ITINERARI - CULTURA E CIVILTÀ - LA REGIONE DELLE STEPPE

INTRODUZIONE

L'Asia centrale è una vasta area che può essere percorsa con una certa facilità. Essa infatti non è interrotta da gravi ostacoli naturali: non vi sono lunghe catene montuose né montagne alte e scoscese; anche i fiumi più lunghi sono facilmente attraversabili perché gelati per gran parte dell'anno. Il clima invece, estremamente aspro con inverni freddi ed estati calde, ha reso difficili gli insediamenti umani. Le piogge sono poche ed irregolari e l'agricoltura stabile è ridotta a quelle zone dove può essere sfruttata per l'irrigazione l'acqua dei fiumi provenienti dalle nevi delle montagne lontane.
L'area delle steppe, pianeggianti od ondulate, talvolta elevate in altopiano, è delimitata dalla Mongolia al lago d'Aral. Su tutta la regione soffiano le violente raffiche di vento che non trovano ostacoli naturali e che privano il suolo già povero dello strato fertile più superficiale: per questo in talune zone dell'Asia centrale si sono formati veri e propri deserti, inabitati ed inabitabili.

LA VITA NELLE STEPPE

L'uomo nell'Asia centrale ha avuto sempre la vita difficile ed è stato costretto a sviluppare particolari capacità di resistenza contro le avversità climatiche, le incertezze della vita e la miseria incombente.
L'unica fonte di mezzi di sussistenza, soprattutto nel periodo precedente l'industrializzazione, era collegata alle magre risorse rappresentate dall'erba delle steppe, rapida a svilupparsi dopo le scarse piogge, ma subito essiccata dal sole, dal vento e dalla stessa povertà del suolo.
Di questa erba si nutrivano le greggi di pecore e capre che hanno sempre costituito la ricchezza prevalente delle popolazioni dell'Asia centrale.
Questi animali sono dotati di eccezionale resistenza; sanno superare tormente di neve e di vento tenendosi stretti gli uni agli altri e sono capaci di rompere con lo zoccolo la crosta della neve per scoprire sulla terra le poche erbe e nutrirsene in attesa del ritorno della primavera che porta con le piogge l'improvviso e breve rigoglio della terra. Allora nascono gli agnelli ed i capretti ed è così assicurato il mantenimento della specie. Ma l'erba viene presto esaurita dal gregge e diventa necessario spostarsi per cercarne altrove, dove una vallata più umida e riparata dal sole e dal vento o alimentata da qualche corso d'acqua abbia mantenuto più a lungo la prosperità della primavera. Così le greggi percorrono decine, centinaia di chilometri nel vasto spazio dove nulla sembra segnare un confine insuperabile.
Insieme con gli animali si muovevano i gruppi umani, che si nutrivano di carne e latte e si vestivano con pelli o tessuti di lana: sempre le greggi fornivano agli uomini della steppa le abitazioni che altro non erano se non teli di panno di lana appositamente compressi e stesi su leggere impalcature di legno o di bambù, in modo da poter essere in qualunque momento ripiegate e ravvolte e spostate su cammelli o cavalli.
La mobilità assoluta, il nomadismo, è stata per millenni la caratteristica dei popoli dell'Asia centrale, dei quali si è detto molte volte che avevano per unica vera abitazione i loro cavalli e per meta costante «un altro posto» nel quale le loro greggi potessero trovare nuova erba dopo aver completamente esaurito le risorse di un luogo. Ma spesso, soprattutto nelle annate aride ed in particolare quando si erano succeduti più anni di scarse piogge, era assai difficile alle greggi ed ai loro pastori trovare «un altro posto» che non fosse già stato occupato. Allora i pastori a cavallo dovevano diventare i cavalieri-guerrieri che aprivano con le armi la via alle loro bestie ed ai loro compagni.

