INTRODUZIONE
L'Asia centrale
è una vasta area che può essere percorsa con una certa
facilità. Essa infatti non è interrotta da gravi ostacoli
naturali: non vi sono lunghe catene montuose né montagne alte e scoscese;
anche i fiumi più lunghi sono facilmente attraversabili perché
gelati per gran parte dell'anno. Il clima invece, estremamente aspro con inverni
freddi ed estati calde, ha reso difficili gli insediamenti umani. Le piogge sono
poche ed irregolari e l'agricoltura stabile è ridotta a quelle zone dove
può essere sfruttata per l'irrigazione l'acqua dei fiumi provenienti
dalle nevi delle montagne lontane.
L'area delle steppe, pianeggianti od
ondulate, talvolta elevate in altopiano, è delimitata dalla Mongolia al
lago d'Aral. Su tutta la regione soffiano le violente raffiche di vento che non
trovano ostacoli naturali e che privano il suolo già povero dello strato
fertile più superficiale: per questo in talune zone dell'Asia centrale si
sono formati veri e propri deserti, inabitati ed inabitabili.
LA VITA NELLE STEPPE
L'uomo nell'Asia centrale ha avuto sempre la
vita difficile ed è stato costretto a sviluppare particolari
capacità di resistenza contro le avversità climatiche, le
incertezze della vita e la miseria incombente.
L'unica fonte di mezzi di
sussistenza, soprattutto nel periodo precedente l'industrializzazione, era
collegata alle magre risorse rappresentate dall'erba delle steppe, rapida a
svilupparsi dopo le scarse piogge, ma subito essiccata dal sole, dal vento e
dalla stessa povertà del suolo.
Di questa erba si nutrivano le
greggi di pecore e capre che hanno sempre costituito la ricchezza prevalente
delle popolazioni dell'Asia centrale.
Questi animali sono dotati di
eccezionale resistenza; sanno superare tormente di neve e di vento tenendosi
stretti gli uni agli altri e sono capaci di rompere con lo zoccolo la crosta
della neve per scoprire sulla terra le poche erbe e nutrirsene in attesa del
ritorno della primavera che porta con le piogge l'improvviso e breve rigoglio
della terra. Allora nascono gli agnelli ed i capretti ed è così
assicurato il mantenimento della specie. Ma l'erba viene presto esaurita dal
gregge e diventa necessario spostarsi per cercarne altrove, dove una vallata
più umida e riparata dal sole e dal vento o alimentata da qualche corso
d'acqua abbia mantenuto più a lungo la prosperità della primavera.
Così le greggi percorrono decine, centinaia di chilometri nel vasto
spazio dove nulla sembra segnare un confine insuperabile.
Insieme con gli
animali si muovevano i gruppi umani, che si nutrivano di carne e latte e si
vestivano con pelli o tessuti di lana: sempre le greggi fornivano agli uomini
della steppa le abitazioni che altro non erano se non teli di panno di lana
appositamente compressi e stesi su leggere impalcature di legno o di
bambù, in modo da poter essere in qualunque momento ripiegate e ravvolte
e spostate su cammelli o cavalli.
La mobilità assoluta, il
nomadismo, è stata per millenni la caratteristica dei popoli dell'Asia
centrale, dei quali si è detto molte volte che avevano per unica vera
abitazione i loro cavalli e per meta costante «un altro posto» nel
quale le loro greggi potessero trovare nuova erba dopo aver completamente
esaurito le risorse di un luogo. Ma spesso, soprattutto nelle annate aride ed in
particolare quando si erano succeduti più anni di scarse piogge, era
assai difficile alle greggi ed ai loro pastori trovare «un altro
posto» che non fosse già stato occupato. Allora i pastori a cavallo
dovevano diventare i cavalieri-guerrieri che aprivano con le armi la via alle
loro bestie ed ai loro compagni.
