INTRODUZIONE
La data di
nascita della storia bizantina può essere considerata l'11 maggio del
330, quando venne solennemente inaugurata Costantinopoli, la nuova capitale
dell'Impero Romano voluta da Costantino il Grande. Nel suo tratto iniziale,
quindi, la storia di Costantinopoli non è che un'appendice di quella
dell'Impero Romano. La creazione della «Nuova Roma» di Costantino,
rispondeva ad un preciso impegno politico e strategico: da un lato voleva sanare
quel dissidio fra la parte orientale e la parte occidentale dell'Impero, che era
ormai profondamente sentito a livello politico, economico e ancor più
culturale; dall'altro, voleva porre un baluardo contro i pericoli esterni, che
allora erano rappresentati dai Goti (lungo il Danubio) e dai Persiani (in Asia).
Dei due obiettivi, solo il secondo venne alla lunga raggiunto giacché
l'unità dell'Impero risultò invece definitivamente compromessa
alla morte di Teodosio I (395). Con la suddivisione dell'impero tra i figli di
Teodosio (ad Arcadio l'Oriente, ad Onorio l'Occidente) esistettero, di fatto e
di diritto, un Impero Romano d'Oriente ed un Impero Romano d'Occidente: il primo
chiamato a conservare per più di un millennio l'eredità di Roma;
il secondo destinato ad essere travolto dalla propria involuzione prima ancora
che dalle ondate barbariche.
Quando nel 476 Odoacre depose Romolo
Augustolo, ultimo sovrano d'Occidente, Bisanzio, che non riconosceva alcuna
legittimità all'insediamento barbarico, poté rivendicare a
sé, con pieno diritto, l'intera eredità di Roma. Lo stesso
Odoacre, dopo aver decretato la fine dell'Impero Romano, si premurò
d'inviarne le insegne al sovrano bizantino Zenone, in segno di formale
sottomissione.
Nei primi secoli della sua storia Costantino guardò a
Roma come alla propria matrice, e all'occidente romano, occupato da popolazioni
barbariche, come ad una porzione di sé, da reintegrare
nell'Impero.
Quest'atteggiamento ebbe il suo momento culminante - e
conclusivo - nella figura e nell'opera di Giustiniano (527-565). Al tempo di
Giustiniano, per la verità, Bisanzio aveva già assunto, o andava
assumendo rapidamente, molti di quei caratteri peculiari che finirono per
distinguerla tanto dall'Occidente medievale quanto dall'antico modello di Roma.
Il cristianesimo, nel suo incontro con la civiltà e la mentalità
orientale, portava ad attribuire alla persona dell'imperatore prerogative quasi
sacre, facendo convergere in essa le funzioni sia di capo politico sia di capo
religioso: il che si tradusse in un nesso pressoché inestricabile fra
Stato e chiesa, fra sentimento nazionalistico e credo religioso, fra ideologia e
politica. Contemporaneamente crebbero la ricchezza e il potere del clero (e in
particolare degli ordini monastici) al punto di condizionare la stessa
autorità imperiale. D'altro canto, i legami con Roma erano ancora
chiaramente visibili, nella costituzione politica come nell'apparato
amministrativo, nel campo del diritto come in quello dell'organizzazione
militare, oltre che nell'aspirazione all'universalità del dominio
imperiale.
La guerra contro i Vandali in Africa (533-534), contro gli
Ostrogoti in Italia (535-553) e la campagna contro i Visigoti nella penisola
iberica (554), condotte dai generali Belisario e Narsete, realizzarono il
progetto, di restaurazione imperiale in Occidente. Tale progetto, tuttavia, non
si deve intendere soltanto come ristabilimento dell'unità imperiale
romana, ma anche (e forse soprattutto) come un disegno economico-strategico,
volto al controllo dei principali capisaldi del mondo mediterraneo.
Mentre
in Africa i Vandali vennero rapidamente sconfitti, la guerra contro gli
Ostrogoti in Italia fu più lunga e difficile: Lo storico Procopio di
Cesarea ha lasciato un interessante racconto di quel periodo: dalle sue
descrizioni appare con tutta evidenza la situazioni di crisi in cui versava
l'Italia, crisi ancor più accentuata dalla guerra che per quasi venti
anni sconvolse la già fragile economia della penisola, diffondendo
maggior insicurezza e favorendo l'esodo delle popolazioni dalle città. I
risultati politici non furono poi duraturi: appena pochi anni dopo, nel 568,
nella penisola arrivarono i Longobardi e l'unità con Bisanzio fu
definitivamente spezzata.
Anche le operazioni militari in Spagna non
dettero i risultati sperati; qui i Visigoti avevano saputo fondersi con
l'elemento romano, soprattutto quando dall'arianesimo si erano convertiti al
cristianesimo romano. La forte assimilazione tra le due etnie fece sì che
l'esercito di Bisanzio non venisse avvertito con quel carattere liberatore, che
aveva invece favorito la riconquista dell'Africa. Solo le coste meridionali
della Spagna furono così riprese sotto il controllo
bizantino.