NOMADI E CONQUISTATORI

Proprio le difficili condizioni di vita esistenti nell'Asia centrale hanno fatto sì che i popoli di questa regione abbiano costituito più volte una seria minaccia per le civiltà più ricche ed opulente sviluppatesi al margine della grande massa eurasiatica, sulle rive del Mediterraneo, nelle pianure russe, nel vicino Oriente, in India o in Cina. Per tutti questi Paesi le genti della steppa, con i loro cavalli rapidi, con i loro arcieri infallibili, comandate da una nobiltà spesso feroce e comunque totalmente estranea alle civiltà del litorale apparvero per millenni come una terribile minaccia, come un pericolo sempre sospeso sul lavoro dei contadini, sulla vita delle città, sulle fonti stesse della ricchezza agricola. Dove arrivavano i cavalli e le pecore dei popoli della steppa venivano distrutte le basi dell'agricoltura tradizionale: non solo calpestate le messi ed abbattuti gli alberi ma anche rovinate le costruzioni idriche, sradicati gli arbusti, molto spesso sterminati i contadini e le bestie da soma. Per questo il terrore dei nomadi fu profondo e millenario: ancora oggi esso sopravvive in leggende e pregiudizi che si ritrovano affini presso popoli che nulla hanno in comune come gli Indiani o i Russi, gli Arabi o i Cinesi.
Lo scontro tra le civiltà contadine della costa e i pastori nomadi della steppa fu sempre violento. In alcuni casi i popoli della steppa portarono nelle regioni occupate elementi importanti. Gli Ariani provenienti dalle zone elevate dell'Asia centrale introdussero in India il cavallo e, assimilati dalle genti che abitavano la penisola, finirono col dare alla civiltà indiana le sue caratteristiche. In altri casi i popoli della steppa svolsero una funzione positiva facendo da tramite tra civiltà diverse, ad esempio trasferendo in Mesopotamia oggetti o idee originari della civiltà cinese e viceversa. Questo fenomeno fu particolarmente rilevante nel caso del grande impero mongolo del XIII secolo. Generalmente i popoli nomadi arrivati tra popolazioni dedite all'agricoltura, nel giro di una o due generazioni persero le abitudini del nomadismo e della guerra di rapina e finirono per apprezzare i vantaggi che le civiltà agricole potevano procurare.
I popoli della steppa erano abituati in origine al nomadismo e ad una società fondata su rapporti personali e su comuni credenze, ma non su un'amministrazione complessa; essi si rivelavano in genere incapaci di governare in modo adeguato i Paesi conquistati che presentavano difficili problemi politici e amministrativi. Quando i conquistatori seppero governare con la collaborazione dei vinti poté nascere una civiltà nuova, più ricca, vitale e fertile, come avvenne nell'India dei Gran Moghul; in altri casi invece le rovine e i lutti portati dalla prima fase dell'invasione, le distruzioni di secolari tradizioni tecniche non consentirono più una ripresa e trasformarono ricche e popolose regioni in deserti. Questo fu ad esempio il caso della Mesopotamia (oggi Iraq) dove i Mongoli nel secolo XIII distrussero per sempre i canali costruiti dai Sumeri e dai Babilonesi e perfezionati dagli Arabi.
Non è facile accertare quanti e quali siano stati i popoli che dalle steppe si sono riversati verso i litorali in lontane epoche, precedenti la storia scritta: quasi tutte le stirpi che oggi popolano l'Europa o l'Asia (ad esclusione dei Cinesi) sono venute in qualche momento dalle terre dell'Asia centrale; ciò vale per i Greci ed i Romani, ma anche per le popolazioni germaniche o slave mosse dalle loro sedi originarie molto più tardi; ciò vale anche per gli Ariani dell'India. La storia di questi popoli si è sviluppata fuori delle steppe con numerose migrazioni. Diverso è il caso degli Unni; per tutto il I millennio a.C. Le genti degli Unni vissero come nomadi in quelli che sono ora il Sinkiang o il Kazakistan. Attorno al II secolo a.C. vennero a contatto con l'impero cinese e furono sconfitti: una parte di loro finì col fondersi con la grande massa delle genti cinesi; altri invece piegarono ad Occidente e rimasero nell'Asia centrale, per dirigersi poi su uno dei Paesi che furono spesso vittime dei popoli nomadi, la Persia.
La più nota impresa degli Unni, quella per cui anche l'Europa occidentale conobbe per una volta il terrore che le genti della steppa suscitavano sui litorali dell'Asia, fu la breve avventura che una parte degli Unni intraprese alla metà del V secolo d.C., quando trovò in Attila un condottiero d'eccezione. Per un decennio circa Attila attraversò alla testa dei suoi cavalieri nomadi tutta l'Europa e vi compì devastazioni: ma venuta meno la sua direzione, gli Unni perdettero l'unità e finirono o col tornare in Asia o con l'essere assorbiti da genti germaniche.