NOMADI E CONQUISTATORI
Proprio le difficili condizioni di vita
esistenti nell'Asia centrale hanno fatto sì che i popoli di questa
regione abbiano costituito più volte una seria minaccia per le
civiltà più ricche ed opulente sviluppatesi al margine della
grande massa eurasiatica, sulle rive del Mediterraneo, nelle pianure russe, nel
vicino Oriente, in India o in Cina. Per tutti questi Paesi le genti della
steppa, con i loro cavalli rapidi, con i loro arcieri infallibili, comandate da
una nobiltà spesso feroce e comunque totalmente estranea alle
civiltà del litorale apparvero per millenni come una terribile minaccia,
come un pericolo sempre sospeso sul lavoro dei contadini, sulla vita delle
città, sulle fonti stesse della ricchezza agricola. Dove arrivavano i
cavalli e le pecore dei popoli della steppa venivano distrutte le basi
dell'agricoltura tradizionale: non solo calpestate le messi ed abbattuti gli
alberi ma anche rovinate le costruzioni idriche, sradicati gli arbusti, molto
spesso sterminati i contadini e le bestie da soma. Per questo il terrore dei
nomadi fu profondo e millenario: ancora oggi esso sopravvive in leggende e
pregiudizi che si ritrovano affini presso popoli che nulla hanno in comune come
gli Indiani o i Russi, gli Arabi o i Cinesi.
Lo scontro tra le
civiltà contadine della costa e i pastori nomadi della steppa fu sempre
violento. In alcuni casi i popoli della steppa portarono nelle regioni occupate
elementi importanti. Gli Ariani provenienti dalle zone elevate dell'Asia
centrale introdussero in India il cavallo e, assimilati dalle genti che
abitavano la penisola, finirono col dare alla civiltà indiana le sue
caratteristiche. In altri casi i popoli della steppa svolsero una funzione
positiva facendo da tramite tra civiltà diverse, ad esempio trasferendo
in Mesopotamia oggetti o idee originari della civiltà cinese e viceversa.
Questo fenomeno fu particolarmente rilevante nel caso del grande impero mongolo
del XIII secolo. Generalmente i popoli nomadi arrivati tra popolazioni dedite
all'agricoltura, nel giro di una o due generazioni persero le abitudini del
nomadismo e della guerra di rapina e finirono per apprezzare i vantaggi che le
civiltà agricole potevano procurare.
I popoli della steppa erano
abituati in origine al nomadismo e ad una società fondata su rapporti
personali e su comuni credenze, ma non su un'amministrazione complessa; essi si
rivelavano in genere incapaci di governare in modo adeguato i Paesi conquistati
che presentavano difficili problemi politici e amministrativi. Quando i
conquistatori seppero governare con la collaborazione dei vinti poté
nascere una civiltà nuova, più ricca, vitale e fertile, come
avvenne nell'India dei Gran Moghul; in altri casi invece le rovine e i lutti
portati dalla prima fase dell'invasione, le distruzioni di secolari tradizioni
tecniche non consentirono più una ripresa e trasformarono ricche e
popolose regioni in deserti. Questo fu ad esempio il caso della Mesopotamia
(oggi Iraq) dove i Mongoli nel secolo XIII distrussero per sempre i canali
costruiti dai Sumeri e dai Babilonesi e perfezionati dagli Arabi.
Non
è facile accertare quanti e quali siano stati i popoli che dalle steppe
si sono riversati verso i litorali in lontane epoche, precedenti la storia
scritta: quasi tutte le stirpi che oggi popolano l'Europa o l'Asia (ad
esclusione dei Cinesi) sono venute in qualche momento dalle terre dell'Asia
centrale; ciò vale per i Greci ed i Romani, ma anche per le popolazioni
germaniche o slave mosse dalle loro sedi originarie molto più tardi;
ciò vale anche per gli Ariani dell'India. La storia di questi popoli si
è sviluppata fuori delle steppe con numerose migrazioni. Diverso è
il caso degli Unni; per tutto il I millennio a.C. Le genti degli Unni vissero
come nomadi in quelli che sono ora il Sinkiang o il Kazakistan. Attorno al II
secolo a.C. vennero a contatto con l'impero cinese e furono sconfitti: una parte
di loro finì col fondersi con la grande massa delle genti cinesi; altri
invece piegarono ad Occidente e rimasero nell'Asia centrale, per dirigersi poi
su uno dei Paesi che furono spesso vittime dei popoli nomadi, la Persia.
