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Itinerari Parole e Immagini La Letteratura Greca

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LE ORIGINI E L'ETÀ ARCAICA (VIII-VI secolo a.C.)

Le più antiche civiltà fiorite nell'area egea e greca non hanno lasciato alcuna traccia di una loro espressione letteraria. Della cultura egeo-cretese o minoica sopravvivono soltanto i resti archeologici, le rovine dei grandi palazzi con affreschi parietali e ceramica decorata, e inoltre documenti scritti nella cosiddetta «lineare A», tuttora indecifrabili. La civiltà micenea, sviluppatasi nella Grecia vera e propria è testimoniata da resti di dimore e di tombe, da oggetti d'oro e d'argento, dalla ceramica e inoltre dalle tavolette iscritte nella cosiddetta «lineare B» e in lingua greca: manca qualunque accenno all'esercizio di attività letterarie nell'ambito del palazzo regio; eppure nell'Odissea è più volte ricordata la figura dell'aedo, che nella cerchia degli artigiani gode di particolare stima. Si può supporre l'esistenza nel mondo miceneo di una poesia orale, legata alla musica della cetra e coltivata presso le regge ed i templi nella forma di canti di corte o cultuali: da questa, forse sopravvissuta attraverso il Medio Evo ellenico nei racconti popolari o nelle memorie dei santuari, trae ispirazione e materia la poesia arcaica. Allusioni ricorrenti nell'Iliade e nell'Odissea mostrano gli antichi cantori, che in occasione di pubbliche ricorrenze e soprattutto di festività religiose, durante le manifestazioni legate al culto o negli agoni, (gare di recitazione poetica), recitano o cantano per ispirazione divina, accompagnandosi con la cetra, all'inizio improvvisando, poi seguendo gli schemi ed i dettami di una sempre più perfezionata tecnica aedica (da aoidé = «canto»). Si crea una «poesia d'occasione», sostanziata di mito, tramandata di generazione in generazione nell'ambito di una stessa famiglia o praticata da specie di corporazioni professionali, tra cui in particolare è nota quella antica degli Omeridi di Chio. Tale poesia orale, elaborata soprattutto in ambiente ionico, usa vocaboli esotici, il verso esametro, espressioni arcaiche accanto ad altre più evolute. Si forma una tradizione epica a cui si ricollegano i due grandi poemi dell'Iliade e dell'Odissea, attribuiti dagli antichi ad Omero, il poeta forse mai esistito, che gli Omeridi di Chio vantavano come loro capostipite ed eponimo. Si colloca ipoteticamente tra la fine dell'VIII e l'inizio del VII secolo a.C. Ia prima personalità definita della letteratura greca: Esiodo, nelle cui opere cosmogonia e teogonia si fondono insieme. Dalla poesia orale, dal canto di brevissimi carmi accolti negli stessi poemi omerici nella forma di preghiere agli dei o di lamentazioni funebri dagli accenti lirici, deriva anche un nuovo genere di poesia, che conosce una grande fioritura nei secoli VII e VI a.C. Pur legandosi alla tradizione aedica, questo nuovo genere risente di un forte spirito di rinnovamento, connesso con il processo di evoluzione dell'intera società greca. Le grandi trasformazioni politiche, economiche e sociali, che segnano l'avvento delle poleis, o città-Stato, ed il confronto tra le classi sociali contrapposte dell'aristocrazia e del popolo, determinano un vasto movimento colonizzatore, verso Oriente sulle sponde dell'Egeo settentrionale e del Ponto Eusino, verso Occidente sulle coste dell'Italia meridionale e della Sicilia: quali effetti dell'emigrazione, si rinnovano i contatti e gli scambi culturali. Dalla Frigia e dalla Lidia si importa la musica del flauto (aulós). La nuova poesia, legata indissolubilmente alla musica, è definita come «lirica», termine che deve essere inteso nel significato antico e tecnico (di origine alessandrina) di «canto accompagnato dalla lira». Essa comprende diverse forme di poesia: quella propriamente lirica o melica (da mélos = «canto»), quella elegiaca, giambica e trocaica. Appartengono alla leggenda i più antichi poeti, ricordati dalla tradizione antica con nomi mitologici: Orfeo, Lino, Museo, Eumolpo; un qualche spessore hanno le figure di Terpandro di Antissa (nell'isola di Lesbo), di Taleta di Gortina (nell'isola di Creta), di Arione di Metimno (nell'isola di Lesbo); i maggiori esponenti della melica monodica sono Alceo di Mitilene (nell'isola di Lesbo), Saffo di Ereso (nell'isola di Lesbo) e Anacreonte di Teo (nella Ionia), della melica corale Alcmane forse di Sparta, Stesicoro di Matauro (nella Magna Grecia), Ibico di Reggio, Simonide di Iuli (nell'isola di Ceo). L'elegia, il giambo ed il trocheo sono composizioni poetiche, che traggono il nome dal diverso metro usato. Esprimono contenuti simili in un comune dialetto ionico, sono recitate e non cantate; l'elegia si accompagna talora al suono del flauto. Tra i poeti elegiaci si ricordano: Tirteo di Sparta, Callino di Efeso (nella Ionia), Solone di Atene, Mimnermo di Colofone (nella Ionia), Focilide di Mileto (nella Ionia), Teognide di Megara, Senofane di Colofone (nella Ionia); tra i poeti giambici, Archiloco di Paro (nelle Cicladi), Semonide di Amorgo (nelle Cicladi), Ipponatte di Efeso. Nel corso del VI secolo a.C. si afferma nella Ionia asiatica, di vivace e progredita cultura, l'uso della prosa letteraria: logopoioi (poi anche logografoi) sono detti i più antichi scrittori di prosa, distinti dagli epopoioi o poeti epici. Sorgono e si sviluppano generi letterari diversi: la scienza e la filosofia, la geografia e la storia, la favolistica. L'indagine geografica ed etnografica si concretizza in particolare nell'opera di Ecateo di Mileto (560 ca. - 490 a.C.), il quale può essere considerato anche il fondatore della storia per il suo tentativo di investigare razionalmente il mito, riducendone i contenuti a fatti verisimili: «Io scrivo queste cose come a me paiono essere vere; poiché molti e ridicoli, a quanto mi sembra sono i racconti dei Greci». La favola propone il racconto di episodi della vita degli animali in chiave etica, con una morale semplice e piana: tale forma narrativa, le cui origini si perdono nella primitiva sapienza dei popoli, si esprime nelle narrazioni di Esopo, un personaggio leggendario collocato cronologicamente dalla tradizione nel VI secolo a.C. Le favole di Esopo sono pervenute raccolte in un corpus, rielaborate e redatte in una stesura tarda. L'interesse scientifico e filosofico si rivolge al mondo della natura, alla ricerca di un ordine razionale che si spinge oltre l'esperienza verso un ideale di simmetria geometrica: i primi pensatori, Talete, Anassimandro e Anassimene, originari di Mileto (nella Ionia), si pongono il problema dell'origine e della causa di tutte le cose, additando in elementi diversi, rispettivamente nell'acqua, nell'aria, la materia primordiale da cui deriverebbe l'universo; un altro filosofo, Pitagora di Samo, fonda nella Magna Grecia circoli politico-religiosi in cui si elaborano due ideali, quello della vita ascetica in funzione della teoria della metempsicosi o reincarnazione dell'anima e quello della ricerca fisico-matematica dell'universo. Dei loro scritti sono rimasti solo frammenti che non permettono un giudizio letterario anche se alcune frasi sono particolarmente suggestive.

