ITINERARI - LE ORIGINI - ECOLOGIA - GLI ORIZZONTI GENETICI

INTRODUZIONE

Col termine terreno in geologia si indica quella parte del suolo che appare sfatto a differenza di quell'altra parte di suolo che è invece coerente. Lo studio del terreno è oggetto di una scienza che si chiama pedologia (dal greco pèdon = «terreno»).
A prima vista può sembrare che il terreno sia una massa immobile, che non cambia. In realtà è soggetto a cambiamenti e ad un'evoluzione, come se fosse un organismo vivente.
Il terreno ha un'origine: comincia ad esistere formandosi dalla parte più superficiale della crosta terrestre per effetto di diverse forme di energia: fisica, chimica e biologica. Una volta formato, si sviluppa, si può dire che matura, raggiunge una situazione di equilibrio più o meno stabile con l'ambiente esterno (per lo più quando lo osserviamo è proprio così che ci appare), ma può anche invecchiare, diventare inadatto alla vita delle piante e infine «morire».
Prima che sulla Terra comparisse la vita, il terreno si formava soltanto per la decomposizione della crosta rocciosa che copriva la superficie del pianeta, e che perciò si chiama «roccia madre». Via via che il terreno si formava, le acque allora molto abbondanti (piogge, ruscelli, ghiacci, ecc.) lo erodevano e lo trasportavano via, (dilavamento) perché mancava un manto vegetale (cioè piante che lo trattenessero con le radici).
Questo suolo primitivo in cui erano completamente assenti materie organiche, fu completamente modificato dopo l'apparizione della vita. La presenza di materiale organico rese più celere e più intensa la disgregazione della roccia madre. Inoltre i detriti provenienti dalla materia vivente cementarono fra loro le particelle di roccia rendendo il terreno più stabile e resistente al dilavamento da parte delle acque. Infine lo scambio di energia fu complicato dalla presenza del materiale biologico. Per esempio, prima l'energia solare veniva assorbita direttamente dal suolo; invece le piante, che sfruttano l'energia solare per compiere la fotosintesi, restituiscono questa energia sotto forma di materiale organico. Così dove ci sono foreste e boschi, la fitta vegetazione favorisce il formarsi di un terreno molto alto.
La materia organica che troviamo ora nel terreno è formata dall'insieme dei prodotti di diversa origine biologica (detriti di piante e animali). Per esempio, un ramoscello cade dall'albero sul suolo di un bosco. Se il clima è come il nostro, in qualche anno le foglie e il legno del ramoscello si trasformano in una sostanza brunastra che si chiama humus (in latino humus significa «suolo»). Se il clima è più caldo questa trasformazione avviene più rapidamente. Una volta formato, l'humus, se le condizioni ambientali sono favorevoli, si evolve ancora, specialmente per la azione della microflora, cioè di funghi e batteri piccolissimi che vivono nella terra. Questi microorganismi «mineralizzano» l'humus, cioè lo trasformano in sostanze minerali, come sali, ma soprattutto in anidride carbonica e azoto. Questo ultimo elemento è importantissimo per la vita vegetale e animale, tanto che sino all'inizio del secolo scorso si credette erroneamente che l'humus fosse il solo alimento delle piante.
Nel terreno avviene dunque un continuo processo di formazione e decomposizione della materia organica. La decomposizione (o mineralizzazione) è favorita dalle alte temperature (25° C) per questo nelle zone calde si accumula poco humus, che tende a decomporsi, mentre a temperature più basse prevale il processo di formazione come si vede nelle grandi foreste nordiche, che presentano spessi strati di terreno.
Se si osserva uno scavo profondo o anche il terreno di una frana, si vede che esso non appare uniforme. Dalla parte superficiale, scendendo in profondità, cambiano il colore e la durezza, le radici delle piante si fermano ad un certo livello e così via. Infatti se un terreno si forma solo a causa dei fattori naturali (disgregazione della roccia, dilavamento, presenza di vegetazione, temperatura), nel suo spessore si vedono strati differenti che i pedologi (studiosi della evoluzione del terreno) chiamano genetici. Questi «orizzonti» si indicano con diverse lettere dell'alfabeto (A, B, C) scendendo dalla superficie in profondità.
Lo studio del terreno dalla roccia madre sino allo strato di vegetazione, si chiama profilo del terreno. Gli orizzonti si scambiano ininterrottamente materiale soprattutto ad opera dell'acqua che circola sempre all'interno del suolo, e possono perciò avere diversi aspetti in estate rispetto all'inverno. La maggior parte dei materiali vengono trasferiti all'orizzonte B per eluviazione, cioè per azione dell'acqua piovana che cadendo li trascina in profondità. In questo modo molti elementi e lo stesso humus vengono eliminati completamente dall'orizzonte superficiale, specialmente in regioni molto piovose e sprovviste di vegetazione.
L'orizzonte B, che si chiama alluvionale perché raccoglie il materiale proveniente da A, restituisce per mezzo delle correnti interne di acqua parte del materiale già depositato, specialmente nei periodi asciutti. Nel frattempo la disgregazione della roccia madre (Orizzonte C) prosegue e contribuisce ad aumentare sempre più lo spessore del terreno.

