Itinerari Culturali Le Origini Geologia I Fossili

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Itinerari Culturali Le Origini Geologia I Fossili

Itinerari culturali

Itinerari Culturali Le Origini Geologia I Fossili

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ITINERARI - GEOLOGIA - I FOSSILI

LE ROCCE E I CRISTALLI

All'inizio del processo di raffreddamento della Terra, qualche miliardo di anni fa, la superficie del pianeta cominciò a solidificarsi. I materiali incandescenti prodotti dalla intensissima attività vulcanica divennero a poco a poco più compatti finché non si trasformarono in una crosta solida. Attraverso questo processo si formarono le più antiche rocce del nostro pianeta. Si tratta di rocce eruttive ossia derivanti dalla solidificazione del magma vulcanico. Una volta solidificate le rocce vennero a contatto con l'atmosfera e cominciarono ad essere attaccate dagli agenti atmosferici: venti, piogge, gelo e disgelo, riscaldamento ad opera dei raggi solari, ecc. Gran parte del materiale strappato dai corsi d'acqua alle montagne viene riversato in mare e qui si accumula nelle fosse marine. Col passare del tempo questi materiali aumentano di spessore; sugli strati collocati in profondità la pressione diventa enorme. In queste condizioni il materiale sedimentato raggiunge uno stato di compattezza tale da formare una nuova roccia chiamata appunto roccia sedimentaria. In certi casi alla pressione si aggiunge anche un aumento di temperatura; allora all'interno della roccia sedimentaria avvengono profonde trasformazioni chimiche e fisiche tali che la nuova roccia può essere costituita da minerali parzialmente o totalmente diversi da quelli che vi erano in partenza. Quando questo processo avviene la roccia è indicata col nome di metamorfica, termine che significa appunto trasformata, modificata. Quando queste trasformazioni avvengono a pressioni e temperature ancora più elevate la roccia subisce mutamenti ancora più profondi e si dice ultrametamorfica. Tutti i fenomeni di formazione delle rocce avvengono in tempi molto lunghi e quindi sono difficilmente osservabili pur essendo costantemente in atto. Nel campo delle rocce eruttive è possibile osservare coltri di lava che si consolidano in breve tempo. Vi sono tipi di rocce che si sono formate attraverso un processo di sedimentazione diverso da quello descritto prima. Spesso le acque portano disciolte chimicamente delle sostanze che si depositano quando l'acqua evapora: è il caso del comune sale da cucina di casa, del gesso e di certi calcari (travertino). In certe rocce poi la presenza di resti di esseri viventi è tale che esse risultano formate da un ammasso di fossili. Le rocce possono essere classificate anche secondo la loro età. Così nell'ambito delle rocce eruttive si distinguono i diabasi, più antichi, dai basalti di formazione più recente anche se hanno la stessa origine. Nell'uso comune esiste anche una classificazione delle rocce che è piuttosto approssimativa. Col termine marmo ad esempio si indicano comunemente tutte le rocce in grado di essere lucidate, anche se appartengono dal punto di vista della loro origine a tipi di rocce differenti. Così i marmi verdi delle Alpi sono rocce eruttive, mentre il marmo di Carrara è un calcare cristallino.

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CRISTALLI

Si dicono cristalli quei corpi poliedrici che solidificano secondo una struttura, caratteristica di ogni sostanza e dipendente dall'assetto molecolare e atomico. Esistono cristalli che si sono formati spontaneamente in natura e cristalli artificiali che si ottengono con reazioni chimiche. Un elemento caratteristico del cristallo è l'ampiezza dell'angolo formato dalle facce. Per classificare i cristalli gli studiosi prendono in esame gli elementi di simmetria, ossia i piani di simmetria (piani che tagliano il cristallo in parti speculari), gli assi di simmetria e il centro di simmetria. Non tenendo conto dello sviluppo irregolare che normalmente si incontra in natura e basandosi sui punti di simmetria comuni, sono stati proposti raggruppamenti dei cristalli in sistemi cristallini. Se ne distinguono sette: cubico, tetragonale, esagonale, romboedrico, trimetrico, monoclino e triclino. Lo studio e le utilizzazioni dei cristalli hanno acquistato notevole importanza pratica da quando i cristalli hanno trovato impiego come conduttori elettrici.

