ITINERARI - PAROLE E IMMAGINI - LE ARTI FIGURATIVE - IL MEDIO EVO E IL RINASCIMENTO

IL MEDIO EVO

La scultura romanica si pone in stretto rapporto con l'architettura formando una unità inscindibile, in modo tale che spesso risulta difficile distinguere gli elementi semplicemente decorativi da quelli di arte pura là dove tutte le immagini, anche quelle umane adempiono ad una funzione ornamentale. Nello stesso tempo ne valorizza i punti rilevanti (capitelli, portali, architravi, ecc.).
Lo spazio figurativo romanico è compresso e costruito sostanzialmente dalle stesse figure lasciando raramente spazi vuoti tra queste: gli oggetti che vi sono inseriti hanno sempre un rimando e un significato simbolico preciso. Questo intellettualismo è da mettere in relazione con la diffusione degli ordini monastici e principalmente di quello benedettino. I conventi furono laboratori per le arti: dalla miniatura, in special modo, alla scultura e all'elaborazione di nuove tecniche per la pittura (è probabile che la pittura ad olio abbia avuto origine proprio in un convento: fu Teofilo, un ecclesiastico del XII secolo, a compilare il primo trattato sistematico medievale sulle tecniche artistiche).
Tra i temi più frequentemente raffigurati c'è il Giudizio Universale: quello della cattedrale di Saint-Lazare propone una teoria di figure di santi, di angeli, di demoni e di dannati intorno alla figura centrale del Cristo che divide il bene dal male. In basso le figure dei santi e dei dannati sorreggono la composizione e fanno da fregio alla cornice. è evidente la gerarchizzazione delle varie scene, dal Cristo ai santi, non usata in senso prospettico ma per una necessità di amplificazione concreta delle figure più importanti.
L'arte romanica proponeva una lettura a più livelli: l'evidenza dell'immagine, la narrazione e la sua funzione spesso decorativa erano comprensibili a tutti, come era comprensibile ai più la simbologia elementare dei colori e degli attributi principali mentre rimaneva spesso nascosta la concettuosità e l'allegoria teologica e filosofica della rappresentazione.
Pur essendo ancora legate alla cultura romanica nel permanere dei simboli che distinguono le varie figure dei santi e nella necessaria deformazione lungo la verticale che segna il ritmo delle nervature, le statue-colonne della cattedrale di Chartres si presentano tuttavia quasi totalmente libere dalle imposizioni architettoniche nel loro rilievo a tutto tondo che accompagna lo sviluppo ascensionale del portale. Inoltre, sono già caratterizzate individualmente nella descrizione dei tratti somatici del viso: elemento naturalistico che li allontana dal concettualismo simbolico delle rappresentazioni romaniche.
Mentre nella scultura romanica i corpi e la realtà venivano deformati per esprimere idee e concetti sui mondi ultraterreni, l'interesse per una rappresentazione del reale, priva di quei significati simbolici che la trasformavano, risulta sempre crescente. Nel Banchetto di Erode gli attori del dramma sono rappresentati naturalisticamente. Gli archi del loggiato scandiscono il continuo narrativo, determinano una sequenza temporale che non influisce sull'unità della scena: qui momenti diversi sono compresenti in una sorta di sequenza fotografica che lo spettatore è chiamato a ricostruire mentalmente La drammaticità della rappresentazione è stemperata dalla presenza stessa degli altri personaggi che poco sembrano curarsi del Battista e più del giocoliere: un equilibrio ed una ambiguità tra virtù mondane e spirituali.