LA CATENA TROFICA

Uno degli esempi meglio conosciuti delle interazioni biologiche che si possono avere in qualsiasi ecosistema è dato dagli scambi di energia che avvengono sotto forma di cibo attraverso i processi detti catene alimentari o trofiche (dal greco trophé = «cibo»). In ogni catena alimentare si possono distinguere diversi livelli trofici che sono come gli anelli della catena stessa. Le piante verdi, ad esempio, costituiscono un livello trofico. Esse, che sono fornite di clorofilla, sono autotrofe. Sono cioè in grado di costruire, grazie alla fotosintesi, sostanze organiche alimentari partendo da sostanze inorganiche. Così facendo, catturano e immagazzinano l'energia solare e liberano ossigeno. Poiché le piante verdi costituiscono le sostanze organiche alimentari, che sono una forma d'energia, tutti gli altri esseri viventi dell'ecosistema dipendono da esse. Per questo le piante verdi sono solitamente indicate come il primo livello trofico della catena alimentare (che si abbrevia nell'espressione T1). Questo livello può essere costituito indifferentemente da alberi, da erba o da alghe e la sua produzione totale di energia, va sotto il nome di produzione primaria.
Le popolazioni di animali erbivori che vivono nello stesso ambiente sono eterotrofe, cioè non sono in grado di produrre sostanze organiche (non sono in grado di fotosintetizzare): assumono energia nutrendosi dalle piante. Poiché si nutrono si sostanze vegetali, distruggono in relazione ai propri bisogni alimentari alcune parti della vegetazione dell'ecosistema e costituiscono rispetto alle piante verdi il secondo livello trofico (T2).
A loro volta gli erbivori rappresentano il cibo (forniscono cioè energia) dei due livelli trofici superiori (T3 e T4) costituiti dalle popolazioni, sempre eterotrofe, dei carnivori che vivono nell'ecosistema. Al terzo livello trofico i carnivori interagiscono con le popolazioni erbivore, divorandone una parte; al quarto livello (T4) i carnivori, oltre a cibarsi direttamente degli erbivori (T2), divorano anche una parte della popolazione carnivora del livello inferiore (T3).
Un ultimo anello della catena alimentare, il quinto livello trofico (T5), è costituito da funghi microscopici, dalle muffe, dai batteri che popolano numerosissimi il substrato (dal latino sub = «sotto» e stratus = «steso» e quindi «ciò che è disteso sotto») di ogni ecosistema (suolo, fondale marino ecc.). Quegli organismi si cibano dei residui degli altri livelli trofici (escrementi, animali e piante morte), degradando le sostanze che li compongono (protidi, lipidi, glucidi) a componenti minerali a basso contenuto energetico che vengono restituiti all'ambiente circostante (anidride carbonica, azoto o ammoniaca, acqua e sali).
Le piante verdi utilizzano queste sostanze insieme con l'energia solare nel processo della fotosintesi clorofilliana: la catena alimentare risulta quindi chiusa. Si usa l'espressione «catena» per indicare che questi passaggi di cibo (energia) legano, incatenano strettamente uno all'altro i vari livelli trofici. Rompendo infatti uno solo dei suoi anelli tutta la struttura dell'ecosistema viene squilibrata. L'esempio delle catene alimentari, benché molto importante, copre solo un piccolissimo settore delle numerosissime interazioni biologiche.