1) Oro su rodocrosite; 2) Zolfo in cristalli

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L'ETÀ DELLE ROCCE

La geologia cerca di determinare la lunghezza e la successione dei periodi in cui sono avvenute le trasformazioni nella crosta terrestre. Un primo metodo usato a questo scopo consiste nel dedurre dall'osservazione delle rocce una cronologia relativa. Stabilire una cronologia relativa significa accertare che una roccia si è formata prima o dopo di un'altra; la cronologia assoluta dice invece quanti anni sono passati dalla formazione di una roccia fino ad oggi. Ad esempio, quando ci si trova di fronte a depositi di ghiaie, sabbie o argille sui fondi di mari, laghi e valli, si devono ritenere più antichi quelli che si trovano in basso rispetto a quelli che stanno sopra. È questo uno dei metodi della geologia stratigrafica, che si chiama così appunto perché tiene conto della sovrapposizione degli strati che formano le rocce sedimentarie. Una cronologia relativa si può anche ricavare dallo studio dei fossili rimasti imprigionati nelle rocce sedimentarie. Vi sono specie di animali e vegetali di cui si conosce con precisione l'epoca in cui sono vissuti e per questo sono usati per stabilire queste datazioni: sono chiamati fossili guida. Paragonando quindi rocce che contengono fossili guida diversi si può facilmente determinare quale sia quella più antica. È questo il metodo paleontologico. Con questi metodi è già possibile fissare una serie di ere e di periodi geologici. Per stabilire quanto siano durati tali periodi si possono anche effettuare calcoli basati sui tempi necessari perché l'erosione riduca una catena di montagne ad una pianura ondulata. Questi fenomeni però hanno durate troppo variabili per poterne ricavare delle datazioni assolute. Datazioni assolute sono state ricercate con un metodo basato sullo studio delle glaciazioni. Sul fondo dei laghi che contornano le fronti dei ghiacciai si depositano in estate, durante il parziale scioglimento, strati di sabbia e in inverno sottili strati di argille. Contando le varve, così si chiamano questi strati, lungo le centinaia di chilometri percorsi dai grandi ghiacciai durante le loro avanzate e i loro ritiri, si sono ottenute date assolute concordanti con quelle derivate dal metodo astronomico. Con questi metodi però possono essere datati solo periodi relativamente vicini a noi. Solo l'aiuto portato da una scienza moderna come è la fisica nucleare ha permesso di estendere a tutte le Ere geologiche una datazione assoluta basata su principi estranei alla geologia e all'astronomia. Esistono in natura elementi chimici i cui atomi possiedono un nucleo instabile, ossia tale che il numero dei suoi componenti tende a diminuire e quindi a trasformarsi in un altro elemento (o in un isotopo). Tali trasformazioni in un altro elemento avvengono in tempi costanti che possono essere di migliaia milioni ed anche miliardi di anni, valori cioè dell'ordine di quelli dei tempi geologici. Su questi principi si basano i metodi del radiocarbonio e del piombo.