Nei cicli degli affreschi, Giotto (1267 ca. - 1337) dà ad ogni elemento della composizione il suo valore e la sua importanza: attraverso il colore (che veniva da lui steso partendo dal colore puro e poi gradualmente schiarito sino ad arrivare alla massima luminosità, al bianco della luce più intensa) costruisce le masse delle figure, connotandole cromaticamente secondo una metrica e un ritmo che alterna colori caldi a colori freddi; attraverso il paesaggio e le architetture dipinte dà risalto e accentua la drammaticità degli eventi. Infine attraverso la composizione stessa delle figure le pone in relazione con lo spazio secondo precise scelte funzionali. Impostazione, questa, che trascende da una pura descrizione naturalistica o simbolica della realtà per costruire, al contrario, una serie di notazioni più concretamente psicologiche.
Nel Compianto sul Cristo Morto il dramma è costruito seguendo la diagonale delle rocce del paesaggio e del progressivo discendere delle figure verso il punto di massima tensione: la figura cupa della Madonna. Le due figure simmetriche ai piedi del Cristo e i due blocchi di figure delle donne piangenti e degli Apostoli accentuano il momento di partecipazione disperata all'evento della figura di San Giovanni che, con le braccia aperte si protende in avanti. Ancora: sulla verticale del Cristo si crea un drammatico vuoto che in qualche modo amplifica il senso di angoscia degli astanti.
Giotto dimostra di saper inserire le sue scene all'interno di una prospettiva elementare (perché non ancora basata su leggi scientifiche) ma efficace, rimpicciolendo gli oggetti man mano che questi si allontanano dal piano principale dell'azione. è noto come egli realizzasse i suoi affreschi facendosi aiutare da numerosi allievi e collaboratori più anziani che eseguivano spesso quasi completamente il dipinto, riservando al maestro le parti più importanti in una organizzazione del lavoro a metà strada tra il cantiere e la bottega. Era quindi consapevole dell'importanza dell'idea rispetto all'esecuzione e pertanto spesso si limitava a fornire il disegno affidando per intero l'esecuzione ai suoi allievi.
Giotto: "Compianto sul Cristo morto" (1304-1306)


Pur essendo consapevole della portata dell'opera di Giotto, Simone Martini (1284 ca. - 1344) elabora una propria linea poetica che, partendo dalla cultura figurativa bizantina sviluppa un ideale aulico e raffinato.
Nell'Annunciazione le figure sono situate in uno spazio prospettico semplificato che ha origine in Giotto; tuttavia questo spazio è indefinito, astratto, spirituale: i fiori, le stoffe, gli oggetti sono elementi idealizzati di questo spazio. Paradossalmente l'architettura che racchiude la scena è reale, tridimensionale, un oggetto, la cornice, che accentua quella dimensione decorativa che già traspariva dal dipinto e nello stesso tempo quella dimensione ambigua, tra celeste e terrena propria della cultura figurativa del Gotico internazionale del quale Simone Martini è in qualche modo l'iniziatore. Il carattere irrealistico, bidimensionale della figurazione è accentuato dallo sviluppo dell'immagine attraverso il ritmo di una linea astratta.
Simone Martini: "Annunciazione" (1333)


L'esperienza del Gotico internazionale viene portata a compimento e superata da Jan van Eyck (1390-1441), pittore fiammingo attivo sino alla metà del XV secolo.
Nel polittico dell'Agnello Mistico egli interpreta la nuova visione della realtà in maniera essenzialmente analitica e descrittiva. La sua visione si colloca in uno spazio costruito non scientificamente secondo le nuove leggi della prospettiva rinascimentale italiana che determineranno successivamente uno spazio senza errori ma astratto, ma psicologicamente secondo una gerarchizzazione spaziale e ottica di origine gotica (Giotto) che coinvolge all'interno lo stesso pittore e di conseguenza l'osservatore. Non a caso egli si firma Johannes de Eych fuit hic «fu qui» nel ritratto dei Coniugi Arnolfini (1434) a dimostrare il suo essere presente all'azione e il non delimitare lo spazio al piano bidimensionale del quadro.
La descrizione minuziosa di oggetti, alberi, fiori, ecc., costruisce una realtà in apparenza concreta ma ricca di oggetti-simbolo e di elementi compositivi e spaziali che si fondono in una complessa opera intellettuale: la marcata simmetria che riconduce, come già nei polittici medievali, alla perfezione divina, le sette cannelle della fontana della vita, la presenza emblematica dei diversi personaggi che fanno corona e convergono tutti verso il fulcro della composizione: L'Agnello sacrificale. Questo dipinto così impregnato di spiritualità trova però nei due pannelli anteriori, nella medesima scala, le figure della Madonna e dell'Angelo e quelle dei due committenti contravvenendo alle rigide regole gerarchiche del Gotico che voleva ogni figura di grandezza uguale alla sua importanza.
I tagli dei pannelli delimitano particolari situazioni spaziali o narrative tanto che ogni singolo pannello può essere letto singolarmente o come parte del tutto.
Anche nel colore van Eyck prosegue in quella ricerca di raffinatezza che già abbiamo visto nell'arte tardo-gotica: per ottenere stesure più luminose e trasparenti egli adopera, tra i primi, la tecnica dei colori mescolati con olio e resine: molto più brillanti e più duttili dei colori a tempera.
Jan van Eyck: "Adorazione dell'Agnello mistico" (part.)