L'ECOLOGIA

Purtroppo l'abitudine di considerare la natura come un oggetto di conquista e di sfruttamento senza limite alcuno è molto radicata ancora ai giorni nostri; sono pochi coloro che sanno vedere in un bosco, in una prateria, in uno stagno un modo molto complesso di organizzazione della vita. Molto raramente gli ambienti naturali sono stati trattati dall'uomo per quello che in realtà sono: entità viventi al pari di una cellula, di un tessuto o di un organismo, ma ad un più alto livello di organizzazione.
Tra il XVII e il XVIII secolo i naturalisti notarono che per ciascuna specie esistevano particolari punti della superficie terrestre dove essa viveva di preferenza: gli habitat. Più tardi gli scienziati, soprattutto dopo il consolidarsi delle teorie evoluzionistiche in biologia, si accorsero dell'importanza che l'ambiente aveva per ciascuna specie e cominciarono a studiare le relazioni esistenti fra la distribuzione degli esseri viventi sul nostro pianeta, la loro struttura e le loro necessità biologiche.
Le terre emerse e le acque apparvero così ospitare una grande quantità di diversi ambienti naturali, grandi «case» dove più individui di una stessa specie (ciò che si dice popolazione) vivendo insieme possono soddisfare nelle migliori condizioni i propri bisogni di nutrimento, di protezione, di riproduzione.
Nacque dunque verso la fine del secolo scorso un nuovo e importante ramo delle scienze biologiche: l'ecologia o biologia ambientale (dal greco òikos = «casa» e lògos = «discorso», cioè «discorso intorno alla casa» di ciascun essere vivente). La coniazione del termine, avvenuta nel 1866, si deve al biologo tedesco Ernst Haeckel e proprio l'area germanica vide per prima la nascita di movimenti politici ecologisti, i cosiddetti, Verdi. Per l'Italia il personaggio più importante in ambito ambientale fu Laura Conti.

I FATTORI AMBIENTALI

Gli scienziati hanno individuato nell'ambiente un complesso di numerosi fattori ambientali o ecologici come la temperatura, le radiazioni solari, ecc. Questi fattori agiscono sull'individuo o sulla popolazione che vive in un determinato ambiente e soprattutto interagiscono fra loro.
Per ecosistema si intende non solo quella porzione di spazio occupato da determinate popolazioni animali e vegetali, ma soprattutto l'insieme degli scambi, degli scontri, delle lotte, in una parola delle interazioni biologiche che in quel particolare tipo di ambiente avvengono.
Nella biosfera vi sono ambienti in cui i fattori ecologici e le popolazioni si mantengono, entro certi limiti, costanti e caratteristici originando un ecosistema, grazie a questo delicatissimo equilibrio interno.
Sono stati compiuti molti esperimenti per determinare i meccanismi che permettono o impediscono ad un gruppo animale di aumentare il numero degli individui che lo compongono.
Una specie animale continua ad aumentare finché l'ambiente in cui vive è in grado di soddisfare le esigenze di tutti gli individui. Raggiunto questo limite intervengono meccanismi di regolazione ecologica della popolazione per cui il numero non cresce più, ma tende a stabilizzarsi o a diminuire.
Nel caso dell'uomo invece i fattori culturali, come l'economia, l'impiego di nuove tecniche di produzione, eliminano in gran parte le limitazioni dell'ambiente.