La
più nota impresa degli Unni, quella per cui anche l'Europa occidentale
conobbe per una volta il terrore che le genti della steppa suscitavano sui
litorali dell'Asia, fu la breve avventura che una parte degli Unni intraprese
alla metà del V secolo d.C., quando trovò in Attila un condottiero
d'eccezione. Per un decennio circa Attila attraversò alla testa dei suoi
cavalieri nomadi tutta l'Europa e vi compì devastazioni: ma venuta meno
la sua direzione, gli Unni perdettero l'unità e finirono o col tornare in
Asia o con l'essere assorbiti da genti germaniche.
TURCHI E MONGOLI
I nomadi dell'Asia erano anche all'inizio
del Medio Evo europeo un valido tramite tra civiltà diverse che non
conoscevano e delle cui caratteristiche forse comprendevano assai poco: tra la
Cina e la Persia, e di qui attraverso le carovaniere arabe fino all'impero di
Bisanzio, passava la via della seta. Le carovane venivano dalla Cina o
dall'India con seta, spezie ed altre merci preziose; si trattava di carichi
assai ridotti dal punto di vista del peso e della quantità, ma assai
preziosi dal punto di vista del valore. Dopo un lungo viaggio e qualche perdita
queste merci approdavano alle rive del Mediterraneo, avendo attraversato terre e
genti diverse ed essendo più volte passate di mano.
Da un comune
ceppo, che dal nome dei monti Altai è detto «altaico»,
derivarono due grandi gruppi umani, le genti turche e quelle mongole. La
differenziazione fu determinata soprattutto dal fatto che i Mongoli, stabilitisi
nella parte orientale delle steppe a contatto con l'impero cinese, si fusero e
si sovrapposero a popolazioni varie, affini a quelle della Cina; le genti turche
invece ebbero il loro centro nelle pianure tra il Sinkiang ed il lago d'Aral;
qui assorbirono vari gruppi etnici delle tribù ariane od indoeuropee che
erano rimaste nell'Asia centrale ed inoltre si fusero con popolazioni affini a
quelle che abitavano la Persia o l'Afghanistan. Così la differenza tra
Mongoli e Turchi non era tanto originaria, quanto derivata dall'ambiente in cui
le genti della steppa si insediarono e dai contatti che stabilirono con altri
popoli.
Sulle originarie concezioni magiche e religiose delle tribù
dell'Asia centrale si era diffuso il buddismo proveniente dall'India. Esso
tuttavia aveva perso molte delle sue caratteristiche originarie, era stato
semplificato e adattato alla cultura e alla mentalità bellicosa delle
genti delle steppe che spesso ignoravano i principi di amore e carità
propri del buddismo. L'affinità religiosa che la diffusione del buddismo
creò con la Cina rese però più facile la diffusione
dell'influenza culturale e politica della dinastia cinese dei Tang. Questa nel
suo periodo di splendore, nel VII e VIII secolo, riuscì a dominare
culturalmente ed in una certa misura anche politicamente gran parte delle genti
delle steppe fin quasi al lago d'Aral.
Contemporaneamente a questa
penetrazione della cultura cinese, dal Vicino Oriente si diffuse sulle steppe
l'influenza dell'islamismo destinata ad avere conseguenze importantissime su
tutta la storia successiva dell'Asia. Portata dai cavalieri arabi del deserto,
la religione di Maometto per la sua semplicità ed un certo appello
all'uguaglianza degli uomini, aveva già conquistato gran parte delle
popolazioni della Siria, della Mesopotamia e della Persia (oltre che dell'Africa
settentrionale). La penetrazione nella steppa fu quindi facile e le genti turche
della zona centro-occidentale dell'Asia divennero musulmane. La battaglia
condotta tra forze cinesi e forze islamiche sul fiume Talas nel 751 decise le
sorti dell'Asia centrale: i musulmani vincitori furono da allora in poi il
fattore determinante nella vita di tutte le genti turche. La civiltà
musulmana trasformò profondamente le regioni tra il lago d'Aral ed il
Sinkiang, anche perché le tecniche agricole e di irrigazione degli Arabi
consentirono di valorizzare terreni altrimenti aridi e
stepposi.