IL CANTIERE DELLE CATTEDRALI

La realizzazione delle cattedrali medievali richiedeva parecchi anni o addirittura secoli, per cui era necessario costruire accanto all'edificio in costruzione i baraccamenti destinati ad ospitare le maestranze.
Il cantiere dipendeva completamente dal capomastro, maestro riconosciuto ed eletto, che agiva spesso nella duplice funzione di architetto e di muratore, coordinando l'attività degli scalpellini e dei tagliatori di pietra (lapicidi), dei lavoratori e degli apprendisti, in modo da assicurare fino al completamento dell'opera l'unità formale tra le diverse parti dell'edificio e tra l'architettura e il modellato plastico.
Gli spostamenti da un cantiere all'altro di molte corporazioni (gruppi e associazioni) di scalpellini e di lapicidi rese possibile, nello stesso tempo, una maggiore diffusione di informazioni e di stimoli culturali rispetto allo statico ambiente del convento.
Tra questi primi gruppi di artisti e artigiani nomadi ricordiamo quello risalente all'epoca longobarda (VII secolo d.C.) dei maestri Comacini, originari di Como, protagonisti dell'affermarsi del primo romanico in Italia e fuori d'Italia. Dalla valle d'Intelvi, tra Como e Lugano, proveniva invece la corporazione dei maestri Antelami che operarono in Italia a partire dall'anno Mille e furono successivamente tra i maggiori artefici del gotico in Italia. Provvedimenti e leggi salvaguardavano il loro operato: godevano infatti di diritti e privilegi che gli consentivano di spostarsi liberamente da una città all'altra e di non pagare dazi e gabelle quando prelevavano sabbia dai fiumi per la calce o marmo e pietre dalle cave per le opere murarie e per le sculture. Nella costruzione di edifici così complessi si rendeva necessaria un'organizzazione altrettanto complessa e funzionale e la massima specializzazione: il lapicida si occupava della lavorazione delle pietre che, prelevate dalle cave, venivano da questo tagliate e sgrossate in edifici coperti accanto al cantiere, mentre il muratore si occupava della messa in opera dei conci di pietra con la calce e di predisporre le impalcature necessarie alla costruzione del muro.
Le sculture e le decorazioni in pietra venivano realizzate nel cantiere stesso in veri e propri atelier artistici e successivamente collocate al loro posto nell'edificio.

IL RINASCIMENTO ITALIANO

Alla rappresentazione ciclica del mondo gotico si sostituisce la visione unitaria, centrale e simultanea del Rinascimento ispirata ad una interpretazione realistica e razionale del mondo e ad un marcato interesse per il naturalismo.

BRUNELLESCHI

è Filippo Brunelleschi (1377-1446) che elabora e codifica un metodo di misurazione dello spazio scientificamente esatto, ma tuttavia astratto, attraverso le leggi della visione prospettica; metodo di cui si servirà per creare architetture a misura d'uomo in cui ciascuna parte possa risultare armonicamente proporzionata al tutto.
Della sua attività di scultore si ricordano pochissime opere: soprattutto il concorso, non andato a buon fine, per le formelle bronzee delle porte del Battistero di Firenze (1401) che lo aveva portato ad interpretare il tema classico del Sacrificio di Isacco in maniera dinamica e non canonica, in contrasto con l'interpretazione più convenzionale del Ghiberti.
La riscoperta del mondo classico è l'altra dominante del Quattrocento italiano: lo stesso Brunelleschi intraprendeva, subito dopo il concorso, alcuni viaggi a Roma insieme all'amico Donatello per studiare i monumenti dell'antichità. Dedicatosi poi esclusivamente all'architettura (Santa Maria in Fiore, Ospedale degli Innocenti) solo nel 1420 per dimostrare a Donatello -secondo la tradizione - come doveva essere il corpo di un Cristo, tornò a scolpire. Il suo Crocifisso ligneo evidenzia la sua acquisita cultura classica, volta, però, ad una interpretazione più naturalistica, e quasi verista, della realtà.
Qui il corpo umano viene costruito come un sistema di linee - forza in tensione in cui vengono evidenziati i fasci nervosi e muscolari accentuati dalle innaturali torsioni degli arti cui era costretto il corpo del Cristo.