HABITAT E TERRITORIO

Una specie si estende a popolare aree ben delimitate della superficie terrestre in base ad esigenze ecologiche che sono in gran parte determinate dal patrimonio genetico specifico. Nella scelta del proprio habitat il ruolo del fenotipo (cioè del singolo individuo fisico) è insignificante, ma al di fuori del suo habitat l'individuo si trova in enormi difficoltà e facilmente soccombe.
Ciascun organismo però, all'interno dell'habitat specifico, afferma dei diritti su di un'area ben delimitata, il suo territorio; da esso l'individuo respinge tutti gli altri animali con specifici (della stessa specie) o semplicemente i membri della stessa specie del suo stesso sesso. Oppure il territorio può essere il possedimento di un gruppo che respinge da esso i con specifici che non appartengono al gruppo.
Come si vede nella definizione del territorio individuale ha una grande importanza la competizione per lo spazio che si verifica tra i membri della stessa specie. Non mancano però casi di competizione interspecifica (cioè tra specie diverse) nella difesa del proprio spazio. Ad esempio molti uccelli che nidificano in cavità sono particolarmente aggressivi contro qualunque intruso: è assai facile assistere ad episodi di lotta per il territorio tra pettirossi, scriccioli e fringuelli.
Grazie ad un area riservata che circonda ciascun individuo si provoca un distanziamento opportuno tra membri della popolazione, si permette al singolo e all'intiera specie una migliore utilizzazione delle possibilità esistenti in un dato ambiente.
I comportamenti messi in opera per affermare i propri diritti su un territorio sono studiati con la denominazione di territorialità. Una volta scelta l'area su cui insediarsi, in molte specie l'animale provvede ad una marcatura, ad una sorta di delimitazione del proprio territorio. I mezzi a disposizione sono diversi: negli uccelli, almeno nelle specie canore, il canto è uno dei più importanti. Nei cani il territorio è marcato con l'orina; è facile osservare con quale preoccupazione, dopo aver annusato a lungo se vi sono tracce precedenti di altre marcature, i cani depositino il loro contrassegno. Anche la tigre segna il suo territorio con un gesto d'orina. Molte specie sono provviste di speciali ghiandole odorifere il cui secreto è usato per marcare i territori di pascolo depositandolo su rami e cespugli: tra questi erbivori le antilopi, i camosci. L'orso si serve dell'orina ed anche di segnali che lascia sui tronchi degli alberi strofinandovi la schiena.
All'interno del territorio vengono stabilite diverse posizioni secondo la funzione che vi si dovrà svolgere: vi saranno località per il gioco e l'apprendimento, per il riposo e la protezione della famiglia (nidi, tane, ecc.), luoghi per nascondersi o da sorvegliare per la difesa. Tutti questi punti di riferimento rappresentano un complesso spaziale molto vantaggioso per l'animale: succede così che nel proprio territorio l'individuo anche debole e socialmente inferiore ad altri della stessa comunità ha sempre la meglio. Questo "fattore territoriale" è stato sperimentato nella lotta tra individui della stessa specie, ad esempio nei piccioni.
Un piccione maschio evirato, che all'interno della comunità è considerato una sorta di escluso, nel suo territorio vincerà regolarmente con simili più vigorosi e sessualmente superiori. In questo modo il territorio diviene un fattore molto importante nella conservazione della ricchezza di caratteri della specie poiché permette, entro certi limiti, la sopravvivenza del patrimonio genetico dei più deboli.