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METODO DEL RADIOCARBONIO

I raggi cosmici entrando nell'atmosfera con una energia molto elevata urtano atomi di gas producendo spesso la frattura dei loro nuclei. In questo modo si liberano alcune particelle componenti i nuclei che si chiamano neutroni. I nuclei di altri atomi possono assorbire neutroni espellendo particelle positive dette protoni. Secondo questo processo un atomo di azoto (elemento abbondante nell'atmosfera) che ha nel suo nucleo 7 neutroni e 7 protoni, assorbendo un nuovo neutrone e perdendo un protone si trasforma in un atomo di carbonio detto C14 perché il suo nucleo contiene 14 particelle (6 protoni e 8 neutroni), mentre il carbonio normale ne ha 12 (C12). Il carbonio 14 è un isotopo che si dice anche radiocarbonio. Il suo equilibrio è instabile ed esso tende ad acquistare un equilibrio normale emettendo delle radiazioni. Essendo il bombardamento dei raggi cosmici un fenomeno continuo esiste nell'atmosfera una quantità costante di carbonio 14; man mano che una parte di esso scompare per emissione di radiazioni, una parte equivalente viene formata da altri atomi di azoto. Principali utilizzatori del carbonio atmosferico sotto forma di anidride carbonica (CO2) sono i vegetali e tramite questi gli animali erbivori ed infine gli stessi carnivori. Perciò finché un essere vivente si nutre ed avviene quindi il suo rifornimento diretto o indiretto di carbonio dell'atmosfera la percentuale di radiocarbonio contenuta nei suoi tessuti sarà costante; dopo la sua morte tale percentuale diminuirà gradatamente con il passare del tempo; si è calcolato che essa si riduce a metà dopo 5600 anni. In un legno o in osso vivo ogni minuto si trasformano 16 atomi di carbonio 14 emettendo una radiazione; nelle stesse sostanze dopo 5600 anni dalla loro morte si contano 8 radiazioni al minuto, e così di seguito. [Figura: I raggi cosmici (1) che entrano continuamente nell'atmosfera, urtando gli atomi dell'ossigeno (2) producono spesso la frattura dei loro nuclei, liberando neutroni. Se un nucleo d'azoto (3) assorbe un neutrone, perde un protone e si trasforma in carbonio 14 (4). In 8000 anni i due protoni in più si perdono e dal carbonio 14 si passa al carbonio 13 (5).

Trasformazione dei raggi cosmici in carbonio 14

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IL METODO DEL PIOMBO

Consiste nel calcolare il tempo impiegato perché elementi radioattivi come l'uranio 235 e il torio 232 si siano trasformati in piombo. Ciò avviene in tempi lunghissimi: l'uranio 235 diventa piombo 207 in 6 miliardi e 700 milioni di anni.

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LA FOSSILIZZAZIONE

La morte è l'ultima azione che un organismo compie durante la sua vita. Con la morte hanno inizio quei processi chimici, fisici e biologici che prendono il nome di fossilizzazione e che permettono all'organismo di conservarsi attraverso i tempi geologici. Il primo atto della fossilizzazione è il trasporto «postmortem», un fenomeno piuttosto comune che coinvolge la maggior parte degli organismi. Pochi sono infatti quegli animali e quelle piante che non subiscono uno spostamento dopo la loro morte: tra gli animali possiamo citare i coralli e i molluschi che vivono dentro la sabbia come i lamellibranchi; tra le piante le alghe calcaree. Tutti gli altri organismi subiscono un trasporto che può essere più o meno lungo; gli agenti trasportatori possono essere le correnti marine, le acque dei fiumi o dei torrenti, i venti. A causa di questo trasporto spesso gli organismi si spezzano o, nel caso dei vertebrati, le varie ossa si «slegano» tra di loro, per cui i fossili si possono presentare incompleti o rotti. Subito dopo la morte, e dopo un eventuale trasporto, inizia il processo di disgregazione dell'organismo, che potrebbe portare alla sua totale distruzione se non fosse interrotto dal seppellimento dell'organismo stesso nei sedimenti o dal suo inglobamento in sostanze naturali che ne preservino l'integrità (ad esempio, l'ambra, il bitume, i ghiacci). Questi processi di disgregazione, che agiscono differentemente sulle diverse parti dell'organismo, dipendono da tre diversi fattori: biologici, meccanici, fisici. La distruzione per cause biologiche è molto diffusa; gli agenti distruttori, in questo caso, possono essere assai vari: dagli avvoltoi agli sciacalli, che si cibano delle carogne, ai batteri, che si trovano in quasi tutti gli ambienti. La distruzione biologica agisce soprattutto sulle parti molli degli organismi (tessuti muscolari, interiora, epidermide) e per un tempo molto lungo; molti degli agenti biologici agiscono infatti anche all'interno dei sedimenti (sebbene solo nella parte più superficiale di essi): è chiaro che in questo caso un semplice interramento non è sufficiente per proteggere il resto organico, ma è necessario che il ricoprimento da parte dei sedimenti (processo chiamato sedimentazione) sia molto rapido, molto abbondante e che la granulometria dei sedimenti sia molto fine. La distruzione per cause chimiche è la più importante; essa agisce per mezzo della dissoluzione chimica, sui resti organici, visti come complesso di parti molli e impalcature scheletriche. La salvaguardia del resto organico da questo tipo di distribuzione è affidata solo al caso. L'ultima fase del processo di fossilizzazione è la trasformazione chimico-fisica del resto organico che può avvenire in vari modi.

