ITINERARI - CULTURA E CIVILTA - LA CINA

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ITINERARI - CULTURA E CIVILTA - LA CINA













ITINERARI - CULTURA E CIVILTÀ - LA CINA

INTRODUZIONE

Poche regioni della Terra presentano contrasti ambientali così accentuati come la Cina; in un territorio vasto come l'Europa vi sono dislivelli da 200 m sotto il livello del mare agli 8000 m delle cime himalayane, deserti freddi e pietrosi come quello del Gobi e deserti caldi e sabbiosi nelle regioni nord-occidentali, foreste fredde di aghifoglie in Manciuria e tropicali nello Hunan e poi steppe e tundre e infine un paesaggio trasformato dall'attività agricola che ha fatto definire la Cina: terra fatta dall'uomo. La Cina si estende dall'oceano Pacifico all'altipiano del Tibet, dal deserto del Gobi al fiume Xi Jiang; l'aspetto dominante, contrariamente al luogo comune che immagina un'immensa, monotona distesa, è il rilievo: quattro quinti del territorio si trovano oltre i 500 metri di altitudine, con altipiani elevati nel Tibet, di altezza media verso l'Asia centrale e degradanti più dolcemente verso la costa del Pacifico. Le profonde spaccature scavate dai fiumi nel corso di millenni di erosione accentuano il movimento del paesaggio. Dal punto di vista geografico si possono distinguere almeno due grandi aree corrispondenti ai bacini dei due grandi sistemi fluviali dello Hoang he (Fiume Giallo), a Nord e dello Yangzijiang (Fiume Azzurro) nella parte meridionale. La Cina del Nord è il Paese del miglio e del frumento, che trovano condizioni ambientali favorevoli. Il terreno è ricoperto dal löss, una polvere molto fine di color giallastro originata dall'erosione eolica sull'altipiano del Gobi; depositato nel corso dei millenni in strati che possono raggiungere anche gli 80 m di spessore rappresenta il terreno ideale per la coltivazione purché ben irrigato. Le piogge eccessive producono invece l'effetto di far scivolare le terre verso il fiume che proprio per questo fenomeno ha acque giallastre. I contadini cinesi in questa zona hanno sempre ottenuto raccolti abbondanti, ma a prezzo di intensi e faticosi lavori di irrigazione, di incanalamento delle acque, di costruzione di argini, attività che hanno dato origine a un paesaggio fortemente umanizzato. La zona centrale ha caratteristiche diverse; lo Yangzijiang nasce dai ghiacciai del Tibet, raccoglie migliaia di affluenti della Cina centrale e meridionale e sfocia vicino a Shanghai con un vasto estuario: è la Cina verde, umida e calda, in origine coperta di dense foreste in gran parte sostituite in pianura dalle risaie; col sistema dei terrazzamenti anche le colline sono coltivate a risaia. I villaggi sono circondati da boschetti di gelsi, bambù o piante da frutta. È la Cina del riso, del tè, della seta, della gran varietà di verdura e di frutta che il clima e le tecniche agricole secolari hanno pazientemente selezionato. La terra è meno fertile che nella vallata dell'Hoang Ho e richiede interventi di concimazione. Vi sono infine aree più circoscritte che presentano ambienti particolari; la zona tropicale che si affaccia sull'oceano Pacifico e che comprende anche le isole di Hainan e di Taiwan (Formosa) offre una vegetazione rigogliosa: accanto al riso troviamo la canna da zucchero, le banane, le palme da cocco, la canfora. La Manciuria è un'area sfruttata in epoca recente per la coltivazione dell'orzo, del miglio, del frumento e della soia; qui i contadini devono utilizzare le brevi primavere che precedono le torride estati. Non meno ardue sono le condizioni climatiche del Xinjiang dove le pianure danno una buona produzione di cereali, di cotone e di frutta, ma sono assediate dalla steppa o dal deserto e soffrono di scarsità d'acqua.

ALCUNE COLTURE CARATTERISTICHE

RISO

È una pianta erbacea della famiglia delle graminacee, che ha foglie lineari e sottili, infiorescenza a pannocchia e frutti a cariosside. Il fusto (culmo), alto fino a un metro, ha all'interno un sistema di camere piene d'aria che permettono lo scambio gassoso anche nelle parti immerse nell'acqua. Lo stesso accade nelle radici. La cariosside dopo essere stata liberata dalle glummelle (sbramatura) viene sottoposta a una serie di procedimenti (sbiancatura, pulitura, brillatura) per essere immesso sul mercato dove è un apprezzato alimento, ricco di amido (80 per cento), proteine (6-7 per cento) e acqua. Oltre ad avere un'enorme importanza per l'alimentazione umana ed anche per quella animale, con gli scarti della lavorazione dà sottoprodotti adatti alla produzione di carta, combustibili, ecc. In Oriente con la fermentazione e la distillazione si ottengono birra e sakè. Il riso ha le sue origini in Cina, Giappone, Indocina, India dove è stato coltivato fin da epoche remote. Greci e Romani antichi conobbero la pianta che usarono con scopi medicinali; l'introduzione in Europa si deve agli Arabi.

La pianta del tè è un arbusto sempreverde della famiglia delle teacee (dicotiledone). Ha foglie alterne, lanceolate dentate, cosparse di ghiandole odorose. I fiori sono riuniti in mazzetti; i frutti sono capsule. Dalle foglie si ricava la nota bevanda aromatica che ha azione astringente, diuretica e stimolante in quanto contiene caffeina. Molte sono le qualità di tè presenti sul mercato, ottenute a seconda del momento della raccolta, dei modi di lavorazione, della mescolanza con foglie di altre piante (arancio, gelsomino). Il tè è originario dell'Asia orientale dove la coltivazione e il consumo sono molto diffusi; in Europa, pur essendo conosciuto fin dal XVII secolo, ha cominciato ad essere usato nel secolo scorso.

CHINOISERIES: PARTICOLARITÀ E TRADIZIONE

LA GIADA

Giada, in cinese Yù è un silicato di calcio e magnesio a struttura finemente cristallina, nota col nome di nefrite. Accanto a questa che è la vera giada vi sono quelle false, costituite da serpentino, pirofillite e altre pietre dure. La giada ha una notevole durezza (6,5 della scala delle durezze) e presenta difficoltà per la lavorazione. Il termine giada ha finito spesso per indicare l'oggetto più che il materiale stesso. In un manuale del I secolo della nostra era sono descritte le caratteristiche di una buona giada: doveva essere fredda, dura, sottile e translucida, lucente come se fosse impregnata d'olio, bianca (la più pregiata) o con sfumature verdi. La provenienza della giada deve essere ricercata nel Turkestan cinese; la lavorazione di questo materiale sarebbe iniziata attorno alla metà del III millennio a.C., contemporaneamente alla produzione della terracotta dipinta.

LA MONETA

Le prime monete erano rappresentate da conchiglie, usate in filze di dieci. Poi, in periodo Shang cominciano ad apparire monete di bronzo, anch'esse adoperate in filze di dieci. La circolazione della moneta in quel momento è estremamente rarefatta; è probabile che contadini ed artigiani non ne utilizzassero mai. La moneta era più un mezzo di città e di mercanti. Sotto i Zhou compaiono monete in bronzo e in rame che riproducono animali o oggetti di uso comune, grandi una decina di centimetri con un foro per tenerli uniti con una cordicella. Nel periodo Han l'uso del denaro si fa comune; le monete diventano rotonde ed hanno un foro quadrato al centro, sempre per poterle legare assieme. L'uso del foro si è mantenuto ancor oggi in molti Paesi asiatici.

LA LACCA

La lacca, una resina di origine vegetale, venne usata in Cina già dal IV secolo a.C., probabilmente utilizzando una scoperta dei Birmani. Lo strato di lacca conferisce all'oggetto qualità protettive che lo preservano dall'umidità ed anche dall'acqua. La lacca permette anche di ottenere effetti decorativi perché quasi tutti i materiali possono essere sottoposti al trattamento: stoffe, legno, pelli, carta ed anche bronzo. Gli oggetti laccati e dipinti assumevano una particolare colorazione; quelli del periodo Han avevano una straordinaria dolcezza e diventarono il contrassegno di una cultura raffinata, attenta alle belle cose e, naturalmente, benestante.

LA SETA

Le sete cinesi dovevano essere note in India già dal IV-III secolo a.C.; i Romani le conobbero attorno al I secolo della nostra era, e diedero il nome probabilmente partendo da quello che era il termine cinese: ssu = ser = «seta»; sericum = «tessuto di seta». Le esportazioni della seta rappresentavano la voce più importante del commercio cinese perché il prodotto era assi pregiato e si vendeva «a peso d'oro». Pare che per la seta questo non sia solo un modo di dire; il carattere jin, con cui anticamente si indicava il miglior tessuto di seta ha la stessa etimologia di «oro». La seta giungeva in Occidente attraverso la via della seta, un percorso lunghissimo, con diramazioni alternative, che oggi è difficile individuare con precisione. La strada costeggiava il Nord della Cina, poi si sdoppiava e i due rami giungevano all'estremità meridionale della Russia. Qui si dirigeva verso l'Iran e l'Iraq, suddividendosi in diverse direzioni: verso il Libano, la Siria, la Palestina, l'Egitto. Il punto finale d'arrivo era Roma. Esisteva anche una via marittima; dalle coste meridionali la seta veniva portata in India e di qui inviata su navi attraverso l'oceano Indiano e il Mar Rosso fino ai principali porti del Vicino Oriente. Dalla via della seta giungevano in Occidente anche altre merci assai apprezzate nel Mediterraneo: pellicce e ferro. Sul percorso inverso venivano inviati soprattutto manufatti di vetro: vasi, collane, bottigliette. In Cina infatti solo nel V secolo d.C. si apprende la tecnica per la fabbricazione del vetro. Solo ai membri della famiglia imperiale e agli alti funzionari era permesso vestirsi in seta; il sovrano, la prima consorte e l'erede in giallo, le altre mogli e i funzionari superiori in viola, i funzionari di minor rango in rosso. Già parecchi secoli prima della nostra era la produzione di seta era tale da permettere a tutti di indossarla; rigorosamente segreto era tenuto invece il sistema di produzione. Una leggenda narra che due monaci provenienti dalla Cina fossero riusciti a contrabbandare dei bachi da seta nascondendoli in bastoni cavi; giunti alla corte di Giustiniano avrebbero svelato il segreto della seta.

LA PREISTORIA DELLA CINA

La preistoria della Cina ha testimonianze antichissime, legate al ritrovamento di ossa di una cinquantina di individui vissuti circa cinquecentomila anni fa: il Pithecanthropus pekinensis o Sinanthropus. Si sa con certezza che questo antico uomo viveva in comunità organizzate ed era in grado di accendere intenzionalmente il fuoco. Pochi resti di scheletri, alcuni utensili in pietra sono tutto ciò che rimane dell'Homo Sapiens del paleolitico medio; per il paleolitico superiore i resti sono più abbondanti (oggetti in osso, pietre che cominciano ad essere levigate), ma non chiariscono il problema dell'origine dell'uomo in Cina. Recentemente è stata proposta la teoria di uno spostamento, quasi pendolare tra le zone di pianura e quelle collinari degli altipiani, per cui agricoltori neolitici ormai in saldo possesso delle tecniche per la costruzione della terracotta, si sarebbero spostati verso Est per ritornare verso Ovest dove avrebbero lasciato le tracce della loro terracotta dipinta. Due culture neolitiche sembrano affermarsi attorno al V millennio a.C.: quella Yangshao (così chiamata dal nome del villaggio presso cui ne sono state rinvenute tracce), diffusa nella zona occidentale della grande pianura del Nord, e quella di Longshan (dal nome della località dei ritrovamenti) nella zona più orientale. Gli abitanti conoscevano animali domestici e praticavano un'agricoltura fondata sul miglio. Attorno al III millennio a.C. Le culture neolitiche della Cina si presentano già sviluppate; le comunità sono ben organizzate e vi sono le tracce della costituzione di un potere statale.

LE MITICHE ORIGINI

Nel mito i primi cinque imperatori, Fu Xi, Schennung, Hoangdi, Yao e Shun appaiono come gli organizzatori infaticabili del lavoro umano, impegnati a sottomettere la natura al controllo dell'uomo. Fu Xi inventò la scrittura, Shennung insegnò a coltivare i campi, Hoangdi utilizzò erbe e tecniche per curare gli ammalati, dando origine all'arte della medicina e inventò il carro con le ruote, Yao e Shun istituirono i riti religiosi e le leggi. Il successore di Shun fu Yu il Grande, il quale, secondo la leggenda, fondò la dinastia Xia (XXIII-XVII secolo a.C.). Questo arco di tempo corrisponde a un periodo di assestamento e consolidamento. Gli insediamenti si fanno stabili, l'agricoltura e l'artigianato si sviluppano lentamente, mentre la coltura dei cereali e l'allevamento hanno ancora un'importanza secondaria. Ci sono però i primi segni di una società evoluta: gli appartenenti alle grandi famiglie vestono abiti di seta perché in Cina la sericoltura è nota dal secondo millennio a.C. Più o meno nello stesso periodo nelle pianure della Cina centrale appare e si impone la tecnica per la lavorazione del bronzo, forse introdotta da culture provenienti dall'Asia centrale, ma che si perfeziona gradualmente in Cina raggiungendo un livello eccezionalmente alto. Fu Xi è ricordato spesso nelle leggende come mago e stregone: inventore dell'arte divinatoria, nelle raffigurazioni posteriori, è presentato con la squadra nella mano sinistra, simbolo delle arti in generale e di quelle magiche e religiose in particolare, mentre la moglie (o sorella) tiene nella destra il compasso, simbolo dell'abilità nelle opere tecniche. La squadra, con cui si può costruire il quadrato, rappresenta nel sistema del dualismo Yang e Yin l'elemento terrestre e femminile, mentre il cerchio, che viene tracciato col compasso, è l'elemento spirituale e maschile. Una coda a forma di serpente intreccia le due figure a simboleggiare la necessità della loro unione.

GLI SHANG

La dinastia Shang è la prima storicamente accertabile, anche se gli inizi di questo periodo sono circondati da leggende; il capostipite T'ang si diceva che fosse figlio di una vergine-madre; probabilmente proprio in virtù della strana nascita, gli si attribuivano poteri particolari, come quello di farsi ubbidire dagli animali. Anche questo sovrano dovette combattere contro le forze disordinate delle acque. A lui risalirebbe l'invenzione della moneta. Convenzionalmente si accetta che la dinastia Shang abbia regnato per più di 500 anni, dal XVII al XI secolo a.C. con trenta re di cui sono stati tramandati i nomi dagli Annali dinastici. La tradizione è stata quasi perfettamente confermata dalle iscrizioni rinvenute sulle numerosissime ossa di animali, soprattutto scapole, che venivano adoperate per la previsione del futuro. La tecnica doveva funzionare scrivendo le domande e registrando le risposte dell'indovino sulle ossa o anche su gusci di tartaruga (da qui l'appellativo di ossa oracolari, dal latino oraculum = «oracolo» a sua volta derivato da orare = «pregare», che rimanda a os, oris = «bocca»). I ritrovamenti effettuati nell'antica capitale degli Shang, nella provincia del Henan, mostrano come già da allora fosse nota la tecnica di fusione del bronzo e quanto fosse avanzata quella della lavorazione della giada. Gli oggetti sono lavorati con uno stile decorativo semplice, che raggiunge livelli di eccezionale raffinatezza nel periodo successivo, quando la capitale del regno è Anyang. Sempre in questo periodo è attestato l'uso della scrittura; lo testimoniano le ossa oracolari e le brevi iscrizioni a carattere votivo che sovente sono incise sui vasi di bronzo. La società Shang doveva avere accentuate caratteristiche militari; molte iscrizioni oracolari si riferiscono appunto a domande sull'esito dei combattimenti. L'uso del carro da guerra, di cui sono stati rinvenuti begli esemplari in sepolture, doveva essere piuttosto diffuso e importante, come attestano i ritrovamenti a Anyang. Sotto gli Shang la società cinese appare strutturata in modo più rigoroso: i nobili riconoscono l'autorità dei sovrani, che sono più capi religiosi, che politici. In questo periodo lo Stato cinese corrisponde all'incirca alle odierne provincie del Hope e del Honan; tutto attorno sono stanziate popolazioni che i cinesi considerano barbare. Contro di esse si organizzano continue spedizioni tanto che la dinastia Shang si estenua in guerre che hanno come risultato finale il crollo del regno quando l'ultimo sovrano Shang viene sconfitto dal capo Zhou, Wu Wan.