ORGANISMI AUTOTROFI

Si dice autotrofo (dal greco autós = «se stesso» e trèphein = «nutrire») un organismo in grado di trasformare le sostanze inorganiche in organiche e quindi di vivere utilizzando solo acqua, composti minerali ed energia. Sono autotrofe quasi tutte le piante mentre gli animali, ed i restanti vegetali, sono eterotrofi, hanno cioè bisogno per nutrirsi di composti già organicati dagli autotrofi, dai quali dipende perciò la loro possibilità di sopravvivenza.
L'energia necessaria per le trasformazioni viene captata dalle piante verdi per mezzo delle cellule contenenti clorofilla capaci di fissare l'energia solare mentre alcuni batteri ricavano energia direttamente dalla trasformazione chimica di sali minerali.
Alcuni organismi poi, sono autotrofi solo parzialmente, nel senso che sono in grado di trasformare l'anidride carbonica in zucchero (fotosintesi) ma non sono capaci di utilizzare l'azoto minerale per le proteine; è il caso di alcune piante carnivore verdi contenenti clorofilla e quindi in grado di compiere la fotosintesi (autotrofe per il carbonio) ma per le quali è necessario nutrirsi di piccoli animali per avere l'azoto organico (eterotrofe per l'azoto).
La mucca è un tipico esempio di parassitismo indiretto dell'energia solare, in quanto trae l'energia dal proprio nutrimento che è l'erba la quale sfrutta direttamente l'energia solare con la fotosintesi.