Complessivamente l'età di Giustiniano sembra
caratterizzata da una sorta d'ambiguità fra la prospettiva teorica di
romanità e la bizantinità. Ne sono indici la stessa opera
legislativa di Giustiniano (il Corpus iuris civilis, scritto in parte in latino
e in parte in greco), o la sua politica religiosa (ora favorevole ora contraria
all'eresia monofisita) od anche il suo atteggiamento compromissorio nei riguardi
dei Persiani di Cosroe I (dei quali l'Impero non disdegnava di divenire
tributario, pur di non essere distolto dal suo piano di riconquista
dell'Occidente).
BISANZIO
Nell'antichità, Bisanzio era un
piccolo centro sulle rive del Bosforo, fondato nel VII secolo a.C. da un gruppo
di coloni greci guidati secondo la leggenda, da un tal Biza che avrebbe dato il
nome all'insediamento. Nel sito di quell'antica colonia, nel 330 d.C.,
Costantino fondò la città di Costantinopoli facendone la nuova
capitale dell'Impero Romano; il nome primitivo, tuttavia, non scomparve,
continuando ad essere usato in alternativa al nuovo; ancora oggi, quando si
parla di Bisanzio, di Impero bizantino, di civiltà bizantina, ecc.,
s'intende far riferimento alla vicenda tardo-romana e medievale di
Costantinopoli.
Conquistata dagli Ottomani nel 1453, Costantinopoli
diventò la capitale dell'Impero turco, e fu ribattezzata col nome di
Istanbul.
IL DIRITTO ROMANO
In una civiltà primitiva il diritto
si viene formando lentamente attraverso la consuetudine che stabilizza regole
che tutelano o ne sanzionano determinati comportamenti. Tale diritto
consuetudinario, che acquisisce aspetti diversi da civiltà a
civiltà, ma presenta anche elementi comuni, viene tramandato oralmente e
conservato attraverso la memoria, almeno finché non si diffonde la
cultura scritta. A Roma, ancora in età monarchica, il diritto
consuetudinario era tramandato oralmente e interpretato dai re, che lo
integrarono con le loro leggi.
Nel passaggio dall'età monarchica
all'età repubblicana il conflitto dei plebei contro i patrizi
portò alla richiesta di uguaglianza rispetto alla legge e di trascrizione
del diritto in un testo di legge, le dodici Tavole che furono composte da dieci
magistrati straordinari, i decemviri. In questo testo confluirono anche il
diritto consuetudinario e le leggi dei re. Le dodici Tavole regolavano in
maniera schematica con disposizioni brevissime e imperative il processo, i
rapporti di famiglia, la proprietà, il diritto ereditario, i delitti e le
pene. Alcune di queste regole appaiono ai nostri occhi molto rozze, se non
addirittura crudeli: per esempio il diritto di vita o di morte del padre sui
figli o il diritto del creditore di vendere come schiavo o di uccidere il
debitore insolvente. Ma queste regole provenivano da una società agricola
primitiva dove lo Stato offriva pochi mezzi di difesa e dove i tentativi di
sopruso e di violenza erano molto frequenti, dove insomma la tendenza era quella
di farsi giustizia da soli.
Le dodici Tavole rappresentarono il punto di
partenza dello sviluppo successivo del ius civile (= «diritto civile»
o diritto della città), che non fu affidato alle leggi, ma alla sapiente
interpretazione di esperti del diritto: i giuristi (da iurisperiti =
«esperti di diritto»). Questi, che in un primo momento erano i membri
del collegio pontificale ed in seguito personaggi provenienti da illustri
famiglie nobiliari, si tramandavano una approfondita conoscenza del diritto e
delle tecniche interpretative, che adoperavano per consigliare i cittadini sui
riti e le formule da adottare nei singoli casi pratici e per suggerire al
magistrato giusdicente (il pretore urbano) l'impostazione delle cause. Questo
lavoro di interpretazione nell'arco di secoli generò una fine
elaborazione ed un notevole ampliamento del diritto stesso, soprattutto di
quello che chiamiamo privato e si condensò in una innumerevole serie di
opere scritte tra il II secolo a.C. ed i primi decenni del III secolo d.C., che
contribuirono a formare una vera e propria scienza del diritto. Lo sviluppo del
diritto commerciale ed in particolare la tutela dei contratti, la definizione e
la sistematizzazione dei singoli rapporti giuridici, l'introduzione del concetto
di dolo («raggiro»), le sottili analisi sulla volontà espressa
nel singolo atto pubblico o privato (per esempio un testamento), si devono ai
giuristi romani.
La funzione della legge pubblica (proposta dai magistrati
e votata dalle assemblee del popolo) aveva un valore complementare ed episodico
rispetto a quella dei giuristi ed era adoperata per risolvere questioni
riguardanti lo Stato e la sua organizzazione o nascenti da conflitti sociali.
Nel passaggio dalla repubblica al principato il principe assunse su di sé
gradatamente il controllo della legislazione attraverso l'emanazione di
provvedimenti normativi (le costituzioni) e il controllo sull'attività
dei giuristi, autorizzandone solo alcuni a dare consigli e assicurandosi la
collaborazione dei migliori nel proprio consiglio (consilium principis). Per la
prima volta si formarono scuole stabili per l'insegnamento del diritto e la
formazione dei futuri giuristi.