I BRONZI DEGLI SHANG

La lavorazione del bronzo giunge in Cina probabilmente dalla Russia o dalla Siberia. I bronzi di epoca shang, piuttosto numerosi (più di 2000 pezzi), rappresentano una produzione assai raffinata. Il vasellame era senza dubbio riservato ad una utilizzazione rituale, per libagioni, offerte di cibo alle divinità o agli antenati. Si possono distinguere i vasi a seconda della funzione per cui erano predisposti: per la cottura del cibo, per l'offerta e il servizio, per la conservazione. C'erano poi bacinelle e brocche per il vino e per l'acqua. Tra i vasi adatti alla cottura si ritrova il caratteristico Li, a tre gambe che riproduce la forma dell'antica pentola in terracotta. Anche per le altre forme pare che gli artisti si ispirassero a modelli in terracotta. I motivi decorativi sono quasi sempre zoomorfi (solo raramente vi sono decorazioni geometriche, visi d'uomo o piante), in forme fortemente stilizzate. Interessanti tra gli altri, una figura di probabile significato apotropaico (dal greco apotròpaios = «che allontana» gli influssi malefici), come quello del vaso kuei dei mostri che sembrano divorare un essere umano. Sui bronzi Shang compare la scrittura ideografica, che è più corretto chiamare, nella sua espressione iniziale, pittografica. I cinesi chiamano gli oggetti di bronzo recanti incisi pittogrammi Jin wen = «iscrizioni su metallo» oppure Zhong ding wen = «iscrizioni su tripodi di bronzo». Le iscrizioni sui bronzi diventano sempre più frequenti col passare del tempo e sempre più ricche, come si constata nei bronzi Zhou soprattutto del secondo periodo (primo periodo Zhou Xi-VIII secolo a.C.; secondo periodo Zhou VIII- III secolo a.C.), mentre si assiste al lento mutare della scrittura da pittogramma (ove opera l'inventiva personale) a ideogramma (sistema con il quale si attua la prima schematizzazione della scrittura). Trapani Manufatti in bronzo della dinastia Shang

LA DINASTIA ZHOU

La gente di Zhou stabilita nella regione dell'odierno Scensi differiva etnicamente e culturalmente dagli Shang; era una popolazione mista, di origine tibetana, che possedeva una solida struttura militare, ma che di fronte alla superiore civiltà Shang mostrava un atteggiamento di reverenza. Il successore di Wu Wan, il Duca Zhou, diede allo Stato strutture assai simili a quelle del feudalesimo europeo; ai suoi parenti e ai suoi alleati assegnò i feudi principali ma ebbe anche la scaltrezza di assegnarne uno anche all'erede dell'ultimo sovrano degli Shang, in modo da sopirne i desideri di rivincita. I feudatari dovevano pagare un tributo al sovrano e impegnarsi a difenderlo militarmente; nel loro feudo avevano poteri assoluti. I contadini si trovavano in una situazione simile a quella dei servi della gleba; erano obbligati a prestare corvées a diretto beneficio del loro signore, ma la loro prestazione d'opera era utilizzata anche a beneficio dell'intera comunità. Il controllo del Fiume Giallo richiedeva infatti gravosi impegni e continui lavori. La terra era considerata proprietà del signore; nelle comunità di villaggio gli appezzamenti migliori erano assegnati a turno alle famiglie contadine. Un campo, generalmente il più fertile, era coltivato comunemente da tutti i membri della comunità e il raccolto ottenuto veniva integralmente consegnato al signore. La capitale dei Zhou era Hsian, ma quando il re viene ucciso da una tribù del Nord e la minaccia di un'invasione si fa incombente, i Zhou trasportano il centro dell'impero a Loyang. Inizia quella che verrà chiamata la dinastia dei Zhou orientali. Si tratta di un lungo periodo di decadenza (771-481 a.C), che si definisce Chunqiù = «Primavere e Autunni»; ossia lo scorrere del tempo. Ai margini dei confini si sono infatti formati vari principati autonomi che riconoscono solo formalmente l'autorità dei sovrani centrali. Il potere di questi è limitato alla sola sfera religiosa. Tre grandi principati, Ci nello Sciantung, Cir nello Sciansi e Ciu a Sud dello Yangtze si contendono il primato con guerre lunghe e sanguinose. Il periodo Primavere-Autunni è ricco di vicende, ma soprattutto è significativo per le trasformazioni economiche e sociali viene introdotto l'uso del ferro per attrezzi di uso militare e civile, cominciano ad apparire le monete metalliche di bronzo e di rame, l'agricoltura conosce mutamenti nelle tecniche e nel tipo di coltivazione. Solidi attrezzi agricoli permettono di dissodare terre sempre più vaste; vengono introdotte nuove coltivazioni come il miglio comune, più facile a coltivarsi. La produzione agricola assume importanza fondamentale per la ricchezza dello Stato. La terra, prima proprietà inalienabile del signore diventa oggetto di compravendita; viene imposto un sistema d tassazione in base al possesso fondiario. Compare la figura de funzionario nominato direttamente dal principe: è lo strumento con cui si controllano i signori e si centralizza il potere. Nel periodo Zhou si assiste ad una significativa trasformazione, della figura del sacerdote e del letterato; depositario delle conoscenze e del sapere il sacerdote tende sempre più ad occuparsi di pratiche amministrative e diviene indispensabile in un regno sempre più ampio e complesso. Nasce così la caratteristica figura del letterato cinese che unisce alla professione di funzionario il sapere tradizionale, civile e religioso. C'è un sensibile mutamento anche nell'abbigliamento; gli aristocratici abitanti della città adoperano cappelli di seta o di pelle che diventano simboli di distinzione sociale, gli accessori degli abiti (veste lunga a pieghe per la città e durante le cerimonie si fanno raffinati e preziosi. Si usa il rame, il bronzo, l'oro e il vetro; la pietra più pregiata è sempre la giada. In questo periodo vive Confucio, nello Stato di Lu; proprio dal titolo della cronaca stesa da lui, Chunqiù = «Primavere e autunni», prende nome l'intero periodo storico.

I REGNI COMBATTENTI

Il periodo tra il 481 e il 221 a.C: è conosciuto come «Epoca dei regni combattenti», significativo nome che mette in evidenza le numerose guerre succedutesi in quegli anni. La discordia contrappone i vari Stati che di fatto si sono resi autonomi: Yan nello Hebei, Ji e Lu nello Schandong, Jiu nella media valle dello Yangzijiang, Shu nello Siquan. Nonostante le lotte intestine questo è un periodo di grandi e importanti trasformazioni sociali e culturali: le città si ingrandiscono (ve ne sono alcune che raggiungono il milione di abitanti), il commercio si sviluppa, appare la figura del mercante e con lui la moneta. La vita intellettuale fiorisce nelle corti principesche dei diversi Stati; è l'epoca delle «cento scuole» di pensiero, delle dispute tra filosofi, delle discussioni politiche. Tra gli altri uno Stato, quello di Qiu posto nell'estremo Ovest, riesce ad imporre la propria supremazia; Stato di frontiera, cresciuto militarmente per resistere alla pressione dei barbari delle steppe, era uscito dalla situazione feudale grazie a profonde trasformazioni. Era stata eliminata la grande proprietà feudale, si era formata un'efficiente burocrazia centralizzata, era stato introdotto il principio della responsabilità penale e fiscale nei villaggi, erano state costruite efficaci opere idrauliche. L'unificatore della Cina fu il principe ricordato col nome di Qin Shi Hoang Di che può essere tradotto con «Qin primo Augusto Imperatore»; tra il 230 e il 221 sconfigge tutti i rivali; il vecchio re Zhou che tenta una resistenza è sconfitto e viene occupata anche la capitale Loyang: nasce l'impero che si estende fin dove oggi sorge Canton. La legislazione e le riforme già attuate nel regno Qin vengono estese a tutta la Cina e l'imperatore, aiutato da un abile ministro, Li Su, procede all'unificazione del territorio: si organizza una vasta rete stradale che collega tutte le province con la nuova capitale Xianyang sono unificati tutti i sistemi di peso, di misura, del calendario, si impone una scrittura con gli stessi ideogrammi (la lingua parlata rimane invece differente da regione a regione), vengono distrutte tutte le fortificazioni interne e viene attuata (214 a.C.) la costruzione della Grande Muraglia utilizzando parte di fortificazioni di epoche precedenti. L'opera in realtà non riuscì mai a contenere la spinta delle popolazioni delle steppe, è stata piuttosto un simbolo, una orgogliosa testimonianza dell'unità dell'universo cinese. Per dare un'idea della minuziosità col cui Qin Shi Hoang si procedette l'unificazione del Paese si pensi che furono dettate norme per avere le stesse dimensioni degli assi dei carri, in modo che non vi fossero difficoltà a seguire i solchi scavati dal transito delle ruote nelle strade non pavimentate. Gli interventi riformatori dell'imperatore colpiscono anche aspetti sociali radicati nel costume; sono aboliti i diritti feudali, si scatena la repressione contro i confuciani, è ordinata la distruzione di tutti i libri che suonano sgraditi, ai contadini sono imposti pesanti tributi in natura e obblighi di lavoro particolarmente gravosi. L'impero ha bisogno infatti di innalzare strade, opere idrauliche e di difesa: si calcola che per costruire la Grande Muraglia siano stati mobilitati 300.000 uomini e 700.000 per i palazzi imperiali e le tombe. La forte pressione sui contadini spiega l'adesione di questa classe alla rivolta militare che scoppia appena Qin Shi Hoang Di è scomparso; nel 206 a.C. l'erede dell'imperatore è ucciso, la capitale saccheggiata. L'unità del Paese è di nuovo frantumata dai particolarismi; rinascono i principati feudali. È il momento di Liu Bang che aveva capeggiato la rivolta e che rappresentava gli interessi della nuova classe di latifondisti: diventa imperatore col nome di Gaozu e passerà alla storia come il fondatore della dinastia Han. Trapani La Grande Muraglia cinese

L'ESERCITO DI TERRACOTTA

La tomba che l'imperatore fa predisporre per sé viene scoperta nel 1974. Il cosiddetto «esercito di terracotta» che sinora è stato messo parzialmente in luce ha confermato che al tempo dell'impero, ossia nel III secolo a.C., la schiavitù in Cina era già scomparsa, poiché i soldati di terracotta, di grandezza naturale, stanno a simboleggiare quelli che in carne e ossa in tempi più lontani, e non in misura così massiccia (altrimenti sarebbe stata una carneficina), venivano uccisi e posti a guardia della tomba del loro re, sepolti non lontano da lui. Veniva uccisa anche la servitù. Si sono trovati, in tombe del XV secolo a.C., anelli metallici attorno alle caviglie di scheletri. I simboli in terracotta consentono di arricchire la tomba con la presenza di soldati, di servitori, di mercanti, di giocolieri e di oggetti vari, come carri, torri, canili e di animali, come cavalli, cammelli, cani, maiali, ecc., senza ricorrere a stragi e sempre rispettando la tradizione e le credenze, secondo le quali l'uomo continua la sua vita nell'aldilà, nel regno delle Ombre, chiamato anche "le Sorgenti Gialle". Trapani L'"esercito di terracotta" Trapani L'esercito dei guerrieri di terracotta di Xiyang

L'ANTICO PENSIERO CINESE

YIANG E YIN

Sono i due principi cosmici in opposizione tra loro che agiscono in ogni parte dell'universo, anche minima: Yiang, positivo, maschile, chiaro, mobile, versante assolato delle montagne, estate, caldo, rotondo; Yin, negativo, femminile, scuro, immobile, versante ombroso delle montagne, inverno, freddo, quadrato. Yiang è il cielo, Yin la terra. Ambedue i principi sono essenziali, perché dalla loro compenetrazione tutte le cose traggono forma e movimento. Nelle rappresentazioni di epoca Shang i due principi vengono rappresentati con il cerchio diviso in una metà scura e in una metà chiara, con un simbolismo di evidente lettura. C'è divisione e unità allo stesso tempo. Probabilmente l'opposizione dei due principi può essere ricondotta a simboleggiare la contrapposizione, essenziale per una civiltà contadina, tra cielo e terra, ma anche la loro indispensabile integrazione per ottenere il raccolto. Si spiega in tal modo l'importanza dei culti stagionali cui partecipava lo stesso re e la cura con cui erano osservate le alternanze del ritmo stagionale. Una complessa simbologia regolava il cerimoniale di corte, perché in esso doveva riprodursi il ritmo del principio e lo stesso ordine cosmologico; come il Tao sta al centro dell'Universo, così l'imperatore governa al centro dello Stato. Egli abita in un palazzo di forma quadrata, come quadrata era immaginata la terra; il suo palazzo ha nove stanze quadrate come le province della Cina; il tetto ha forma sferica e circolare è il lago che circonda il palazzo perché tale è la forma della volta celeste.

I-JING

I miti dell'antica civiltà cinese pongono l'accento sulla iniziale armonia tra il mondo umano e il cosmo; tra questo e quello c'è un sostanziale equilibrio e una reciproca relazione. Gli eventi naturali influenzano la società; i comportamenti umani, buoni o cattivi, si riflettono sul corso stesso della natura. Ma il cosmo è profondamente unitario: un principio vitale, un'energia naturale universale, il Tao, governa l'universo e ne è il centro. Il principio di reciprocità e di dipendenza tra il mondo del pensiero e quello fisico si ritrova in ogni aspetto della civiltà cinese. Tra i segni e gli oggetti c'è un rapporto di interferenza che porta i primi ad avere il potere di modificare i secondi. Si capisce allora come sia possibile l'arte magica e la divinazione. Il più antico dei testi sacri I-Jing, il Libro dei mutamenti esprime questa concezione e si presenta come un manuale divinatorio. La disposizione casuale di una serie di bastoncini, lunghi (linea piena, principio maschile, Yiang) e corti (linea spezzata, principio femminile, Yin) può dare origine a 8 combinazioni diverse, che si intrecciano ulteriormente in 64 gruppi, ognuno dei quali è accompagnato da una spiegazione che è valutata come una previsione. La forma piuttosto oscura garantisce la possibilità dell'errore. In epoca Zhou viene definito il nucleo di questa visione cosmologica in altri quattro libri oltre al più antico I-Jing = Il libro delle mutazioni, Shu-Jing = Il libro delle storie, Shu-Jing = Il libro delle canzoni, Li-Ji = Canzone dei riti e Chunqiù = Le primavere e gli autunni.