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LA POESIA MELICA

La poesia melica è distinta in monodica (canto ad una sola voce) o corale (canto a più voci) e assume denominazioni diverse a seconda delle circostanze esterne a cui si lega ed in cui si esprime: gli inni ed i nomi cantano coralmente le gesta di dei ed eroi, nel corso di cerimonie pubbliche e private; il peana è un canto in onore di Apollo, il ditirambo in onore di Dionisio; i prosodi sono cantati nelle processioni; i parteni sono cori femminili; gli ipochemi sono accompagnati da danze; gli imenei e gli epitalami sono canti di nozze; gli epinici celebrano i vincitori degli agoni; gli encomi sono composizioni di lode; gli scoli sono canti dei banchetti; gli epicedi ed i treni sono composizioni funebri.

ESIODO

Incerta è l'epoca in cui Esiodo visse: si attribuisce la sua opera al periodo tra la fine dell'VIII e l'inizio del VII secolo a.C. Apparteneva ad una famiglia originaria dell'eolica Cuma (in Asia Minore): il padre era emigrato ad Ascra, un villaggio presso il monte Elicona (in Beozia). Alla morte del padre, Esiodo si trovò in contrasto con il fratello Perse, che lo defraudò di una parte dell'eredità con la connivenza di giudici corrotti: la lite con Perse segnò profondamente la vita di Esiodo e gli offrì insieme materia di riflessione e spunto per la sua attività letteraria. Esiodo divenne rapsodo di professione o aedo errante: a Calcide (in Eubea) vinse una gara poetica nel corso dei giochi funebri in onore di Anfidamante. Morì probabilmente ad Ascra in circostanze oscure, variamente colorite ed alterate dalla leggenda.

Gli antichi attribuivano ad Esiodo più opere: a noi sono pervenute la Teogonia, le Opere e lo Scudo di Eracle; di queste opere, si considerano sicuramente esiodee, soltanto la Teogonia e le Opere.

Nella Teogonia, un poema in 1022 versi, Esiodo compone insieme una cosmogonia ed una teogonia (= «origine degli dei»); è ispirato da una concezione panteistica, in cui mescola gli dei tradizionali alle astrazioni dei fenomeni umani e crede che l'universo sia il risultato di una dura conquista attraverso il succedersi delle generazioni divine.

Nelle Opere (tale è forse il titolo originario, poi ampliato in Opere e Giorni), un poema di 828 versi, il poeta, dopo un'invocazione alle Muse, ammonisce ed esorta il fratello ad essere giusto e a lavorare: i due consigli. che assurgono a norme universali, sono strettamente connessi ed anzi si riducono ad uno solo, perché per Esiodo soltanto chi lavora può essere giusto.

La poesia di Esiodo è indubbiamente originale, nel contesto della letteratura greca. Egli mostra istanze morali ignote ad Omero: mentre questi canta le grandi gesta di guerrieri eroici, Esiodo si rivolge al mondo degli dei per cercarvi la giustizia; inoltre attinge alla sua quotidiana esperienza e si interessa al presente con immediatezza e senso del concreto, credendo nell'onestà e nel lavoro; vuol giovare ed insegnare agli altri, anche se indulge al pessimismo.

IL PERIODO ATTICO (V-IV secolo a.C.)

Il V secolo a.C. segna nel mondo greco la supremazia di Atene, che si afferma in campo politico, spirituale, culturale. Mentre la città di Pericle si abbellisce di splendide opere architettoniche, come il Partenone, l'attività letteraria è dominata dallo spirito attico, che tuttavia si rivolge a tutto il mondo greco in una prospettiva panellenica. Atene diventa «la scuola dell'Ellade», come la definisce lo storico Tucidide. Soltanto verso la fine del secolo, al termine dell'estenuante guerra del Peloponneso e dopo l'avvento della demagogia, l'equilibrio interno della città sembra spezzarsi: la società subisce l'azione di forze disgregatrici, nella contrapposizione tra un passato ideale ed un presente che rompe con la tradizione in nome dell'individualismo.

Nella lirica corale si distinguono in particolare Pindaro di Cinocefale (presso Tebe: 522 o 518-438 a.C.) e Bacchilide di Iuli (nell'isola di Ceo nelle Cicladi: 507 ca. - 428 ca. a.C.); non mancano altri poeti minori, che però annullano la poesia nella musica, riducendo il valore delle parole e dei versi ad una pura funzione fonica.

La tragedia ha nel mondo greco origini complesse e discusse: Erodoto accenna ai «cori tragici», che cantavano nella città di Sicione le pene dell'eroe argivo Adrasto e che il tiranno Clistene, in odio ad Argo, dedicò a Dionisio. Lo storico ricorda poi, seppure oscuramente, le innovazioni che Arione avrebbe apportato al ditirambo, il canto in onore di Dioniso, durante il suo soggiorno a Corinto. Aristotele, nella Poetica, afferma che la tragedia ha origine «da quelli che cantavano il ditirambo» e si sviluppa dal dramma satiresco. Un'altra spiegazione fa derivare la tragedia dal culto degli eroi, collegandola con le danze in onore di morti illustri e divinizzati.

Poco chiaro è d'altra parte il termine stesso di tragoidía, in cui si distingue la voce tràgos, che significa «capro»: questa pare alludere al ruolo dell'animale nella religiosità greca e nelle cerimonie sacre e all'uso antico di assegnare il capro come premio negli agoni di poesia corale.

Pisistrato tiranno di Atene intorno al 534 a.C. indisse secondo la tradizione il primo agone tragico, vinto da Tespi.

Le rappresentazioni tragiche avevano luogo in occasione delle feste dionisiache: furono introdotte dapprima durante le Grandi Dionisie o Dionisie urbane, che si svolgevano ad Atene al principio della primavera, tra marzo e aprile; poi furono date anche nelle Lenee, le feste delle Baccanti, celebrate fra gennaio e febbraio; infine furono talvolta replicate nel corso delle Piccole Dionisie o Dionisie rurali, in date diverse fra dicembre e gennaio. Lo Stato curava l'allestimento degli agoni drammatici, imponendo la liturgia o servizio pubblico ai cittadini ricchi in grado di sostenerne le spese: questi erano detti «coreghi». I magistrati sceglievano i coreghi ed i poeti tragici, che dovevano presentare ciascuno una tetralogia, composta da tre tragedie e da un dramma satiresco. Al termine delle rappresentazioni una giuria costituita da dieci cittadini estratti a sorte formulavano un giudizio e consegnavano al poeta vincitore come premio una corona di edera; il corego vittorioso offriva un ex-voto a Dioniso.