Popolazioni insediate nelle zone di Tashkent e di Samarcanda
conobbero con l'Islam grande e splendido sviluppo; la situazione naturale
dell'Asia centrale e soprattutto l'invasione mongola che sopravvenne all'inizio
del 1200 impedirono tuttavia il formarsi di un vero insediamento agricolo
stabile. Appena cacciati i Mongoli alla fine del 1300, le genti turche ripresero
la via dell'espansione. Con Tamerlano, un abile condottiero, invasero la Persia,
l'India, e le regioni arabe del Medio Oriente gettando le basi di quello che
sarebbe stato l'impero turco, durato fino al 1918.
Le genti mongole che
occupavano la parte orientale delle steppe rimasero sempre legate in prevalenza
alla religione buddista. A più riprese ebbero contatti e scontri con la
civiltà cinese. Ogni volta che il grande impero agricolo della Cina, a
causa delle tensioni sociali che lo caratterizzavano, declinava o si divideva,
successive ondate di genti mongole penetravano nella Cina settentrionale e vi
costituivano entità politiche più o meno stabili, destinate
però in genere ad essere riassorbite nella civiltà, nello Stato e
nel popolo cinese.
La grande ora dei Mongoli suonò all'inizio del
secolo XIII: da tempo erano in corso fenomeni sociali che spingevano le
tribù a raggrupparsi e ad unirsi, quando alla testa di queste genti venne
a trovarsi il più grande condottiero, genio militare ed organizzatore che
le steppe abbiano conosciuto, Gengis Khan.
GENGIS KHAN
La spinta alla radice della grande
espansione delle genti mongole fu probabilmente un improvviso aumento della
popolazione in alcune tribù che da tempo occupavano le zone
settentrionali di quella che tuttora è la Mongolia.
Queste
tribù erano più di altre contraddistinte dal rigido permanere
delle divisioni tra aristocrazia, popolo e servi. L'aristocrazia aveva larga
pratica dei mezzi di guerra tipici dei popoli delle steppe e cioè in
particolare degli assalti di cavalleria condotti da uomini armati di lunghe
sciabole oppure da arcieri capaci di mirare e colpire stando in equilibrio sul
cavallo in corsa.
Figlio di una famiglia aristocratica che più volte
aveva detenuto il controllo di numerose altre tribù, il futuro Gengis
Khan, che si chiamava in realtà Temujin, nacque nel 1155 o forse nel
1167: trascorse l'infanzia e la giovinezza in condizioni piuttosto misere, in
mezzo a lotte di famiglia e di tribù che gli consentirono di comprendere
a fondo la mentalità dei nomadi, e di diventare maestro delle arti
tradizionali della guerra mongola e del complesso gioco di intrighi, alleanze,
rivalità e tradimenti che era tipico dell'aristocrazia tribale entro la
quale viveva.
Tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo riuscì
ad eliminare i suoi nemici e poi coloro che da principio gli erano stati amici
ed alleati. Nel 1206 un'assemblea di capi di tutte le tribù riconobbe la
sua autorità suprema e gli conferì il titolo di Gengis Khan.
Cominciò allora l'avventura dei Mongoli fuori delle loro terre natali:
ripartiti i compiti di comando tra i suoi fratelli e gli altri membri della
famiglia Gengis Khan sottomise i Tibetani e le tribù turche degli Uighur,
in modo da consolidare il proprio potere sulle steppe prima di intraprendere la
sua maggiore impresa, cioè la conquista della potente e prospera
Cina.
