ITINERARI - CULTURA E CIVILTÀ - DA ROMA A COSTANTINOPOLI

INTRODUZIONE

La data di nascita della storia bizantina può essere considerata l'11 maggio del 330, quando venne solennemente inaugurata Costantinopoli, la nuova capitale dell'Impero Romano voluta da Costantino il Grande. Nel suo tratto iniziale, quindi, la storia di Costantinopoli non è che un'appendice di quella dell'Impero Romano. La creazione della «Nuova Roma» di Costantino, rispondeva ad un preciso impegno politico e strategico: da un lato voleva sanare quel dissidio fra la parte orientale e la parte occidentale dell'Impero, che era ormai profondamente sentito a livello politico, economico e ancor più culturale; dall'altro, voleva porre un baluardo contro i pericoli esterni, che allora erano rappresentati dai Goti (lungo il Danubio) e dai Persiani (in Asia). Dei due obiettivi, solo il secondo venne alla lunga raggiunto giacché l'unità dell'Impero risultò invece definitivamente compromessa alla morte di Teodosio I (395). Con la suddivisione dell'impero tra i figli di Teodosio (ad Arcadio l'Oriente, ad Onorio l'Occidente) esistettero, di fatto e di diritto, un Impero Romano d'Oriente ed un Impero Romano d'Occidente: il primo chiamato a conservare per più di un millennio l'eredità di Roma; il secondo destinato ad essere travolto dalla propria involuzione prima ancora che dalle ondate barbariche.
Quando nel 476 Odoacre depose Romolo Augustolo, ultimo sovrano d'Occidente, Bisanzio, che non riconosceva alcuna legittimità all'insediamento barbarico, poté rivendicare a sé, con pieno diritto, l'intera eredità di Roma. Lo stesso Odoacre, dopo aver decretato la fine dell'Impero Romano, si premurò d'inviarne le insegne al sovrano bizantino Zenone, in segno di formale sottomissione.
Nei primi secoli della sua storia Costantino guardò a Roma come alla propria matrice, e all'occidente romano, occupato da popolazioni barbariche, come ad una porzione di sé, da reintegrare nell'Impero.
Quest'atteggiamento ebbe il suo momento culminante - e conclusivo - nella figura e nell'opera di Giustiniano (527-565). Al tempo di Giustiniano, per la verità, Bisanzio aveva già assunto, o andava assumendo rapidamente, molti di quei caratteri peculiari che finirono per distinguerla tanto dall'Occidente medievale quanto dall'antico modello di Roma. Il cristianesimo, nel suo incontro con la civiltà e la mentalità orientale, portava ad attribuire alla persona dell'imperatore prerogative quasi sacre, facendo convergere in essa le funzioni sia di capo politico sia di capo religioso: il che si tradusse in un nesso pressoché inestricabile fra Stato e chiesa, fra sentimento nazionalistico e credo religioso, fra ideologia e politica. Contemporaneamente crebbero la ricchezza e il potere del clero (e in particolare degli ordini monastici) al punto di condizionare la stessa autorità imperiale. D'altro canto, i legami con Roma erano ancora chiaramente visibili, nella costituzione politica come nell'apparato amministrativo, nel campo del diritto come in quello dell'organizzazione militare, oltre che nell'aspirazione all'universalità del dominio imperiale.
La guerra contro i Vandali in Africa (533-534), contro gli Ostrogoti in Italia (535-553) e la campagna contro i Visigoti nella penisola iberica (554), condotte dai generali Belisario e Narsete, realizzarono il progetto, di restaurazione imperiale in Occidente. Tale progetto, tuttavia, non si deve intendere soltanto come ristabilimento dell'unità imperiale romana, ma anche (e forse soprattutto) come un disegno economico-strategico, volto al controllo dei principali capisaldi del mondo mediterraneo.
Mentre in Africa i Vandali vennero rapidamente sconfitti, la guerra contro gli Ostrogoti in Italia fu più lunga e difficile: Lo storico Procopio di Cesarea ha lasciato un interessante racconto di quel periodo: dalle sue descrizioni appare con tutta evidenza la situazioni di crisi in cui versava l'Italia, crisi ancor più accentuata dalla guerra che per quasi venti anni sconvolse la già fragile economia della penisola, diffondendo maggior insicurezza e favorendo l'esodo delle popolazioni dalle città. I risultati politici non furono poi duraturi: appena pochi anni dopo, nel 568, nella penisola arrivarono i Longobardi e l'unità con Bisanzio fu definitivamente spezzata.
Anche le operazioni militari in Spagna non dettero i risultati sperati; qui i Visigoti avevano saputo fondersi con l'elemento romano, soprattutto quando dall'arianesimo si erano convertiti al cristianesimo romano. La forte assimilazione tra le due etnie fece sì che l'esercito di Bisanzio non venisse avvertito con quel carattere liberatore, che aveva invece favorito la riconquista dell'Africa. Solo le coste meridionali della Spagna furono così riprese sotto il controllo bizantino.
Complessivamente l'età di Giustiniano sembra caratterizzata da una sorta d'ambiguità fra la prospettiva teorica di romanità e la bizantinità. Ne sono indici la stessa opera legislativa di Giustiniano (il Corpus iuris civilis, scritto in parte in latino e in parte in greco), o la sua politica religiosa (ora favorevole ora contraria all'eresia monofisita) od anche il suo atteggiamento compromissorio nei riguardi dei Persiani di Cosroe I (dei quali l'Impero non disdegnava di divenire tributario, pur di non essere distolto dal suo piano di riconquista dell'Occidente).