LE VARIAZIONI AMBIENTALI

È difficile stabilire l'importanza di ciascun fattore ambientale per l'equilibrio di un ecosistema; lo stesso elenco dei fattori ambientali può risultare incompleto ed infine ognuno dei fattori ambientali può presentare una forte variabilità. Se si considera ad esempio il terreno, o meglio la natura del substrato di un qualsiasi ecosistema terrestre, si vede che esso è caratterizzato da un gran numero di sottofattori come la sua acidità, il rapporto fra il carbonio e l'azoto, lo stato fisico, il tipo di roccia madre da cui deriva, ecc.
Alcuni fattori ambientali possono essere completamente assenti in certi ecosistemi, come ad esempio il fuoco nella tundra; in altri casi invece proprio l'incendio è l'intervento naturale più rapido in grado di mutare in tempo brevissimo l'aspetto e la struttura di un ambiente naturale. In poche ore una foresta secolare può essere cancellata dalla faccia della Terra. Le foreste delle Montagne Rocciose, nel continente americano, subiscono a causa dei fulmini centinaia di incendi ogni anno. In altri casi il fuoco anziché essere un distruttore di equilibri naturali, può avere una funzione importante nel mantenimento di quegli equilibri all'interno di un ecosistema. Gli incendi che colpiscono ciclicamente le praterie, determinati spesso da un'autocombustione o addirittura prodotti dall'uomo, favoriscono il mantenimento di una vegetazione erbacea a discapito di quella legnosa. Quest'ultima infatti risulta molto più danneggiata dell'erba e impiega più tempo per ricostituirsi, cosicché il manto erbaceo può mantenersi ed estendersi.
Si ha l'impressione che un ecosistema rappresenti un equilibrio statico dei fattori ambientali. Una foresta appare ad esempio qualcosa di assolutamente immobile: se ne possono chiaramente distinguere i limiti e forse può colpire la sua calma maestosa. Un lago può apparire increspato dal vento o addirittura agitato, ma indubbiamente apparirà sempre simile a se stesso. Si tratta di ecosistemi stabili, maturi, dove i fattori ambientali hanno raggiunto un certo equilibrio e lo conservano nel tempo.
Ma se da intervalli di tempo abbastanza lunghi si torna ad osservare la stessa foresta prima in estate e quindi in inverno, ci si accorge che essa ha aspetti completamente diversi: diverso il colore, diversa la quantità di vegetazione, diverso il numero degli individui e delle specie, diversi molti altri elementi, tanto che normalmente si parla di abito stagionale dell'ecosistema.
Buoni osservatori, anche con l'aiuto di qualche semplice strumento come un termometro, un igrometro, ecc. possono cogliere le variazioni dei fattori ambientali anche in un tempo più breve, ad esempio dalla notte al giorno. Sarà diversa la temperatura, la composizione dell'atmosfera (anche se di poco), il grado di umidità, la quantità di calore scambiata ecc. Tutti questi tipi di variazione proprio perché si ripetono nel tempo con una certa costanza sono detti ciclici e dimostrano che l'equilibrio dei fattori ambientali non è statico, cioè sempre uguale nel tempo ma dinamico, varia cioè continuamente (ogni giorno, ogni stagione) e continuamente si ristabilisce.
Se a scopo sperimentale si variano artificialmente per un certo tempo i fattori ambientali (ad esempio distruggendo una porzione qualsiasi dell'ecosistema) si vede che l'ambiente risponde proprio come un organismo vivente. Se l'intervento non si è spinto al di là di limiti ben precisi (oltre i quali le variazioni che si sono provocate sono irreversibili), si osserva che l'ecosistema tende a ritornare nelle condizioni primitive attraverso il succedersi di diversi stadi che assomigliano sempre più all'ambiente scomparso; se sarà trascorso un tempo di riposo sufficientemente lungo (20-40 anni per una prateria, centinaia di anni per una foresta) si sarà tornati all'equilibrio iniziale dei fattori ambientali e l'ecosistema avrà riprodotta la parte distrutta. Si ritrova così a livello dell'ambiente una delle qualità fondamentali della materia vivente: l'omeostasi, che più propriamente in questo caso prende il nome di regolazione ecologica.
Questa regolazione ambientale è data dalla somma delle regolazioni che ciascuna popolazione vegetale o animale è in grado di attuare sul numero dei suoi componenti reintegrando gli individui scomparsi grazie ad un incremento delle nascite che segue costantemente ad ogni catastrofe. Questo vale soprattutto per le popolazioni animali, giacché le piante sono molto più lente nella riconquista dell'ambiente.
Alle variazioni ambientali che si sono chiamate cicliche, se ne aggiungono altre che si potrebbero chiamare cumulative. Anche se queste ultime non sono ancora ben note, è chiaro tuttavia che nel lento trascorrere dei millenni o addirittura delle Ere geologiche l'ecosistema, proprio come qualunque essere vivente, subisce una sua evoluzione. Col trascorrere del tempo, per esempio, rapporti tra le varie specie presenti nell'ecosistema si vanno sempre più complicando; inoltre, se un ecosistema non è disturbato da fattori esterni la quantità della materia vivente che lo compone (quella che gli ecologi chiamano la biomassa) aumenta progressivamente anche oltre le condizioni di equilibrio. Infine anche gli ecosistemi hanno i loro «antenati» fossili: le attuali torbiere, ad esempio, derivano da antichissimi stagni e paludi che nel corso dei millenni si sono trasformati in questi attuali depositi di sostanze organiche.
Al di fuori della loro organizzazione in ecosistemi, le varie specie animali o vegetali popolano il nostro pianeta distribuendosi su di un territorio geografico ben preciso che si chiama areale della specie. Questo spazio, partendo dal punto in cui si suppone che la specie abbia avuto origine, si espande sino a che non incontra ostacoli ambientali. Questi, numerosissimi, possono essere di varia natura: un braccio di mare, una catena di montagne che quella determinata specie di pianta o di animale non è riuscita a scavalcare o l'areale di un'altra specie che avendo conquistato prima quello spazio impedisce l'avanzata di nuovi colonizzatori.
Una grandissima importanza ha assunto in questi ultimi secoli l'uomo, che ha ristretto l'areale di molte specie arrivando in certi casi a cancellarlo del tutto dalla superficie terrestre.