TURCHI E MONGOLI

I nomadi dell'Asia erano anche all'inizio del Medio Evo europeo un valido tramite tra civiltà diverse che non conoscevano e delle cui caratteristiche forse comprendevano assai poco: tra la Cina e la Persia, e di qui attraverso le carovaniere arabe fino all'impero di Bisanzio, passava la via della seta. Le carovane venivano dalla Cina o dall'India con seta, spezie ed altre merci preziose; si trattava di carichi assai ridotti dal punto di vista del peso e della quantità, ma assai preziosi dal punto di vista del valore. Dopo un lungo viaggio e qualche perdita queste merci approdavano alle rive del Mediterraneo, avendo attraversato terre e genti diverse ed essendo più volte passate di mano.
Da un comune ceppo, che dal nome dei monti Altai è detto «altaico», derivarono due grandi gruppi umani, le genti turche e quelle mongole. La differenziazione fu determinata soprattutto dal fatto che i Mongoli, stabilitisi nella parte orientale delle steppe a contatto con l'impero cinese, si fusero e si sovrapposero a popolazioni varie, affini a quelle della Cina; le genti turche invece ebbero il loro centro nelle pianure tra il Sinkiang ed il lago d'Aral; qui assorbirono vari gruppi etnici delle tribù ariane od indoeuropee che erano rimaste nell'Asia centrale ed inoltre si fusero con popolazioni affini a quelle che abitavano la Persia o l'Afghanistan. Così la differenza tra Mongoli e Turchi non era tanto originaria, quanto derivata dall'ambiente in cui le genti della steppa si insediarono e dai contatti che stabilirono con altri popoli.
Sulle originarie concezioni magiche e religiose delle tribù dell'Asia centrale si era diffuso il buddismo proveniente dall'India. Esso tuttavia aveva perso molte delle sue caratteristiche originarie, era stato semplificato e adattato alla cultura e alla mentalità bellicosa delle genti delle steppe che spesso ignoravano i principi di amore e carità propri del buddismo. L'affinità religiosa che la diffusione del buddismo creò con la Cina rese però più facile la diffusione dell'influenza culturale e politica della dinastia cinese dei Tang. Questa nel suo periodo di splendore, nel VII e VIII secolo, riuscì a dominare culturalmente ed in una certa misura anche politicamente gran parte delle genti delle steppe fin quasi al lago d'Aral.
Contemporaneamente a questa penetrazione della cultura cinese, dal Vicino Oriente si diffuse sulle steppe l'influenza dell'islamismo destinata ad avere conseguenze importantissime su tutta la storia successiva dell'Asia. Portata dai cavalieri arabi del deserto, la religione di Maometto per la sua semplicità ed un certo appello all'uguaglianza degli uomini, aveva già conquistato gran parte delle popolazioni della Siria, della Mesopotamia e della Persia (oltre che dell'Africa settentrionale). La penetrazione nella steppa fu quindi facile e le genti turche della zona centro-occidentale dell'Asia divennero musulmane. La battaglia condotta tra forze cinesi e forze islamiche sul fiume Talas nel 751 decise le sorti dell'Asia centrale: i musulmani vincitori furono da allora in poi il fattore determinante nella vita di tutte le genti turche. La civiltà musulmana trasformò profondamente le regioni tra il lago d'Aral ed il Sinkiang, anche perché le tecniche agricole e di irrigazione degli Arabi consentirono di valorizzare terreni altrimenti aridi e stepposi.
Popolazioni insediate nelle zone di Tashkent e di Samarcanda conobbero con l'Islam grande e splendido sviluppo; la situazione naturale dell'Asia centrale e soprattutto l'invasione mongola che sopravvenne all'inizio del 1200 impedirono tuttavia il formarsi di un vero insediamento agricolo stabile. Appena cacciati i Mongoli alla fine del 1300, le genti turche ripresero la via dell'espansione. Con Tamerlano, un abile condottiero, invasero la Persia, l'India, e le regioni arabe del Medio Oriente gettando le basi di quello che sarebbe stato l'impero turco, durato fino al 1918.
Le genti mongole che occupavano la parte orientale delle steppe rimasero sempre legate in prevalenza alla religione buddista. A più riprese ebbero contatti e scontri con la civiltà cinese. Ogni volta che il grande impero agricolo della Cina, a causa delle tensioni sociali che lo caratterizzavano, declinava o si divideva, successive ondate di genti mongole penetravano nella Cina settentrionale e vi costituivano entità politiche più o meno stabili, destinate però in genere ad essere riassorbite nella civiltà, nello Stato e nel popolo cinese.
La grande ora dei Mongoli suonò all'inizio del secolo XIII: da tempo erano in corso fenomeni sociali che spingevano le tribù a raggrupparsi e ad unirsi, quando alla testa di queste genti venne a trovarsi il più grande condottiero, genio militare ed organizzatore che le steppe abbiano conosciuto, Gengis Khan.

