle Galapagos due viaggiatori d'eccezione, lo scrittore americano Herman Melville (1819-1891) e il naturalista inglese Charles Darwin (1809-1882) che stava compiendo un viaggio di ricerca e di studio intorno al mondo. Proprio dalle osservazioni raccolte nel corso di questo viaggio Darwin trasse i primi elementi della più rivoluzionaria teoria scientifica del secolo scorso: la teoria dell'evoluzione della specie. I due guardavano la singolare natura di queste isole con occhi diversi: lo scienziato interessato a studiare le conseguenze dell'isolamento geografico sulla flora e sulla fauna locale; lo scrittore tutto preso dal fascino inquietante di questo ambiente inospitale. A rileggerle assieme, però, le loro annotazioni non stonano affatto; fanno anzi un bel contrappunto, dove talvolta la parte del naturalista tocca al letterato e viceversa: effetto forse di una cultura, come quella ottocentesca, in cui l'eccesso di specializzazione non aveva ancora reso la scienza e la letteratura estranee l'una all'altra. Ecco come Melville descrive la desolazione di queste isole:

... Immaginate venticinque mucchi di cenere, sparsi qua e là in un prato ai margini di una città, immaginate che alcuni vengano ingranditi tanto da formar montagne, e che il prato su cui si trovano sia il mare, e avrete un'idea adeguata dell'aspetto generale delle Encantadas. Un gruppo di vulcani estinti più che non di isole, che possono far pensare a come sarebbe il mondo dopo una conflagrazione generale. Si può dubitare se alcun punto della Terra possa, per desolazione, reggere il confronto con questo arcipelago. Cimiteri da tempo abbandonati, antiche città che a pezzi crollano e rovinano sono visioni abbastanza melanconiche; ma, come ogni altra cosa che sia stata un tempo collegata con l'umanità, riescono tuttavia a destare in noi qualche pensiero, sia pur mesto, di simpatia.

[...] In quanto a solitudine, le grandi foreste del Nord, le distese di acque mai solcate da navi, i campi di ghiaccio della Groenlandia sono le solitudini più profonde e complete che possano offrirsi all'osservazione umana; e tuttavia l'incanto delle mutevoli maree e delle stagioni ne mitigano il terrore, perché, sebbene mai visitate dagli uomini, quelle foreste son pur visitate dal maggio, e i più remoti mari non meno del lago Erie riflettono costellazioni familiari, e nell'aria limpida di un bel giorno polare, l'azzurro ghiaccio splende nel sole come malachite. Ma la speciale maledizione, come la si può ben chiamare, delle Encantadas

[...] è che esse non subiscono mai mutamento alcuno, né di stagione né di pena. Tagliate dall'Equatore, ignorano l'autunno come la primavera, mentre, già ridotte a scorie di un incendio, ben scarsa presa offrono all'azione del tempo. Gli acquazzoni rinfrescano i deserti, ma su queste isole non piove mai...

Ed ecco come la descriveva Darwin

... Non c'è niente di meno invitante di questo primo aspetto: una distesa accidentata di nera lava basaltica disposta in bizzarre ondulazioni e intersecata da grossi crepacci, del tutto ricoperta da una stenta boscaglia, bruciata dal sole, con pochi segni di vita. La superficie arida e riarsa, scaldata dal sole di mezzogiorno, dava all'aria un che di chiuso e di afoso, come se provenisse da un forno; pareva che persino i cespugli emanassero un cattivo odore...

Scrittore di mare, Melville non mancò di osservare le tracce, visibili un po' dovunque nell'arcipelago, di esistenze disperate e di drammatiche vicende maturate sul mare. Anche le leggende fiorite intorno a queste isole, e agli strani animali che le abitano, rispecchiano le asprezze e gli orrori della vita di mare.

... Sul particolare rettile che abita questi deserti, e la cui presenza ha conferito all'arcipelago il suo secondo nome spagnolo di Galapagos, sulla tartaruga che ivi si trova, la maggior parte dei marinai hanno a lungo intrattenuto una superstizione non meno terribile che grottesca. Essi sinceramente credono che tutti gli ufficiali di marina che si sian comportati in modo malvagio, e in specie i commodori e i capitani, quando muoiono (e talvolta anche prima) vengano trasformati in queste tartarughe, condannati d'allora in poi ad abitare in questi caldi deserti, unici e solitari signori di Asfalto. Senza dubbio un pensiero così stranamente doloroso venne originariamente ispirato dal desolato paesaggio, ma forse, in modo più speciale, dalle stesse tartarughe. Poiché, a prescindere dall'aspetto puramente fisico, una strana aria di condannate hanno queste creature. Una desolazione perenne, come per una disperata sentenza, non è mai stata espressa in altra forma animale con tanta supplice evidenza come in loro, mentre il pensiero dell'incredibile longevità di cui godono non può che confermare quell'impressione...