I primi poeti tragici furono, dopo Tespi e Cherilo di Atene, Pratina di Fliunte (540 ca. - 470 ca. a.C.) e Frinico di Atene; i più grandi e famosi Eschilo di Eleusi (presso Atene: 525/24-456/55 a.C.), Sofocle di Atene (497 ca. - 406 ca. a.C.), Euripide forse di Salamina (480-406 a.C.).

Il dramma satiresco è definito una «tragedia scherzosa»: ripropone infatti la stessa struttura dell'azione tragica, in cui inserisce scene comiche e motivi giocosi e grotteschi e un coro composto da satiri guidati da Sileno. La tradizione attribuisce a Pratina di Fliunte l'invenzione del dramma satiresco, che compare in ambiente ateniese rappresentato negli agoni scenici, insieme con le trilogie tragiche, ed è coltivato dagli stessi poeti, da Eschilo, da Sofocle, da Euripide: è di quest'ultimo l'unico esemplare completo giuntoci, il Ciclope.

La commedia ha un'origine che si perde nel più lontano passato. Secondo la tradizione, l'inventore sarebbe stato Susarione di Megara Nisea o di Atene. Aristotele, nella Poetica, attribuisce invece ad Epicarmo di Megara Iblea la creazione della favola comica e ricorda che appunto i Megaresi, sia quelli di Megara Nisea in Grecia sia quelli di Megara Iblea in Sicilia, si vantavano di aver creato la commedia.

Due sono le etimologie del termine: da kóne, o «canto del villaggio», e da kónos, o «canto dionisiaco», innalzato da un corteo festante di giovani; più probabile appare la seconda spiegazione, che trova conferma nella sopravvivenza di una lieta processione cultuale in un momento della commedia, in cui il coro si rivolge scherzosamente al pubblico e canta inni agli dei.

La commedia diventa in Atene uno spettacolo per così dire pubblico, cioè organizzato dallo Stato, nel 486 a.C., quando è rappresentata nelle Grandi Dionisie.

Gli antichi ricordavano tra i più celebri poeti comici una triade, simmetrica a quella tragica, costituita da Cratino di Atene (519 ca. - 422 ca. a.C.), Eupoli di Atene (446-411 a.C.) ed Aristofane di Atene (445 ca. - 385 ca. a.C.).

La commedia presenta elementi di somiglianza con altre forme comiche rudimentali ed improvvisate, quali la farsa fliacica e la farsa megarese. Il mimo è un genere di rappresentazione che si sofferma ad imitare vicende e momenti della vita quotidiana, aspetti reali e non caricaturali. Il mimo acquista dignità letteraria in Sicilia, grazie soprattutto a Sofrone di Siracusa.

Dall'Oriente, dalla Ionia e dall'Occidente, dalla Magna Grecia e dalla Sicilia convengono ad Atene correnti intellettuali che si arricchiscono con le esperienze letterarie e artistiche dell'età di Pericle. Nasce una narrazione storica come la concepiamo oggi; il termine stesso di «storia» deriva dal greco historía, che significa «indagine e trascrizione dei suoi risultati»; tale vocabolo ricorre già in Erodoto.

Le opere degli antichi scrittori di storie, detti logografi, presentano all'inizio prevalenti interessi geografici ed etnografici e poi si caratterizzano, distinguendosi in «fondazioni», e «annali»: I primi di questi scritti registrano le origini delle città e riportano le più antiche tradizioni locali, i secondi trascrivono il ricordo di fatti e vicende anche più recenti; particolare attenzione è rivolta alle genealogie. Nelle opere dei più antichi logografi, la memoria del passato si mescola ancora con i contenuti del mito.

Nel corso del V secolo a.C. la storiografia si trasferisce dall'originario ambito ionico a quello ateniese e si perfeziona per opera di grandi storici, quali Erodoto di Alicarnasso (in Ionia: 490 o 480-424 ca. a.C.) e Tucidide di Atene (460 ca. - 395 ca. a.C.): questi rifiutano la tradizione leggendaria e rivolgono la loro attenzione alla storia umana, seguendo la linea già indicata da Ecateo di Mileto.

La produzione storiografica del IV secolo a.C. risente poi notevolmente dell'influenza di Tucidide: questa è in particolare recepita da autori quali Filisto di Siracusa, l'Anonimo delle Elleniche di Ossirinco e Senofonte di Atene (430 ca. - 353 ca. a.C.). Si colgono tuttavia anche tendenze diverse e talora contraddittorie, per riflesso delle correnti culturali del tempo: il gusto per l'esotico e l'interesse per l'Oriente, insieme con la polemica contro Erodoto, si esprimono nell'opera di Ctesia di Cnido; l'esigenza etica si afferma negli scritti di Senofonte e soprattutto di Eforo di Cuma e di Teopompo di Chio; inoltre Eforo si apre ad una storia universale del mondo greco, oltre l'ambito della storia locale dell'Attica e di Atene.

L'eloquenza trova nel mondo greco la sua prima espressione già nell'epos omerico: Nestore si vantava della sua abilità oratoria; Odisseo esaltava il valore della parola insieme a quello dell'azione.

Nell'Atene del V e del IV secolo a.C. l'oratoria diviene letteratura e si configura come un genere letterario, sotto lo stimolo delle condizioni politiche e per effetto delle consuetudini della vita cittadina. Nella polis l'arte della parola è infatti requisito essenziale per tutti i cittadini: consente loro la partecipazione attiva al governo ed alla vita assembleare, l'intervento in occasione di cerimonie pubbliche e solenni, la difesa dei propri interessi nei processi civili.

A seconda delle diverse circostanze l'eloquenza assume caratteri e contenuti differenti, distinguendosi in tre tipi o generi: l'eloquenza deliberativa, rappresentata dai discorsi politici nel corso delle discussioni nelle assemblee pubbliche; l'eloquenza epidittica (dal greco epideiknynai = «dimostrare»), rivolta a dimostrare in occasione di cerimonie solenni un qualunque assunto, serio o paradossale, non senza virtuosismi, suddividendosi a seconda del tema trattato in panegirico, encomio, orazione funebre; l'eloquenza giudiziaria, indispensabile nei dibattiti forensi sempre più numerosi per la passione quasi morbosa dei processi, in cui le parti intervenivano e parlavano di persona, finché nel IV secolo a.C. non invalse l'uso di ricorrere a specialisti, che preparavano per i loro clienti le orazioni di accusa o di difesa.

Tra gli oratori attici sono da ricordare Lisia, Isocrate e Demostene (384-322 a.C.).

Le idee filosofiche, elaborate nelle aree periferiche del mondo greco, si affermano in Atene e si diffondono con successo, influenzando gli altri generi letterari, la tragedia, la commedia, la storiografia.

Nella seconda metà del V secolo a.C. compaiono i Sofisti; il termine indica il «sapiente», o «colui che è abile in qualche attività», il poeta, il musico, l'artigiano; ha dunque in origine un significato positivo.