GENGIS KHAN

La spinta alla radice della grande espansione delle genti mongole fu probabilmente un improvviso aumento della popolazione in alcune tribù che da tempo occupavano le zone settentrionali di quella che tuttora è la Mongolia.
Queste tribù erano più di altre contraddistinte dal rigido permanere delle divisioni tra aristocrazia, popolo e servi. L'aristocrazia aveva larga pratica dei mezzi di guerra tipici dei popoli delle steppe e cioè in particolare degli assalti di cavalleria condotti da uomini armati di lunghe sciabole oppure da arcieri capaci di mirare e colpire stando in equilibrio sul cavallo in corsa.
Figlio di una famiglia aristocratica che più volte aveva detenuto il controllo di numerose altre tribù, il futuro Gengis Khan, che si chiamava in realtà Temujin, nacque nel 1155 o forse nel 1167: trascorse l'infanzia e la giovinezza in condizioni piuttosto misere, in mezzo a lotte di famiglia e di tribù che gli consentirono di comprendere a fondo la mentalità dei nomadi, e di diventare maestro delle arti tradizionali della guerra mongola e del complesso gioco di intrighi, alleanze, rivalità e tradimenti che era tipico dell'aristocrazia tribale entro la quale viveva.
Tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo riuscì ad eliminare i suoi nemici e poi coloro che da principio gli erano stati amici ed alleati. Nel 1206 un'assemblea di capi di tutte le tribù riconobbe la sua autorità suprema e gli conferì il titolo di Gengis Khan. Cominciò allora l'avventura dei Mongoli fuori delle loro terre natali: ripartiti i compiti di comando tra i suoi fratelli e gli altri membri della famiglia Gengis Khan sottomise i Tibetani e le tribù turche degli Uighur, in modo da consolidare il proprio potere sulle steppe prima di intraprendere la sua maggiore impresa, cioè la conquista della potente e prospera Cina.
Lo sfruttamento delle ricchezze dell'impero cinese era destinato, nel progetto di Gengis Khan, a fornire le premesse per altre imprese verso occidente, cioè per la fondazione di un impero su tutta l'Asia. Ma le tribù mongole, nonostante l'adozione di tecniche di sterminio, riuscirono a conquistare soltanto la Cina settentrionale. Gengis Khan decise, nel 1220, di volgere la sua espansione verso i territori delle tribù turche e poi verso la Persia, che fu assalita, saccheggiata in modo tale da perdere la capacità di produzione agricola e la ricchezza raggiunta sotto le antiche dinastie e poi sotto il governo dei musulmani. Gengis Khan stava per riprendere l'attacco alla Cina quando nel 1227 morì.
Neppure Gengis Khan, con il suo indubbio intuito politico e la sua abilità militare insieme ad una totale mancanza di scrupoli umanitari, seppe eliminare i fattori fondamentali della debolezza dei nomadi e cioè l'instabilità delle loro organizzazioni, la fragilità dei legami politici fondati soltanto sulle connessioni familiari e tribali. Nelle terre conquistate i Mongoli passavano a fil di spada milioni di contadini per ridurre a pascolo i campi coltivati, ma cercavano anche di assicurarsi la collaborazione di intellettuali e burocrati locali. Ciò consentì ai mongoli primitivi di servirsi di tecniche anche complesse e di trasmetterle a grande distanza.
L'impero mongolo entrò in crisi già alla morte di Gengis Khan quando il territorio dell'impero fu spartito tra i suoi figli: uno di questi compì la più spettacolare puntata verso occidente giungendo fino al cuore della Polonia e sottomettendo le pianure russe al dominio mongolo che doveva durare in forma sempre meno efficace e su area più ridotta, fino alla fine del XVI secolo. L'unità mongola era già infranta quando nel 1259 Kubilai si fece eleggere Khan dalle sue truppe accantonate nella Cina settentrionale: egli riuscì a conquistare l'intera Cina abbattendo gli imperatori Song e installando un dominio mongolo che in terra cinese conservò le abitudini, le concezioni politiche e i difetti economici ed amministrativi della società tribale mongola.
Kubilai era un grande statista, pratico non soltanto delle arti della guerra, ma anche della diplomazia e della cultura: si circondò di uomini di talento giungendo anche a sostituire con stranieri intelligenti (come l'italiano Marco Polo ed altri Persiani o Arabi) i funzionari cinesi che si rifiutavano di collaborare. Con lui il dominio mongolo sulla Cina perdette il carattere rozzo e violento che aveva caratterizzato i regimi delle steppe, ma neppure l'astuto e geniale Kubilai seppe conciliare il contrasto che contrapponeva i dominatori venuti da una società tribale e pastorale alla maggioranza dei Cinesi abituati da millenni all'agricoltura sistematica e ad un'amministrazione regolare. Soprattutto, neppure Kubilai seppe ricostruire ciò che soltanto per il tempo della sua vita aveva saputo miracolosamente creare Gengis Khan, cioè l'unità di tutta l'Asia sotto l'impero dei popoli delle steppe. Kubilai era soltanto un imperatore mongolo sul trono cinese.