Lo sfruttamento delle ricchezze dell'impero cinese era destinato, nel
progetto di Gengis Khan, a fornire le premesse per altre imprese verso
occidente, cioè per la fondazione di un impero su tutta l'Asia. Ma le
tribù mongole, nonostante l'adozione di tecniche di sterminio, riuscirono
a conquistare soltanto la Cina settentrionale. Gengis Khan decise, nel 1220, di
volgere la sua espansione verso i territori delle tribù turche e poi
verso la Persia, che fu assalita, saccheggiata in modo tale da perdere la
capacità di produzione agricola e la ricchezza raggiunta sotto le antiche
dinastie e poi sotto il governo dei musulmani. Gengis Khan stava per riprendere
l'attacco alla Cina quando nel 1227 morì.
Neppure Gengis Khan, con
il suo indubbio intuito politico e la sua abilità militare insieme ad una
totale mancanza di scrupoli umanitari, seppe eliminare i fattori fondamentali
della debolezza dei nomadi e cioè l'instabilità delle loro
organizzazioni, la fragilità dei legami politici fondati soltanto sulle
connessioni familiari e tribali. Nelle terre conquistate i Mongoli passavano a
fil di spada milioni di contadini per ridurre a pascolo i campi coltivati, ma
cercavano anche di assicurarsi la collaborazione di intellettuali e burocrati
locali. Ciò consentì ai mongoli primitivi di servirsi di tecniche
anche complesse e di trasmetterle a grande distanza.
L'impero mongolo
entrò in crisi già alla morte di Gengis Khan quando il territorio
dell'impero fu spartito tra i suoi figli: uno di questi compì la
più spettacolare puntata verso occidente giungendo fino al cuore della
Polonia e sottomettendo le pianure russe al dominio mongolo che doveva durare in
forma sempre meno efficace e su area più ridotta, fino alla fine del XVI
secolo. L'unità mongola era già infranta quando nel 1259 Kubilai
si fece eleggere Khan dalle sue truppe accantonate nella Cina settentrionale:
egli riuscì a conquistare l'intera Cina abbattendo gli imperatori Song e
installando un dominio mongolo che in terra cinese conservò le abitudini,
le concezioni politiche e i difetti economici ed amministrativi della
società tribale mongola.
Kubilai era un grande statista, pratico non
soltanto delle arti della guerra, ma anche della diplomazia e della cultura: si
circondò di uomini di talento giungendo anche a sostituire con stranieri
intelligenti (come l'italiano Marco Polo ed altri Persiani o Arabi) i funzionari
cinesi che si rifiutavano di collaborare. Con lui il dominio mongolo sulla Cina
perdette il carattere rozzo e violento che aveva caratterizzato i regimi delle
steppe, ma neppure l'astuto e geniale Kubilai seppe conciliare il contrasto che
contrapponeva i dominatori venuti da una società tribale e pastorale alla
maggioranza dei Cinesi abituati da millenni all'agricoltura sistematica e ad
un'amministrazione regolare. Soprattutto, neppure Kubilai seppe ricostruire
ciò che soltanto per il tempo della sua vita aveva saputo miracolosamente
creare Gengis Khan, cioè l'unità di tutta l'Asia sotto l'impero
dei popoli delle steppe. Kubilai era soltanto un imperatore mongolo sul trono
cinese.
TAMERLANO
Alla metà del XV secolo il potente
impero mongolo fondato da Gengis Khan era ormai al tramonto, diviso in numerosi
Stati tra di loro indipendenti. Uno di questi Stati era la Transoxiana, regione
in cui nacque Timur (1336-1405), il conquistatore turco che gli Europei
avrebbero in seguito conosciuto col nome di Tamerlano (da Timur-i-lenk =
«Timur lo zoppo», come lo chiamavano i suoi nemici a causa
dell'andatura zoppicante causatagli da una ferita di freccia al
malleolo).