BISANZIO

Nell'antichità, Bisanzio era un piccolo centro sulle rive del Bosforo, fondato nel VII secolo a.C. da un gruppo di coloni greci guidati secondo la leggenda, da un tal Biza che avrebbe dato il nome all'insediamento. Nel sito di quell'antica colonia, nel 330 d.C., Costantino fondò la città di Costantinopoli facendone la nuova capitale dell'Impero Romano; il nome primitivo, tuttavia, non scomparve, continuando ad essere usato in alternativa al nuovo; ancora oggi, quando si parla di Bisanzio, di Impero bizantino, di civiltà bizantina, ecc., s'intende far riferimento alla vicenda tardo-romana e medievale di Costantinopoli.
Conquistata dagli Ottomani nel 1453, Costantinopoli diventò la capitale dell'Impero turco, e fu ribattezzata col nome di Istanbul.

IL DIRITTO ROMANO

In una civiltà primitiva il diritto si viene formando lentamente attraverso la consuetudine che stabilizza regole che tutelano o ne sanzionano determinati comportamenti. Tale diritto consuetudinario, che acquisisce aspetti diversi da civiltà a civiltà, ma presenta anche elementi comuni, viene tramandato oralmente e conservato attraverso la memoria, almeno finché non si diffonde la cultura scritta. A Roma, ancora in età monarchica, il diritto consuetudinario era tramandato oralmente e interpretato dai re, che lo integrarono con le loro leggi.
Nel passaggio dall'età monarchica all'età repubblicana il conflitto dei plebei contro i patrizi portò alla richiesta di uguaglianza rispetto alla legge e di trascrizione del diritto in un testo di legge, le dodici Tavole che furono composte da dieci magistrati straordinari, i decemviri. In questo testo confluirono anche il diritto consuetudinario e le leggi dei re. Le dodici Tavole regolavano in maniera schematica con disposizioni brevissime e imperative il processo, i rapporti di famiglia, la proprietà, il diritto ereditario, i delitti e le pene. Alcune di queste regole appaiono ai nostri occhi molto rozze, se non addirittura crudeli: per esempio il diritto di vita o di morte del padre sui figli o il diritto del creditore di vendere come schiavo o di uccidere il debitore insolvente. Ma queste regole provenivano da una società agricola primitiva dove lo Stato offriva pochi mezzi di difesa e dove i tentativi di sopruso e di violenza erano molto frequenti, dove insomma la tendenza era quella di farsi giustizia da soli.
Le dodici Tavole rappresentarono il punto di partenza dello sviluppo successivo del ius civile (= «diritto civile» o diritto della città), che non fu affidato alle leggi, ma alla sapiente interpretazione di esperti del diritto: i giuristi (da iurisperiti = «esperti di diritto»). Questi, che in un primo momento erano i membri del collegio pontificale ed in seguito personaggi provenienti da illustri famiglie nobiliari, si tramandavano una approfondita conoscenza del diritto e delle tecniche interpretative, che adoperavano per consigliare i cittadini sui riti e le formule da adottare nei singoli casi pratici e per suggerire al magistrato giusdicente (il pretore urbano) l'impostazione delle cause. Questo lavoro di interpretazione nell'arco di secoli generò una fine elaborazione ed un notevole ampliamento del diritto stesso, soprattutto di quello che chiamiamo privato e si condensò in una innumerevole serie di opere scritte tra il II secolo a.C. ed i primi decenni del III secolo d.C., che contribuirono a formare una vera e propria scienza del diritto. Lo sviluppo del diritto commerciale ed in particolare la tutela dei contratti, la definizione e la sistematizzazione dei singoli rapporti giuridici, l'introduzione del concetto di dolo («raggiro»), le sottili analisi sulla volontà espressa nel singolo atto pubblico o privato (per esempio un testamento), si devono ai giuristi romani.
La funzione della legge pubblica (proposta dai magistrati e votata dalle assemblee del popolo) aveva un valore complementare ed episodico rispetto a quella dei giuristi ed era adoperata per risolvere questioni riguardanti lo Stato e la sua organizzazione o nascenti da conflitti sociali. Nel passaggio dalla repubblica al principato il principe assunse su di sé gradatamente il controllo della legislazione attraverso l'emanazione di provvedimenti normativi (le costituzioni) e il controllo sull'attività dei giuristi, autorizzandone solo alcuni a dare consigli e assicurandosi la collaborazione dei migliori nel proprio consiglio (consilium principis). Per la prima volta si formarono scuole stabili per l'insegnamento del diritto e la formazione dei futuri giuristi.
Con l'Impero assoluto, a partire dall'imperatore Diocleziano, lo sviluppo autonomo del diritto da parte dei giuristi cessò e fu assorbito dalle costituzioni imperiali che presero il nome di leggi e diventarono l'unica fonte di creazione del nuovo diritto, pur continuando ad essere usate le opere dei giuristi nei tribunali. A questa epoca risalgono le prime raccolte di costituzioni che si chiamarono codici: il Codice Gregoriano e il Codice Ermogeniano di età diocleziana ed il Codice Teodosiano del 438.
La più grandiosa e completa raccolta del diritto romano si deve all'imperatore Giustiniano che dal 529 al 534 fece compilare il Digesto, una antologia di passi tratti dalle opere dei giuristi romani, il Codice Giustinianeo, che raccoglie le costituzioni da Adriano fino a Giustiniano e le Istituzioni, un manuale elementare di diritto per l'insegnamento.
La compilazione di Giustiniano ha avuto un'enorme importanza nell'età medievale e moderna; ristudiata a partire dal Medio Evo, costituì dal XII al XVI secolo la base del diritto vigente in quasi tutti i Paesi dell'Europa centrale e occidentale e più tardi fu utilizzata come termine di confronto per la realizzazione delle codificazioni del Settecento e dell'Ottocento.