TAMERLANO

Alla metà del XV secolo il potente impero mongolo fondato da Gengis Khan era ormai al tramonto, diviso in numerosi Stati tra di loro indipendenti. Uno di questi Stati era la Transoxiana, regione in cui nacque Timur (1336-1405), il conquistatore turco che gli Europei avrebbero in seguito conosciuto col nome di Tamerlano (da Timur-i-lenk = «Timur lo zoppo», come lo chiamavano i suoi nemici a causa dell'andatura zoppicante causatagli da una ferita di freccia al malleolo).
Timur era figlio di un nobile turco che pretendeva di discendere da un lontano parente di Gengis Khan. Egli si mise al servizio del signore mongolo della Transoxiana e divenne uno dei suoi capi più influenti. In seguito Timur si ribellò e in alleanza col cognato, Husaya, sconfisse il suo precedente signore (1364) e si impadronì di tutta la Transoxiana di cui, dopo aver vinto ed ucciso il cognato, divenne nel 1370 l'unico signore. Questo territorio divenne la stabile base da cui Tamerlano mosse con i suoi eserciti in una serie di spettacolari e sanguinose campagne militari nel Turkestan, nella Persia, nella Russia, nell'India, nella Siria e nell'Anatolia. Nel 1380 Timur aveva conquistato il Turkestan orientale e subito dopo, nel 1381, diede inizio alla conquista della Persia, divisa a quell'epoca in una serie di principati incapaci di collaborare tra di loro contro il comune nemico. Entro il 1394 Timur aveva allargato i confini del proprio impero fino a comprendere, oltre alla Persia, la Mesopotamia e la Georgia. Mentre la Transoxiana rappresentava la parte centrale e privilegiata dell'impero, la Persia era considerata come un territorio coloniale destinato al saccheggio permanente e controllata con la forza delle armi.
Tutte le successive campagne si risolsero in giganteschi saccheggi, con scarsi o nulli guadagni territoriali. Questo si spiega col fatto che Timur non aveva nessuna capacità come amministratore e come organizzatore dei territori che cadevano sotto il suo controllo. Il suo potere giungeva fin dove giungeva il suo esercito (e, durante la sua vita, Timur dimostrò che non vi era avversario che egli non fosse in grado di affrontare ed annientare), ma durava soltanto finché il suo esercito non si ritirava. Di conseguenza Timur mantenne uno stabile controllo solo su una limitata parte dei territori in cui i suoi eserciti entrarono da conquistatori. In particolare egli mantenne sempre il controllo della Persia, anche se per far questo dovette domare una serie di ribellioni ed impiegare in modo permanente una parte notevole delle sue forze militari.