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FOSSILIZZAZIONE PER MINERALIZZAZIONE

Avviene per opera delle acque sature di sali minerali che circolano nei sedimenti (acque circolanti). Per questa ragione il fossile non è quasi mai, salvo rarissime eccezioni, formato dalle sostanze organiche che componevano l'organismo in vita. Le acque circolanti possono avere due azioni diametralmente opposte: distruggere completamente il resto organico oppure impregnarlo di sostanze minerali, rendendolo in questo modo chimicamente più stabile. Questa ultima azione prende il nome di mineralizzazione o pietrificazione e interessa tutte le parti due dell'organismo, rendendole più stabili rispetto al sedimento che le contiene. La fossilizzazione per mineralizzazione è, in breve, una sostituzione della materia organica, o di origine organica, con del materiale di origine inorganica. Nel caso più semplice la mineralizzazione consiste in un semplice impregnarsi del resto organico da parte di sostanze inorganiche. Un processo più complesso è la sostituzione, durante la quale ogni singola molecola di materia organica viene sostituita da una molecola di materia inorganica: si ottengono in questo modo i risultati più spettacolari, i fossili si conservano fino ai più minuti particolari, mantenendo ancora la struttura originaria dell'organismo da cui derivano. I fossili ottenuti attraverso questo processo sono la copia esatta dell'organismo vivente e l'unica differenza riscontrabile è la diversa composizione chimico-mineralogica. Un esempio classico di mineralizzazione è dato dai tronchi fossili, che conservano la loro struttura originaria fino ai minimi particolari, dal riconoscimento delle singole parti che costituiscono il tronco (corteccia, cambio, libro ecc.) agli anelli concentrici di crescita, ai canali per il trasporto della linfa. Le sostanze minerali che entrano più frequentemente in questi processi di fossilizzazione sono il carbonato di calcio (CaCO3), la silice, il fosfato di calcio, per cui i fossili vengono detti, rispettivamente, calcarei, silicei, fosfatici. Moltissimi sono i fossili composti di carbonato di calcio, quali le impalcature dei coralli, le conchiglie dei molluschi, l'esoscheletro degli echinodermi. Più rari sono i fossili silicei, che si ottengono attraverso un complicato processo di fossilizzazione in ambienti con particolari condizioni fisico-chimiche: talvolta la silice, durante la fossilizzazione, si trasforma in quarzo, calcedonio, o, più raramente, in opale. Con questo tipo di fossilizzazione possiamo ricordare i già citati tronchi, la maggior parte dei radiolari, i gusci di alcuni foraminiferi, molte spugne. Il fosfato di calcio si trova, soprattutto nelle ossa e nei denti dei vertebrati e nei gusci di molti artropodi. Oltre a queste sostanze, possono entrare a far parte dei fossili anche la pirite, il carbonato di zinco, l'ossido di ferro, il solfato di ferro, vari silicati di ferro ed alcuni elementi nativi, quali l'argento e il rame. A parte i fossili in argento, che possono essere considerati dei veri e propri gioielli della natura, i fossili piritizzati sono fra i più bei prodotti della fossilizzazione. Il processo di piritizzazione avviene in ambiente anaerobico, cioè privo di ossigeno, dove la pirite si forma per combinazione tra il ferro presente nel terreno e lo zolfo proveniente dalla parziale decomposizione della materia organica.

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FOSSILIZZAZIONE PER INCROSTAZIONI

Questo tipo di fossilizzazione, poco diffusa, è limitata a resti organici, di solito parti di vegetali, molto recenti (Era Neozoica o Quaternaria). In presenza di acque calcarifere, di varia origine, non è raro il deposito del calcio in esse contenuto sotto forma di carbonato di calcio: in questo modo si formano, ad esempio, delle particolari rocce calcaree chiamate travertini, ricchi talvolta di impronte. Queste si formano con la deposizione del CaCO3 sul resto organico e con la successiva dissoluzione del medesimo, dopo la formazione della crosta calcarea.