Le tartarughe naturalmente attirarono l'interesse di Darwin, che diede un'accurata descrizione delle loro caratteristiche e delle loro abitudini. Le tartarughe giganti sono una specie endemica (dal greco endémios = «indigeno», esclusivo di una regione) delle Galapagos. Non è il solo caso: molte altre specie animali e vegetali sono endemiche, e del resto, per effetto dell'isolamento, anche individui che appartengono alla stessa specie, ma vivono in isole diverse, presentano frequenti varianti morfologiche.

... Tali animali si trovano, credo, su tutte le isole dell'arcipelago, in ogni caso nella maggior parte di esse. Frequentano di solito le parti alte e umide, ma vivono anche nelle zone più aride e basse.

[...] Alcune raggiungono dimensioni enormi: il signor Lawson, un inglese vicegovernatore della colonia, ci raccontò di averne viste alcune così grosse che ci vollero sei o otto uomini per alzarle da terra e che alcune di esse avevano fornito fino a cento chili di carne.

[...] Le tartarughe, quando intendono recarsi in un dato posto, camminano notte e giorno e in tal modo arrivano alla mèta molto prima di quanto si potrebbe pensare.

[...] Una grossa tartaruga, da me osservata, faceva cinquantaquattro metri in dieci minuti, cioè 324 metri all'ora, cioè sette chilometri e mezzo al giorno, sostando solo pochissimo tempo per mangiare lungo il cammino.

[...] Alle tartarughe l'acqua piace moltissimo, ne bevono in gran quantità e diguazzano nel fango. Solo le isole più grandi hanno sorgenti e queste sono sempre situate nelle zone centrali e a notevole altezza, quindi le tartarughe che abitano le regioni inferiori quando hanno sete sono obbligate a percorrere notevoli distanze. Perciò si incontrano ampi sentieri ben battuti che si diramano in tutte le direzioni e collegano le fonti con la riva del mare; fu seguendo questi sentieri che gli spagnoli scoprirono per la prima volta le sorgenti...

Il più noto e interessante animale dell'arcipelago è comunque un arcaico lucertolone simile all'iguana, a cui gli zoologi hanno imposto il nome di Amblirinco e che Darwin descriveva in questi termini:

... L'Amblyrhynchus, singolarissimo genere di lucertola, è limitato a questo arcipelago; comprende due specie, simili fra loro nella forma generale, ma diverse per l'habitat: una è terrestre, l'altra acquatica. Quest'ultima specie (A. Cristatus) fu descritta per la prima volta dal Bell, il quale in base alla testa corta e larga, e in base ai forti artigli di lunghezza uguale, previde correttamente che il rettile doveva vivere in modo assai caratteristico e diverso da quello dell'iguana, suo parente più prossimo. è comunissima in tutte le isole dell'arcipelago e vive esclusivamente sulle spiagge marine rocciose; non è mai stata trovata (o almeno io non ne ho mai viste) neanche a dieci metri nell'entroterra. è un animale dall'aspetto orribile, di un colore nero sporco, stupido e tardo nei movimenti. La lunghezza normale di un individuo adulto è di circa novanta centimetri, ma ve ne sono alcuni lunghi anche un metro e venti; un grosso esemplare pesava dieci chili; nell'isola di Albemarle sembrano raggiungere dimensioni più grandi che non altrove. La coda è schiacciata lateralmente e tutti e quattro i piedi sono palmati.

[...] Quando la lucertola è nell'acqua nuota con agilità e sveltezza, mediante un movimento serpentino del corpo e della coda compressa; gli arti restano immobili e aderiscono strettamente ai lati del corpo. Un marinaio ne tenne una sott'acqua, attaccandole un grosso peso; era certo che ne sarebbe morta, ma quando la tirò fuori, un'ora dopo, era sempre agilissima. Gli arti e i forti unghioni sono adattissimi per muoversi sui massi ruvidi e screpolati di lava che costituiscono tutta la costa. Si può spesso vedere sulle rocce nere un gruppo di sei o sette di quegli odiosi rettili, che si scaldano al sole con le zampe distese, pochi centimetri al di sopra dei frangenti...