L'insegnamento sofistico risponde all'esigenza sempre più avvertita di preparare i cittadini all'azione politica: si rivolge ai giovani, soprattutto a quelli degli strati sociali più abbienti in grado di pagare le lezioni, e si afferma nelle cerchie aristocratiche. Poi il pensiero dei Sofisti è accusato di spingere all'ateismo, di esaltare l'individuo, di criticare radicalmente i valori tradizionali della polis; il termine «sofista» assume un senso dispregiativo soprattutto in seguito alla condanna espressa da Platone e da Aristotele.

Socrate raccoglie gli stimoli culturali delle diverse correnti filosofiche del V secolo a.C., li rielabora insieme e li supera ma non lascia nulla di scritto. La sua figura e il suo pensiero compaiono nelle opere del discepolo, Platone, il fondatore dell'Accademia, che elabora uno dei più originali e complessi sistemi filosofici. Le opere di Platone hanno anche un importante valore letterario: Platone è filosofo ma anche poeta. Il filosofo Aristotele di Stagira tenta ancora una sintesi tra la tradizione e la realtà; nello stesso tempo persegue un rinnovamento in campo filosofico, afferma una nuova filosofia. Le sue opere usano un linguaggio di tipo scientifico.

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STRUTTURA DELLA TRAGEDIA

La struttura della tragedia si articola in parti diverse: il prologo, o parte della tragedia che precede l'entrata del coro; la parodo, o canto di entrata del coro, che prende posto nell'orchestra, gli episodi, scene comprese fra due stasimi, o canti del coro che fungono da intermezzi; l'esodo, o episodio che segue l'ultimo stasimo. All'interno di tale struttura si distinguono altre parti caratteristiche: l'agone, o dibattito su un argomento con due discorsi seguiti da sticomitia, un dialogo a due con recitazione di un verso ciascuno; il commos, o canto lirico fra attore e coro talvolta presente anche nella parodo; la monodia, o canto lirico «a solo» di un attore; la rhesis, o lungo discorso di un personaggio su un suo ragionamento. Compongono il coro i coreuti, dapprima in numero di dodici, poi di quindici, a capo dei quali è un corifeo; gli attori sono tre, il protagonista, il deuteragonista, il tritagonista, ciascuno dei quali deve sostenere più parti.

STRUTTURA DELLA COMMEDIA

La commedia attica presenta due elementi eterogenei: il coro e gli attori. Il coro, i cui membri sono spesso mascherati da animali, agisce secondo lo schema di sfilate rituali, in onore di divinità teriomofiche o atte a propiziarsi i demoni della fecondità, come per esempio le falloforie, processioni in onore del dio fallico poi identificato con Dionisio. Gli attori, chiamati nel mondo greco con diversi nomi, presentano un costume fisso, un camiciotto largo e corto sulle parti posteriori gonfiate e sul ventre enorme, e portano un grosso fallo, il simbolo della fecondità maschile. è un richiamo ad antichi riti legati a cicli vegetativi di ambito agreste forse in onore di divinità della fecondità come per esempio i fliàci, appartenenti ad un retaggio religioso predorico e spesso riprodotti in raffigurazioni vascolari dell'Italia meridionale.

EURIPIDE

Euripide nacque forse a Salamina, secondo la tradizione il giorno stesso della famosa battaglia, nel 480 a.C. Apparteneva a famiglia agiata e coltivò studi di poesia e di musica, subendo l'influenza di filosofi e sofisti. Si tenne lontano dalla vita politica, a cui alluse nelle sue opere con accenni e spunti talora polemici. Era di carattere schivo e solitario e fu accusato, forse falsamente, di misoginia. Scrisse novantadue drammi, di cui sono pervenuti diciassette tragedie e un dramma satiresco, il Ciclope, oltre a numerosi frammenti restituiti dai papiri egiziani. Fece rappresentare la sua prima tragedia, le Peliadi, nel 455 a.C.; l'ultima, le Baccanti, apparve postuma. Il poeta non ebbe molto successo in vita. Morì ad Anfipoli nel 406 a.C., secondo una leggenda dilaniato dai cani.

Ci sono pervenute le seguenti tragedie: Alcesti, Medea, Ippolito, Eraclidi, Ecuba, Andromaca, Supplici, Eracle furente, Troiane, Elettra, Elena, Ifigenia fra i Tauri, Fenicie, Ione, Oreste, Ifigenia in Aulide (postuma), Baccanti (postuma).

Il poeta riprende nelle sue opere il mito, che tuttavia tratta con grande libertà. La struttura della tragedia si diversifica: è talora unitaria, costruita intorno al protagonista oppure si articola in una successione di quadri distinti e compiuti; si arricchisce di mezzi tecnici, quali il prologo espositivo, che informa lo spettatore delle novità introdotte nel mito, e il deus ex machina, che serve a concludere la vicenda tragica, il coro perde in parte il suo significato e la sua vitalità, lasciando spazio al canto degli attori, monodie, duetti, persino terzetti. Eurinide reinterpreta la tradizione mitica, demitizzandone gli eroi e attingendo al realismo. Introduce il senso del patetico e ritrae i sentimenti e le passioni umane, la forza irrazionale dell'animo: scopre il phatos dei fanciulli e delle giovani donne, che muoiono ante diem (= «prima del tempo»); è il poeta della debolezza umana. Il suo pessimismo si esprime nella ricerca inquieta della verità e nella tendenza a porre tutto in discussione, sulla traccia delle dottrine sofistiche e secondo gli schemi dell'oratoria. Proprio l'intellettualismo di Euripide, che talvolta si sovrappone o si affianca alla poesia, è oggetto della parodia comica di Aristofane.

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ARISTOFANE

Le notizie sulla vita di Aristofane sono scarse e si desumono per lo più da alcuni accenni delle sue opere. Nacque ad Atene intorno al 445 a.C. e trascorse l'infanzia e la giovinezza forse in campagna. Si formò una notevole cultura ed iniziò molto giovane, non ancora ventenne, l'attività di commediografo, facendo rappresentare nel 427 a.C. sotto il nome di un altro la sua prima opera, i Banchettanti. Scrisse nell'arco di quarant'anni circa quaranta commedie, di cui ce ne sono pervenute undici: Acarnesi, Cavalieri, Nuvole, Vespe Pace, Uccelli, Tesmoforiazuse, Lisistrata, Rane, Ecclesiazuse, Pluto.