LAOZI

La tradizione ne ha fatto un personaggio realmente esistito, contemporaneo di Confucio, con il quale avrebbe avuto frequenti dispute filosofiche, uscendo sempre vittorioso dal confronto dialettico. È l'immagine accreditata dai taoisti, in particolare da Chuang-tzu, uno dei più famosi seguaci vissuto nel IV secolo a.C. Oggi la critica non è così certa che Laozi sia veramente esistito; sotto il suo nome è tramandato un complesso pensiero filosofico che risale al VI secolo a.C., racchiuso nel libro Dao-de jing = Il libro della potenza del Tao. La leggenda narra che Laozi, deluso dal fatto che nessuno seguiva i suoi consigli, aveva deciso di andarsene dalla sua terra in groppa a un bufalo nero; ai confini dell'impero però, l'ufficiale di guardia lo supplicò di non partirsene a quel modo, ma di lasciare qualcosa di scritto per la sua gente. Commosso il filosofo si fermò per qualche giorno e in quel breve tempo stese cinquemila ideogrammi dove spiegava il suo pensiero. Sarebbe nato così il Dao de-jing. Il libro, suddiviso in 81 capitoletti propone una visione del mondo ispirata alla ineluttabilità della legge che regola gli eventi naturali e umani alla quale è inutile e dannoso contrapporsi. L'ordine è formato dai due principi fondamentali, Yang e Yin, il cielo e la terra, il maschile e il femminile, da cui deriva l'universo, organizzato in maniera ragionata ed ordinata e sottoposto a regole di cortesia profonda che permettono ad ogni essere vivente di affermare la propria dignità morale. Il Tao (che può essere tradotto con «via», «percorso») è armonia, quella armonia profonda che sta sotto al velo delle cose. È l'armonia che regola fin da principio l'universo, della quale si può avere solo un'intuizione capace di penetrare oltre il senso apparente delle cose. Tutto nasce dal Tao e tutto vi ritorna. Secondo i taoisti l'uomo deve identificarsi con l'armonia cosmica, spogliandosi di ogni desiderio e di ogni attività per potersi confondere con il Tao; da ciò il comportamento sociale del taoista che rifugge dall'impegno politico, si allontana dalla società. L'uomo saggio non si affanna a far piani, non si muove per ambizione o per desideri da realizzare, evita l'attivismo e trascura di definire gli scopi delle sue azioni: convinto che la natura, lasciata a sé nell'altalenarsi delle contrapposizioni, provvede a se stessa. La non azione è la legge del Tao. Ma il saggio taoista non è refrattario al mondo; se la virtù, il De, consiste nel non agire, ciò non significa che il saggio non senta sincera partecipazione per gli altri: è paziente, sincero, leale, manifesta rispetto per gli altri e per il mondo naturale, è contrario alla schiavitù, si dedica all'insegnamento, è gentile, umile, frugale. Il taoismo popolare si è presentato spesso nella forma di una religione dell'occultismo e della magia; i sacerdoti taoisti furono sovente identificati con specie di stregoni, che, basandosi sulla teoria dei due principi contrapposti, Yiang e Yin, controllavano con pratiche magiche la malattia, i sentimenti dell'animo e le forze della natura.

CONFUCIO

Kongfuzi, cioè il «maestro Kong» visse attorno alla metà del VI secolo a.C.; le date più probabili sono il 551 per la nascita e il 479 per la morte. Apparteneva ad una famiglia aristocratica di modeste condizioni economiche nello Stato di Lu e proprio in questo Stato fece la sua carriera come impiegato, amministratore e anche ministro. In seguito a calunnie fu costretto ad abbandonare la città e a girare come esule per 12 anni. Ebbe così l'occasione di diffondere i temi della sua riforma morale e politica. Poté rientrare nella sua città quando aveva già settanta anni; accolto con festose accoglienze non volle occuparsi più di affari pubblici per dedicarsi all'insegnamento e alla revisione della cultura tradizionale. A lui si deve la definizione dei cinque libri canonici, di cui si è già parlato; a questi vanno aggiunti i quattro Zhu, cioè «libri» del confucianesimo: Lun Yu = Annali di Confucio, Daxio = Grande sapienza, Zhong Yong = Giusto mezzo e Mongzi = Le opere di Mencio, un discepolo che approfondì il pensiero di Confucio circa un secolo dopo. La sopravvivenza delle opere di Confucio fu in pericolo quando l'imperatore Qin Shi Hoang Di nel 212 a.C. ordinò la distruzione di tutto ciò che era stato scritto precedentemente il suo regno. Furono gli intellettuali del tempo a salvare le opere di Confucio dalla distruzione. Vissuto in un'epoca di grandi trasformazioni, nel momento in cui le tradizioni sembravano venir meno, il confucianesimo si presenta come un sistema per creare un ordine dove possano esistere e funzionare i rapporti civili. La tradizione è il grande modello. Confucio è un moralista e un educatore: il suo insegnamento mira a formare un tipo di uomo, saggio, istruito, virtuoso, in grado di divenire a sua volta la guida per un vivere moderato. Nella pietà filiale, nel rispetto per gli antenati e per i superiori si trova la radice del giusto comportamento. L'ordine caro al Perfetto sapiente, così i cinesi chiamano ancor oggi Confucio, era formato sul potere delle autorità: il padre nella famiglia, il maestro nella scuola, il funzionario nel villaggio, l'imperatore nello Stato. Il recupero delle tradizioni (si è visto Confucio organizzare il sapere canonico), il culto degli antenati, il rispetto per i superiori hanno permesso che spesso Confucio venisse considerato come un fautore del sistema gerarchico feudale, come un sostenitore dell'ordine costituito. Non è così: l'osservanza scrupolosa delle regole di buon comportamento non è conformismo per il saggio confuciano, è il modo per esprime la fiducia nell'aspetto razionale che regge la società e la natura. Certo si può osservare che l'ideologia confuciana è più adatta a un mondo e a una civiltà di agricoltori; la mentalità mercantile e imprenditoriale ne è lontana. Salvati dal rogo cui li aveva destinati il Primo Imperatore e ricostruiti nelle parti mancanti con una paziente opera sotto la dinastia Han, i testi di Confucio sono rimasti per duemila anni i libri dell'educazione di base. Anche Confucio ha avuto un posto di rilievo nella storia della Cina; già il primo imperatore Han offrì sacrifici sulla sua tomba, poi gli furono conferiti onori imperiali e infine si decise di costruire in ogni città dell'impero un tempio a lui dedicato. Ma il confucianesimo non è una religione; Confucio credeva nel «cielo», ma non si pronunciava sull'esistenza di una vita oltre la morte. E cielo per lui era qualcosa simile alla natura. Quando un discepolo gli chiese di compiere dei riti religiosi vedendolo vicino a morire, Confucio rispose: - La mia preghiera è la mia vita -.

LO SPAZIO

Forse la Cina è il solo Paese del mondo che porti nel proprio nome un esplicito riferimento spaziale: il nome più comune per indicare questo grande Paese suona infatti Zhongguo, che significa «paese di mezzo», «paese centrale». La cultura cinese non ha coscienza di grandi migrazioni che siano avvenute agli albori della sua storia, a differenza di quanto avviene per la Grecia o per l'India, o per altri popoli, la cui tradizione epica (e non solo epica) ha conservato il ricordo dell'arrivo da altri Paesi e spesso di una sanguinosa conquista della nuova patria. Il mondo cinese si presenta invece come qualcosa che si è formato sul posto, senza l'apporto (o il ricordo dell'apporto) significativo di genti arrivate di lontano. La Cina è un mondo che si è costituito in una piccola area del Nord (la media valle del Fiume Giallo) e si è poi estesa a macchia d'olio, attraverso un processo di allargamento graduale, lento, relativamente pacifico, fatto assai più di assimilazione che di conquista. Probabilmente per queste ragioni la concezione dello spazio almeno a livello geografico è caratterizzata da un polo centrale, la Cina. Si può dire che i cinesi sono abbastanza poco etnocentrici, cioè non attribuiscono un'importanza particolare e un primato a se stessi come razza. Sono piuttosto topocentrici, cioè considerano il loro luogo, il loro Paese, come geograficamente privilegiato. Questa concezione dello spazio terrestre aveva conseguenze sul modo di pensare il mondo: la Cina, al centro, rappresentava la civiltà, una civiltà il cui primato si estendeva idealmente su tutto il mondo. I quattro punti cardinali designavano parti del mondo abitate da barbari, da popolazioni inferiori non per razza, ma perché non avevano assimilato gli alti valori della cultura confuciana. Alla base di questa concezione del mondo c'è la realtà geografica: la civiltà cinese è tra quelle che hanno avuto minori contatti con altri continenti e con altri Paesi. Si pensi alla situazione storica dei secoli durante i quali la cultura cinese raggiunse la propria maturità: a settentrione si stendevano i deserti e le steppe siberiane, popolate da gruppi nomadi di modestissima cultura. Ad oriente vi era l'oceano, da cui emergevano solo Corea e Giappone, Paesi ancora estremamente primitivi. A Sud e a Sud-Est c'era ancora il mare, ospitale e facilmente navigabile ma che conduceva a una miriade di isole, bellissime quanto poco significative, secondo i Cinesi, dal punto della cultura. Solo verso Occidente la Cina poteva trovare Paesi altrettanto sviluppati: l'India, il bacino mediterraneo, la Persia. Ma l'altipiano tibetano, la catena himalayana, i difficili deserti del Turkestan costituivano una barriera che solo poche vie carovaniere consentivano di superare. Per quanto se ne sapeva, il cinese era veramente al centro del mondo: attorno a lui si estendevano oceani, liquidi o sabbiosi, popolati da barbari.

TEMPO E STORIA

La parola che ha significato di universo suona yuzhou: è composta da due ideogrammi che significano «spazio» e «tempo». In un testo taoista del II secolo a.C. si legge: Si chiama zhou tutto il tempo che è trascorso dall'antichità fino ai nostri giorni, si chiama yu tutto lo spazio che si estende in tutte le direzioni e verso il basso e l'alto. Il Tao è in loro, sebbene nessuno possa dire dove esso risieda. In diversi autori classici si trova conferma e spiegazione di questo termine con un continuo insistere sui rapporti del tempo con lo spazio. Da alcune scuole vien fatta la distinzione tra un tempo inteso come durata e continuità (qiu) e un tempo inteso piuttosto come momenti distinti all'interno di questo fluire (shi). Il rapporto tra il tempo e lo spazio inoltre era identificato proprio nel movimento, un concetto alla base del pensiero orientale. In un testo composto tra il V e il ll secolo a.C. si legge: ... La durata (qiu) include tutti i tempi particolari (shi), i tempi antichi, il tempo presente, la mattina e la sera, tutti concorrono a formare la durata. Il movimento nello spazio richiede la durata... Nel movimento lo spostamento si effettua prima verso colui che è più vicino, poi verso colui che è più lontano. La vicinanza e la lontananza costituiscono lo spazio. Il presto e il tardi costituiscono il tempo... I problemi connessi con la definizione del tempo sono al centro di molti paradossi dei cosiddetti sofisti cinesi che volevano contestare le definizioni che del tempo fornisce il senso comune. Presso i taoisti soprattutto il discorso sul tempo coinvolge quello sull'origine dell'universo. Dai taoisti, come in genere da tutto il pensiero orientale, viene negata l'idea di una creazione iniziale: le cose esistono dall'eternità e il tempo segna il passare da uno stato all'altro senza soluzione di continuità. Per i padri del taoismo la vicenda della realtà e la vicenda dell'uomo non hanno un significato particolare, non vanno in una particolare direzione. La vita umana si inserisce nel fluire delle cose, tutte ugualmente non permanenti e non diverse nel loro valore le une dalle altre. Nascere uomo, dice uno di questi pensatori, è indubbiamente una grande fortuna; ma altrettanto grande è nascere uccello, farfalla o fiore. Qui l'indifferenza per il senso della realtà si fonde con una credenza tipica di tutto il mondo orientale: quella della metempsicosi, o meglio del continuo ciclo delle rinascite per cui la morte viene considerata come il semplice passaggio a un'altra vita, che non è meno degna di essere vissuta. Per il confucianesimo occorre ricordare invece l'atteggiamento agnostico- Confucio rispettava gli spiriti ma ne parlava poco e rifiutava di discutere il problema della morte asserendo che conosciamo troppo poco della vita. L'orizzonte di Confucio e dei suoi discepoli è rigorosamente laico, se c'è una sopravvivenza per gli uomini, tale sopravvivenza è costituita soprattutto dal ricordo dei discendenti e del rispetto della società. Dopo la morte si può vivere nella memoria altrui. Pensatori confuciani in epoca successiva, soprattutto dopo l'XI secolo, subirono l'influenza di taoisti e buddisti ed elaborarono complesse filosofie che implicitamente parlavano del destino dell'uomo anche oltre i confini della vita terrena. Proprio le influenze di cui si è parlato hanno portato a una concezione sostanzialmente ciclica del fluire della realtà. L'idea della creazione, come si è visto, o almeno di una creazione dal nulla, sfugge alla sensibilità cinese. Anche per l'esistenza di questa ideologia i cinesi furono particolarmente colpiti e attratti, nel secolo scorso, dall'idea occidentale di progresso, dall'ipotesi cioè che il mondo degli uomini potesse essere in marcia verso una situazione migliore di quella passata.

LA RELIGIONE POPOLARE

In Cina la religiosità è sempre stata avvertita come un aspetto della più ampia vita sociale; la forte contrapposizione tra materia e spirito, caratteristica della cultura occidentale è stata osservata con minore drammaticità, forse perché alle origini del pensiero cinese vi è la consapevolezza di una superiore armonia dei contrasti. Una concezione come quella del male assoluto non è concepibile nel pensiero religioso; la stessa concezione dell'inferno ha un ruolo meno importante ed è certamente di derivazione buddista. Il panteon della religiosità popolare ammette una pluralità di personaggi che non necessariamente sono dei; oggetto di venerazione e di culto possono essere gli eroi, i sapienti o coloro che in qualche modo si sono distinti con le loro gesta a favore dell'umanità. È un atteggiamento che ha preferito accettare e sommare le diverse credenze più che compiere scelte, è un sincretismo tollerante che si è macchiato di persecuzioni solo per motivi politici. Tra i principali culti ricordiamo quello alla Dea Madre identificata con una divinità taoista, quello alla dea Guan Yin, in origine divinità buddista, quello agli dei del focolare e della ricchezza che stanno a guardia delle porte di casa. Un culto particolarmente importante, che univa tutti i membri della famiglia, era riservato agli antenati; in queste manifestazioni (raccomandate caldamente da Confucio) si rinnovava la consapevolezza delle proprie origini, si rinsaldavano i legami della tradizione familiare.