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FOSSILIZZAZIONE PER DISTILLAZIONE

Il meccanismo di questo raro processo di fossilizzazione è ancora poco noto, di sicuro si sa che i componenti più volatili del resto organico subiscono, durante la fossilizzazione, una distillazione, lasciando sulla roccia una sottile pellicola carboniosa che riproduce la forma del resto organico.

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FOSSILIZZAZIONE PER CARBONIFICAZIONE

Il processo di carbonificazione, che coinvolge esclusivamente i resti vegetali, è meno frequente del precedente e richiede alcune condizioni ambientali particolari. Dopo la loro morte e un rapido seppellimento in sedimenti fini ed impermeabili, i resti vegetali vengono attaccati da particolari batteri che, attraverso l'eliminazione dell'ossigeno e dell'azoto, provocano un arricchimento indiretto in carbonio. Attraverso questo processo si è avuta la conservazione, spesso in modo mirabile, di molte piante dell'Era Paleozoica o Primaria. Oltre ai processi di fossilizzazione finora descritti, ne esistono altri, nei quali condizioni particolari o il concorso di diversi fattori, hanno permesso la conservazione di parti di organismi, o degli organismi stessi, che generalmente non si conservano. Un esempio può essere dato dalla conservazione di animali o piante in sedimenti molto fini, come il caso dell'uccello-rettile Archaeopteryx completo di penne, dei vermi dell'Era Primaria o Paleozoica e delle libellule e degli insetti. Esistono poi casi si fossilizzazione «in toto», forniti dagli insetti e dagli artropodi inglobati nell'ambra; dai dinosauri mummificati provenienti dai giacimenti nord-americani; dai mammuth «surgelati» rinvenuti nei ghiacci della Siberia; dai rinoceronti lanosi trovati nelle paludi bituminose dell'Ucraina.

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FOSSILI

Il fossile è il resto di qualsiasi organismo, vegetale o animale, vissuto in epoche geologiche passate e conservatosi fino ai nostri giorni nell'interno delle rocce sedimentarie, grazie ai processi di fossilizzazione. Altre tracce del passato, che non sono veri e propri resti fossili, possono essere assimilate ad essi: per esempio le impronte, le tracce di abitazione, le uova e gli escrementi (coproliti) lasciati dagli organismi del passato, che forniscono molte utili informazioni sulla vita degli antichi organismi. Letteralmente fossile deriva dal verbo latino fodere = «scavare» e significa quindi «oggetto che si può prelevare dal terreno mediante scavo». In passato, fino al XVIII secolo, si indicavano come fossili tanto i resti organici (fossilia petrificata) quanto i minerali (fossilia nativa). Il termine fossile vivente fu adoperato per la prima volta da Darwin per designare la pianta Ginkyo biloba. Con questa espressione si intende un organismo, animale o vegetale, che si è conservato fino a noi senza subire modificazioni da parte dell'evoluzione e che quindi possiede caratteristiche simili, se non uguali, ai suoi predecessori fossili. Il fossile costituisce il materiale essenziale per gli studi paleontologici. Esso si trova in quasi tutte le rocce sedimentarie e talvolta ha una abbondanza che arriva a costituire delle rocce speciali (radiolariti, spongoliti, diatomiti, lumachelle). Può essere di dimensioni varie: da quelle gigantesche, come i dinosauri, fino a quelle microscopiche, protofiti e protozoi. Il fossile, oltre ad avere un enorme interesse per lo studio dei fenomeni biologici ed evoluzionistici, è della massima importanza per le applicazioni stratigrafiche. La presenza di fossili permette infatti di datare gli antichi sedimenti e di ordinarli in una scala cronologica. Si dicono fossili guida quelli che servono ad identificare e a datare lo strato o la successione di strati da cui provengono. I fossili possono inoltre dare preziose indicazioni sull'origine della roccia in cui si trovano. Resti fossili di pesci o di altri animali o vegetali marini, per esempio, indicano inequivocabilmente che le rocce che li contengono sono di origine marina, mentre resti di tronchi con tutte le radici, ancora in posizione di vita, mostrano che Ia roccia è di origine continentale. Altri gruppi di fossili possono indicare anche dati specifici sull'ambiente in cui vissero gli organismi originari e sulle loro abitudini di vita.