Nell'attività poetica di Aristofane si possono distinguere due periodi, le commedie più antiche presentano i canti del coro e la parabasi, un intermezzo in cui gli attori si ritirano, la scena rimane vuota ed i coreuti si rivolgono al pubblico, le commedie più recenti sono prive di entrambi tali elementi. Aristofane crea trame ed intrecci vari e fantasiosi, che presenta con linguaggio spesso scurrile, con ostentato turpiloquio: in questo sopravvive forse ancora l'antico spirito dei riti della vegetazione e della fecondità, da cui la commedia trae origine. Aristofane sa tuttavia rinnovare il repertorio con autentica comicità, che esprime con grande varietà di toni e gradi, nell'estroso accostamento dei più eterogenei elementi: alterna infatti scherzi pesanti a dolci canti, scene grottesche a dotte discussioni. La sua commedia diventa creazione fantastica, in cui situazioni immaginarie e personaggi inventati si combinano in un mondo straordinario e talora irreale: eppure, ricorrenti allusioni riconducono alla vita reale, in un continuo avvicendarsi di fantasia e realtà. La commedia di Aristofane non si risolve del resto nella pura comicità o nell'arte di far ridere: sono ad essa sottese tematiche politiche, sociali e culturali, quali l'esaltazione della pace e la preoccupazione per la sorte di Atene, la critica della società e delle sue strutture, il tema della distribuzione della ricchezza, il problema dell'educazione dei cittadini, del sentimento della natura, l'amore per la campagna e per la vita contadina. L'impegno politico si esprime negli attacchi a Cleone e agli altri capipopolo Iperbolo e Cleofonte; l'attaccamento ai valori tradizionali della cultura incentiva la polemica contro Socrate e contro Euripide, esponenti delle correnti di pensiero per così dire di avanguardia, alla cui influenza tuttavia Aristofane non si sottrae.

ERODOTO

Erodoto nacque intorno al 484 a.C. ad Alicarnasso, una colonia dorica aperta agli influssi culturali degli Ioni, allora sotto il dominio persiano. Si trasferì poi a Samo, da dove intraprese numerosi viaggi: visitò la Grecia e le isole egee, l'Asia Minore, la Magna Grecia, la Cirenaica, l'Egitto, la Fenicia e la Mesopotamia, il Ponto. Soggiornò a lungo ad Atene. Qui divenne amico di Pericle e di Sofocle e tenne anche una pubblica lettura di parti della sua storia. Intorno al 446 a.C. partecipò come colono alla fondazione della città panellenica di Turi, in Magna Grecia, e là rimase forse fino alla morte, intorno al 424 a.C.

L'opera storica di Erodoto non ha un vero e proprio titolo, ma trae quello di Storie dalle parole iniziali; risulta divisa in 9 libri, intitolati con i nomi delle nove Muse. Lo storico premette un prologo, in cui anticipa il contenuto dell'opera, la grande contesa tra l'Asia e la Grecia. Dopo un richiamo al passato mitico, tratta la storia dei Lidi e dei Persiani fino alla conquista dell'Egitto, regione che descrive in un lungo excursus; continua con il racconto della spedizione persiana contro gli Sciti, di cui spiega ampiamente i costumi; poi affronta il tema delle guerre greco-persiane fin dai suoi precedenti; conclude la narrazione con l'episodio della presa di Sesto (sull'Ellesponto) per opera degli Ateniesi (nel 478 a.C.).

La composizione delle Storie è oggetto della cosiddetta «questione erodotea», infatti è incerto se la genesi dell'opera vada ricercata nella teoria dei racconti staccati, destinati alla recitazione e poi fusi insieme, oppure debba essere attribuita ad un disegno prestabilito ed unitario; è tuttavia indubbio che nel complesso l'opera presenta qualche sproporzione e contraddizione spiegabili con una mancata rielaborazione. Erodoto muove da interessi geografici, che poi amplia con indagini etnografiche ed antropologiche, per approdare infine alla ricerca storica; dimostra scrupolo e diligenza nel riportare testimonianze, raccogliendo anche diverse versioni di uno stesso fatto ed esercitando una sorta di critica razionalistica sui racconti altrui. Rompe con il mito: alla tradizione leggendaria sostituisce la storia umana, il «tempo degli uomini». Vi ravvisa comunque la presenza del divino: il dio guida e determina la vicenda umana; mosso dall'invidia punisce l'orgoglio degli uomini ma applica anche la giustizia colpendo attraverso le generazioni la colpa, non la felicità degli uomini, e rendendosi così garante della legge morale. Erodoto crede dunque ancora nell'antica concezione dell'invidia degli dei, ma la mitiga. Egli è un abile narratore: con una tecnica di grande efficacia, dai toni talora svagati e favolistici, talora drammatici ed epici, esprime nella sua opera la gioia di raccontare, una curiosità vivace ed una profonda umanità.

DEMOSTENE

Demostene nacque ad Atene nel 384 a.C.; apparteneva ad una famiglia molto ricca e, dopo la morte del padre, fu affidato a tutori che si appropriarono della sua eredità. Divenuto maggiorenne, Demostene intentò una serie di processi per rivendicare i suoi beni, e scrisse lui stesso i discorsi di accusa (3 orazioni Contro Afobo, 2 Contro Onetore). Iniziò così la sua attività oratoria, dapprima per cause civili, poi per processi politici (Contro Androzione, Contro Leptine, Contro Timocrate). L'impegno politico lo portava a trattare questioni di politica estera: prese posizione contro la Persia, che riteneva il «comune nemico dei Greci» (Sulle simmorie), e contro Sparta (Per i Megalopolitani), sostenendo la necessità dell'intervento ateniese in difesa delle istituzioni democratiche delle città greche (Per la libertà dei Rodii). Di fronte alla politica di espansione di Filippo di Macedonia, Demostene si fece promotore di una ferma e violenta opposizione (Prima Filippica del 351 a.C., 3 orazioni Olintiache del 349 a.C.). Fece parte di due ambascerie inviate a Pella, cui seguì la pace di Filocrate. Demostene sostenne allora la necessità di una tregua (Sulla pace), ma poi attaccò ancora Filippo (Seconda Filippica) e denunciò un membro della legazione (Sulla corrotta ambasceria). Riuscì a trascinare Atene alla guerra (Sulle cose del Chersoneso, Terza Filippica) ma la battaglia di Cheronea nel 338 a.C. segnò la vittoria di Filippo sui Greci. Dopo la morte di Filippo e la conquista della Persia da parte di Alessandro Magno, Demostene si fece fautore di una politica di neutralità e di pace. Accusato per le sue scelte politiche, si difese con un'orazione famosa (Sulla corona) ed ottenne la corona d'oro. Coinvolto in uno scandalo si salvò dalla prigionia con la fuga. Rientrò ad Atene nel 323 a.C. per incitare gli Ateniesi contro Antipatro, il successore di Alessandro. La guerra si concluse sfortunatamente per Atene e Demostene, raggiunto dai sicari di Antipatro, si uccise con il veleno nel 322 a.C. Della sua attività oratoria restano 60 orazioni (di cui una ventina apocrife), una raccolta di Esordii, 6 lettere (non autentiche). L'eloquenza di Demostene trova la più completa e felice espressione soprattutto nelle orazioni politiche: lo stile raffinato e ricercato, l'accurata preparazione, l'argomentazione serrata e veemente vi concorrono a creare un phatos forte ed efficace, fornisce il motivo ispiratore, coerente ed unitario, il credo di Demostene, devoto alla patria e fedele ad oltranza all'ideale di libertà democratica.