Con l'Impero assoluto, a partire
dall'imperatore Diocleziano, lo sviluppo autonomo del diritto da parte dei
giuristi cessò e fu assorbito dalle costituzioni imperiali che presero il
nome di leggi e diventarono l'unica fonte di creazione del nuovo diritto, pur
continuando ad essere usate le opere dei giuristi nei tribunali. A questa epoca
risalgono le prime raccolte di costituzioni che si chiamarono codici: il Codice
Gregoriano e il Codice Ermogeniano di età diocleziana ed il Codice
Teodosiano del 438.
La più grandiosa e completa raccolta del diritto
romano si deve all'imperatore Giustiniano che dal 529 al 534 fece compilare il
Digesto, una antologia di passi tratti dalle opere dei giuristi romani, il
Codice Giustinianeo, che raccoglie le costituzioni da Adriano fino a Giustiniano
e le Istituzioni, un manuale elementare di diritto per l'insegnamento.
La
compilazione di Giustiniano ha avuto un'enorme importanza nell'età
medievale e moderna; ristudiata a partire dal Medio Evo, costituì dal XII
al XVI secolo la base del diritto vigente in quasi tutti i Paesi dell'Europa
centrale e occidentale e più tardi fu utilizzata come termine di
confronto per la realizzazione delle codificazioni del Settecento e
dell'Ottocento.
DALL'IMPERO ROMANO ALL'IMPERO BIZANTINO
Il pericolo persiano venne scongiurato da
Eraclio (610-641), quando a Ctesifonte, nel 628, ripotò una vittoria
decisiva sulle forze di Cosroe II. Ma subito dopo, l'avanzata musulmana,
costò a Bisanzio gravi mutilazioni in Siria, Egitto, Libia e
Mesopotamia.
Sotto il profilo territoriale l'impero aveva perso
definitivamente l'Occidente e si era ridotto alla Macedonia, alla Grecia, alla
Tracia, all'Anatolia e a parte dell'Armenia; aveva tuttavia acquistato maggiore
compattezza ed omogeneità.
Nelle strutture amministrative si
passò, per ragioni di sicurezza, da un regime civile ad uno militare: le
province furono trasformate in temi ed i comandi supremi affidati agli
strateghi. Si accentuò la funzione coesiva del cristianesimo, vero perno
dell'unità dell'impero nella pluralità delle sue componenti
etniche. Il greco sostituiva il latino come lingua ufficiale.
L'imperativo
immediato della politica di Bisanzio era la resistenza anti-araba, di cui furono
protagonisti i successori di Eraclio, Costantino III (641-668) e Costantino IV
(668-685). Nel 672, quando i musulmani giunsero fin sotto le mura di Bisanzio,
la flotta imperiale uscì vittoriosa dalla battaglia di Scilleo (grazie
anche alla nuova arma del fuoco greco, inventato dal siriaco Callinico): il
califfo Muawija fu costretto alla resa e al pagamento di un tributo annuo
all'imperatore.
Tra la fine del secolo VII e l'inizio dell'VIII,
Costantinopoli attraversò un oscuro periodo di lotte civili e di anarchia
politica, mentre gli Arabi occupavano l'Africa settentrionale e l'Armenia, e i
Bulgari si spingevano nella Tracia e per due volte (nel 708 e nel 712)
arrivavano a minacciare la stessa Costantinopoli.
L'impero appariva
sull'orlo della rovina, quando la nuova dinastia Isaurica iniziò la sua
grande opera di riorganizzazione.
GLI IMPERATORI ISAURICI E LA LOTTA ICONOCLASTA
Leone III Isaurico (717-740), che una
tradizione storiografica di stampo ecclesiastico ci ha tramandato in veste di
tiranno, fu in verità una delle figure di maggior rilievo della storia
bizantina. Rotto l'assedio a cui gli Arabi avevano nuovamente sottoposto la
capitale, Leone III si impegnò in una vasta azione riformatrice in tutti
i campi: amministrativo, militare, commerciale, agricolo, civile e religioso (ne
sono espressione il Codice militare, il Codice nautico, il Codice civile o
Ecloga). Ma il suo nome resta legato soprattutto alla lunga e tormentata lotta
iconoclasta, destinata a protrarsi per più di due secoli e ad avere
notevoli ripercussioni sia in Oriente sia in Occidente. Con i decreti del 726 e
del 728 Leone III proibì il culto delle immagini e ne ordinò la
rimozione da tutti i luoghi pubblici; vietò altresì il culto delle
reliquie e ogni forma di venerazione dei santi. Il movente di tali disposizioni
era di natura prettamente politica: l'obiettivo era di colpire la potenza e la
ricchezza crescenti degli ordini monastici, che proprio nel culto delle icone
avevano uno dei loro cespiti più cospicui. L'iconoclastia suscitò
un immediato contraccolpo in Occidente: Ravenna cadde in mano longobarda; il
ducato romano insorse contro il dominio bizantino creando così le
premesse per la nascita dello Stato pontificio. A Bisanzio la contesa si
riaccese più volte dapprima sotto il figlio di Leone III, Costantino V
(741-775, e quindi al tempo dell'imperatrice Irene, e si trascinò fino
all'843, quando Teodora, reggente per il figlio Michele III (842-867),
restaurò solennemente il culto delle immagini. A questo punto tuttavia,
il partito monastico era ormai vinto, i suoi beni soggetti a pubblica
tassazione, e la chiesa bizantina totalmente sottoposta all'autorità
imperiale. Se sul fronte interno la lotta iconoclasta produsse un consolidamento
dell'assolutismo monarchico, sul fronte esterno coincise con nuove perdite
territoriali: gli Arabi occuparono Creta (826), muovendo alla conquista della
Sicilia; i Bulgari premevano verso l'Adriatico e la Tracia. Ma, soprattutto,
Carlo Magno diede forma in questo periodo (800) al Sacro Romano Impero,
richiamando in vita il decaduto Impero d'Occidente appropriandosi di una
prerogativa che, in linea di diritto, spettava a Bisanzio. Sul finire di questo
periodo avvenne anche il cosiddetto scisma di Fozio, la prima aperta
manifestazione della rottura fra chiesa bizantina e chiesa romana. La
deposizione del patriarca di Costantinopoli, Ignazio, e la sua sostituzione con
Fozio, operata da Cesare Bardas, fratello di Teodora, provocarono la reazione di
papa Nicolò I (858-867), che intimò a Fozio di lasciare il
patriarcato; ma questi, nel concilio dell'867, anatemizzò il pontefice e
dichiarò illegale ogni sua ingerenza nella chiesa greca. Il programma di
Fozio fu poi ripreso, a metà del secolo XI, da Michele Cerulario, che
provocò la definitiva separazione fra chiesa cattolica e chiesa
greco-ortodossa.