IL PERIODO HAN

Ancora oggi i Cinesi si definiscono «Figli di Han», a sottolineare l'importanza che questa dinastia e questo periodo ha rappresentato per la Nazione. È sotto i Han che la Cina viene plasmata nelle sue strutture economiche, politiche, morali. Con il primo imperatore Han, Gaozu, l'ideologia confuciana riprende importanza soprattutto perché confuciano è il potente consigliere di corte; lo stesso imperatore nel 195 a.C. si reca sulla tomba di Confucio a rendere omaggio alla memoria del Maestro. Gli interventi governativi tendono a controllare il mercato; nasce il monopolio del sale e del ferro. Le condizioni dei contadini tuttavia migliorano; il peso delle imposizioni fiscali si attenua. Lo Stato è controllato attraverso una burocrazia di funzionari scelti per esami. Sotto l'imperatore Wu Di (140-87 a.C.) lo Stato accentra ogni funzione; il confucianesimo è diventato l'ideologia ufficiale della classe dominante. La Cina in questo periodo entra direttamente in contatto con l'Asia centrale; una fortunata campagna militare ha sconfitto gli Unni e un'ambasceria può giungere fino al regno dei Parti, aprendo quella che sarà il canale di contatto tra Occidente e Oriente: la famosa «via della seta». Le forti spese necessarie a questa politica espansionistica gravano sul tesoro pubblico; i proprietari terrieri riescono a impadronirsi delle terre sottraendole ai contadini che tendono a diventare braccianti; agli inizi dell'era volgare questa situazione esplode in rivolte che mettono a repentaglio l'esistenza stessa dello Stato. Nell'8 d.C., Wang Mang, alto dignitario imperiale, rovescia la dinastia Han, si insedia sul trono e vara una serie di riforme atte a controbilanciare il potere dei latifondisti: vieta la compravendita della terra che è dichiarata possesso dello Stato e la distribuisce ai coltivatori, istituisce un sistema di prestiti volto ad impedire l'usura e consolida i monopoli statali. Il tentativo di fondare una nuova dinastia tuttavia fallisce; le intenzioni dell'imperatore, convinto confuciano ottengono il risultato di creare una forte inflazione. Le sconfitte ai confini settentrionali contro i barbari, la secessione dei legittimisti Han e ancora le ribellioni contadine sfociate nella rivolta detta dei «Sopraccigli rossi» (i membri per riconoscersi e per incutere paura avevano l'abitudine di dipingersi gli occhi) pongono fine all'esperimento e Wang Mang nel 22 d.C. si uccide. Il sovrano legittimista sconfigge l'esercito rivoluzionario dei «Sopraccigli rossi», restaura la dinastia Han e pone la nuova capitale a Loyang, nell'Est del Paese. Per questo gli imperatori che si succedono da questo momento sono definiti Han orientali, mentre i Han del periodo precedente che avevano per capitale Hsian, sono conosciuti come Han occidentali. Il periodo dei Han orientali (22-220 d.C.) segna una ripresa economica e una relativa prosperità; l'industria artigiana compie rapidi progressi, nascono laboratori tessili, si perfezionano lavorazioni come quella del legno, del bambù, prende campo la produzione di oggetti trattati con lacca, viene usato per la prima volta un materiale simile alla porcellana. Nel 105 d.C. un funzionario statale riesce a produrre la carta, ottenuta da fibre vegetali; l'invenzione ha grande importanza in un mondo dove la richiesta di materiale per scrivere è sempre più ampia. Ai confini premono sempre minacciosi gli Unni che tuttavia sono ancora una volta sconfitti nel 91 d.C.; ma i successi delle politica estera non bilanciano le difficoltà interne. Il sovrano non riesce a far fronte al potere dei latifondisti; la corte è diventata un luogo di intrighi e di corruzione dominata dagli eunuchi e dalle concubine. La corruzione si allunga anche in periferia coinvolgendo tutta la classe dei funzionari. Nel 184 d.C. una nuova grande rivolta dei contadini, detta dei «Turbanti gialli», scuote l'impero; nel 220 d.C. la dinastia Han viene definitivamente spodestata dal condottiero militare e letterato Tsao Tesao. Trapani La società cinese durante il periodo Han

L'EPOCA DELLE INVASIONI BARBARICHE (220-581)

Il nuovo imperatore, iniziatore della dinastia Wei, estende la colonizzazione nella valle del Fiume Giallo; le terre servono di ricompensa ai soldati che così garantiscono l'efficacia dell'apparato militare. Sorgono altri due Stati, Shu nello Siquan e Wu nel Sud: è il periodo dei tre regni. Ognuno occupa un'area assai diversa per ambiente naturale e per economia: il bacino medio del Fiume Giallo, il basso Yangzijiang e il bacino del Fiume Rosso. Sono entrati in Cina frattanto altri popoli, Tunghusi, Turchi, Tibetani; la loro pressione spinge i contadini verso Sud, verso il basso Yangzijiang ancora poco popolato. Mentre l'epoca precedente prende nome di periodo dei «Tre regni», con lo spostamento a Sud e la creazione di due entità etniche piuttosto diverse, si parla di epoca dei «Regni settentrionali e meridionali» (320-581). Al Sud l'economia conosce uno straordinario sviluppo che tocca ogni settore: l'agricoltura, l'artigianato, il commercio. In questo periodo viene introdotto in Cina il Buddismo; sono le classi aristocratiche e gli ambienti di corte ad accettare il buddismo, ma questo si diffonde anche tra il popolo. A poco a poco il buddismo diventa una religione privilegiata, quasi di Stato. Al Nord si erano formati tanti staterelli di diversa origine etnica che erano stati rapidamente assimilati dalla superiore cultura cinese. Tra questi il più consistente fu quello fondato dai Toba che riuscì ad unificare il Nord (con la dinastia Wei), ma mancò l'obiettivo di conquistare anche le regioni meridionali; una spedizione militare (383) si concluse con un completo insuccesso. I Toba misero in pratica una politica di assimilazione con l'elemento cinese che ebbe i caratteri di una costrizione: furono vietati i nomi toba, fu fatto obbligo di vestirsi alla cinese, furono proibiti i matrimoni all'interno del gruppo (endogamia). Quando il regno dei Toba si divise in due Stati, Zhou a Ovest e Qi ad Est, nel primo si tentò di ripristinare il carattere nazionale dei Toba. In generale in tutta la Cina settentrionale rimase vivo il contrasto tra i due gruppi etnici. Nel 581, il discendente di una famiglia aristocratica, Yang Jian si proclama imperatore, spodesta l'ultimo imperatore Toba, conclude un armistizio con i Turchi, che erano diventati una potenza minacciosa, e infine conquista il Sud riunificando l'impero che per circa 400 anni era rimasto diviso. Inizia la dinastia Sui. È un impero diverso da quello precedente; la regione economicamente importante è adesso quella dello Yangzijiang che prima era arretrata; proprio per sfruttare meglio le possibilità dell'immensa provincia meridionale e i vasti territori adatti alla colonizzazione, Yang Jian inizia i lavori di scavo del Grande Canale Imperiale. Per quasi mille anni questa sarà la via più rapida di comunicazione tra Nord e Sud, capace di far arrivare alla capitale Loyang i milioni di quintali di cereali prodotti dal basso Yangzi. Nell'opera colossale vengono impiegati a lavoro coatto milioni di uomini; ne muoiono a centinaia di migliaia. Lo stesso accade agli uomini reclutati per restaurare la Grande Muraglia. La politica di Yang Di è fortemente espansionistica; spedizioni militari arrivano in Vietnam, in Siam, in Corea. All'interno lo Stato appare ben organizzato; Yang Di sostiene il confucianesimo e perfeziona il sistema degli esami per reclutare i funzionari imperiali. Ma le difficoltà economiche, conseguenti alle costose guerre, sollevano la reazione dei contadini. Le cattive annate suscitano la ribellione delle campagne e la dinastia Sui nel 618 crolla.

I MANDARINI

Gli occidentali chiamavano Mandarini gli appartenenti alla casta dei funzionari cinesi, secondo alcuni, i Portoghesi introdussero in Europa tale denominazione derivandola dal corrispettivo malese Mantari che risale a sua volta dal sanscrito mantrin = «consiglieri». Secondo altri la parola «Mandarino» ha origine dal verbo portoghese mandar, che indica l'incarico di trattare, conferito dall'imperatore. Dai tempi della dinastia Han fino agli inizi del nostro secolo, i Mandarini furono i veri padroni della Cina; erano i burocrati che sapevano far funzionare i complessi meccanismi dell'apparato statale e gli intellettuali dall'altero portamento e dalle vesti di seta gialla, che tanto colpirono per secoli, l'attenzione degli stranieri che visitavano la Cina. Anche quando in Cina si insediarono dinastie straniere, fu sempre la casta dei Mandarini, grazie ai propri privilegi e potere, a mantenere il legame tra la popolazione cinese e la corte imperiale, assicurando una continuità culturale e facendo funzionare la macchina statale. I Mandarini venivano reclutati col sistema degli esami, metodo che in teoria consentiva a chiunque l'accesso a questo ruolo. L'esame, assai impegnativo, si basava sulla conoscenza dei quattro testi del confucianesimo e dei cinque classici tradizionali. In epoca Ming e Qing vi erano tre gradi di esami; i primi due a livello di distretto e di prefettura davano la possibilità di sostenere particolari esami banditi triennalmente dopo dei quali si poteva affrontare la prova nella capitale. Un corso di studi così impegnativo serviva per selezionare con rigore i funzionari statali: effettivamente con questo sistema i Mandarini rappresentarono spesso una categoria di uomini di grande levatura morale, sovente in questa classe sociale si trovarono concentrati i migliori talenti del Paese. La preparazione culturale aveva però il difetto di formare intellettuali ricchi di sapere scolastico, ma assai poco adatti a comprendere e controllare le rapide trasformazioni. Nel XIX secolo il mandarinato mostrò la propria insufficienza di fronte alla cultura tecnica e industriale del mondo occidentale.

IL BUDDISMO IN CINA

Il buddismo entra in Cina durante il regno dei Han orientali, attorno al I secolo della nostra era e assume abbastanza presto una posizione di rilievo; sotto il secondo imperatore è riconosciuto come religione ammessa. La leggenda racconta che sarebbe stato lo stesso Buddha ad apparire in sogno all'imperatore per esporgli i principi della sua predicazione. Non sono stati tuttavia rinvenuti resti di monasteri risalenti a questo periodo. Il buddismo non arriva in Cina dall'India, ma portato dai mercanti che percorrevano la via della seta; si trattava quindi di un buddismo arricchito con elementi asiatici. Per la cultura cinese si presentava il problema di trovare termini cinesi adatti a tradurre concetti che appartenevano ad una filosofia già ben definita nel Mahayana (= «grande veicolo»), l'opera meglio conosciuta in questo periodo; fu il taoismo a servire da tramite concettuale e linguistico. In un primo tempo il buddismo trova proseliti soprattutto nelle classi privilegiate e solo nel IV secolo si diffonde tra i ceti popolari; la sua fortuna è probabilmente da mettere in relazione con i difficili momenti attraversati dalla Cina settentrionale, devastata dalle invasioni; in questo clima il buddismo rappresentava una via per la salvezza. Si accentua anche il carattere magico e superstizioso dei riti praticati dai monaci. Il favore con cui fu accolta questa religione fece sorgere una chiesa di Stato; un monaco designato dall'imperatore aveva la sovrintendenza dei monasteri. I sovrani Toba in particolare proteggono i monasteri e sono generosi di elargizioni e donazioni di terre: in cambio si attendono che i monaci buddisti mettano a disposizione dello Stato i loro poteri religiosi e il loro prestigio. Non va trascurato che la dinastia Wei, di origine straniera, trova nel buddismo anch'esso straniero rispetto alla Cina, la base culturale su cui fondare il proprio potere nei confronti della classe colta cinese. Nel VI secolo accanto alla forma tradizionale compare anche il buddismo contemplativo, Ch'an, termine che riproduce i suoni della parola sanscrita dhyana = «meditazione» e che verrà tradotta in Zen. Il buddismo zen predicava la salvezza attraverso l'immediato raggiungimento dell'illuminazione, senza la necessità di utilizzare il sapere dei libri. Il carattere colto e la discussione erudita del monaco zen non permisero che questa religione si diffondesse in ambienti popolari. Grande diffusione conobbe il buddismo sotto i Tang quando rappresentò un potente veicolo di espansione e di comunicazione per l'impero che aveva carattere cosmopolita. Dopo un periodo di eclissi, quando la religione buddista fu vietata come anticinese conobbe nuovamente successo e diffusione sotto i Song. Alla metà del XIII secolo si diffonde in Cina il lamaismo, una variante del buddismo popolare. Il lamaismo, diffuso soprattutto in Tibet e in Mongolia divenne una potenza con le dinastie mongole; in seguito il controllo passò sotto i Cinesi, ma ogni convento rappresentava di fatto una entità autonoma sotto il proprio Lama. Il lamaismo, rigidamente gerarchico, diede vita a una comunità teocratica con al vertice il Dalai Lama, in cui si incarna l'anima del fondatore della religione, Chenresik, il grande Bodhisattva del Tibet. Caratterizzano il culto cerimonie rituali minuziosamente organizzate e una strumentazione ricca che comprende campanelli, rosari, amuleti e dorje = «fulmini» che i sacerdoti scagliano contro i demoni. Al centro della pratica religiosa c'è il khor-lo, il mulino orante, un cilindro messo in moto a mano su cui sono incise le preghiere; ad ogni giro compiuto il fedele acquista merito come se avesse egli stesso recitato le preghiere scritte sul cilindro.

LA CULTURA CINESE NEI PRIMI SECOLI

Nei secoli che trascorsero dal VI secolo a.C. alla costituzione dei due grandi imperi, Qin prima e Han poi e, successivamente, alla spartizione della Cina tra Nord e Sud, con il Nord governato da un popolo barbaro, turco-mongolo (dinastia Wei), fino ad arrivare alla ricostituzione nazionale dell'impero, sotto la dinastia Sui (589 d.C.), la cultura cinese si evolve a passi giganteschi. In campo astronomico furono individuati e dettagliatamente elencati gli aloni solari, che in Occidente vengono conosciuti agli albori del XVII secolo; celebre resta l'invenzione del sismografo di Shang Heng (II secolo d.C.), che fa cadere la pallina nella bocca spalancata della rana dove la terra ha tremato. Un'altra scoperta, che precede di molti secoli le conoscenze astronomiche degli Europei, fu quella dei cicli di Giove, soggetto a un periodo sidereo di rivoluzione della durata di dodici anni (IV secolo a.C.). Più o meno in quello stesso periodo viene inventata anche la carta. Si ha dunque uno strumento essenziale per scrivere e per dipingere, utilizzando una stanghetta di bambù nella quale sono fissati, con la colla, peli di animali. Per scrivere e per dipingere prima che ci fosse la carta si usava la seta. Ma era nota anche la tecnica dell'affresco. I dipinti del periodo al quale ci riferiamo sono soprattutto affreschi, eseguiti nelle tombe. L'ultima parte del periodo, quella che va dal IV alla fine del VI secolo è segnata dalla diffusione in Cina, e non solo nella Cina del Nord, del buddismo. Il buddismo pur estraneo alla Cina, che offre una solida impalcatura di pensiero con il confucianesimo e con il taoismo, la conquista. La conquista perché la arricchisce, sia sul piano ideologico sia sul piano della fantasia, che fiorisce dai sentimenti religiosi e dalle situazioni emozionali che il buddismo suscita. Da ciò trae linfa l'arte. Le tappe lungo la "via della seta", come Bezeklik e Dun Huang, nel deserto del Gobi, e le capitali della dinastia Wei, come Datong e Luoyang, divengono nelle loro immediate adiacenze, Yunggang (presso Datong) e le grotte di Longmen (presso Luoyang) grandi centri di arte buddista, sia parietale, mediante affreschi, sia statuaria. Le statue indicate col nome stilistico di Wei Settentrionali costituiscono una delle più alte espressioni artistiche di ogni tempo. Non solo. Ancora sul finire di questo periodo, nei primi decenni del VI secolo, un altro grande movimento di pensiero si diffuse nella Cina meridionale: è il pensiero del buddismo Chan, nato in modo autonomo e originale in Cina, in ambiente fortemente pervaso di cultura taoista.