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L'EPOCA ELLENISTICA (323 a.C. - 31 a.C.)

Durante il periodo ellenistico, dalla morte di Alessandro Magno (323 a.C.) alla vittoria romana di Azio (31 a.C.), Atene conserva ancora un ruolo in campo culturale e segnatamente filosofico, ma sorgono nuovi, importanti centri di cultura: Alessandria d'Egitto, la città dei Tolomei, capitale della poesia e delle scienze, sede della grande Biblioteca con annesso il Museo, e della Biblioteca del Serapeo, contenente i volumi in duplice esemplare; Pergamo in Asia Minore, retta dagli Eumenidi, dotata di una ricca biblioteca e centro di una scuola di retorica; Antiochia di Siria e Pella in Macedonia; Rodi, che dopo l'86 a.C. subentra ad Atene come centro di cultura; Samo, Cos.

La civiltà ellenistica è caratterizzata principalmente da due elementi, almeno in apparenza contraddittori: l'individualismo ed il cosmopolitismo. L'uomo, inserito nella più vasta realtà politica di un grande regno e ormai disancorato dalle strutture cittadine, si sente isolato e perduto, in balia della tyche («il destino»): si ripiega su se stesso, ma nel medesimo tempo si apre al mondo intero; elabora così un ideale cosmopolita. La cultura greca si diffonde con grande forza di penetrazione in tutto il mondo antico: conquista anche Cartagine, Roma, ove i più antichi annalisti scrivono in greco. Strumento della sua diffusione è soprattutto la nuova lingua «comune», la koiné. Si sviluppa una letteratura, che pur nella continuazione di alcuni generi tradizionali, sa proporre spunti di indubbia originalità.

La poesia ellenistica si presenta come opera di dotti, la cui ispirazione si basa su una lunga consuetudine con i testi antichi. È caratterizzata da due elementi: l'erudizione, a volte scoperta, a volte dissimulata, ma sempre presente almeno in forma allusiva, e la semplicità, espressa nell'attenzione per la vita quotidiana, per la natura, per i sentimenti umani di amore e di dolore. è una poesia destinata alla lettura, piuttosto che alla recitazione o al canto, perciò non poesia d'occasione, ma essenzialmente libresca. I poeti sono spesso scrittori eclettici, che coltivano generi letterari diversi, pur preferendo ai grandi poemi una poesia di breve respiro, che attinge alla perfezione formale e all'intellettualismo. Si afferma come composizione poetica l'elegia, essenzialmente narrativa e molto diversa da quella classica: tratta soprattutto l'amore, colpevole e fatale, oppure riprende il mito per spiegare un'etimologia o una usanza locale.

La forma più caratteristica di poesia è però rappresentata dall'epigramma: in origine, «iscrizione» funebre o votiva a ricordo di un nome o di un voto, esso si trasforma in epoca ellenistica in pura lirica, volta ad esprimere sensazioni e sentimenti dell'animo con varietà di temi personali ed autobiografici e non senza spunti in chiave ironica (dall'epigramma, molto più che dall'elegia, deriva l'elegia romana). Gli epigrammi greci sono giunti a noi in due grandi raccolte di epoca bizantina: l'Antologia Palatina, così chiamata perché scoperta in un codice della Biblioteca Palatina di Heidelberg nel 1607, in quindici libri, ordinati secondo un criterio contenutistico; l'Antologia Planudea o Anthologia Graeca, in sette libri, composti sulla base dell'ordine alfabetico.

Scuole poetiche fioriscono nell'Egeo orientale. A Cos la cerchia di Filita, esponente della tendenza dotta ed erudita, raccoglie poeti come Teocrito di Siracusa; a Samo Asclepiade, esprime nella sua poesia soprattutto l'amore, la felicità conviviale, il culto dell'arte. Scuole poetiche sorgono a Rodi, in Egitto, a Pella; sono attive anche poetesse come Nosside di Locri. Tra i poeti dotti del III secolo a.C. spiccano soprattutto Callimaco di Cirene, Apollonio di Alessandria, Teocrito di Siracusa, Eroda.

Nel II e I secolo a.C. la poesia si inaridisce: sono coltivati i temi didascalici o bucolici.

Continua in epoca ellenistica il genere drammatico: la commedia si evolve, rinnovando lo spirito, i temi, la struttura (con l'esaurimento del coro), attraverso le forme della commedia «di mezzo» e si trasforma nella commedia «nuova», da cui deriva poi quella latina. Risente dell'influsso di Euripide e di Teofrasto e riprende, oltre che i temi mitologici, soprattutto i fatti della vita quotidiana, i tipi umani ed i caratteri: il più noto poeta è Menandro di Atene (342-291/90 a.C.).

La storiografia appare fortemente condizionata dalla figura quasi leggendaria di Alessandro Magno e presenta due diverse tendenze: indulge ai toni del romanzesco o del fantastico ed allo spirito di adulazione, ponendo le premesse del cosiddetto «romanzo di Alessandro», oppure si attiene rigorosamente alla verità dei fatti ed alle conoscenze geografiche e militari.

Scrive una storia «universale» e «pragmatica» Polibio di Megalopoli (208 ca. 126 ca. a.C.). Strettamente legata alla storiografia è la retorica: a Timeo di Tauromenio o ad Egesia di Magnesia si attribuisce la creazione dello stile asiano, poi coltivato nel primo secolo a.C. nella celebre scuola oratoria di Rodi. I retori più famosi del periodo sono Apollodoro di Pergamo, l'iniziatore del movimento atticista, e Teodoro di Gadara, ispirato da concezioni filosofiche, platoniche e stoiche. La filosofia ha ancora il suo maggior centro ad Atene: qui affluiscono da tutto il mondo ellenizzato pensatori che esaltano i valori panellenici, pur rivolgendo il loro interesse all'uomo singolo e non integrato nella compagine politica e sociale. Accanto alle antiche scuole dell'Accademia e del Peripato, altre ne sorgono. Epicuro di Samo fonda il «Giardino», Zenone di Cizio (nell'isola di Cipro) crea la «Stoa», Pirrone di Elide fonda lo scetticismo. L'Accademia propende verso una forma di scetticismo, e poi si evolve verso una forma di eclettismo.

Le scienze appaiono particolarmente coltivate in epoca ellenistica: acquistano una loro autonomia ed esprimono la tendenza alla specializzazione.

Nasce una nuova scienza: la filologia.

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LA FILOLOGIA

La filologia alessandrina si fonda su ricerche di carattere lessicale e stilistico: imposta un'esegesi testuale, basandosi su un'interpretazione critica e grammaticale secondo criteri razionalistici, nella ricostruzione e nell'edizione dei testi applica il principio dell'analogia, distinguendo i casi regolari o analogici da quelli anomali o irregolari.