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LA SPEDIZIONE DI DARWIN ALLE GALAPAGOS

Quando, nel dicembre 1831, si imbarcò come naturalista senza stipendio sulla Beagle, il giovane Darwin era poco più che un dilettante. La Beagle, brigantino da dieci cannoni della Marina Reale Britannica, e il capitano Fitzroy, che la comandava, erano invece dei veterani, avendo entrambi partecipato ad una precedente spedizione in Patagonia e Terra del Fuoco. Scopo della nuova missione era di completare i rilevamenti iniziati dalla precedente e di estenderli alle coste del Cile e del Perù e ad alcune isole del Pacifico, e nello stesso tempo di eseguire una serie di misure di longitudine attorno al mondo. La Beagle lasciò l'Inghilterra il 27 dicembre 1831 (con buona parte dell'equipaggio ai ferri e dolorante per le sferzate seguite alle sbronze di Natale). Nel febbraio del 1832 era in Brasile e fino al luglio del 1835 ispezionò le coste meridionali del continente americano (mentre Darwin faceva frequenti puntate all'interno). Tra il settembre e l'ottobre del 1835 sostò per circa un mese alle Galapagos da dove fece vela per Tahiti. Toccò poi la Nuova Zelanda, l'Australia, la Tasmania, le Isole Keeling (o Cocos, nell'Oceano Indiano, dove Darwin studiò le formazioni coralline), l'isola Maurizio, quella di Sant'Elena, facendo infine ritorno, via Brasile, in Inghilterra, dove giunse il 2 ottobre del 1836.

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LA FANTASCIENZA

Si può definire la fantascienza come un genere di letteratura popolare, i cui elementi sono l'anticipazione e i legami col procedimento scientifico; in essa lo sviluppo di una ipotesi fantastica, ma attendibile, parte da un dato scientifico, tecnico, sociale del presente. Infine, i fattori di natura fantastica o magico-soprannaturale o talvolta utopistica, sono resi plausibili unendo argomenti e dati rigorosamente scientifici. Trascurando il rapporto stretto che la fantascienza ha con la moderna tecnologia, si è tentato di dichiarare «fantascientifico» tutto ciò che è stato scritto, sin dai primordi della letteratura, nel campo del fantastico, legato al bisogno che ha sempre avuto l'uomo di fare scorribande al di là del possibile, al di fuori dei limiti della sua condizione umana. Si potrebbe addirittura indicare come primo libro di fantascienza il più antico libro conosciuto: la celebre Epopea di Gilgamesch, il manoscritto che risale al 2000 a.C. e che racconta il viaggio in un mondo sotterraneo abitato da esseri meravigliosi, fino all'arrivo al «prato dell'immortalità». Già nel V secolo a.C. appare il concetto di un Antimondo, il gemello della Terra che girava sulla stessa orbita del nostro pianeta, ma sempre in contrapposizione ad esso, nascosto quindi dalla massa del Sole. Plutarco descrive invece una Luna abitata, seppure da non-umani, dotati di poteri psichici sovrannaturali. Tralasciando le descrizioni della favolosa Atlantide, lasciateci da Platone, i più interessanti racconti di un'arcaica fantascienza li abbiamo dal greco Luciano. Al di là delle colonne d'Ercole, che delimitano il possibile cosmo umano, l'eroe del romanzo di Luciano Una storia vera viene lanciato, nel primo volo spaziale immaginato dall'uomo, fino ad un'«isola rilucente». La fantasia di Luciano popola la Luna di animali e piante incredibili. Ci sono anche le prime creature dell'orrore, strani uccelli giganteschi con tre teste, spaventosi insetti e così via. In tempi più vicini a noi L'uomo nella Luna, uscito in Inghilterra nel 1638 e scritto dal vescovo Francis Godwin, è più simile ai moderni romanzi di fantascienza giacché l'elemento fantastico è intimamente legato ad una precisa concezione astronomica e il viaggio che vi è descritto è tutto corredato da calcoli e dati scientifici. Un suo collega, il vescovo John Wilkins, inventava addirittura la prima nave spaziale, descrivendola nei suoi racconti. Nello stesso periodo, nel 1684, un italiano, il matematico gesuita Francesco Lana-Terzi progettò a sua volta uno strano tipo di astronave, a bolla di vetro vuota di aria. Cyrano de Bergerac scrisse una Storia comica degli Stati e Imperi della Luna e un'altra storia simile ambientata addirittura sul Sole. In tutto il secolo XVII fiorì questa specie di letteratura dello spazio che da allora in poi trovò un impulso straordinario nel crescente interesse dell'opinione pubblica verso le realizzazioni del progresso tecnologico.
L'interesse veniva spostandosi dalla vicina Luna al più lontano Marte, dai Seleniti ai Marziani; anche in ambienti scientifici c'era chi reputava possibile che Marte fosse abitata da creature intelligenti e grandissimo scalpore sollevarono le descrizioni dei presunti «canali di Marte» fatte nell'Ottocento dall'astronomo italiano Schiapparelli. è appunto nell'Ottocento che si hanno finalmente le prime opere della fantascienza vera e propria, quelle di Wells e Verne. Wells, al pari di Verne ma forse con più acume e verosimiglianza, descrisse con un anticipo di alcuni decenni aerei, battaglie aeree, macchine belliche, città del futuro abbastanza vicine alle moderne megalopoli. Notissimo rimane soprattutto il geniale racconto La macchina del tempo, che inaugurò il vasto filone dei viaggi nel tempo. Per meglio comprendere la natura della moderna fantascienza è necessario rifarsi all'evoluzione del pensiero scientifico contemporaneo. L'universo descritto dalla scienza dell'Ottocento era immutabile e rassicurante nella sua immutabilità. Il nuovo universo einsteniano, invece, appariva mutevole e inafferrabile e, ai più, incomprensibile. Per di più lo sviluppo della tecnologia stava ormai sottraendosi completamente al controllo dell'uomo della strada, e in parte a quello degli stessi scienziati. Dalle stragi e dalle distruzioni della prima guerra mondiale era sorta la convinzione che il progresso tecnologico non avrebbe risolto i problemi dell'umanità. Le contraddizioni del progresso tecnico scientifico vennero espresse in modo popolare con la nascita di una letteratura fantascientifica. Gran parte della fantascienza moderna affronta il problema della distruzione della Terra o della società attuale. Questo tema è antico, lo si può ricollegare addirittura alla letteratura escatologica e apocalittica. Oggi però questo problema è sentito soprattutto come disastro ecologico e come impotenza dell'uomo di fronte alla strapotenza delle macchine. Secondo un filone della fantascienza non esiste possibilità di salvezza per l'umanità; secondo un altro filone dopo la catastrofe e un periodo di barbarie rinasce la possibilità di una vita civile. Di solito la nuova esistenza è posta su basi più giuste, più umane della precedente. Di questo ultimo tipo è il romanzo Il giorno dei Trifidi scritto dall'inglese John Wyndham.