Timur era figlio di un nobile turco che pretendeva di discendere
da un lontano parente di Gengis Khan. Egli si mise al servizio del signore
mongolo della Transoxiana e divenne uno dei suoi capi più influenti. In
seguito Timur si ribellò e in alleanza col cognato, Husaya, sconfisse il
suo precedente signore (1364) e si impadronì di tutta la Transoxiana di
cui, dopo aver vinto ed ucciso il cognato, divenne nel 1370 l'unico signore.
Questo territorio divenne la stabile base da cui Tamerlano mosse con i suoi
eserciti in una serie di spettacolari e sanguinose campagne militari nel
Turkestan, nella Persia, nella Russia, nell'India, nella Siria e nell'Anatolia.
Nel 1380 Timur aveva conquistato il Turkestan orientale e subito dopo, nel 1381,
diede inizio alla conquista della Persia, divisa a quell'epoca in una serie di
principati incapaci di collaborare tra di loro contro il comune nemico. Entro il
1394 Timur aveva allargato i confini del proprio impero fino a comprendere,
oltre alla Persia, la Mesopotamia e la Georgia. Mentre la Transoxiana
rappresentava la parte centrale e privilegiata dell'impero, la Persia era
considerata come un territorio coloniale destinato al saccheggio permanente e
controllata con la forza delle armi.
Tutte le successive campagne si
risolsero in giganteschi saccheggi, con scarsi o nulli guadagni territoriali.
Questo si spiega col fatto che Timur non aveva nessuna capacità come
amministratore e come organizzatore dei territori che cadevano sotto il suo
controllo. Il suo potere giungeva fin dove giungeva il suo esercito (e, durante
la sua vita, Timur dimostrò che non vi era avversario che egli non fosse
in grado di affrontare ed annientare), ma durava soltanto finché il suo
esercito non si ritirava. Di conseguenza Timur mantenne uno stabile controllo
solo su una limitata parte dei territori in cui i suoi eserciti entrarono da
conquistatori. In particolare egli mantenne sempre il controllo della Persia,
anche se per far questo dovette domare una serie di ribellioni ed impiegare in
modo permanente una parte notevole delle sue forze militari.
Nello stesso
periodo in cui effettuava la conquista della Persia, Timur intraprendeva la
più difficile delle sue guerre, quella contro l'Orda d'Oro, il potentato
mongolico che, estendendosi a Nord dei domini di Timur, dominava una larga parte
dell'attuale Russia asiatica ed estendeva il proprio controllo anche sui
principati della Russia europea. Dopo una serie di difficili campagne militari,
Timur sconfisse definitivamente i Mongoli nella battaglia del fiume Kur (1395) e
saccheggiò e distrusse la loro stessa capitale Sarai.
Nel 1398
Timur, ormai ultrasessantenne, invase l'India del Nord e, dopo aver annientato
l'esercito del sultano turco di Delhi, mise al sacco Delhi stessa,
impadronendosi di un enorme bottino. L'anno seguente Timur era di ritorno a
Samarcanda, la capitale del suo impero, ed immediatamente dava inizio ai
preparativi per una spedizione contro i Mamelucchi, signori della Siria e
dell'Egitto, e contro i Turchi Ottomani, signori dell'Anatolia e di una parte
della penisola balcanica. Dapprima Timur colpì i Mamelucchi: la Siria fu
invasa, l'esercito mamelucco fu sconfitto, Aleppo e Damasco furono prese e
saccheggiate (1400). Nel 1401 Timur conquistò Bagdad, ne massacrò
gli abitanti e ne distrusse i monumenti.
L'anno dopo Timur colpiva gli
Ottomani: davanti a lui stava un altro condottiero, il turco Bayazed detto il
Tuono, ma anche quest'ultimo subì una spaventevole disfatta nei pressi di
Ankara (1402) e cadde egli stesso prigioniero del suo nemico. Dopo aver
strappato Smirne ai cavalieri di Rodi, e dopo aver ricevuto le offerte di
sottomissione dell'imperatore di Bisanzio e del Sultano mamelucco d'Egitto,
Timur ritornò a Samarcanda dove iniziò i preparativi per una
spedizione contro la Cina. Si era appena messo in marcia quando venne a morte
(1405). L'impero di Timur, pur riducendosi sempre di più, gli sopravvisse
di un secolo, ma già alla metà del XV secolo era in fase di piena
decadenza: nell'anno 1500 la sua distruzione fu ultimata da un discendente di
Gengis Khan.