CONCILI ECUMENICI ED ERESIE
Dal IV al VI secolo il cristianesimo fu
travagliato da molte eresie (dottrine che contraddicevano una verità
direttamente rivelata da Dio o sostenuta dalla Chiesa) e da alcuni scismi
(separazione di una Chiesa da un'altra).
Tali dispute teologiche e tali
contrasti interni vennero provocati dal tentativo di omogeneizzare e
interpretare rettamente alcune verità di fede (dogmi) attraverso
assemblee generali dei rappresentanti di tutte le Chiese (Concili ecumenici). Il
primo Concilio, convocato a Nicea dall'imperatore Costantino nel 327, doveva
dirimere una questione simile a tante altre fino ad allora regolate all'interno
della Chiesa. Il ruolo attribuitosi dall'imperatore di essere garante della vera
fede (cesaropapismo) trasferì le dispute dottrinali da un piano privato
ad uno pubblico con conseguenti sanzioni penali ai danni degli eretici.
Dal
Concilio di Nicea emerse la dottrina trinitaria così come ancora oggi
è professata dai cattolici. Essa era sostenuta da Anastasio che
combatteva le tesi di Ario, il quale negava il dogma trinitario. L'Arianesimo
venne definitivamente condannato nel 381 da Teodosio nel secondo Concilio
ecumenico tenuto a Costantinopoli, ma si diffuse egualmente tra i Goti. Risolto
quel problema ne sorse un altro, sulla vera natura di Cristo. Il nestorianesimo
sosteneva che in Cristo non c'è l'unione completa delle due nature,
quella divina e quella umana, ma solo un'unione morale e non essenziale.
Condannato dal Concilio ecumenico di Efeso (431), il nestorianesimo
penetrò in Siria e in Mesopotamia. Da Alessandria prese le mosse una
nuova dottrina, quella monofisita, che sosteneva che Cristo possedeva una sola
natura, non due, quella divina a scapito di quella umana. Il dibattito teologico
in merito si trasformò in disputa aperta tra la Chiesa di Costantinopoli
fedele al monofismo (scisma di Acacio, 482-519) e quella di Roma che sosteneva
la doppia natura di Cristo.
LA DINASTIA MACEDONE E L'APOGEO DI BISANZIO
Nello stesso 867, un favorito di Michele
III, già associato al trono col titolo di Augusto, uccise il suo
protettore e lo sostituì come sovrano: si tratta di Basilio I (867-886),
fondatore della dinastia macedone, la più duratura fra quante ne
annoverò Bisanzio. Statisti e guerrieri, gli imperatori macedoni
puntarono a consolidare l'autorità statale contro la feudalità
latifondista e a riprendere l'offensiva militare contro gli Arabi. Basilio I
intervenne in Italia (dove gli Arabi si erano assestati, oltre che in Sicilia,
anche in Calabria e in Puglia) e intraprese una lunga e drammatica guerra
anti-musulmana sul fronte orientale.
L'offensiva contro gli Arabi
continuò sotto i successori Leone VI (886-913) e Costantino VII (912-959)
e registrò i maggiori successi sotto Niceforo Foca, Basilio II
(976-1025), e Giovanni Tzimisce (usurpatore, 969-976). Basilio ottenne inoltre,
dopo un trentennio di lotte, una decisiva vittoria (1018) contro l'impero
bulgaro.
Sul piano amministrativo ed organizzativo gli imperatori macedoni
realizzarono una forte concentrazione dei poteri, una graduale specializzazione
dell'apparato burocratico, il perfezionamento delle strutture tematiche, la
ristrutturazione dell'esercito.