... Sopra il nostro capo girano innumerevoli satelliti che sono armi terribili: alcuni potrebbero portare la distruzione del pianeta con le atomiche, altri seminerebbero virus portatori di spaventose epidemie...

La scienza intanto conduce esperimenti che possono sfuggire al controllo dell'uomo. Un nuovo tipo di pianta, da cui si estraggono ottimi oli, è stata creata in laboratorio: lo chiamano trifido, per le tre estremità che sporgono dal fusto. Un giorno, un aereo che trasporta una cassetta di semi, esplode in volo; i semi vengono sparsi nell'atmosfera, e i venti li trasportano praticamente in tutto il pianeta. Ovunque crescono piante mostruose. I trifidi sono carnivori, dotati di un aculeo velenoso con cui colpiscono gli uomini al capo. Presto si diffonde una notizia incredibile... i trifidi svellono le tre radici dal terreno e le usano come mezzi di locomozione. Vanno a caccia delle vittime! Gli agricoltori li rinchiudono in allevamenti recintati dove vengono sorvegliati. Un giorno tutto il cielo del pianeta viene illuminato fantasmagoricamente da meteore in un verde abbagliante, per l'incontro, dicono gli scienziati, con una nube formata da frammenti di comete. tutti si godono l'incredibile spettacolo...

Ma non sono meteore, sono radiazioni emesse per errore da un satellite.

Il giorno dopo...

La storia continua a grandi linee con i pochi sopravvissuti che fuggono nelle campagne. Qua e là qualche villa, qualche fattoria, vengono ancora difese dall'assalto dei vegetali carnivori semoventi. Si erigono reticolati, e quando vengono abbattuti, si massacrano con i lanciafiamme i trifidi all'attacco, poi si torna a riparare i reticolati...

In attesa di che? Presto termineranno i viveri, già scarseggia il carburante, le macchine arrugginiscono. Anche se si riuscirà ad evitare l'annientamento da parte dei trifidi, la Terra ritornerà alla preistoria? La tecnologia verrà dimenticata, finirà ogni fonte di energia...