Nello stesso periodo in cui effettuava la conquista della Persia, Timur intraprendeva la più difficile delle sue guerre, quella contro l'Orda d'Oro, il potentato mongolico che, estendendosi a Nord dei domini di Timur, dominava una larga parte dell'attuale Russia asiatica ed estendeva il proprio controllo anche sui principati della Russia europea. Dopo una serie di difficili campagne militari, Timur sconfisse definitivamente i Mongoli nella battaglia del fiume Kur (1395) e saccheggiò e distrusse la loro stessa capitale Sarai.
Nel 1398 Timur, ormai ultrasessantenne, invase l'India del Nord e, dopo aver annientato l'esercito del sultano turco di Delhi, mise al sacco Delhi stessa, impadronendosi di un enorme bottino. L'anno seguente Timur era di ritorno a Samarcanda, la capitale del suo impero, ed immediatamente dava inizio ai preparativi per una spedizione contro i Mamelucchi, signori della Siria e dell'Egitto, e contro i Turchi Ottomani, signori dell'Anatolia e di una parte della penisola balcanica. Dapprima Timur colpì i Mamelucchi: la Siria fu invasa, l'esercito mamelucco fu sconfitto, Aleppo e Damasco furono prese e saccheggiate (1400). Nel 1401 Timur conquistò Bagdad, ne massacrò gli abitanti e ne distrusse i monumenti.
L'anno dopo Timur colpiva gli Ottomani: davanti a lui stava un altro condottiero, il turco Bayazed detto il Tuono, ma anche quest'ultimo subì una spaventevole disfatta nei pressi di Ankara (1402) e cadde egli stesso prigioniero del suo nemico. Dopo aver strappato Smirne ai cavalieri di Rodi, e dopo aver ricevuto le offerte di sottomissione dell'imperatore di Bisanzio e del Sultano mamelucco d'Egitto, Timur ritornò a Samarcanda dove iniziò i preparativi per una spedizione contro la Cina. Si era appena messo in marcia quando venne a morte (1405). L'impero di Timur, pur riducendosi sempre di più, gli sopravvisse di un secolo, ma già alla metà del XV secolo era in fase di piena decadenza: nell'anno 1500 la sua distruzione fu ultimata da un discendente di Gengis Khan.
Tamerlano non era un barbaro: era un abilissimo giocatore di scacchi, un fine intenditore di letteratura ed aveva uno spiccato interesse per l'architettura. Con tutto ciò era anche un uomo di crudeltà spaventosa: quando una città si ribellava la popolazione era passata a fil di spada.