SCIENZA E TECNICA

È proverbiale il genio inventivo dei Cinesi; secoli prima che gli Europei utilizzassero invenzioni fondamentali per il progresso tecnico in Cina quelle invenzioni avevano compiuto grandi passi. Le leggende narrano che già un paio di migliaia di anni prima della nostra era i capi guidavano le carovane servendosi di un magnete. Agli inizi del Mille un geniale inventore aveva pensato a blocchi in creta ciascuno con un ideogramma realizzando i primi caratteri mobili per la stampa. Questa invenzione tuttavia non venne debitamente sfruttata sia perché i caratteri in creta, incollati su un telaio, non erano sufficientemente resistenti alla pressione, sia soprattutto perché i pittogrammi cinesi mal si prestano, per il loro elevatissimo numero, alla stampa a caratteri mobili. In Cina la prima miscela esplosiva era stata ottenuta nel secolo VIII d.C., ma la sua utilizzazione rimase confinata ai fuochi d'artificio, ai razzi colorati adoperati per divertimento. Anche nel caso della bussola non si ebbero progressi tecnici significativi; i Cinesi usavano l'ago magnetico posto a galleggiare sull'acqua ma la forma moderna della bussola fu introdotta dagli Arabi in Cina. I Cinesi hanno precorso tecnologicamente l'Occidente nell'invenzione e nell'uso della carta, nota fin dal secondo secolo a.C.; per scrivere originariamente si utilizzava il legno e il bambù ed anche la seta. Il processo di fabbricazione della carta fu poi trasmesso agli Arabi che lo fecero conoscere all'Europa attorno al XII secolo. Un tipico prodotto, frutto di ingegnose tecniche cinesi, fu la porcellana, che compare per la prima volta nelle tombe di imperatori e di nobili della dinastia Tang, deceduti nella seconda metà dell'VIII secolo. È già stato spiegato precedentemente come si ottiene la porcellana essendo necessario il concorso di uno specifico materiale terroso (silicato idrato di alluminio) e di adeguati forni per le alte cotture. In Europa furono necessari mille anni prima che a Meissen, in Sassonia, il chimico Böttger ottenesse in laboratorio la prima porcellana europea (15 gennaio 1708). Altro straordinario prodotto tecnologico e contemporaneamente artistico fu il celadon, che compare tra le più raffinate produzioni artistiche del periodo Song (960-1278). Il celadon è un prodotto ceramico (non porcellanoso) che i vasai Tang avevano studiato per imitare la giada. Di certo lo hanno inventato i vasai Tang. Ma con la dinastia Song è diventato un autentico oggetto d'arte.

LA CINA DEI TANG E DEI SONG

La dinastia Tang, fondata da Li Yuan, un comandante militare, porta la Cina al culmine della sua grandezza; non si tratta solo di potenza economica e militare; tutti i settori della cultura conoscono una splendida fioritura: arti e lettere hanno uno sviluppo raffinato con poeti squisiti come Li Po, Tu Fu e Pozhúyi, la stessa vita delle città appare ricca e movimentata. La classe mercantile conosce un vigoroso sviluppo; l'uso della moneta diventa comune tanto che le tasse vengono prelevate in contanti e non più in natura. Base dell'economia rimane sempre l'agricoltura, settore che conosce un forte progresso, grazie anche alla redistribuzione delle terre fissata e attuata con un decreto del 624. Aumenta anche la popolazione; la Cina diventa il più popoloso Paese della Terra con più di 100 milioni di abitanti. Durante il primo secolo della dinastia si succedono quattro grandi imperatori che estendono il controllo della Cina verso occidente; con Gao Zong, figlio del fondatore della dinastia, è raggiunto il lago di Aral. La cultura cinese si estende ai Paesi limitrofi e si fa sentire in Tibet, in Corea, in Afghanistan. La politica di conquista subisce una battuta d'arresto contro gli Arabi, a loro volta impegnati a estendere il loro controllo in Asia. A Talas, nel 751, i Cinesi sono sconfitti ed anche se gli Arabi hanno esaurito la spinta espansiva in questo settore, l'Asia centrale diventa un'area di influenza dell'islam. Nonostante la sconfitta, questo può essere considerato il momento di massimo splendore della dinastia Tang. Sul trono c'è Xuan Zong, un imperatore che è anche letterato raffinato e protettore di artisti. Nel 755 deve fronteggiare la rivolta di un generale di origine turca, Anlushan che, occupata la capitale, lo costringe alla fuga. L'imperatore è accompagnato dalla sua concubina preferita, la bella Yanggiufei, ma i soldati della scorta, convinti che la donna eserciti una cattiva influenza sul sovrano, la costringono al suicidio. Xuan Zong col cuore spezzato è costretto a subire questa morte; la storia dei due amanti sventurati diventa nei secoli seguenti uno dei temi ricorrenti della poesia amorosa e drammatica. La rivolta di Anlushan viene domata, ma la decadenza della dinastia Tang è iniziata: i generali delle zone di frontiera tendono a sottrarsi al controllo dell'imperatore e la situazione nelle campagne si è fatta nuovamente acuta. Nel 873 scoppia una grande rivolta contadina; centinaia di migliaia di contadini invadono la capitale. Di fronte a questo pericolo i generali si accordano per unire le loro forze e sconfiggere il movimento popolare. Schiacciata la rivolta un generale, deposti i Tang, fonda una nuova dinastia. La Cina per circa cinquant'anni resta divisa in due regni, a Nord e a Sud, dove si succedono effimere dinastie. Della situazione approfittano i barbari Kitan che, superata la Grande Muraglia, creano uno Stato con capitale dove oggi sorge Pechino. Questo regno dura fino al 1125 e rappresenta una continua minaccia sul resto della Cina che intanto è stata riunificata da Jiao Guangyin, fondatore della dinastia Song (960). L'epoca Song è una delle più contraddittorie della storia cinese; lo sviluppo culturale è splendido, le arti giungono a un grado di estrema raffinatezza, ma la potenza militare e politica è irrimediabilmente decaduta. La Cina è costretta a comprare la pace dai barbari che si infiltrano continuamente dalle frontiere settentrionali e fatica a tenere sotto controllo le spinte separatiste. Per fronteggiare quest'ultimo problema viene perfezionata la macchina burocratica che assume un'ampiezza, ma anche un peso economico, mai raggiunti: circa due milioni sono i funzionari civili e militari. Le condizioni dell'agricoltura e dell'artigianato appaiono floride, ma vi sono sempre squilibri che pesano sui contadini. L'inflazione cresce continuamente, né le riforme riescono a modificare la situazione perché trovano la resistenza dei conservatori e dei proprietari terrieri. Si aggrava la situazione militare perché i barbari Ruzhen, che si sono sostituiti ai Kitan, scendono a Sud, entrano nella capitale e catturano lo stesso imperatore. La sede della corte si sposta allora più a Sud nella nuova capitale Hangzhou (dinastia dei Song Meridionali, sotto un ramo cadetto). Anche il regno barbaro del Nord si trova in questo momento in difficoltà; nel 1235 è conquistato dalle tribù mongole guidate da Genghis Khan. Nel 1279 l'ultimo imperatore Song, sconfitto vicino a Canton, si uccide gettandosi in mare. Per la prima volta nella sua storia la Cina passa interamente sotto il controllo di un popolo straniero.

LA PRODUZIONE ARTISTICA

Sulla scia delle opere realizzate in periodo Wei, anche con la dinastia Tang e con la dinastia Song le grotte di Dun Huang e di Longmen continuano ad arricchirsi di dipinti e di statue, gli uni e le altre in omaggio agli edificanti episodi del buddismo, sempre più trionfante e sempre più cinese. Ma nella fase intermedia, che dura circa mezzo secolo, e segna lo stacco tra il crollo della dinastia Tang (907) e la ripresa dell'unità nazionale con la dinastia Song (960), nel cuore del X secolo un profondo mutamento avviene nella concezione delle rappresentazioni pittoriche. Dalla netta preferenza data alla rappresentazione del personaggio, fosse gente di corteo o uomo di fede religiosa (monaco, per esempio), dalla pittura aristocratica e raffinata dei letterati, che proiettano sulla seta vezzosi uccelli che si librano in aria o poggiano, incurvandoli, su altrettanto vezzosi fiori o delicate piante, come è costume della pittura Tang, si passa, proprio durante il famoso X secolo, che è un secolo di transizione a una pittura che si ispira alla natura, al paesaggio, ai suoi aspetti di vita (il monte, il colle, la pianura. il fiume, il bosco, ecc.), ai suoi modi di esprimersi e di presentarsi secondo stagione, secondo le ore del giorno. Prende l'avvio un tipo di pittura che con le sue nebbie, i suoi vapori, le sue grandiosità, i suoi segreti dominerà tutto il periodo Song, segnando con incomparabile bellezza un nuovo canone estetico e filosofico, che trae dal taoismo la sua logica, in comunione con i principi di impermanenza del buddismo Chan: nell'Uno vi sono le 10.000 cose; l'Uno non è identificabile, perché è il Tao. Come si potrebbero identificare i misteri della natura? I suoi silenzi, i suoi suoni? Un altro genere artistico caratterizza il periodo Tang. Si tratta delle figurinette di terracotta disposte nelle tombe raffiguranti cavalli, cammelli, mostri mitici, mercanti, soldati, dignitari. La particolarità di tali figurinette, chiamate ming qi = «oggetti luminosi» è quella di essere coperte da una invetriatura a tre, o a cinque colori, o talvolta monocroma; l'invetriatura è stata fatta colare con bizzarria, con fantasia, e con totale padronanza dell'effetto artistico. Il risultato è stupendo, trattandosi di materiale povero (terracotta e vetro colorato) tale risultato va a totale merito della maestria dei vasai Tang.

LA DOMINAZIONE MONGOLA

Per 89 anni la Cina è governata da una monarchia mongola che attua una politica di separazione razziale trattando i Cinesi come un popolo assoggettato escludendoli dall'amministrazione, dal potere politico e economico, confiscando le terre a favore dei vincitori. Questo periodo non è tuttavia del tutto negativo; commerci e artigianato continuano a fiorire, le città conoscono un forte sviluppo e si riaprono le vie di comunicazione con l'Asia centrale. E la situazione descritta da Marco Polo che appunto può entrare in Cina e far carriera alla corte di Kubilai Khan perché i Mongoli non si fidavano dei Cinesi e preferivano servirsi di elementi stranieri. Nel complesso il periodo mongolo è un'epoca di intense relazioni internazionali; giungono in Cina missioni francescane e si insediano nell'impero numerosi mercanti musulmani. Questi contatti sono proficui per il mondo europeo che può conoscere così alcune scoperte cinesi come la polvere da sparo e la stampa. Una grande rivolta contadina, dei «Turbanti Rossi», pone fine alla dominazione mongola; i barbari vengono ricacciati al di là della Grande Muraglia, che quasi a simboleggiare la ritrovata identità culturale della Cina, viene restaurata. L'artefice della vittoria è Zhu Yuangzhang, un contadino, che diventa l'iniziatore di una nuova dinastia: i Ming.

MARCO POLO

Accompagnato il padre e lo zio che già avevano compiuto viaggi nei Paesi dell'Estremo Oriente, Marco Polo nel 1271 inizia la sua grande impresa che attraverso il Medio Oriente e la Persia, lo porta dapprima alle vette del Pamir, poi ai deserti di quello che oggi è il Xinijiang ed infine alle pianure ed alle città dell'impero cinese. Dal racconto delle sue avventure nasce Il Milione forse il più celebre libro di viaggi. A volte Marco Polo svisa il significato di quanto narrato proprio per il fatto di non essere riuscito ad intendere quale senso preciso avessero certi fatti in una società ed in un mondo lontani dalla sua mentalità e dalla sua educazione. Della Cina lo stupì soprattutto l'elevato livello di ricchezza e di produttività raggiunto: le città vaste e ben organizzate, i canali efficienti, i campi coltivati, gli originali sistemi di lavoro adottati, la cortesia e la raffinatezza dei suoi interlocutori. Uomo del Medio Evo, era poco sensibile alle dure condizioni di vita e di lavoro delle grandi masse del popolo e si lasciava più facilmente affascinare dallo splendore meraviglioso delle corti. Trapani I viaggi di Marco Polo

LA CINA DEI MING

Per circa 300 anni i Ming dominano la Cina; diciassette sono gli imperatori della dinastia che può mantenersi così a lungo grazie all'abilità con cui Zhu Yuangzhang ha saputo organizzare lo Stato e dargli solide basi amministrative e politiche. Amato dal popolo per la giustizia con cui regnava, non esitò ad usare il pugno di ferro per attuare le necessarie riforme. Obbligò migliaia di famiglie a trasferirsi in altre regioni secondo un piano di distribuzione equilibrata della popolazione, fu rigidissimo nel far osservare le regole che imponevano ad ogni famiglia di essere inserita in una categoria da cui non era lecito uscire (organizzazione indispensabile per il sistema di riscossione delle tasse), ridusse drasticamente il potere degli eunuchi a corte, diresse personalmente la politica interna ed estera, aiutato da un consiglio di nuova istituzione. Alla morte del primo imperatore Ming si scatenò una feroce lotta per la successione che vide salire al trono un figlio di Jiu Yuang-ciang. Di fatto però il potere fu esercitato da un eunuco, Wang Ji, vera eminenza grigia del regno. In questo periodo si ebbero scontri e contrasti con i Tartari che giunsero anche ad assediare Pechino. Con i successivi imperatori la Cina conosce un periodo di grande splendore; fiorisce la cultura, si sviluppano le arti (soprattutto quella della porcellana, della ceramica e della seta), l'architettura, il commercio. Ma ci sono anche nei; i pirati giapponesi saccheggiavano le coste, un esercito cinese era stato fermato mentre entrava in Corea (1595), i Portoghesi attraverso i commerci mettevano piede nell'impero e soprattutto i Manciù stavano attendendo l'occasione per scendere dalla loro terra sulla Cina. L'imperatore Jinzong, descritto come virtuoso e frugale, ebbe modo di accogliere il gesuita Matteo Ricci (1601) che rimase alla corte imperiale finché non morì nove anni dopo. L'incontro tra le due culture fu significativo e importante; di Ricci l'imperatore apprezzò le ampie conoscenze e certamente il giudizio positivo favorì i successivi invii di missionari gesuiti in Cina. La diffusione del cristianesimo conobbe un momento di successo, grazie all'abilità dei gesuiti di adattare la predicazione della loro religione alle tradizioni cinesi. Il tentativo fallì in seguito per l'opposizione che fu esercitata contro questo metodo che agli occhi della gerarchia ecclesiastica di Roma, appariva una concessione e un imbarbarimento del cattolicesimo. Si giunse così, ma molto più tardi, alla sconfessione dei cosiddetti riti cinesi (1715). Il declino della dinastia Ming è legato ad una serie di contrasti familiari che scatenarono lunghe lotte; ne approfittarono i Manciù, chiamati in aiuto da uno dei generali cinesi. La resistenza dei legittimisti Ming è tenace, soprattutto nella zona meridionale e nell'isola di Formosa, ma infine nel 1644 si impone la nuova dinastia mancese: i Qing.

LA CERAMICA

La lavorazione della ceramica è documentata in Cina dal periodo neolitico, ma occorre giungere alla dinastia Han per avere prodotti, come le statuette funerarie, di elevata sensibilità espressiva. Si può dire che la ceramica conosce un periodo piuttosto lungo di evoluzione nascosta, probabilmente perché nelle epoche precedenti erano maggiormente apprezzati materiali come il legno, la giada e soprattutto il bronzo. All'epoca Han risale la tecnica della verniciatura; sotto i Tang, nell'VIII secolo compaiono i primi esemplari di porcellana bianca ma non ancora trasparente. Ma è con i Song che la porcellana raggiunge squisiti effetti stilistici; ai perfezionamenti tecnici si unisce la varietà di forme dei vasi, e la decorazione incisa, sotto coperta (cioè nello strato inferiore al rivestimento vetrificato che ricopre il vaso). La porcellana Song è bianca. Non si usano coloranti. Con la dinastia Ming l'industria della porcellana assume caratteristiche di produzione in serie, concentrata nelle località dove si trova il caolino (Gaoling è una località cinese dove si trova questa terra che si presenta come una massa farinosa, bianca, formata da silicato di alluminio idrato e che è il materiale base per la porcellana). La produzione per così dire di massa scade un poco, perché risulta appesantita da motivi ornamentali. Tra le porcellane di questo periodo vi sono quelle più raffinate, che hanno dato alla Cina la fama in questo settore. Quanto alla forma, ai tradizionali vasi si aggiunge in epoca Ming il grande piatto; nei colori dominano il turchino cupo, turchese e violetto (i tre colori), ma vi sono porcellane monocrome e policrome anche a cinque colori); le più pregiata sono tuttavia quelle bianche e azzurre, rimaste emblematiche del gusto e dell'epoca Ming.