Fossile di pesce preistorico I fossili, testimoni della vita preistorica

I CARBONI FOSSILI

Fra le riserve del sottosuolo un ruolo importante ha avuto, specialmente negli ultimi due secoli, il carbone fossile, cioè il carbone che si trova nelle viscere della terra ed ha origine da antiche foreste sotterrate. Le migliori qualità di carbone fossile, quelle cioè in cui il processo di carbonizzazione è più progredito, derivano da foreste di 300 milioni di anni fa. A quell'epoca sulla Terra dominava un clima caldo e umido che favoriva la crescita di felci gigantesche. A causa di bradisismi negativi o per altri fenomeni che hanno sconvolto la litosfera (terremoti, alluvioni) l'argilla e la sabbia ricoprirono i grandi tronchi abbattuti. La grande pressione e la mancanza di aria trasformarono i resti delle felci in carbon fossile. Le varietà più antiche sono l'antracite, che ha 92-95 parti di carbonio su cento, brucia con difficoltà ma sviluppa molto calore, e il litantrace che ha il 75-92 per cento di carbonio. In altri tipi di carbon fossile, che si trovano in giacimenti che hanno avuto una vita meno lunga, la trasformazione del legno di carbonio è meno progredita. La lignite ha una percentuale del 70 per cento di carbonio e brucia facendo fumo e sviluppando poco calore; la torba, ha appena il 60 per cento di carbonio e sviluppa ancora meno calore e molto più fumo. Il carbon fossile, riscaldato fortemente nel processo di distillazione a secco, sviluppa un gas che contiene del catrame. Il gas viene fatto gorgogliare nell'acqua dove si libera del catrame; una volta era utilizzato per illuminare le strade, per questo era detto gas illuminante; oggi serve per le cucine ed è chiamato gas di città. Il carbone da cui è stato distillato il gas diventa una massa nera, porosa, detta carbone coke che brucia senza fiamma e viene usato negli altiforni. Dal catrame si ottengono resine, medicinali, colori, gomma, paraffina, ecc.

TORBA

È un combustibile la cui formazione è relativamente recente. Essa si è formata in seguito alla lenta decomposizione di vegetali in presenza di acqua e organismi anaerobici. Per la combustione la torba richiede focolai con griglie adatte in quanto manca di compattezza. Non è un combustibile molto pregiato in quanto è accompagnato da molta acqua. Viene usata come combustibile domestico.

LIGNITI

Sono rappresentate da combustibili che hanno caratteristiche medie fra quelle della torba e quelle dei carboni fossili; ne sono stati classificati diversi tipi secondo la natura e l'aspetto: ligniti torbose, ligniti picee, ligniti nere, ligniti xiloidi. I vari tipi di lignite hanno diversa composizione e si differenziano dalla torba per il maggior contenuto di carbonio e il minor contenuto di ossigeno. All'atto dell'estrazione le ligniti contengono discrete quantità di acqua che viene poi successivamente ridotta per deposizione all'aria. Le ligniti trovano applicazione come combustibili specialmente in prossimità delle zone di estrazione. Tendono a polverizzarsi per cui sono necessarie griglie speciali per la loro combustione. Il potere calorifico varia da 2500 a 5000 chilocalorie per chilogrammo.

ANTRACITI

Questo tipo di combustibili rappresenta nella scala dei vegetali uno stadio più spinto di quello che si riscontra nei litantraci. All'analisi elementare presentano una composizione media dove il carbonio rappresenta il 92-95 per cento; al momento dell'estrazione, hanno un basso contenuto di umidità che si aggira intorno al 3-4 per cento. Le ceneri rappresentano il 2-4 per cento, il potere calorifico è dell'ordine dei 9000-9200 chilocalorie per chilogrammo. Le antraciti si accendono con difficoltà e, a causa del basso contenuto in sostanze volatili, bruciano con poca o pochissima fiamma; non producono fumo e per mantenere viva la combustione è necessario mantenere un forte tiraggio accompagnato da un elevato eccesso di aria. Vengono utilizzate principalmente per il riscaldamento domestico, nei gassogeni, nei forni metallurgici.