Eppure già qualche gruppo di ciechi viene organizzato dai veggenti con l'intento di ricostituire una nuova società. In questo mondo in rovina, sta già riorganizzandosi il Potere. Ma altri non la pensano così. Una colonna di autocarri si dirige verso la costa... Una comunità di uomini liberi si stabilirà sull'isola di Wight, che potrà essere disinfestata dai trifidi. Bisognerà cercare di salvare il sapere del vecchio mondo, istruire i figli, riunire i pochissimi medici, insegnanti, tecnici. Trovare un metodo per sterminare i trifidi, soprattutto. A poco a poco nascerà una nuova civiltà dalle rovine della vecchia. Sta al nuovo uomo decidere come costruire un mondo in cui la scienza non sia un pericolo per l'uomo. Oggi la fantascienza ha perso interesse per i problemi della conquista spaziale e ha acquistato soprattutto un carattere sociologico. Se è possibile pensare ad un universo abitato da altri esseri razionali, come potrebbero essere i rapporti con essi? Nei racconti della prima fantascienza non vi era questo problema: gli abitanti di altri mondi rappresentavano il nemico da combattere o al massimo l'alleato momentaneo. I problemi di fantasociologia si sono a poco a poco affinati. Qualche scrittore ha cominciato a mettere in dubbio, magari con garbata ironia, che se vi sono altre razze nel cosmo, la nostra sia la migliore. Anche all'idea del conflitto tra i mondi si è sostituita l'immagine di un cosmo ordinato e civile dove sono rivolte pacificamente le controversie nel quadro della Confederazione Galattica. Si indica di solito la data di nascita della fantascienza moderna nell'anno 1926, con l'apparizione nelle edicole della rivista «Amazing Stories» (Storie meravigliose). L'anno 1929 segnò una tappa importantissima nello sviluppo di questo genere letterario. La grande depressione economica di quell'anno gettò sul lastrico, con la rovina di molte industrie, un gran numero di tecnici e di scienziati, che per sbarcare il lunario, si misero a collaborare alle riviste di fantascienza, immettendo nel genere le proprie conoscenze scientifiche e tecniche. Dagli USA la fantascienza si diffuse quasi dovunque nel mondo; sebbene la supremazia appartenga sempre alla corrente nordamericana, soprattutto per la quantità della produzione, ma anche per merito di scrittori prestigiosi, tuttavia si sono affermate altre correnti con caratteristiche proprie. Gli orrori del nazi-fascismo, la loro stessa cupa irrazionalità, le teorie della super-razza, i campi di sterminio, la persecuzione contro la cultura ed il rogo dei libri, lo scoppio della bomba atomica contribuirono alla diffusione di teorie pessimistiche, critiche sulla possibilità dell'uomo di creare un mondo pacifico e sereno. Questi motivi sono tutti confluiti nella fantasociologia, ossia nella fantascienza sociologica; un classico di questo indirizzo è 1984 dello scrittore inglese George Orwell che immagina uno strano futuro (il libro è del 1949) dove i sudditi sono scientificamente controllati nei loro pensieri e nelle loro azioni. Nella fantasociologia c'è spesso la visione di un futuro pianeta o di futuri pianeti altamente tecnicizzati, fatti di immense e faraoniche megalopoli rigurgitanti di macchine straordinarie, alimentate da mostruose energie, con tutti gli armamentari cari alla fantatecnologia, dai videofoni e dalle pareti televisive tridimensionali, a sistemi antigravitazionali di trasporto, ai tubi teletrasportanti, ecc. Ma c'è soprattutto la visione pessimistica di società rigidamente gerarchizzate con dittature e teocrazie. C'è infine la visione di una possibile, faticosa rinascita di una umanità più pacifica e più giusta sulle rovine della precedente società distrutta da qualche immane catastrofe naturale o sociale. Tra le guerre mondiali si diffuse il gusto delle avventure spaziali. Le avventure avevano spesso come protagonista un eroe atletico, di razza bianca sempre in lotta contro mostri, umanoidi, esseri sleali e ripugnanti che rappresentavano il male, spesso rappresentati con i connotati delle razze extraeuropee. Nei fumetti dell'epoca questo tipo di eroe si impersonò soprattutto in Superman, Flash Gordon e Jeff Hawke, questi ultimi creati dall'inglese Alex Raymond negli anni Trenta. Per una panoramica della filmografia dedicata all'argomento fantascientifico, si rimanda alla sezione dedicata ai mass media e al cinema in particolare.

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