Con la morte di Basilio II, ebbe inizio una
fase di lenta ma inarrestabile decadenza. Fra il 1025 ed il 1081 un nuovo
periodo di lotte dinastiche e di torbidi interni fece perdere di vista a
Bisanzio anche i più immediati problemi di sicurezza. Mentre i Normanni
partivano alla conquista dell'Italia meridionale, i Croati si costituivano in
regno autonomo, i Peceneghi e i Cumani (di stirpe turca) premevano dalla Russia
meridionale, gli Ungari tentavano di espandersi a Sud dei Carpazi, i Bulgari
tornavano a ribellarsi all'impero. Ma soprattutto era preoccupante l'avanzata
dei Turchi Selgiuchidi. Sostituitisi agli Abbasidi nel governo del califfato,
essi s'impadronirono in breve anche dell'Asia anteriore e dell'Egitto e si
scagliarono contro Bisanzio. Occupata l'Armenia, sconfissero l'imperatore Romano
IV a Manzilkert e costituirono il sultanato di Iconio (o di Rum = «del
paese dei Romani»), comprendente quasi l'intera Asia
Minore.
I COMNENI E GLI ANGELI
Quando una rivolta abbatté Niceforo
III e portò al trono Alessio I (1081-1118), iniziatore della dinastia dei
Comneni, l'impero bizantino consisteva ormai soltanto nella Tracia, nella
Macedonia, nella Grecia e in un tratto della costa anatolica. Tuttavia con
Alessio I e con i suoi immediati successori - Giovanni II (1118-1143) e Manuele
I (1143-1180) - Bisanzio conobbe un momento di ripresa e di relativo
riassestamento. La guerra contro i Normanni iniziata con le sconfitte di Farsalo
e Durazzo (1081-1081), terminò grazie all'appoggio della flotta
veneziana, con la riconquista dell'Epiro e di Durazzo stessa; lo scontro con i
Peceneghi si risolse con la vittoria sul fiume Lebornion (1091).
Meno
felice, invece, dal punto di vista di Costantinopoli, fu l'esito della prima
Crociata, che liberò i luoghi santi, ma non certo a vantaggio dell'Impero
Bizantino; la nascita del regno di Gerusalemme, dei principati di Antiochia,
Edessa, Tripoli e di altre signorie consimili - in mano all'elemento latino -
creò a Bisanzio nuove e non infondate apprensioni. E la situazione
peggiorò ancora quando salì sul trono, ancora fanciullo, Alessio
II (1180-1183): le agitazioni, le rivolte militari, i colpi di Stato tornarono
all'ordine del giorno. Nel 1185 l'ennesimo putsch portò al seggio
imperiale Isacco II (1185-1195), fondatore di una nuova dinastia - quella degli
Angeli - che non si segnalò per capacità di governo. Serbi e
Bulgari insorsero di nuovo; ma soprattutto i veneziani affermarono il loro
monopolio sul commercio bizantino: monopolio che non tardò ad avere
effetti politici.
LA QUARTA CROCIATA E L'IMPERO LATINO
Nel 1195 Isacco II fu detronizzato dal
fratello Alessandro III (11951203) ed imprigionato insieme al figlio (il futuro
effimero Alessio IV). Fu questo il prologo della IV Crociata e della nascita
dell'Impero Latino di Costantinopoli; il momento forse più infelice della
storia bizantina. Il figlio di Isacco II, fuggito dal carcere, ottenne l'aiuto
dei Crociati che, a Zara, attendevano di salpare per l'Oriente alla guida del
doge Enrico Dandolo. I Veneziani colsero il pretesto. La Crociata puntò
su Costantinopoli, ebbe facilmente ragione della resistenza delle città e
rimise sul trono Isacco II e Alessio IV (1203-1204). Ma presto si chiarì
il recondito disegno della spedizione. Anziché proseguire nelle
conquiste, i Crociati si fermarono da padroni in Costantinopoli, repressero una
rivolta popolare con la strage e il saccheggio, elessero infine imperatore
Baldovino di Fiandra (uno di loro) e si spartirono i territori dell'impero. Da
quel momento fino al 1261, esistette un Impero Latino di Costantinopoli. Nel
1261 Michele VIII Paleologo (1261-1282) si alleò con Genova (trattato di
Ninfeo) e sconfisse l'ultimo imperatore latino di Bisanzio, Baldovino II,
restaurando l'impero bizantino.
I PALEOLOGHI
La tradizione era ristabilita solo sotto il
profilo istituzionale. Il nuovo impero era diverso dall'antico: territorialmente
comprendeva soltanto l'Anatolia occidentale, la Tracia, parte della Macedonia,
la penisola calcidica e poche isole dell'Egeo; economicamente era prostrato,
né poteva liberarsi della morsa in cui lo stringevano gli interessi
commerciali di Venezia e Genova; politicamente era in mano ad una dinastia - i
Paleologhi - di lunga durata ma di mediocre levatura. Gli restavano circa due
secoli di vita, prima di scomparire sotto l'assalto turco; duecento anni di
lotte intestine, di continuo ridimensionamento, di lenta agonia. Al tempo di
Michele VIII Bisanzio fu minacciata dalle aspirazioni di Carlo d'Angiò
(erede, in quanto re di Sicilia, dei diritti di Baldovino II). Questi con
l'appoggio di Venezia, conquistò Corfù, Durazzo e una parte
dell'Epiro (1272); Michele VIII per scongiurare il pericolo si avvicinò
allora al papa (Gregorio IX) riconoscendone la supremazia sulla chiesa
ortodossa; quando poi l'Angiò poté contare anche sull'appoggio del
nuovo pontefice, il francese Martino IV, i suoi progetti vennero sventati un po'
dalla resistenza bizantina ma soprattutto dallo scoppio, in Occidente, dalla
guerra angioino-aragonese. Con i successori di Michele VIII - da Andronico II
(1282-1328) fino a Costantino XI (1449-1453) - emergono con ossessiva
continuità le pressioni cui l'impero fu sottoposto dai Serbi (in
Balcania) e dai Turchi (in Asia): i primi, nonostante la grande avanzata del
loro re Stefano Dusan vennero alfine contenuti; i secondi furono invece i
diretti protagonisti della rovina di Bisanzio.