LITANTRACI

Sono detti anche carboni fossili e costituiscono il gruppo più importante dei combustibili naturali. Questa classe di combustibili si suddivide in un gran numero di prodotti. Sono carboni pregiati perché hanno un basso tenore di umidità (4-8 per cento) e il contenuto in ceneri, cioè il residuo solido della combustione completa, varia dal 2 al 10 per cento. La temperatura di fusione delle ceneri è una delle grandezze che esprimono la buona qualità del carbone. Normalmente essa è abbastanza elevata (oltre 1500° C.), però in presenza di ossido di ferro, che funziona da fondente, la temperatura di fusione si può abbassare a 1000-1200° C, rendendo difficoltosa la utilizzazione del carbone stesso. Infatti, se un carbone ha una abbastanza elevata percentuale di ceneri, con punto di fusione relativamente basso, quando esso brucia può lasciare delle scorie che aderiscono alle barre della griglia corrodendole e limitando il passaggio dell'aria; se invece il carbone viene iniettato in forma polverizzata nella camera di combustione, le ceneri, fuse o quasi, aderendo sulle pareti della camera o alle parti metalliche provocano corrosione. All'analisi elementare i litantraci puri presentano, mediamente una composizione dove il carbonio rappresenta il 75-92 per cento; oltre alle ceneri e all'umidità sono presenti quantità di zolfo (0,3-1,5 per cento) in parte sotto forma di composti organici solforati ed in parte come piriti e come solfati. Il potere calorifico dei litantraci puri varia da 7800 a 8500 chilocalorie per chilogrammo. I litantraci, a seconda della loro qualità e delle loro caratteristiche, vengono destinati a vari usi; si distinguono litantraci da gas, da coke, da riscaldamento domestico, da combustibile industriale.

COKE

Quando il carbon fossile viene sottoposto a processo di distillazione, cioè viene immesso in forni speciali ad una temperatura di 1000-1200° C in assenza di ossigeno (per evitare che bruci), si libera una miscela di gas e vapori costituita da: ossido di carbonio, idrogeno, idrocarburi, vapor d'acqua, vapori, catrame, ammoniaca, acido solfidrico, benzene, naftalina. Il residuo solido della distillazione si chiama coke. Il coke che si ottiene è diverso a seconda della qualità del carbone di partenza e delle condizioni alle quali si realizza la distillazione: quando interessa principalmente il gas che si sviluppa si usano litantraci ricchi di materie volatili e si ottiene così un prodotto chiamato gas illuminante o gas di città, queste lavorazioni si eseguono nelle officine da gas ed il coke che si ottiene è adatto per il riscaldamento domestico. Invece nelle cokerie si produce un coke che ha buone caratteristiche meccaniche ed è adatto per usi metallurgici e, come prodotto secondario si ottiene un gas combustibile: in questo caso si usano litantraci con poche sostanze volatili.