DONATELLO

Donatello, (1386-1446) di qualche anno più giovane di Brunelleschi, condivise con questo la passione per il mondo classico che interpretò come continuità con il mondo gotico nell'andamento ancora flessuoso della linea. Nella ricerca di una certa severità statica ci ricorda, invece, la statuaria romana di cui interpreta anche certi effetti veristici che ne caratterizzavano la ritrattistica, estremamente mossa nel modellato.
Apprese ed applicò anch'egli il metodo prospettico soprattutto nelle numerose formelle bronzee in cui si servì della tecnica dello stiacciato: bassorilievo estremamente sottile in cui la profondità reale è resa attraverso un illusorio gioco di ombre e linee prospettiche.
Il monumento equestre al Gattamelata è ispirato alla statua del Marco Aurelio: uno dei modelli forse più anticlassici, pittorici e meno aulici della statuaria celebrativa del mondo antico.
Donatello riprende la tensione classica dei monumenti dell'antichità, infondendogli una calma eroica ancora forse celebrativa, ricondotta al presente dall'abbondanza dei dettagli (i finimenti del cavallo, gli speroni, la spada, l'armatura) e dal ritratto naturalistico fermato in un momento di meditazione e di malinconica tensione.

MASACCIO

Masaccio (1401-1428) è il terzo interprete e innovatore fiorentino della tradizione classica rivista attraverso i nuovi modelli culturali. Nell'affresco della Trinità (1424 ca.) in Santa Maria Novella applica le leggi scientifiche della prospettiva alla struttura architettonica dipinta secondo uno spazio illusorio; spazio scenico classico all'interno del quale avviene la rappresentazione in piani successivi: i committenti in primo piano, all'esterno dell'ideale cappella in cui è rappresentata la crocifissione.
L'estrema riduzione e severità degli elementi figurativi e spaziali della pittura di Masaccio è evidente negli affreschi del ciclo delle Storie di san Pietro eseguite nella cappella Brancacci a Firenze. L'episodio del Tributo, misurato e scandito dalle figure, è improntato ad un naturalismo monumentale ma semplice, teso alla chiarezza dei rapporti spaziali. Si sviluppa in tre momenti distinti: apparentemente in maniera simile a quanto avveniva nelle scene additive di epoca gotica, discostandosi però decisamente per la predominanza della figura del Cristo, centro dello spazio prospettico complessivo, e per l'unità, architettonica e spaziale, dello spazio scenico. I tre episodi non sono spezzati e giustapposti ma costruiti intorno all'addensarsi o ritrarsi delle figure o attraverso situazioni ambientali differenziate, sempre però all'interno di uno spazio prospettico unitario.

PIERO DELLA FRANCESCA

In Piero della Francesca (1415-1492) l'indagine dello spazio prospettico e della ricerca dei rapporti armonici si fa elemento determinante della struttura compositiva del quadro e di misurazione «mentale» della realtà; le leggi prospettiche e matematiche conducono l'artista a costruire uno spazio analogo alla realtà, astratto e ideale, determinato aprioristicamente e dogmatico, quasi un riflesso della perfezione armonica del creato.
Nella Flagellazione del Cristo lo spazio è rigidamente suddiviso secondo le proporzioni della sezione aurea in due settori segnati precisamente sia dall'architettura che dalla disposizione delle figure che qui sembrano assumere anch'esse la stessa fissità della struttura architettonica dello spazio che li circonda e, nello stesso tempo, sono elementi di misura del quadro stesso. La sensazione di spazio cristallizzato ed immobile, accentuata dalla costruzione ideale ed astratta del quadro e dalla presenza anacronistica delle tre figure in primo piano, toglie qualsiasi drammaticità e violenza alla scena che viene analizzata con un senso di distacco, quasi uno spazio della memoria e del ricordo.
Piero della Francesca: "Flagellazione" (1450-1460)


SANDRO BOTTICELLI

Se Piero della Francesca costruisce uno spazio preciso, dogmatico, in cui l'uomo è unità di misura, Sandro Botticelli (1445-1510) dà una visione raffinata ed intellettualistica della realtà vista attraverso simboli e allegorie facendosi nel contempo interprete profondo della tradizione.
Nella Primavera lo spazio in cui agiscono le figure, seppure descritto naturalisticamente, sembra negare ogni profondità prospettica, costretto tra il piano frontale e quello della cortina di alberi immediatamente retrostanti: le figure si dispiegano sulla superficie del quadro con un ritmo armonico e fluido in uno spazio che prende forma attraverso notazioni psicologiche; le ombre non sono determinate in modo naturalistico; i profili lineari, che delimitano e chiudono le figure, non sono realistici; i colori (verde-rosso) scandiscono ritmicamente la scena.
Il significato preciso del quadro non ci è noto: si pensa possa essere una descrizione del regno di Venere oppure un'allegoria dei dodici mesi (considerando che gli antichi non rappresentavano i quattro mesi invernali).
Sandro Botticelli: "La primavera" (1478 ca.)