LE VARIAZIONI CICLICHE

Fenomeni che si ripetono periodicamente si manifestano a qualsiasi livello di organizzazione della materia vivente: dalla macromolecola biologica all'ecosistema. Possono avere origine interna (essere cioè legati al patrimonio genetico o a speciali meccanismi fisiologici) o essere determinati dalle influenze ambientali. La branca della biologia che studia la loro apparizione nel tempo si chiama fenologia (dal verbo greco phàinesthai = «rendere visibile») ed ha avuto un certo sviluppo soprattutto grazie alle sue applicazioni pratiche sulle colture vegetali.
Per l'interesse che rivestono nell'agricoltura fu particolarmente studiato in numerose specie (grano, vite, soia, ecc.) il diverso apparire nel tempo della fioritura e della fruttificazione. Da un punto di vista economico ha un enorme importanza la durata che intercorre tra questi due fenomeni. Fra la fioritura e la maturazione del frutto il normale andamento stagionale delle condizioni climatiche (ed in particolare della temperatura) non deve essere alterato per la buona riuscita del raccolto. Riuscendo ad abbreviare questo periodo si diminuiscono i rischi derivanti da brusche ed imprevedibili variazioni di temperatura; il che è possibile adoperando diverse varietà di una stessa specie selezionate in maniera da accelerarne o ritardarne la fioritura.
I fenomeni periodici dipendono strettamente dai fattori climatici locali e dal loro andamento stagionale. Vi sono fenomeni periodici che obbediscono però a ritmi diversi. Durante il trascorrere di un mese o di una sola giornata si possono notare molte variazioni. In gran parte la periodicità di questi fenomeni è legata al fotoperiodo, cioè al numero di ore di illuminazione cui sono sottoposti le piante e gli animali. Un tipico fenomeno quotidiano regolato dalle ore di illuminazione è il ritmico spostamento del plancton nella zona eufotica del mare.
È stato dimostrato che negli animali omeotermi anche la maturazione delle gonadi (ghiandole sessuali) dipende dal fotoperiodismo: in esperimenti condotti su uccelli e piccoli mammiferi si è visto che, modificando sperimentalmente i rapporti quotidiani tra ore di buio e di luce, si possono alterare i cicli riproduttivi (mensili o stagionali).
Nel fotoperiodo non hanno importanza solo le ore d'illuminazione, ma anche il loro rapporto con quelle di buio. Alcune specie vegetali non possono estendere il loro areale a determinate latitudini perché la lunghezza o la brevità delle notti nella stagione calda non permette loro di raggiungere la fioritura. Anche per gli animali può avere importanza la durata delle ore di buio per raggiungere la maturità sessuale: la trota ad esempio alle nostre latitudini depone le uova quando il giorno si accorcia, tra novembre e dicembre.
Le variazioni periodiche possono essere legate ad eventi stagionali o alla ereditarietà o a entrambi i fattori o a ritmi fisiologici interni. Gli artropodi, ad esempio, si liberano periodicamente del loro esoscheletro (il fenomeno si chiama muta) per compiere in diverse tappe il processo di accrescimento; diversamente l'apparire della muta o delle livree stagionali nel piumaggio degli uccelli e nella pelliccia dei mammiferi è un avvenimento ciclico legato alla secrezione ormonica, direttamente influenzata a sua volta dall'andamento stagionale.
Lo studio di eventi periodici diventa particolarmente complesso quando si tratta di fenomeni che si manifestano nelle comunità animali o vegetali e negli ecosistemi. In questi casi infatti riesce difficile poter distinguere le vere e proprie variazioni fenologiche (ad esempio quelle che. danno alle comunità il loro ciclico aspetto stagionale) da altre variazioni che sono anche esse periodiche, ma con periodi diversi da quelli astronomici (giorno, mese, stagione, ecc.) o che addirittura possono essere prive di periodicità.
Si discute ancora, per esempio, sul carattere di periodicità delle fluttuazioni che l'intero ecosistema o alcune sue popolazioni subiscono attorno al proprio punto di equilibrio, che essendo un equilibrio dinamico varia nel tempo. Un esempio particolare di fluttuazione periodica è il modo con cui varia nel tempo il numero degli individui appartenenti a due specie che all'interno di una catena alimentare sono tra loro in rapporto di preda/predatore.

 

 

eXTReMe Tracker

Shiny Stat

free counters