I MANCIÙ

Apparentemente la posizione dei Manciù è quella dei dominatori. I Manciù vengono infatti da Nord e sono avvertiti come una popolazione estranea alla cultura tradizionale. All'inizio i vincitori occupano una posizione di privilegio nell'organizzazione burocratica; sembra una politica di divisione sociale, che si manifesta anche nelle difficoltà frapposte ai matrimoni misti. Ma nella seconda fase del loro regno i Mancesi sono assimilati dalla civiltà cinese. Diventano addirittura i più accaniti sostenitori dei valori del popolo che hanno vinto. La loro posizione si è rafforzata perché non hanno toccato le grandi proprietà terriere e hanno lasciato ai potenti mandarini i privilegi di un tempo. Con il regno di due grandi imperatori mancesi, Kang Hsi (1662-1723) e Cien Lung (1736-1796) la Cina raggiunge grande prosperità che si manifesta nel rapido aumento della popolazione che passa da 150 milioni del XVII secolo ai 300 del secolo successivo. In agricoltura si introducono nuove colture, l'industria conosce una fase di forte sviluppo, la politica estera ottiene successi militari in Tibet, nel Sinkiang, in Nepal e in Birmania. Al solito sono i contadini a pagare questo benessere e questi risultati: scoppiano numerose rivolte, come quella guidata dalla società segreta del Loto Bianco, che hanno come programma di cacciare i Qing mancesi per restaurare i Ming. Le rivolte non hanno successo; i Qing riescono a domarle, l'impero tuttavia è in crisi. Le strutture burocratico-feudali impediscono alla Cina di affrontare il contatto e il confronto con gli Europei che ormai premono sulle sue frontiere. La stessa stabilità ideologica della Cina è messa in crisi perché questa volta i cinesi non hanno a che fare con barbari, ma con popoli che possiedono una tecnologia superiore, portatori di una civiltà altamente sviluppata e aggressiva. Lo splendido isolamento della Cina è finito.

ARTE QING

Con la dinastia Qing le arti figurative, pittura e scultura, non vivono una felice stagione. Si conoscono molti artisti di rilievo, come Gong Xian (1620-1681), Zhu Da (morto nel 1705) o Dao Zi (morto nel 1717), ma si assiste in generale ad una ripetizione di motivi, che riproducono una tradizione senza rinnovarla. Persino Gao Qipei (morto nel 1734), il quale per dipingere non usava pennello, ma dita, mano, unghie rivelando un interessante temperamento rivoluzionario, non rappresentò una novità per la Cina, dove già nell'VIII secolo, pittori chan avevano osato dipingere sia con le dita, rompendo l'inchiostro in briciole e schiacciandolo a chiazze sul foglio, sia intingendo nella vaschetta d'inchiostro il ciuffo dei propri capelli. Le stranezze e i tentativi d'innovazione rientravano anch'essi nella tradizione. Gao Qipei resta comunque un pittore interessante, del quale esistono molti esemplari nel museo di arte asiatica di Amsterdam. Del periodo Qing c'è un artista celebre, Lang Shih-ning (1688-1766), che fu pittore di grande fama alla corte dell'imperatore Qian Long. Lang Shihning era nato a Milano; si chiamava Giuseppe Castiglione. Andò in Cina come padre gesuita e allorché tutti i gesuiti furono espulsi dalla Cina, Castiglione fu uno dei pochissimi che rimase, perché l'imperatore stesso lo volle presso di sé, apprezzandone le qualità artistiche. Molti suoi dipinti a parte la stupenda collezione esistente nel museo nazionale di Taipei, a Taiwan, si possono ammirare a Parigi nel museo Guimet.

LE DINASTIE IN CINA


Dinastia Xia                      XXIII - XVII secolo a.C.
Dinastia Shang                     XVII - XI secolo a.C.
Dinastia Zhou occidentali          1027 - 771 a.C.
Dinastia Zhou orientali
Periodo Chunqiù                     771 - 481 a.C.
Periodo dei Regni combattenti       481 - 221 a.C.
Dinastia Qin                        225 - 206 a.C.
Dinastia Han occidentali            206 - 25 d.C.
Dinastia Han orientali               25 - 220
Epoca delle invasioni barbariche    220 - 581
Dinastia Sui                        581 - 618
Dinastia Tang                       618 - 907
Periodo delle cinque dinastie       907 - 960
Dinastia Song settentrionale        960 - 1127
Dinastia Song meridionale          1127 - 1279
Dinastia mongola                   1279 - 1368
Dinastia Ming                      1368 - 1644
Dinastia Qing (Manciù)             1644 - 1811

LA LETTERATURA CINESE

Accanto a scritti filosofici e storici e a interessantissime cronache di viaggi, la letteratura cinese annovera celebri romanzi, raffinate poesie e farse gustose. Queste ultime hanno un'origine antichissima e furono redatte nel I secolo a.C. da alcuni archivisti imperiali dell'epoca Han al fine di divulgare tra il popolo storielle edificanti. Risalgono a Liu Hsiang (80-9 a.C.) le storie della bella dama virtuosa che, per non sposare un uomo potente, preferì tagliarsi il naso per assomigliare ai criminali (che venivano puniti in tal maniera), oppure quella dell'uomo che, per non affliggere i genitori troppo affezionati a lui, continuava a vestirsi e a comportarsi come un bambino. Da tali racconti di natura moraleggiante derivarono più tardi le raccolte umoristiche. Nel II secolo d.C. venne pubblicata la Raccolta di storie da ridere attribuita al calligrafo Handan Chun. Celebre è la facezia di quell'uomo che recatosi a Wu e assaggiati per la prima volta in vita sua i germogli di bambù, pensò bene, tornato a casa, di ripetere il gustoso esperimento facendo bollire pezzi della sua stuoia, appunto di bambù. Deluso asserì che «tutti gli uomini di Wu sono bugiardi». Nonostante la rigida morale della dinastia Han, proprio in quel periodo si diffuse la poesia erotica che celebrava alcune pratiche sessuali capaci di prolungare la vita di un uomo anche fino a 150 anni. Più tardi, durante l'agitato periodo dei tre regni Shu, Wei e Wu, nel II secolo d.C., prevalsero in Cina modelli cavallereschi e storie esaltanti glorie individuali. Testimonianza di quell'epoca di incertezze è uno dei più popolari romanzi cinesi, il Romanzo dei tre regni. La monumentale opera, composta da un testimone oculare dello sfacelo della dinastia Han, venne più tardi rielaborata da Lo Guanzhong nel XIII secolo. Si narra l'epopea di tre amici: un eroe silenzioso e dal nobile animo, un consigliere di stampo confuciano, un vagabondo furbo e pronto all'azione. Astuzie, intrighi, azioni militari e facezie sono il patrimonio di questo romanzo che, in epoca più recente, fu tra le letture preferite di Mao Zidong. Durante la dinastia Tang, la Cina godette di un ampio benessere sotto la guida di ottimi primi ministri e di imperatori poeti, il più celebre fra questi ultimi fu Ming Hoang Di, vissuto nell'VIII secolo, che si prestava all'umile compito di scrivere, tra una bevuta e l'altra, i versi del suo amico, poeta balbuziente, Li Taibo. Fu l'epoca d'oro della poesia cinese. Li Taibo e i suoi amici, che i cinesi chiamarono gli «otto immortali della cerchia delle coppe», ebbero un grande successo a corte finché Li Taibo non si inimicò la favorita dell'imperatore. Ritiratosi in volontario esilio il poeta morì annegato, racconta la leggenda, quando ubriaco si sporse da una barca per pescare la luna che si rifletteva nelle acque. Se Li Taibo fu amato tantissimo dal popolino, il suo allievo Du Fu venne particolarmente apprezzato dagli intellettuali cinesi che lo considerarono il più grande poeta di tutti i tempi. Du Fu celebrò così il suo maestro: «Come lacrime piovono i tuoi versi/ li legge l'Immortale al notturno lume della luna,/ sorride e piange e pensa di averli creati lui stesso». Alla grande fioritura poetica avvenuta sotto l'impero di Ming Hoang Di va ancora addebitata la Ballata della lunga passione di Bo Zhui in cui si narra del tardivo e straordinario innamoramento dell'imperatore per una dama incredibilmente grassa, divenuta la favorita dell'harem perché capace di suscitare i turbamenti erotici del sovrano con seducenti danze nel corso di banchetti notturni e conturbanti bagni nella piscina del palazzo d'estate. Per ritrovare nella storia letteraria cinese un periodo così florido, bisognerà attendere l'età Ming o Manciù, dopo che i cinesi, quattrocento anni prima di Guttenberg avevano inventato un particolare procedimento di stampa per pubblicare i numerosi libri che nel corso dei secoli erano stati raccolti in un grande archivio a Nord Ovest di Pechino. Oltre a saggi moraleggianti e a raccolte poetiche, la stampa permise di diffondere alcuni romanzi di grande successo. La Storia della riva del fiume è forse il romanzo che maggiormente venne letto in Cina a partire dal XIV secolo. Narra la storia di un celebre brigante, Song Jiang, vissuto ai tempi dei torbidi avvenuti alla fine della dinastia Song, quando i mongoli si preparavano ad invadere la Cina. Song Jiang è una specie di Robin Hood: con i suoi amici si dedica al brigantaggio, lottando contro il potere centrale e trovando consenso tra i contadini. Questo romanzo, nel corso di alcuni secoli si infoltì di nuovi episodi leggendari fino a quando, durante l'epoca Manciù, ne venne proibita la stampa per il suo carattere considerato sovversivo. Un altro celebre romanzo, molto amato dalla critica letteraria cinese è quello intitolato Fiori di susino nel vaso d'oro in cui si celebrano le contrastate avventure di carriera e amorose di un ricco gentiluomo. Il libro è interessante perché offre uno spaccato della società e della famiglia cinesi nell'epoca Ming. Considerato scandaloso venne anch'esso messo all'indice alla fine del XVII secolo. Famosissimo è anche il romanzo della decadenza, ovvero Il sogno della camera rossa, scritto verso la metà del XVIII secolo, quando gli imperatori Manciù conducevano una lotta spietata contro i libri considerati socialmente pericolosi. In questo romanzo si narrano le tristi vicende di un'influente famiglia sulla via del tramonto; l'eroe, dopo tragedie e difficilissime prove, sceglie di rinunciare ai suoi privilegi sociali e di seguire la predicazione buddista. Va infine ricordato l'ultimo grande poeta dell'epoca Manciù, Yuan Mei (1715-1797), scrittore di elegie e di versi sottilmente ironici. Yuan Mei fece carriera nella burocrazia imperiale fino a diventare governatore di Nanchino. Ritiratosi dalla vita pubblica, continuò nella sua splendida villa a dedicarsi ai vizi del gaudente: le donne e la buona cucina. E proprio l'arte culinaria celebrò in un raffinato manuale che lo ha reso celebre fino ad oggi.

LA SPARTIZIONE DELLA CINA

Durante il periodo Manciù la pressione fiscale si era fatta particolarmente pesante e squilibrata; le entrate servivano soprattutto per mantenere una burocrazia dispendiosa e corrotta che veniva avvertita come lo strumento di uno Stato oppressivo. «I funzionari costringono il popolo a ribellarsi» è uno dei significativi slogan delle continue insurrezioni popolari, come quella, organizzata dalla società segreta del Loto Bianco e repressa duramente nel 1803. Intanto gli Europei stavano penetrando in Cina. Gli Inglesi alla fine del XVIII secolo avevano raggiunto una posizione di preminenza negli scambi commerciali; da Canton, sede della Compagnia delle Indie Orientali entravano nel territorio dei Manciù stagno, piombo, tessuti di lana e ne usciva soprattutto tè. L'interscambio era decisamente favorevole ai Manciù, ma questa situazione cambiò quando gli Inglesi cominciarono ad introdurre sul mercato cinese l'oppio prodotto dalle piantagioni del Bengala che erano proprietà della Compagnia. Queste importazioni raggiunsero rapidamente un considerevole valore, tale da non poter essere ignorato dalle autorità cinesi; il sistema del contrabbando (l'importazione dell'oppio era ufficialmente vietata) diffondeva la corruzione tra gli impiegati e coinvolgeva in un grosso giro di interessi la stessa burocrazia di corte, disposta ad appoggiare il traffico dietro compenso. Quando nel 1839 prevalse la volontà di bloccare il traffico, e vennero distrutte notevoli quantità di oppio già accumulato nel porto di Macao, la Gran Bretagna, traendo pretesto da incidenti scoppiati contro gli Inglesi, iniziò una guerra (detta appunto «prima guerra dell'oppio») che si concluse nel 1842 con la piena capitolazione dei Cinesi: il commercio dell'oppio continuava, veniva ceduta Hong Kong alla Gran Bretagna, si dovevano aprire al commercio estero altri quattro porti e gli Inglesi ottenevano numerosi privilegi commerciali tra cui tariffe doganali fisse. Questo fu il primo dei trattati che furono definiti ineguali o ingiusti. I cedimenti del governo durante la prima guerra dell'oppio misero ancor più in evidenza la debolezza dei governi Manciù. E proprio di questa debolezza sembrò approfittare la grande insurrezione dei Tai Ping che portò il Paese alla guerra civile. Taiping tianguo significa «Regno celeste della pace universale» e i Tai Ping pensavano davvero di poter instaurare un nuovo ordine ispirandosi a un'ideologia che metteva assieme motivi cristiani, taoisti e buddisti. C'era la richiesta dell'uguaglianza tra tutti gli uomini, donne comprese, della proprietà comune della terra, c'erano norme di comportamento come il divieto dell'oppio, dell'alcool e del tabacco, la prescrizione della monogamia, l'abolizione dell'usanza dei piedi rattrappiti e c'era infine una visione della società militarizzata per cui la somma di alcune migliaia di famiglie formava un esercito. Il movimento così composito finì per raccogliere una gran massa di scontenti: oppositori del governo mancese, ispirati religiosi e rivoluzionari sociali. Per una quindicina d'anni lo Stato Tai Ping controllò la Cina meridionale e sud-orientale fino a raggiungere e conquistare Nanchino che ne divenne la capitale. Privi di una guida, senza organizzazione logistica i Tai Ping vennero infine sconfitti dall'esercito mancese che nel 1865 riconquistò Nanchino. Accanto alle truppe imperiali combatteva anche un contingente anglofrancese; gli Europei non si erano lasciati sfuggire l'occasione di ottenere nuovi privilegi appoggiando l'imperatore. La sconfitta dei Tai Ping non segnò il ritorno alla tranquillità; ancora per anni si trascinarono le operazioni di repressione de focolai di guerriglia lasciati dalla guerra civile; altri moti insurrezionali di evidente carattere religioso scoppiarono in regioni dove vi erano minoranze musulmane. In questa situazione tuttavia la classe dirigente tentò di rafforzare l'economia del Paese. Era un'operazione sostenuta dalla burocrazia confuciana che riteneva giustamente di aver svolto un ruolo decisivo nel mantenimento della struttura statale durante la rivolta dei Tai Ping e riteneva di poter svolgere una politica di stabilizzazione. Sembrò per un certo periodo che potesse esservi accordo con gli ambienti favorevoli all'occidentalizzazione della Cina, sostenitori della politica economica detta dell'autorafforzamento. Ma i tentativi di riforma erano destinati all'insuccesso perché si scontravano con le classiche difficoltà incontrate da un Paese agricolo a industrializzarsi: mancanza di maestranze qualificate, di capitali, concorrenza estera. La cultura confuciana che dominava ancora negli ambienti della burocrazia non era certo la più adatta a cogliere le novità poste dai problemi dell'industrializzazione. Solo nel Nord del Paese riuscì ad impiantarsi una timida industria. Fu tuttavia la presenza degli occidentali a mettere in crisi la politica di modernizzazione. La seconda metà del secolo è tutto un susseguirsi di incidenti, scontri ed anche guerre che comportavano sistematicamente nuove concessioni agli Europei e nuove umiliazioni. Nel 1856 scoppiò la seconda guerra dell'oppio che si svolse secondo l'ormai collaudato copione degli interventi internazionali; la Cina fu obbligata ad aprire altri 10 porti al commercio estero, a consentire al massima libertà alle missioni cattoliche e protestanti, a concedere a Gran Bretagna e Francia privilegi commerciali. Subito dopo analoghi diritti ottennero gli Stati Uniti e la Russia. Nel 1860 una spedizione alleata distrusse il Palazzo d'Estate imperiale e Tien tsin divenne porto franco; le navi straniere ebbero il permesso di navigare liberamente sui fiumi cinesi e il commercio dell'oppio venne legalizzato. Nel 1874 la Cina si trovò coinvolta nella guerra che portò la Francia ad occupare l'Annam, che divenne protettorato francese. Macao fu ceduta ai Portoghesi nel 1887; Tsingtao fu occupata dalla Germania nel 1897; nel 1898 Kautschau fu affittata alla Germania e nello stesso anno Port Arthur e Dalni vennero affittate alla Russia, Wei-hai-wei alla Gran Bretagna e Kuangchou-won alla Francia. L'incapacità della Cina ad uscire dallo stato di inferiorità nei confronti degli Stati industrializzati, l'inconsistenza dei tentativi di modernizzazione erano stati rivelati ancor più acutamente dalla disastrosa guerra contro il Giappone del 1894. La Cina dovette lasciare la Corea al Giappone con la penisola di Liootung, l'isola di Formosa e le isole Pescadores; dovette inoltre aprire porti al commercio giapponese. La sconfitta era tanto più grave in quanto questa volta non si trattava dello scontro con una potenza occidentale, ma con l'asiatico Giappone. Il lungo elenco di occupazioni, cessioni, affitti, sconfitte e umiliazioni descrivono bene la situazione di un Paese che non era stato ridotto a colonia, ma che certamente viveva in una condizione semicoloniale.