LA CADUTA DI COSTANTINOPOLI
Nell'Asia anteriore, al dominio dei
Selgiuchidi subentrò quello degli Ottomani, che inaugurarono una
strategia di progressivo accerchiamento di Costantinopoli destinata al successo.
Dapprima conquistarono Brussa (1326), Nicea (1328), Nicomedia (1337), e
Gallipoli (1354), per passare all'Europa e mirare alla penisola balcanica;
quindi, sotto Murad I, occuparono la Tracia e trasferirono la sede del sultanato
ad Adrianopoli. La fine di Bisanzio era nell'aria. Invano Giovanni V (1379-1391)
girò l'Europa in cerca d'aiuto. Il Papato era preda del Grande Scisma; le
potenze marinare - Genova e Venezia - miravano a difendere i loro interessi
commerciali; il solo Amedeo VI di Savoia rispose all'appello, ma riuscì a
riconquistare per qualche tempo Gallipoli. Intanto i Turchi sconfiggendo Serbi e
Bulgari a Kossovo (1389) s'impossessavano della Balcania; Bayazid I (1389-1402)
rese tributaria la Serbia, occupò la Bulgaria, sbaragliò a
Nicopoli i Crociati accorsi su invito del papa e dell'imperatore Sigismondo e
invase la Grecia e la Morea. Il destino di Costantinopoli appariva segnato;
l'impero ricevette un involontario aiuto dai Mongoli di Tamerlano, che battendo
Bayazid ad Angora (1402) lo costrinsero a ritirarsi dall'Europa. Ma era soltanto
un rinvio.
Nonostante la resistenza antiturca di Albanesi, Ungheresi e
Transilvani e nonostante venisse conclusa la riunificazione fra la chiesa romana
e la chiesa ortodossa, sostenuta dal cardinal Bessarione e da Giovanni VIII
(1425-1448) e sancita dal concilio di Firenze del 1439, la tanto attesa crociata
dell'Occidente in salvezza di Bisanzio non ci fu. La fine giunse per mano di
Maometto II (succeduto al padre Murad II nel 1451), che dopo due mesi d'assedio
ebbe ragione della strenua resistenza dell'antica capitale dell'impero: era il
29 maggio 1453.
IL GIUDIZIO SU BISANZIO
La moderna storiografia su Bisanzio
iniziò con la famosissima opera di E. Gibbon, Storia della decadenza e
caduta dell'Impero romano, pubblicata a Londra nella metà del secolo
XVIII. Già nel titolo, questo monumentale lavoro prefigurava il giudizio
dell'autore sulla storia bizantina: per lo storico inglese, Bisanzio non era che
un momento (l'ultimo) della storia dell'Impero Romano; in altre parole la
vicenda bizantina veniva presentato come un lungo processo di decadenza, per di
più privo di originalità e di una sua specifica funzione storica.
Tale giudizio, riduttivo e fondamentalmente negativa ha avuto una lunga vita.
Ripreso dalla storiografica dell'Ottocento (fortemente eurocentrica tendeva a
giudicare con distacco tutto quanto vi è di orientale nella storia
bizantina, ed a ridurre quest'ultima ad una sequenza di intrighi e di congiure),
si è mantenuto fino al nostro secolo. La stessa connotazione negativa che
ancora oggi accompagna i termini «bizantino» e
«bizantinismo» è frutto della lunga incomprensione con cui si
è guardato alle vicende storiche, artistiche e culturali di Bisanzio.
Relativamente recenti, la rivalutazione della storia di Costantinopoli, il
riconoscimento della sua originalità e della sua funzione, il recupero
della sua individualità indipendentemente dall'eredità romana. In
conseguenza di questo ribaltamento di giudizio, si è cominciato a
studiare la Bisanzio pre-Costantiniana e la Bisanzio post-medioevale: l'una
calata nell'età greco-ellenistica e tardo-romana, l'altra nelle vicende
dell'Impero Turco, della penisola balcanica e della Russia; fra queste due
c'è la Bisanzio medievale, senz'altro erede dell'istituzione imperiale
romana, ma soprattutto crogiuolo di tradizioni diverse ed elaboratrice essa
stessa di una civiltà, di una mentalità e di una
originalità storica sue proprie.