Tamerlano non era un barbaro: era un abilissimo giocatore di
scacchi, un fine intenditore di letteratura ed aveva uno spiccato interesse per
l'architettura. Con tutto ciò era anche un uomo di crudeltà
spaventosa: quando una città si ribellava la popolazione era passata a
fil di spada.
NOMADI E SEDENTARI
Le condizioni che avevano reso possibile il
nomadismo quale forma caratteristica della vita dei popoli delle steppe
cominciarono a venir meno verso il XVI secolo. Ciò non significava che le
condizioni ambientali - cioè il clima, la povertà del suolo o del
sottosuolo, la scarsità d'acqua - fossero mutate in modo sostanziale. Le
circostanze che ridussero la possibilità dei nomadi di spostarsi furono
soprattutto circostanze sociali, cioè umane. Dal XVI secolo in poi i
nomadi dell'Asia si trovarono chiusi entro un cerchio che a poco a poco divenne
sempre più solido e stretto e che non poteva più essere
infranto.
Nella grande espansione avvenuta sotto Gengis Khan e poi nel
massiccio trasferimento di popolazione che fu alla base della creazione
dell'impero turco nel Medio Oriente a partire dal XV secolo, le forze dei nomadi
dell'Asia centrale si erano in gran parte esaurite, proprio perché molte
genti si erano ormai insediate fuori dell'area originaria. Ma soprattutto ai
confini delle steppe si stavano formando avversari che non era più
possibile battere: in Cina, dopo la grande rivolta che nel 1368 aveva abbattuto
il dominio mongolo, l'impero burocratico era stato consolidato e sottoponeva le
popolazioni di origine mongola, turca o tibetana ad un'autorità sempre
più diretta, mirando ad acquisire un controllo ben saldo dei propri
confini, fino ad includervi tutto il Sinkiang.
In Russia, dopo secoli di
scorrerie e di invasioni mongole, gli zar moscoviti cominciarono a recuperare i
territori già occupati dai Mongoli ed a trasformare le genti che li
abitavano: il grande sovrano Ivan il terribile nel 1552 abbatté gli
ultimi Khan di Kazan con un assalto di artiglieria che per la prima volta mise i
cavalieri della steppa di fronte ad un mezzo bellico contro il quale la
cavalleria e gli arcieri non potevano nulla.
Nell'Asia Minore era insediato
l'impero turco, deciso a difendere il proprio territorio contro nuove ondate di
nomadi. In India l'impero dei Gran Moghul si trovava di fronte alla penetrazione
inglese. A partire dal XVII secolo la stessa area delle steppe fu teatro
dell'avanzata occidentale, in particolare russa: alla fine del XVII secolo
l'impero zarista procedeva a delimitare con la Cina la propria area di influenza
nell'Asia centrale, includendovi le terre che erano state i centri di
civiltà delle tribù turche e tartare. Nei due secoli successivi
l'espansione russa raggiunse l'oceano Pacifico, togliendo all'impero cinese
vasti territori abitati da nomadi mongoli. Nel secolo XIX il dominio zarista
sull'Asia centrale divenne sempre più rigido ed anche in Cina l'impero
burocratico sottoponeva i nomadi al controllo e allo sfruttamento dei
proprietari cinesi.
Le ripercussioni della Rivoluzione d'Ottobre nell'Asia
centrale portarono anche in Mongolia alla creazione nel 1924 di un regime di
tipo socialista, il primo Stato socialista dopo l'Urss. Il capo rivoluzionario,
Sukhe Bator, riuscì dopo molte lotte ad aprire la vita alla formazione di
una repubblica indipendente laica e socialista in Mongolia.