La filologia di Pergamo reagisce contro l'indirizzo filologico alessandrino, segnato da un eccessivo rigore metodologico, che tuttavia non costituisce una vera e propria scuola: a Pergamo svolge il suo insegnamento Cratete di Mallo, un filosofo piuttosto che un filologo, che afferma l'interpretazione allegorica della poesia di Omero, ricercandovi il senso riposto distinto da quello letterale, ed inoltre sostiene il criterio dell'anomalia, cioè dell'irregolarità grammaticale, in polemica con gli Alessandrini. Tenta un accostamento tra i diversi indirizzi Apollodoro di Atene, uno specialista di cronologia e di mitologia. Fissa invece gli elementi fonetici e morfologici della grammatica Dionisio Trace, il cui insegnamento si svolge in un'altra sede di studi eruditi, nella scuola rodia. Gli studi filologici e grammaticali decadono nel I secolo a.C., nella fase di crisi ormai generale della cultura ellenistica.

CALLIMACO

Nacque a Cirene (in Libia) intorno al 310 a.C. da un'illustre famiglia che versava ormai in non buone condizioni economiche. Maestro di scuola in un sobborgo di Alessandria, poi poeta di corte, ottenne un impiego nella biblioteca. Poté così coltivare i suoi studi eruditi fino a diventare un grammatico famoso. Diede prova della sua preparazione enciclopedica negli scritti in prosa, fra cui i Pénakes (= «Quadri»), un vastissimo catalogo in 120 libri delle vite e delle opere degli autori antichi. La sua fama fu tuttavia legata soprattutto agli scritti in versi, che il poeta stesso raccolse in un corpus. Morì intorno al 240 a.C.

Un papiro del II secolo d.C. recentemente ritrovato in Egitto, contiene la descrizione del contenuto di ogni componimento di Callimaco compreso nel corpus: gli Aitia (= «le cause» o «le origini»), dove si trova il poemetto sulla Chioma di Berenice, assai famoso nel mondo antico, i Giambi, l'ècale, gli Inni, gli Epigrammi e forse un poemetto, l'Ibis. Di tutto ciò possediamo solo frammenti.

Nella Chioma di Berenice il poeta ricorda con toni di grazia leggera, misti di frivolezza e di sentimento, l'offerta di un ricciolo di capelli, consacrato nel tempio di Afrodite dalla regina Berenice in occasione della partenza di Tolomeo Evergete per la guerra con la Siria, poi volato in cielo fra gli astri e riconosciuto dall'astronomo Conone di Samo nella nuova costellazione da lui di recente scoperta.

La poetica callimachea è il risultato di un'approfondita indagine erudita e di una sapiente elaborazione stilistica e formale, ma trae insieme ispirazione dall'immediatezza e freschezza dei sentimenti, da un sottile senso di humor, con effetti moderni e originali. Callimaco è il primo poeta che dichiari esplicitamente i principi ispiratori: si propone come fine l'arte per l'arte e crede nella sua autonomia dalla morale; preferisce essere poeta di pochi versi, attingendo alla perfezione formale, piuttosto che comporre un grande poema necessariamente imperfetto; sceglie temi inconsueti nell'intento di distinguersi, rifiutando tutto ciò che è volgare e impegnandosi in un processo di rinnovamento che lo portò a sostenere accese polemiche con poeti e letterati del suo tempo.

Grande è l'influenza esercitata per secoli sugli autori successivi: ispirò Catullo, Properzio Orazio, Virgilio, Ovidio; fu letto ed imitato dai Poliziano e dal Foscolo.

APOLLONIO RODIO

Apollonio nacque con ogni probabilità ad Alessandria d'Egitto all'inizio del III secolo a.C., ma fu chiamato Rodio perché dimorò a Rodi per un periodo della sua vita. Secondo la tradizione fu discepolo del poeta Callimaco; un papiro contenente la lista dei bibliotecari di Alessandria, lo ricorda direttore della Biblioteca; fu precettore, alla corte di Tolomeo Filadelfo, dell'erede al trono, il futuro Tolomeo III Evergete. Durante il soggiorno ad Alessandria coltivò studi filologici e grammaticali e svolse ricerche erudite ed antiquarie, formandosi una vasta cultura. Compose scritti grammaticali tra cui Contro Zenodoto, in cui si cimentava nell'esegesi omerica, criticando l'edizione dei due poemi epici, curata da Zenodoto. Scrisse inoltre poemetti in esametri sulla fondazione di alcune città; compose un'operetta in versi, il Canòbo, in cui raccontava il mito dell'eroe Canobo, timoniere della flotta di Menelao, e fors'anche trattava la fondazione della città omonima. Attese inoltre alla composizione della sua opera maggiore, gli Argonautica, la cui pubblicazione ad Alessandria diede origine, secondo la tradizione, alla polemica letteraria con Callimaco: a tale contrasto si attribuisce anche, forse infondatamente, l'esilio di Apollonio a Rodi. In realtà oscuri sono sia l'epoca sia il motivo del trasferimento del poeta. A Rodi Apollonio ottenne molti onori ed il diritto di cittadinanza e vi morì (230 ca. a.C.).

Gli Argonautica sono un grande poema, diviso in 4 libri, che raccontano l'impresa mitica degli Argonauti guidati da Giasone alla conquista del vello d'oro. L'opera mostra la grande erudizione di Apollonio: è intessuta di curiosità antiquarie, di interessi geografici ed etnografici, di indagini etiologiche e mitologiche; per queste caratteristiche si presenta come tipicamente ellenistica e risponde alle esigenze dei colti lettori dell'epoca. Apollonio sa tuttavia innovare, inserendo per la prima volta nel tema epico una vicenda d'amore: con attenta e moderna analisi psicologica, che raggiunge i toni della poesia, egli descrive nei particolari la storia d'amore di Medea dai suoi inizi e nel suo evolversi. Nonostante la condanna di Callimaco e dei suoi seguaci, gli Argonautica ebbero grande fortuna nell'antichità e in particolare nel mondo romano dove influirono sull'Eneide di Virgilio.

L'ETÀ ROMANA

Il periodo letterario di epoca romana, che coincide con l'età imperiale, ha inizio nel 30 a.C., quando si estingue l'ultima dinastia macedone dei Tolomei d'Egitto e si afferma il dominio romano; si conclude nel 529 d.C., quando Giustiniano chiude la scuola filosofica di Atene, ultima erede dell'antica tradizione culturale greca. Roma è ormai il nuovo centro di cultura, che attira l'attenzione e l'interesse degli intellettuali della Grecia e dell'Oriente, trovando in questi consenso, ma anche opposizione. Perdute sono le opere del dissenso emarginate da una letteratura in generale ispirata dall'adesione al nuovo ordine imperiale. D'altronde Roma, pur imponendo il suo dominio politico e le strutture amministrative, appare sostanzialmente rispettosa della cultura greca della sua tradizione e dei suoi valori. I Greci si chiudono tuttavia in un atteggiamento di restaurazione del passato, che si tramuta per lo più in una sterile ripetitività.

Il genere poetico decade: la poesia si esprime quasi esclusivamente in epigrammi, che ripetono stancamente motivi tradizionali.

Continua la tradizione prosastica, che appare caratterizzata da tre elementi particolari: la retorica, il purismo, l'imitazione.