LA SCULTURA IN METALLO

Sino alla metà del I millennio a.C. la tecnica della fusione e colatura del metallo entro stampi fu impiegata solo per piccole sculture, mentre per opere di dimensioni maggiori si ricorreva alla tecnica del martellamento delle lamine inchiodate su una intelaiatura di legno. In questo caso si procedeva a sbalzo, cioè modellando a rilievo la superficie interna con dei punzoni, oppure intervenendo sulla superficie esterna facendo aderire la lamina con un martello ad un modello di materiale duro. Le lamine venivano poi fissate ad un'anima di legno rivestita di bitume mediante chiodi di bronzo o di rame, in modo che aderissero perfettamente, e quindi rifinite a cesello.
La fusione in bronzo, a cera perduta anche per le statue di maggiori dimensioni, sostituì a partire dal Vi secolo a.C. quella delle lamine, troppo complessa.
La scultura in metallo permette maggiore libertà e minori vincoli di quella in pietra che ha sempre bisogno di puntelli per sorreggere le parti più sporgenti e di una superficie di appoggio maggiore.
Per prima cosa si realizzava un modello di cera su un nucleo di argilla rinforzato da un'armatura in ferro. Si ricopriva quindi il modello con uno strato di terra (forma) e l'intera massa veniva cotta in forno: la cera defluiva attraverso appositi canali lasciando così libera un'intercapedine che veniva successivamente riempita dal getto del metallo fuso. Altri canali e sfiatatoi precedentemente disposti nella forma servivano per eliminare il vapore di fusione che altrimenti con la sua pressione avrebbe spaccato la forma stessa.

LA BOTTEGA RINASCIMENTALE

La numerosa e qualitativamente rilevante produzione artistica rinascimentale si deve soprattutto al diffondersi dell'istituzione della bottega laboratorio in cui chiunque desiderasse intraprendere il mestiere dell'artista doveva svolgere diversi anni di apprendistato.
Il giovane (spesso ancora un bambino) cominciava gradatamente ad imparare i segreti secondo un metodo di pratica artigianale che considerava anche la conservazione e la «durata» nel tempo dei manufatti: macinando i colori, preparando i supporti per i dipinti (tele o tavole), pulendo i pennelli egli apprendeva le prime regole. Successivamente gli era concesso di riportare le composizioni dal cartone eseguito dal maestro, al quadro e quindi di eseguire i panneggi o le parti delle figure ritenute secondarie.
è noto l'episodio secondo il quale il Verrocchio che aveva a bottega il giovane Leonardo, decise di dedicarsi esclusivamente alla scultura dopo aver visto una testa di angelo dipinta dall'allievo per il suo Battesimo di Cristo: verosimilmente, in uno spirito di bottega, lascia a Leonardo le commissioni di pittura, avendone saggiato le capacità.
L'ultimo passo prima dell'acquisita indipendenza, era infatti l'esecuzione dell'opera intera di cui il maestro forniva solo qualche disegno.
Nella bottega non si eseguivano solo pale d'altare, dipinti o sculture ma anche tutti quegli oggetti che comunque facevano parte della sua cultura e della sua matrice artigianale: stemmi, bandiere, insegne, intarsi di legno, modelli per tappezzieri e ricamatori, decorazioni per feste. Donatello aveva iniziato l'apprendistato in una bottega di oreficeria, Benvenuto Cellini continua anche in seguito l'attività di orafo e cesellatore, l'eclettismo e la versatilità di Leonardo ha forse una sua origine nella variegata pratica di bottega. Interessi così diversi e molteplici fanno spesso assumere alla bottega il carattere di laboratori semi industriali dove ciascuno ha il suo compito specifico ed in cui il maestro-padrone diventa solo un abile impresario.
Solo nel Cinquecento l'artista abbandona in parte la produzione artigianale per assumere un ruolo prevalentemente intellettuale, svincolandosi dalle leggi delle Corporazioni a cui dovevano essere iscritti tutti gli artisti (ed artigiani) per esercitare il mestiere ed a cui potevano accedere solo dopo aver compiuto i prescritti sette anni di tirocinio in una bottega.

 

 

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