GLI IMPERATORI TARDOROMANI E BIZANTINI
Costantino I 324-337
Costanzo II 337-361
Giuliano 361-363
Gioviano 363-364
Valente 364-378
Teodosio I 379-395
Arcadio 395-408
Teodosio II 408-450
Marciano 450-457
Leone I il Grande 457-474
Leone II 474
Zenone 474-475
Basilisco 475-476
Zenone 476-491
Anastasio I 491-518
Giustino I 518-527
Giustiniano 527-565
Giustino II 565-578
Tiberio I Costantino 578-582
Maurizio 582-602
Foca 602-610
Eraclio 610-641
Costantino II 641
Eracleona 641
Costantino III 641-668
Costantino IV Pogonato 668-685
Giustiniano II Rinotmete 685-695
Leonzio 695-698
Tiberio II 698-705
Giustiniano II Rinotmete 705-711
Filippico 711-713
Anastasio II 713-715
Teodosio III 715 717
Leone III 717-741
Costantino V Copronimo 741-755
Leone IV Cazaro 775-780
Costantino VI 780-797
Irene 797-802
Niceforo I 802-811
Stauracio 811
Michele I Rangabe 811-813
Leone V l'Armeno 813-820
Michele II 820-829
Teofilo 829-842
Michele III 842-867
Basilio I il Macedone 867-886
Leone VI il Filosofo 886-912
Alessandro 912-913
Costantino VII Porfirogenito 913-959
Romano I Lecapeno 920-944
Romano II 959-963
Niceforo II Foca 963-969
Giovanni I Tzimisce 969-976
Basilio II 976-1025
Costantino VIII 1025-1028
Romano III Argiro 1028-1034
Michele IV Paflagone 1034-1041
Michele V Calafate 1041-1042
Zoe e Teodora 1042
Costantino IX Monomaco 1042-1055
Teodora 1055-1056
Michele VI 1056-1057
Isacco I Comneno 1057-1059
Costantino X Ducas 1059-1067
Romano IV Diogene 1068-1071
Michele VII Ducas 1071-1078
Niceforo III 1078-1081
Alessio I Comneno 1081-1118
Giovanni II Comneno 1118-1143
Manuele I Comneno 1143-1180
Alessio II Comneno 1180-1183
Adronico I Comneno 1183-1185
Isacco II Angelo 1185-1195
Alessio III Angelo 1195-1203
Isacco II e Alessio IV Angelo 1203-1204
Alessio V Murtzuflo 1204
Teodoro I Lascaris 1204-1222
Giovanni III Vatatze 1222-1254
Teodoro II Lascaris 1254-1258
Giovanni IV Lascaris 1258-1261
Michele VIII Paleologo 1261-1282
Andronico II 1282-1328
Andronico III 1328-1341
Giovanni V 1341-1391
Giovanni VI Cantacuzeno 1341-1354
Andronico IV 1376-1379
Giovanni VII 1400-1402
Manuele II Paleologo 1391-1425
Giovanni VIII Paleologo 1425-1448
Costantino XI Paleologo 1449-1453
L'ARTE BIZANTINA
L'arte bizantina si sviluppò
mettendo assieme tradizioni greco e romane e moduli caratteristici del mondo
orientale. La sua influenza si fece sentire per diversi secoli sull'arte
italiana ed europea tramite i possessi bizantini di Ravenna, di Roma e
dell'Italia meridionale. A testimonianza di quell'arte restano soprattutto le
chiese a pianta basilicale e a croce greca, gli splendidi mosaici derivati dal
mondo greco romano, gli affreschi dei monasteri rupestri e moltissime icone (dal
greco eikòn = «immagine» e per estensione «immagini
sacre»).
I Bizantini presero a modello per le loro chiese la basilica,
un edificio civile che i Romani usavano per l'amministrazione della giustizia e
per lo svolgimento degli affari commerciali. Lavorando sulla pianta basilicale
nel IV secolo la trasformarono in croce greca, più adeguata a reggere la
copertura a cupola. Spesso un atrio-porticato (narlece) precedeva la facciata
della chiesa. Bisanzio venne arricchita di innumerevoli chiese che Giustiniano
fece erigere dopo l'incendio provocato dalla rivolta dell'ippodromo del 532 che
aveva distrutto gli edifici eretti dall'imperatore Costantino.
Sant'Irene
è il più antico esempio di chiesa a pianta basilicale con quattro
navate, una cupola e un nartece, ma la massima realizzazione dell'arte
giustinianea è rappresentata dalla chiesa di Santa Sofia (= «Divina
Sapienza»). L'edificio originario era stato consacrato nel 360, ma era
stato distrutto dall'incendio del 532; Giustiniano ne affidò la
ricostruzione agli architetti Antemio di Tralle e Isidoro di Mileto che in
cinque anni completarono i lavori erigendo una cupola di 31 m di diametro,
sostenuta da quattro pilastri giganteschi. L'interno della chiesa, leggero ed
arioso, contrasta con la pesante mole esterna. Per reggere il matroneo con
altissime colonne, Giustiniano razziò i templi di Artemide ad Efeso e di
Zeus a Eliopoli. Internamente rivestita di marmi, Santa Sofia venne arricchita
di preziosissimi mosaici, oggi in parte distrutti dalle lotte iconoclaste e dai
Turchi che nel 1453 la trasformarono in moschea. Nei secoli successivi vennero
abbandonate le grandiose costruzioni e si preferì innalzare chiese
più piccole e raccolte.
Dopo le lotte iconoclaste fiorirono
nell'Anatolia edifici monastici. Dell'arte degli anacoreti (dal greco
anachorèin = «ritirarsi in disparte», e quindi monaci che si
ritiravano in solitudine) sono rimaste le celebri chiese rupestri, scavate
insieme ai monasteri nelle rocce della Cappadocia. Le chiese vennero affrescate
seguendo i parametri caratteristici dell'arte figurativa bizantina,
riscontrabili anche nei mosaici e nelle icone: i soggetti religiosi venivano
rappresentati in modo formale e talvolta ripetitivo dando spazio soprattutto ai
colori vivissimi e ai materiali possibilmente preziosi.