NOMADI E SEDENTARI

Le condizioni che avevano reso possibile il nomadismo quale forma caratteristica della vita dei popoli delle steppe cominciarono a venir meno verso il XVI secolo. Ciò non significava che le condizioni ambientali - cioè il clima, la povertà del suolo o del sottosuolo, la scarsità d'acqua - fossero mutate in modo sostanziale. Le circostanze che ridussero la possibilità dei nomadi di spostarsi furono soprattutto circostanze sociali, cioè umane. Dal XVI secolo in poi i nomadi dell'Asia si trovarono chiusi entro un cerchio che a poco a poco divenne sempre più solido e stretto e che non poteva più essere infranto.
Nella grande espansione avvenuta sotto Gengis Khan e poi nel massiccio trasferimento di popolazione che fu alla base della creazione dell'impero turco nel Medio Oriente a partire dal XV secolo, le forze dei nomadi dell'Asia centrale si erano in gran parte esaurite, proprio perché molte genti si erano ormai insediate fuori dell'area originaria. Ma soprattutto ai confini delle steppe si stavano formando avversari che non era più possibile battere: in Cina, dopo la grande rivolta che nel 1368 aveva abbattuto il dominio mongolo, l'impero burocratico era stato consolidato e sottoponeva le popolazioni di origine mongola, turca o tibetana ad un'autorità sempre più diretta, mirando ad acquisire un controllo ben saldo dei propri confini, fino ad includervi tutto il Sinkiang.
In Russia, dopo secoli di scorrerie e di invasioni mongole, gli zar moscoviti cominciarono a recuperare i territori già occupati dai Mongoli ed a trasformare le genti che li abitavano: il grande sovrano Ivan il terribile nel 1552 abbatté gli ultimi Khan di Kazan con un assalto di artiglieria che per la prima volta mise i cavalieri della steppa di fronte ad un mezzo bellico contro il quale la cavalleria e gli arcieri non potevano nulla.
Nell'Asia Minore era insediato l'impero turco, deciso a difendere il proprio territorio contro nuove ondate di nomadi. In India l'impero dei Gran Moghul si trovava di fronte alla penetrazione inglese. A partire dal XVII secolo la stessa area delle steppe fu teatro dell'avanzata occidentale, in particolare russa: alla fine del XVII secolo l'impero zarista procedeva a delimitare con la Cina la propria area di influenza nell'Asia centrale, includendovi le terre che erano state i centri di civiltà delle tribù turche e tartare. Nei due secoli successivi l'espansione russa raggiunse l'oceano Pacifico, togliendo all'impero cinese vasti territori abitati da nomadi mongoli. Nel secolo XIX il dominio zarista sull'Asia centrale divenne sempre più rigido ed anche in Cina l'impero burocratico sottoponeva i nomadi al controllo e allo sfruttamento dei proprietari cinesi.
Le ripercussioni della Rivoluzione d'Ottobre nell'Asia centrale portarono anche in Mongolia alla creazione nel 1924 di un regime di tipo socialista, il primo Stato socialista dopo l'Urss. Il capo rivoluzionario, Sukhe Bator, riuscì dopo molte lotte ad aprire la vita alla formazione di una repubblica indipendente laica e socialista in Mongolia.

 

 

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