LE MINIERE

I minerali si possono trovare sia in superficie sia in profondità. Sabbia, marmo, calcare sono abbondanti in superficie e quindi non è necessario cercarli nel sottosuolo: basta analizzare i terreni, individuare la presenza del minerale e calcolare se val la pena di scavarlo. Infatti se e mescolato a sostanze non utili può non essere conveniente tirarlo fuori, perché il lavoro che occorre per separarlo dalle impurità costa più di quanto vale il minerale stesso. In altre parole, la cava è improduttiva. Queste osservazioni e questi calcoli sono fatti dai geologi che si servono di alcuni strumenti semplici o complessi. Possono ad esempio limitarsi a fare qualche scavo di saggio con una zappa comune qua e là per il terreno per vedere quanto si estende il giacimento del minerale; oppure usano delle trivelle, cioè dei lunghi trapani, con cui perforano il giacimento per molti metri (30-40) per stabilirne la profondità. Con le trivelle si fanno dei fori da cui si estrae un po' di materiale da analizzare. Questa operazione si chiama carotaggio perché con la trivella si estrae un pezzo di materiale grosso come una carota. Ottenuti i campioni questi vengono analizzati nei laboratori chimici, per accertare la purezza del minerale. Il certi casi tutto questo lavoro non è necessario perché il giacimento si presenta così evidente e così scoperto che una persona un po' esperta comprende subito, con la sola osservazione ad occhio, che è utile scavarlo. Altri minerali invece non si trovano in superficie, o se ne trovano solo modeste quantità, sicché occorre cercarli nelle viscere della terra. Una volta erano in uso metodi basati sull'osservazione: uno di questi consisteva nello scavare dei pozzi nei luoghi in cui per qualche particolarità del terreno si poteva pensare che vi fosse in profondità un giacimento. Se in superficie vi era terra rossiccia, cioè con tracce di ematite (composto del ferro), si poteva supporre che più in profondità si sarebbe trovato un accumulo sostanzioso di minerale. Questo metodo non è molto sicuro, perché non sempre la composizione superficiale del terreno corrisponde a quella interna. Erano perciò necessarie altre osservazioni ed altri esami. Quando si cercava il carbone ad esempio si considerava anche l'età della zona poiché è noto che l'antracite deriva da foreste sviluppatesi sulla Terra trecento milioni di anni fa, quindi in un terra giovane non era possibile trovarne. Però non sempre nei terreni vecchi c'erano giacimenti. Man mano che si è approfondito lo studio della litosfera, questi metodi empirici sono stati modificati e migliorati. Ora sappiamo che la gravità, la diffusione delle onde sismiche, elettriche e magnetiche, l'andamento delle radiazioni cambiano a seconda della natura del terreno che incontrano. Se sullo stesso meridiano, e quindi a uguale distanza dal centro di gravità, si riscontrano differenze fra le due misure, si può concludere che la composizione dei due terreni è diversa. Naturalmente occorrono molte misurazioni e molti confronti per poter stabilire se negli strati interni della litosfera si potrà trovare un giacimento di minerale. Allo stesso modo, se la diffusione delle onde fa un salto, si può supporre che vi sia una discontinuità negli strati interni e quindi che vi sia una cavità piena di petrolio. Per miniera s'intende il complesso degli impianti necessari ad estrarre minerali da un giacimento. Se il giacimento non è molto profondo la miniera può essere coltivata a giorno o, come anche si dice, a cielo aperto, e allora si tratta di una cava, cioè di una miniera senza gallerie sotterranee. Se invece il giacimento è profondo si procede con pozzi e gallerie ed allora si ha la miniera propriamente detta. Come prima cosa si scava un pozzo verticale di accesso, in cui viene installato un montacarichi per portare su e giù il materiale scavato, i materiali e gli attrezzi che servono per gli scavi e per trasportare gli operai. Da tale pozzo partono in varie direzioni un certo numero di gallerie a diversi livelli. Di solito le gallerie sono munite di rotaie per vagoncini sui quali vengono trasportati i materiali. La forma, il numero, la direzione delle gallerie dipendono dalla struttura del giacimento. Vi sono accumuli a filone, che costituiscono il riempimento di spaccature di forma allungata della crosta terrestre; stratificati, cioè a strati estesi in lunghezza e in larghezza più che in spessore; ad ammassi irregolari; ad impregnazione ed inclusione, cioè con i minerali diffusi in piccole particelle in mezzo all'altra roccia. Il lavoro nelle miniere è duro e pericoloso. L'aria che vi si respira è molto impura: vi sono mescolati gas nocivi e minute particelle di terriccio che entrando nei polmoni e quindi nel sangue provocano lesioni e malattie a volte incurabili. Ma i rischi caratteristici delle miniere sono i crolli e le esplosioni. Dalle gallerie scavate nella terra si staccano a volte, specialmente per azione delle acque filtranti, frammenti di roccia, per difendersi dai quali i minatori portano un elmetto. Possono accadere gravi sciagure, come purtroppo è avvenuto in tempi anche recenti. I minatori rischiano di restare sepolti oppure di rimanere imprigionati. Nei giacimenti di carbone, di zolfo e di sali potassici si trovano incorporati vari gas, fra cui il metano, che possono essere molto pericolosi. Durante l'estrazione del minerale questi gas si liberano e formano con l'aria un miscuglio infiammabile, chiamato grisù, che può esplodere disastrosamente. Per prevenire i disastri, nelle miniere sotterranee è essenziale il perfetto funzionamento degli impianti di ventilazione, di drenaggio delle acque filtranti, di distribuzione dell'energia elettrica (sottoposta a norme di sicurezza rigorosissime per evitare scintille o cortocircuiti). Sono indispensabili, naturalmente, adeguate opere di sostegno delle gallerie.

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