LA LETTERATURA BIZANTINA
La lingua parlata nella parte orientale
dell'Impero Romano fu sempre il greco. Questo è il motivo per cui la
letteratura bizantina è composta in quella lingua.
Dopo la caduta
della parte occidentale dell'Impero Romano, i Bizantini rafforzarono il loro
orgoglio di ritenersi i legittimi eredi di Roma e dell'antica cultura greca;
compito degli intellettuali fu quello di difendere e tramandare per secoli la
loro identità culturale e la loro matrice cristiana, continuamente
attaccata a Nord dai popoli slavi e a oriente da Arabi prima, da Turchi
dopo.
Imperatori, patriarchi, dignitari imperiali, diaconi, semplici monaci
e maestri di scuola elaborarono una lingua raffinata e precisa che
affrontò temi sacri e profani.
L'eloquenza encomiastica, la
storiografia, il dibattito teologico, le agiografie (dal greco hàgios =
«santo» e graphèin = «scrivere» e cioè
«racconti della vita dei santi») sono generi tipici della letteratura
bizantina insieme col tradizionale romanzo d'amore. L'uso infine dell'arte
retorica applicata alla teologia, alla politica, all'apologia, per molti secoli
bollò la letteratura bizantina dell'accusa di non essere creativa e di
ripetersi su moduli sempre identici.
Gli inizi della letteratura bizantina
vengono fatti ascendere a Giuliano l'Apostata, l'imperatore che con la satira
dei suoi Cesari tentò di distruggere la fama di Costantino e che con il
suo Misopogone, facendo finta di prendere in giro se stesso, accusò di
corruzione gli abitanti di Antiochia.
Il primo grande sviluppo della
letteratura bizantina va collocato nell'età di Giustiniano in cui
giganteggia la figura dello storico Procopio di Cesarea (490-555) che
accompagnò il generale Belisario nelle sue campagne in Persia, in Africa
e in Italia, raccontandole. Procopio narrò le vicende della sua
età in due modi contrapposti, nelle Guerre celebrò la gloria di
Belisario e le sue imprese, nelle Carte segrete rappresentò invece
Belisario come un incapace burattino mosso dalla moglie e, soprattutto
attaccò Giustiniano, accusandolo d'ipocrisia e crudeltà e sua
moglie, Teodora, colpevole, ai suoi occhi, di atteggiamenti lascivi e di
comportamenti scandalosi.
La letteratura bizantina attraversò un
lungo periodo di silenzio negli anni della lotta iconoclasta raccontataci da
Teofane il Confessore nella sua Cronografia, per rifiorire nei due secoli
successivi, quelli dell'apogeo e della grandezza di Bisanzio, che Giovanni
Scilitze descrisse nella sua Sinossi, continuazione ideale della Cronografia di
Teofane il Confessore.
Opere vistose di quest'epoca sono l'Enciclopedia di
Costantino VII Porfirogeneto, imperatore di vasta cultura, che articolò
il suo erudito lavoro in 53 sezioni; la Cronografia di Michele Psello
(1018-1078), che descrisse gli intrighi di palazzo entrando nelle psicologie dei
personaggi; l'Alessiade di Anna Comnena (1083-1154), figlia primogenita di
Alessio 1. Creatrice di un cenacolo filosofico, la principessa, rinchiusa in
convento dopo una fallita congiura da lei ordita, attese al suo poema in prosa
teso ad elogiare l'operato paterno. In esso racconta delle dure lotte contro i
Pecenighi e i Turchi e il traumatico passaggio per Costantinopoli della prima
crociata.
Nel XII secolo si sviluppò il romanzo d'amore celebrato da
Eustazio Macrembolite in Ismine e Isminio, in cui l'eroina conduce il gioco
d'amore con malizia a fronte di un uomo impacciato e che si sperde in fantasie
sessuali.
Romanzi in versi come Aristandro e Callitea e Drosilla e Caricle
ricalcano il genere ellenistico raccontando le storie di giovani innamorati
costretti a subire tristi sventure (rapimenti ad opera di pirati o di briganti,
coinvolgimenti in guerre, prigionie, naufragi) prima dell'inevitabile lieto
fine.
La poesia eroica ha la sua massima espressione nel Digenis Akritis,
la storia di un guerriero, figlio di un saraceno e di una cristiana, che passa
attraverso innumerevoli avventure cavalleresche ed amorose.
Infine la
novellistica, ricca di temi piccanti, è rappresentata da Le belle storie
del filosofo Syntipas, riscoperte e tradotte dal siriano nel XII
secolo.
Con la quarta crociata (1204) e la conquista di Costantinopoli da
parte dei Latini, inizia il lento declino della letteratura bizantina che
durerà fino alla conquista della capitale da parte dei Turchi. La cultura
dell'epoca di arricchì di scambi con l'Occidente latino. Furono gli anni
degli eruditi, dei grammatici e dei retori che trasferirono in Italia, a Firenze
in particolare, la filosofia platonica e le testimonianze degli antichi filosofi
e scienziati, restituendo all'Occidente il senso delle proprie
radici.