Sorge e si diffonde a Roma nel I secolo d.C. l'atticismo, che si richiama allo studio dell'oratoria attica: il movimento trova molti sostenitori, fra cui Dionigi di Alicarnasso, ma suscita anche polemiche, quale quella espressa nell'operetta Sul Sublime di autore anonimo.

Nel II e III secolo d.C. fiorisce la seconda sofistica: i «nuovi Sofisti», dotti oratori capaci di declamare in puro attico su temi scolastici, fittizi o paradossali, lasciano una produzione priva di originalità e povera di pensiero; si distingue tra loro Luciano di Samosata, uno spirito scettico e beffardo.

Il genere storiografico è rappresentato da vari scrittori tra cui Diodoro Siculo, Strabone di Amasia, Flavio Giuseppe; coltiva la biografia Plutarco di Cheronea. Ha successo anche un altro genere letterario, quello del romanzo: che ha un precedente in una storia di amore e di avventure, pervenuta frammentaria sotto il titolo di Romanzo di Nino e risalente al I secolo a.C. Alessandria, continua ad essere sede di studi filosofici, filologici e scientifici: in tale ambiente, l'ellenismo si evolve attraverso il contatto con la cultura della comunità ebraica dando vita ad un vivace movimento di pensiero. Appartiene alla comunità ebraica di Alessandria Filone, che sa rielaborare nell'ambito della sua esperienza mistica temi della speculazione filosofica greca.

Si distinguono in epoca romana altre correnti di pensiero. Lo stoicismo esalta il principio della libertà interiore e del distacco dalle passioni, ma invita anche al rispetto del prossimo, alla partecipazione alla vita comunitaria, all'adempimento dei propri doveri quotidiani con Epitteto e con l'imperatore Marco Aurelio.

Si afferma il neoplatonismo coltivato da Plotino e da Porfirio che interpretano le istanze religiose del tempo, sensibili al tema della trascendenza divina ed orientate verso la purificazione interiore fino al rapimento dell'estasi.

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PLUTARCO

Plutarco nacque a Cheronea (in Beozia) nel 46 d.C., da famiglia benestante in cui ricevette la prima educazione. Si recò intorno ai vent'anni ad Atene, ove si dedicò agli studi di scienze e di medicina, di retorica e di filosofia accettando soprattutto il platonismo. Ad Alessandria d'Egitto completò la sua educazione. Soggiornò poi a Roma al tempo dell'imperatore Vespasiano e visitò alcune città dell'Italia: ottenne la cittadinanza romana dal console L. Mestrio Florot di cui assunse il gentilizio. Rientrò poi a Cheronea, ove si formò una famiglia ed assolse a funzioni pubbliche amministrative; divenne sacerdote di Apollo a Delfi. Si dedicò ad un'intensa attività di scrittore: gli furono attribuiti nella tarda antichità addirittura 227 scritti. Morì a Cheronea a circa ottant'anni, intorno al 126 d.C. Le Operette morali in numero di 83, raccolgono scritti di diverso contenuto ed argomento, retorici, filosofici e religiosi etici storico-antiquari, filologico-letterari, scientifici tutti informati a una coerente impostazione morale. Plutarco vi esprime le sue idee filosofiche e l'adesione al platonismo, esercitando la polemica contro gli Stoici e gli Epicurei; sostiene lo stretto rapporto fra la filosofia e la religione; afferma l'esistenza della giustizia divina e crede nell'immortalità dell'anima; rivela la tendenza verso una concezione monoteistica, riducendo la pluralità degli dei ad una moltitudine di divinità minori e di demoni; dimostra un alto senso della famiglia. Le Vite parallele, in numero di 50, comprendono le biografie di uomini illustri: 46 vite sono disposte a coppie (perduta è la prima coppia), con l'accostamento di un personaggio greco e di uno romano, concluso da un giudizio comparativo; 4 vite sono isolate. Incerti sono l'ordine e l'epoca di composizione delle biografie, forse attribuibili all'età avanzata dell'autore; qualche perplessità suscita inoltre l'abbinamento dei personaggi, operato sulla base di elementi di somiglianza talvolta generici. Plutarco attinge il materiale a fonti diverse forse attraverso la mediazione di biografie preesistenti e quindi di seconda mano. Egli dichiara esplicitamente che intende scrivere non opere di storia, ma biografie: si preoccupa di delineare i caratteri dei personaggi, di scoprire i segni dell'anima; combina quindi due elementi diversi, la presentazione del carattere e delle azioni. Mira però soprattutto a rendere la drammaticità delle passioni dei personaggi: sa creare il phatos, con una partecipazione anche emotiva; ai principi artistici ed etici, a cui si ispira, sacrifica l'interesse storico. L'opera ebbe un grande successo, divenendo la lettura più popolare, in traduzione latina, nel Medio Evo e nell'Età Moderna.

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LA LETTERATURA CRISTIANA

Particolare importanza riveste nella letteratura greca d'età romana la tradizione cristiana. Il Cristianesimo primitivo, che si innesta nella cultura giudaica, rimane dapprima estraneo alla cultura ellenistica, ma da questa prende la lingua, il greco parlato della koiné. Gli scritti cristiani del I secolo d.C. confluiscono nel II secolo d.C. nel Nuovo Testamento che comprende: i quattro Vangeli (= «buona novella») di Matteo, Marco, Luca e Giovanni; gli Atti degli Apostoli, opera di Luca, che narrano le prime vicende della comunità cristiana di Gerusalemme e della predicazione degli Apostoli Pietro e Paolo; le Lettere apostoliche, in numero di ventuno, di cui quattordici attribuite a Paolo e sette definite cattoliche in quanto non rivolte ad una comunità particolare; l'Apocalisse, la «rivelazione» della fine del mondo, del giudizio universale, della beatitudine dei giusti.

Con il passare del tempo i rapporti tra Cristianesimo e cultura greca si intensificano: la nuova religione si serve dell'esperienza letteraria o filosofica profana per trovare adeguata e compiuta espressione.

Mentre si diffondono le prime eresie nell'ambito del Cristianesimo, sorgono verso la fine del II secolo d.C. varie scuole teologiche, tra cui le più importanti sono quelle di Antiochia, specializzata nell'esegesi biblica, e quella di Alessandria, nutrita di interessi filologici e filosofici e più aperta alla cultura pagana.

Nel IV secolo d.C., da una regione periferica dell'impero, la Cappadocia, emergono tre grandi pensatori, i Padri Cappadoci Basilio di Cesarea, Gregorio di Nissa e Gregorio di Nazianzo: nelle loro opere si attua la sintesi fra pensiero classico e rivelazione biblica.

Il paganesimo morente ispira ancora la letteratura tarda, dal IV al VI secolo d.C., segnando una ripresa della retorica e della sofistica. Ricordiamo l'imperatore Giuliano e Proclo di Costantinopoli, l'ultimo sistematore della filosofia antica; poco dopo la morte di quest'ultimo Giustiniano chiude la scuola di Atene.

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