LA RIVOLTA DEI BOXER

Le ripetute sconfitte, la presenza degli stranieri, che se anche non si mescolavano alla popolazione e preferivano vivere nei loro quartieri stavano a dimostrare le umiliazioni della Cina, una serie di difficoltà naturali (dalla carestia degli anni Settanta allo straripamento disastroso del Fiume Giallo), una industrializzazione del Nord del Paese che aveva rovinato il tradizionale artigianato, le tasse imposte per pagare il risarcimento dei danni di guerra al Giappone (tra cui quella sul vino e sul tabacco), sono altrettanti elementi che spiegano lo scoppio del furore xenofobo del 1898, conosciuto in Occidente col nome di «Rivolta dei Boxer» (I-ho ch'uan = «Pugno guerriero per il diritto e l'unità»). Quella dei Boxer era una delle tante società segrete, probabilmente derivata dall'antica setta del Loto Bianco, che si presentava con un accentuato fanatismo religioso diretto contro il cristianesimo, ma anche contro le macchine, due simboli dell'assoggettamento della Cina agli stranieri. La corte, dapprima incerta, decise infine di appoggiare il movimento, probabilmente per eliminare la corrente riformatrice e, iniziati i saccheggi e gli assalti alle ambasciate, giunse alla dichiarazione di guerra contro le potenze straniere. Gran Bretagna, Francia, Russia, Stati Uniti, Italia, Germania, Giappone non ebbero difficoltà ad inviare un corpo di spedizione che occupò Pechino e impose alla Cina il pagamento dei danni: 450 milioni di dollari d'argento.

LA REPUBBLICA CINESE

Agli inizi del secolo furono messi in atto alcuni tentativi di riforma: fu abolito il sistema degli esami di Stato, fu abrogata la legge che vietava i matrimoni tra Cinesi e Manciù, l'esercito venne riorganizzato da istruttori giapponesi. Ma era ormai troppo tardi; si era spezzato tra l'altro l'accordo tra Manciù e Cinesi che aveva permesso la sopravvivenza dell'impero nei due secoli precedenti. Sul trono c'era un fanciullo, Pu-i, che passerà alla storia come l'ultimo imperatore. L'iniziativa passò nelle mani degli attivisti delle numerose sette che agivano soprattutto nel Sud del Paese dove più forte era l'opposizione ai Manciù. A Nanchino, nel 1912 fu proclamata la repubblica con a capo Sun Yat-sen, mentre a Pechino l'imperatore abdicava e si formava la repubblica con a capo Yuan Shigai, un generale già compromesso con gli intrighi della politica di corte. Di fronte al rischio di una contrapposizione violenta e di una guerra civile Sun Yat-sen si dimise lasciando la carica all'avversario. La Cina aveva finito di essere un impero ed iniziava la sua storia repubblicana. Quella del 1911 non era stata tuttavia una rivoluzione, non aveva risolto i conflitti sociali ed economici del Paese, era stata piuttosto un compromesso che aveva per il momento eliminato la dominazione Manciù. I primi anni della repubblica furono agitati, ma fu soprattutto la politica di Yuan Shigai a far precipitare gli eventi. Tentando di consolidare il suo potere aveva sciolto i partiti tra cui il Guomingdan (= «Partito nazionale popolare» o «Partito nazionalista») e addirittura il parlamento, ma il progetto di fondare una propria dinastia provocò la secessione di parecchie province e il tentativo fallì. La morte di Yuan Shigai avvenuta alcuni mesi dopo non riportò la pace nel Paese dove si venne a ricreare una situazione simile a quella antica dei «Signori della guerra». Era accaduto che generali dotati di forte personalità e provenienti dall'esercito fondato da Yuan (Peyang = «Esercito nuovo») avevano dato vita a piccoli Stati in lotta tra loro. Esisteva formalmente l'autorità centrale, ma il suo potere non andava molto più in là della zona di Pechino. La Cina meridionale era di fatto secessionista; al Nord dominavano i signori della guerra e tutto il Paese stava conoscendo una pericolosa involuzione: basti dire che in questa situazione di confusa anarchia era stata ripresa la produzione di oppio ed erano stati abbandonati i lavori di manutenzione delle opere idriche (canali, argini). Il 1919 rappresenta per la storia della Cina una data certamente più importante di quella della caduta dell'impero. In quell'anno, il 4 maggio, si svolse una manifestazione di studenti di Pechino che protestavano contro l'assegnazione dello Shantung al Giappone. Questa provincia cinese era stata tenuta dalla Germania, ma il Giappone si era affrettato ad impadronirsene durante la guerra rivelando con ciò il desiderio di espandersi a spese della Cina. Mentre nel secolo scorso erano stati gli occidentali a rappresentare il pericolo per i Cinesi, adesso la minaccia era il Giappone. Il movimento del 4 maggio, composto da giovani intellettuali fortemente critici verso la vecchia ideologia confuciana, rappresentava il tentativo di occidentalizzazione in nome di un nazionalismo cinese moderno. Le manifestazioni si diffusero in tutto il Paese e la ventata rivoluzionaria trovò in Sun Yat-sen il capo che già disponeva di un sostegno territoriale. Il partito del Guomingdan fu rinnovato sotto la guida di esperti sovietici e vi aderirono a titolo individuale i membri del Partito Comunista fondato nel 1921. Era stata una scelta politica di Sun Yat-sen, che deluso dal mancato appoggio delle potenze occidentali europee aveva stretto rapporti con l'Urss. Venne riorganizzato l'esercito con la creazione di una nuova accademia militare a Whampoa che fu diretta da Jiang Gaishek e Zhou Enlai.

SUN YAT-SEN

Figlio di una famiglia contadina che aveva appoggiato l'insurrezione dei Tai Ping, Sun Yat-sen (1866-1925) rappresenta la figura di un intellettuale nuovo. La sua formazione culturale è estranea alla tradizionale impostazione confuciana ed è aperta alle sollecitazioni dei modelli europei e americani, oltre che all'ideologia socialista. Viaggiò molto visitando il Giappone, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna completando una formazione politica e culturale già indirizzata dalla laurea in medicina. Parallelamente svolgeva un'intensa vita politica, impegnato nell'attività di organizzazioni segrete di opposizione al governo Manciù; la novità consisteva nella chiarezza con cui Sun Yat-sen vedeva nel ricorso al popolo il mezzo per realizzare la rivoluzione. Lasciata la presidenza della nuova repubblica costituitasi con la caduta della dinastia Manciù, fu costretto ad andare in esilio da dove rientrò per partecipare alla guerra mondiale che aveva visto la Cina schierata a fianco dell'Intesa. Nel 1920 divenne il presidente del governo repubblicano di Canton e operò un avvicinamento all'Urss favorendo l'alleanza del Guomingtan con il Partito Comunista cinese formatosi nel 1921.

LA POLITICA DEL GUOMINGDAN

L'unità del Guomindang, alla cui testa dopo la morte di Sun Yat-sen nel 1925, venne a trovarsi Jiang Gaishek, permise al nuovo esercito di aver ragione dei nuovi signori della guerra. Nel 1927 furono riprese le città di Nanchino, Shanghai e Hanku: in breve l'esercito rivoluzionario riuscì ad affermare il proprio controllo su quasi tutta la Cina meridionale e centrale. Fu a questo punto che Jiang Gaishek si rivolse contro i comunisti: a Shanghai, in aprile, ordinò una sanguinosa repressione contro le forze operaie e i sindacalisti rossi che avevano costituito un governo municipale provvisorio. Subito dopo stabilì il proprio governo a Nanchino in contrapposizione con un altro governo stabilito a Wuhan dall'ala sinistra del Guomindang, ancora favorevole all'alleanza con i comunisti. L'anno dopo però, in seguito a patteggiamenti, il governo di Wuhan riconobbe l'autorità di quello di Nanchino e Jiang Gaishek fu così in grado di riprendere le operazioni militari e giungere fino a Pechino. In questo modo l'unità nazionale cinese era stata ristabilita, anche se il nuovo governo fu costretto a spartire il potere con i vari signori della guerra che a parole avevano abdicato ma, in pratica, controllavano ancora intere province. Per la sopravvivenza del nuovo ordine fu tuttavia determinante l'appoggio delle grandi banche di Shanghai e quello che le potenze straniere diedero a Jiang Gaishek, il nuovo «uomo forte» della Cina. Nei primi dieci anni il suo regime riuscì in effetti a conseguire alcuni successi, garantendo una relativa stabilità e prosperità alle grandi città del centro Sud. Disperata invece era la situazione nelle campagne dove i problemi erano trascurati sia dal Guomindang, i cui esponenti erano espressione della borghesia cittadina, sia dal Partito comunista cinese i cui quadri erano convinti che la classe operaia urbana fosse l'unica vera forza rivoluzionaria.

LA GUERRA CONTRO IL GIAPPONE

La temuta minaccia di un'aggressione nipponica si stava infatti concretizzando: il Giappone aveva già consolidato i propri interessi in Manciuria e, nel 1931, aveva occupato direttamente quei territori costituendo lo Stato fantoccio del Machukuo alla cui testa fu insediato Pu-i, l'ultimo imperatore bambino della Cina. Nel 1932 Shanghai era stata attaccata e Jiang Gaishek che aveva assunto un atteggiamento temporeggiatore nei confronti dei Giapponesi e insisteva che la guerra contro i «banditi rossi» era una necessità prioritaria, vide decrescere il consenso di cui fino allora aveva goduto in quanto appariva intollerabile che i Cinesi combattessero i Cinesi e lasciassero via libera ai Giapponesi. Nel 1937 temporeggiare non fu più possibile: in luglio il Giappone sferrò l'attacco su vasta scala occupando in breve tutte le maggiori città, da Pechino a Canton e il governo nazionalista fu costretto a ritirarsi all'interno, nella città di Chongjing, nel Sichuan. Soltanto nel 1941, con l'intervento degli Stati Uniti d'America, la lunga guerra cino-giapponese confluì nella seconda guerra mondiale e fu strategicamente risolta. La vittoria sul Giappone nel 1945 diede prestigio momentaneo al regime del Guomindang e la Cina, una delle potenze vincitrici, ebbe un seggio permanente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Miseria e corruzione però dilagavano in un Paese che era stato devastato da anni e anni di guerra e il regime nazionalista non godeva più all'interno del consenso in grado da permetterne la sopravvivenza. I tentativi di mediazione americana per un accordo tra Guomindang e comunisti (i quali durante la guerra avevano combattuto efficacemente i Giapponesi con formazioni di guerriglieri, ma anche in battaglie campali, ampliando i territori da loro controllati) non ebbero successo. Così la Cina piombò inevitabilmente in una guerra civile che durò quattro anni e che vide alla fine la vittoria dei comunisti, nonostante il regime di Jiang Gaishek fosse appoggiato dagli Stati Uniti e potesse contare sulla neutralità dell'Unione Sovietica. Il primo ottobre 1949 a Pechino, Mao Zidong proclamava la fondazione della Repubblica Popolare Cinese, mentre Jiang Gaishek con il suo governo si rifugiava nell'isola di Taiwan (Formosa).

LA LUNGA MARCIA

L'unico a occuparsi del problema dei contadini svolgendo un'inchiesta nello Hunan, sua provincia natia, era stato, nel 1927, il giovane comunista Mao Zidong (Mao Tse-tung, nella vecchia traslitterazione) il quale, dopo la rottura dell'alleanza con il Guomindang, agiva nella clandestinità come tutti i quadri del partito, impegnati in tentativi sanguinosamente falliti di organizzare insurrezioni urbane. Mao fu a capo della rivolta di Changsha e, assieme ai superstiti di altre insurrezioni prontamente represse dall'esercito nazionalista, si rifugiò sui monti Jankang dove venne costituita la prima «base rossa». Nel 1931, quando fu proclamata la repubblica sovietica cinese, le basi rosse erano circa una decina nel Sud della Cina e i comunisti controllavano una popolazione di dieci milioni di persone, in maggioranza contadini, che avevano beneficiato di una riforma agraria e erano stati organizzati in forze armate rurali. Per tre anni Jiang Gaishek lanciò contro le basi rosse massicce campagne di sterminio e, nel 1935, i comunisti furono costretti ad abbandonare i loro territori per cercare rifugio a Nord intraprendendo quella che è passata alla storia come l'epopea della Lunga Marcia. Partirono all'incirca in centomila, giunsero alla meta, nello Shaanxi, a Yenan, in meno di ottomila, dopo aver percorso più di diecimila chilometri e sostenuto privazioni di ogni genere e continui combattimenti con le forze del Guomindang. Per i dirigenti comunisti e per Mao Tse-tung che nel 1935 era stato eletto alla direzione del partito, posizione che non avrebbe più abbandonato fino alla sua morte, evacuare le basi del Sud era stata una scelta obbligata, giustificata però da un preciso scopo: andare a Nord per combattere i Giapponesi.

LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE

La data della fondazione della Repubblica Popolare Cinese ha aperto una nuova fase della lunga storia di questa civiltà portando a compimento alcuni dei travagliati processi innescati un secolo prima, al momento dell'impatto dell'Impero di Mezzo con l'Occidente. Riacquistata l'unità politica e territoriale, il grande Paese si è trovato tuttavia di fronte a problemi di non facile e immediata soluzione, come ricostituire le basi di un'economia distrutta e squilibrata, ricomporre il contrasto tra città industrialmente avanzate e immense campagne arretrate, affrontare una situazione internazionale difficile che ha visto la Cina per oltre un decennio completamente isolata dalle potenze occidentali e dipendente dall'Unione Sovietica, affrontare la questione del controllo della popolazione che ha raggiunto il miliardo e il cui incremento naturale vanificherebbe in gran parte gli sforzi per l'innalzamento del tenore di vita. L'abile politica del primo ministro Zhou Enlai ha permesso la rottura dell'isolamento internazionale della Cina che nel 1971 è stata ammessa all'ONU. Nel febbraio del 1972 il presidente degli Stati Uniti, Richard Nixon, si è recato a Pechino e da allora i rapporti tra le due potenze si sono normalizzati; dal 1979 la Cina ha ottenuto dagli USA il riconoscimento di Nazione più favorita negli scambi commerciali. I rapporti con gli altri Paesi socialisti e in primo luogo con l'URSS si sono invece deteriorati dal 1960 in poi, tanto da giungere a scontri armati alle frontiere (sul fiume Ussuri, nel 1969), dove da parte cinese sono rivendicati territori acquisiti ancora dalla Russia degli zar. La questione indocinese, dove la Cina ha appoggiato la Cambogia nello scontro con il Vietnam, sostenuto dall'Urss, e quella dell'Afghanistan, controllato dalle truppe sovietiche fino al 1989, ha contrapposto ancora negli anni Settanta le due potenze. Bisogna anche tenere conto delle contraddizioni politiche interne che all'epoca della Rivoluzione Culturale, cioè nel decennio 1966-1976, conclusosi con la morte di Mao Tse-tung, sono scoppiate, rischiando di portare il Paese sull'orlo di un'altra guerra civile e hanno messo in luce come la coesione popolare faticosamente raggiunta sia ancora esposta a tendenze disintegratrici. Le grandi speranze legate al periodo della Rivoluzione Culturale, movimento seguito con entusiasmo anche nei Paesi occidentali, sono apparse successivamente legate a una lotta politica interna che ha dovuto fronteggiare le difficoltà di un'economia industriale faticosamente in decollo. In questo senso la scelta delle Comuni, unità produttive insieme agricole e industriali, è stata rivista e modificata e sotto la guida del premier cinese Deng Xiaoping, sono state impostate riforme tipiche di un'economia di mercato. La trasformazione compiutasi dall'epoca della fondazione della Repubblica Popolare Cinese è tuttavia profonda e il Paese, non più isolato internazionalmente, sembra oggi decisamente avviato lungo la via della modernizzazione anche se lo scontro tra tendenze politiche che hanno una diversa concezione dello sviluppo economico e sociale, è destinato inevitabilmente a riproporsi. Esempio ne è stata, nel 1989, la grande manifestazione studentesca di Piazza Tienanmen, poi sfociata nel sangue, che aveva alla base richieste di riforme in senso moderno. Dal punto di vista storico due importanti accordi con il Regno Unito e con il Portogallo portarono alla restituzione di Hong Kong (1997) e Macao (1999) alla Cina.

IL PROBLEMA DELLA LINGUA

I fermenti di una nuova Cina si erano annunciati già alla fine dell'Ottocento, quando i rovesci politici, come la sconfitta delle guerre dell'oppio, la rivoluzione dei Tai Ping avevano prodotto negli spiriti più liberali e più attenti agli avvenimenti europei, la convinzione di dover mutare le vecchie regole per dare impulsi al popolo cinese e avviarlo sulla strada del rinnovamento e di un moderno sviluppo. Dopo ulteriori umiliazioni, come quella conseguente alla rivolta dei Boxer e i disastrosi risultati della Conferenza di Pace, alla fine della prima guerra mondiale, due furono le grandi direttrici su cui si mossero i letterati: la prima fu il passaggio da una letteratura in stile classico a una letteratura in stile popolare e nel contempo da una letteratura destinata a un ristretto ceto privilegiato per censo e cultura, a un più vasto pubblico, se non ancora alle masse popolari, in gran parte analfabeta. Il processo di rinnovamento nell'uso del linguaggio letterario mirava appunto a facilitare la diffusione dell'alfabetizzazione. Gli scrittori, i poeti, gli esponenti della cultura che più si distinsero in questa operazione furono Lu Xun, Hu Shi, Guo Moro, Ba Jin, Ai Qing, Mao Dun, Ding Ling, Lin Yutang. Con novelle, romanzi, poemi, dibattiti e anche utilizzando la platea più vasta del mondo occidentale il tema «Cina», il dramma «Cina», coinvolse un po' tutti; tanto più durante il periodo in cui la Cina fu anche sconvolta dall'occupazione giapponese e poi dalla guerra civile, terminata con la vittoria dei comunisti. Accanto al movimento che si è appena visto, fu posto un altro obiettivo di modernizzazione: quello di rendere più facile la registrazione della lingua. I cinesi parlano pronunciando monosillabi e scrivono tracciando segni pittografici. Come funziona la lingua cinese? Prendiamo i monosillabi ma, pi, tung, chin; ognuno di questi suoni formati da una sola sillaba ha un significato preciso: ma, per esempio vuol dire «cavallo». Ma quanti monosillabi di suono diverso può pronunciare la gola umana? Non molti, circa quattrocentoventi. Ma le parole cinesi sono ovviamente molte di più, ogni monosillabo infatti può essere pronunciato con quattro toni diversi per cui la stessa sillaba ma a seconda del tono della voce può significare «cavallo», «mamma», «imprecare», «canapa». Queste variazioni musicali aiutano a capirsi a patto che si sia abituati; inoltre un cinese non dirà mai solo ma. Se vuole indicare un cavallo dirà i pi ma, ovvero «un quadrupede cavallo», cioè aggiungerà sempre qualche altro suono per facilitare la comprensione. Inoltre il segno che nella scrittura sta a indicare «cavallo» è completamente diverso dal segno che sta a indicare «canapa», anche se si pronunciano tutti e due ma. Se parlando sorge qualche confusione, scrivendo questo pericolo scompare. Il sistema di scrittura cinese non si basa sull'alfabeto ma costituisce una raffinata e complessa evoluzione dello stadio primitivo di scrittura pittografica. Pittografia significa «scrittura per disegni»: se si vuol scrivere «albero», si disegna un albero, se si vuol scrivere «sole» si disegna un sole e così via. Il tentativo tendente alla trasformazione della scrittura ideografica in scrittura alfabetica («romanizzazione» della scrittura) sino ad oggi è fallito. È riuscito invece l'altro tentativo di semplificare gli ideogrammi, per cui è diventato più semplice ricordarne la composizione. Non tutti gli ideogrammi sono stati semplificati, ma alcune migliaia. Inoltre vari ideogrammi di minor utilizzo sono stati soppressi e sostituiti con sinonimi. Insomma, si è condotta un'operazione per cui con la conoscenza di tremila ideogrammi oggi si può agevolmente leggere il giornale e comunicare ampiamente con il prossimo. Attenzione però. Gli ideogrammi hanno un significato autonomo, ma la combinazione di due o più ideogrammi dà origine ad altri significati: huo significa «fuoco», ji = «carro» e huoji significa «treno».

LA RIFORMA DELLA SCRITTURA

Altro problema risolto con molte perplessità da parte dei sinologi europei è il sistema di traslitterazione inventato dai Cinesi stessi e ufficialmente adottato per indicare il fonema di ogni ideogramma. L'ideogramma è un simbolo e come tale non contiene gli elementi per la sua lettura; pensiamo ai nostri numeri, indicati con cifre, per esempio 5. Come si legge? Noi lo leggiamo «cinque» perché lo abbiamo imparato, così l'ideogramma. Sul dizionario è indicato il modo in cui deve essere pronunciato. Il sistema adottato dai Cinesi, appunto per evitare che ogni popolo indichi quel suono con metodi alfabetici e fonetici propri, dando luogo, come è avvenuto nel passato, a notevoli confusioni, va studiato a sé stante. Si chiama Pinyin ed è stato adottato ufficialmente il primo gennaio 1980.

L'ARTE CONTEMPORANEA

Durante la dinastia Qing sono moltissimi gli artisti che si equivalgono. Una citazione meritano invece alcuni artisti moderni e contemporanei, a partire dalla proclamazione della repubblica per risalire attraverso i mille avvenimenti di straordinario rilievo spesso drammatico, fino ai nostri giorni. Tra i pittori famosi anche in Occidente ci sono Qi Baishi (1860-1957), dalle vigorose pennellate per creare insetti delicati e fiori deliziosi e del suo allievo sordomuto, Han Buyan. C'è poi Xu Beihung (1895-1953), famoso per i suoi cavalli pieni di vitalità. Yang Yangwen dipinge con la tecnica dell'inchiostro polverizzato; Jin Yuan Yue, di tendenze astrattiste e di cultura americana, ha studiato anche a Firenze. Altri grandi maestri, noti non solo in Cina, sono Shi Lu, Fu Baoshi, Li Keraqn, Li Huasheng, Li Qiongjiu, Li Ying. Tra gli scultori ricordiamo Ding Jieyin, una donna, artista di notevoli doti e Fu Tianchou autore del monumento alla rivoluzione a Pechino. La tradizione esercita ancor oggi una grande forza sugli artisti; anzi ha ripreso vigore in questi ultimi anni, dopo una lunga fase indicata come «realismo socialista», durante la quale si era tentata la via dell'immagine della nuova umanità emergente nella società socialista. Il paesaggio ha ripreso a significare con la poesia la misteriosa forza della natura, l'esplosione delle sue energie segrete. Stanno tuttavia fiorendo movimenti «modernisti» di chiara ispirazione occidentale.

LA LETTERATURA CONTEMPORANEA

La letteratura cinese conobbe un periodo di lento declino durato tutto il XIX secolo e terminato solo nel 1919 quando divenne forte l'esigenza di reinserire il Paese, dal punto di vista culturale, nell'ambito internazionale. Venne allora promossa una rivoluzione letteraria ("Movimento del 4 maggio''), guidata da Hu Shi (1891-1962), che segnò il definitivo abbandono della lingua aulica a favore di quella parlata e di nuove tematiche di pura attualità. Il rinnovamento in atto interessò in breve tempo tutti gli ambiti letterari e promosse la nascita di numerosi periodici di carattere culturale, oltre alla formazione di associazioni di intellettuali, tra cui la Lega degli scrittori di sinistra (1930), di stampo marxista, legata alla figura di Lu Xun. Dopo l'affermazione dell'ideologia comunista, la letteratura divenne uno strumento di propaganda edificante nei confronti del socialismo. Nel 1953 venne creata l'Unione degli scrittori, controllata fortemente dal potere politico centrale, mentre con la Rivoluzione culturale della metà degli anni Sessanta iniziò un deciso attacco alla cultura borghese di stampo occidentale che prevedeva anche l'allontanamento e la "rieducazione'' degli scrittori che non si fossero adeguati al nuovo corso. A partire dagli anni Ottanta il Governo concesse maggiori libertà agli intellettuali (tranne in alcuni casi, come in occasione degli eventi di piazza Tienanmen nel 1989) che cominciarono a riscuotere sempre maggior seguito anche in Occidente. Tra di essi ricordiamo il romanziere Chinua Acheng (autore della Trilogia dei re 1984-85), il narratore e drammaturgo Gao Xingjian (premio Nobel per la letteratura nel 2000), e i romanzieri Su Tong e Mo Yan Trapani Il premio Nobel per la letteratura Gao Xingjian

LA COREA

Una leggenda coreana fa risalire l'origine della vita civile nella penisola al matrimonio tra il figlio di una dea e un'orsa tramutata in donna. Da queste nozze sarebbe nato il primo sovrano coreano che, tra l'altro, avrebbe insegnato l'arte dell'agricoltura. Questo mito rappresenta abbastanza fedelmente il carattere della cultura coreana sorta dalla fusione di elementi presi da popolazioni vicine. Le tecniche agricole vennero infatti quasi certamente dalla Cina, mentre il simbolo dell'orso rappresenta ciò che rimane delle credenze e dei costumi di popolazioni siberiane. In generale la penisola coreana ha funzionato come ponte di passaggio attraverso il quale la cultura cinese si è diffusa verso il Giappone. La Corea ha sempre gravitato intorno al suo potente vicino, l'Impero cinese; già nel II secolo avanti Cristo la parte settentrionale della penisola era direttamente controllata dalla dinastia cinese degli Han. Nel 108 a.C. i Cinesi avevano sottomesso lo Stato di Chao-hsien e avevano fondato nella parte settentrionale della penisola centri di controllo che erano divenuti i punti di espansione della cultura han. Nella parte meridionale la penetrazione cinese fu più lenta; qui si erano stanziate tribù provenienti da Sud, forse addirittura dall'Indocina. All'incirca all'inizio dell'era volgare e per quasi sette secoli la penisola coreana rimase divisa nei tre regni di Koguryo, di Paekche e di Silla, che si erano resi indipendenti politicamente dalla Cina anche se continuavano a subirne l'influenza culturale. Era stata accettata la religione buddista e molte tecniche agricole e artigianali si erano sviluppate sul modello di quelle cinesi. Questi tre regni furono spesso in lotta tra loro per il predominio sull'intera penisola e in queste guerre anche il Giappone e la Cina riuscirono ad inserirsi. Così il regno di Silla riuscì a riunificare sotto il suo controllo tutta la penisola con l'aiuto della Cina dei Tang e la raffinata cultura tang divenne il modello della Corea dove vennero imitate le forme artistiche e le tecniche. Tra il X e il XIV secolo la Corea fu governata da una nuova dinastia che si appoggiò prima agli imperatori cinesi e in un secondo momento subì, al pari della Cina, la dominazione mongola. Attraverso la dominazione mongola giunse in Corea il confucianesimo che divenne quasi subito un importante mezzo per controllare i signori feudali e limitare la loro autorità. La scomparsa degli imperatori mongoli in Cina e il sorgere della dinastia nazionale dei Ming segnò anche in Corea la fine del dominio mongolo. Sotto la dinastia YI la Corea riacquistò la sua autonomia che mantenne con una accorata politica di equidistanza e di isolamento, soprattutto nei confronti delle potenze occidentali, fino all'inizio del XX secolo. Nel 1910 la Corea divenne un colonia giapponese e solo con la fine della seconda guerra mondiale ebbe termine l'occupazione nipponica. Ciò non portò tuttavia alla pace nel Paese perché la temporanea divisione in due parti era stata una conseguenza della guerra mondiale, divenne stabile quando tra gli Usa e l'Urss iniziò la guerra fredda. Il 5 giugno 1950 le ostilità tra la Corea del Nord e la Corea del Sud diedero origine a quella che è stata chiamata la guerra di Corea. Dopo le prime vittorie della Corea del Nord la guerra si stabilizzò intorno al trentottesimo parallelo in seguito all'intervento dell'esercito degli Stati Uniti d'America in favore della Corea del Sud e della Repubblica Popolare Cinese in aiuto della Corea del Nord. Durante la guerra la Repubblica Democratica Popolare di Corea subì enormi danni a causa soprattutto dei bombardamenti della aviazione americana; si calcolò che le bombe sganciate sulle città nord-coreane fossero un terzo di tutte quelle buttate sull'Europa durante la seconda guerra mondiale. Il 27 luglio 1953 venne concluso un armistizio che sanzionò la divisione in due Stati della penisola coreana. La penisola così restò divisa in due Stati: la Repubblica Democratica Popolare di Corea (o Corea del Nord) a Nord, con un Governo socialista, e la Repubblica di Corea (o Corea del Sud) a Sud, con un governo filoamericano. L'ostilità tra i due Paesi venne meno solo nel 2000 quando i due capi di Stato Kim Dae-Jung, sudcoreano, e Kim Jong-Il, nord-coreano, si incontrarono a Pyeongyang.

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