DALL'IMPERO ROMANO ALL'IMPERO BIZANTINO

Il pericolo persiano venne scongiurato da Eraclio (610-641), quando a Ctesifonte, nel 628, ripotò una vittoria decisiva sulle forze di Cosroe II. Ma subito dopo, l'avanzata musulmana, costò a Bisanzio gravi mutilazioni in Siria, Egitto, Libia e Mesopotamia.
Sotto il profilo territoriale l'impero aveva perso definitivamente l'Occidente e si era ridotto alla Macedonia, alla Grecia, alla Tracia, all'Anatolia e a parte dell'Armenia; aveva tuttavia acquistato maggiore compattezza ed omogeneità.
Nelle strutture amministrative si passò, per ragioni di sicurezza, da un regime civile ad uno militare: le province furono trasformate in temi ed i comandi supremi affidati agli strateghi. Si accentuò la funzione coesiva del cristianesimo, vero perno dell'unità dell'impero nella pluralità delle sue componenti etniche. Il greco sostituiva il latino come lingua ufficiale.
L'imperativo immediato della politica di Bisanzio era la resistenza anti-araba, di cui furono protagonisti i successori di Eraclio, Costantino III (641-668) e Costantino IV (668-685). Nel 672, quando i musulmani giunsero fin sotto le mura di Bisanzio, la flotta imperiale uscì vittoriosa dalla battaglia di Scilleo (grazie anche alla nuova arma del fuoco greco, inventato dal siriaco Callinico): il califfo Muawija fu costretto alla resa e al pagamento di un tributo annuo all'imperatore.
Tra la fine del secolo VII e l'inizio dell'VIII, Costantinopoli attraversò un oscuro periodo di lotte civili e di anarchia politica, mentre gli Arabi occupavano l'Africa settentrionale e l'Armenia, e i Bulgari si spingevano nella Tracia e per due volte (nel 708 e nel 712) arrivavano a minacciare la stessa Costantinopoli.
L'impero appariva sull'orlo della rovina, quando la nuova dinastia Isaurica iniziò la sua grande opera di riorganizzazione.

GLI IMPERATORI ISAURICI E LA LOTTA ICONOCLASTA

Leone III Isaurico (717-740), che una tradizione storiografica di stampo ecclesiastico ci ha tramandato in veste di tiranno, fu in verità una delle figure di maggior rilievo della storia bizantina. Rotto l'assedio a cui gli Arabi avevano nuovamente sottoposto la capitale, Leone III si impegnò in una vasta azione riformatrice in tutti i campi: amministrativo, militare, commerciale, agricolo, civile e religioso (ne sono espressione il Codice militare, il Codice nautico, il Codice civile o Ecloga). Ma il suo nome resta legato soprattutto alla lunga e tormentata lotta iconoclasta, destinata a protrarsi per più di due secoli e ad avere notevoli ripercussioni sia in Oriente sia in Occidente. Con i decreti del 726 e del 728 Leone III proibì il culto delle immagini e ne ordinò la rimozione da tutti i luoghi pubblici; vietò altresì il culto delle reliquie e ogni forma di venerazione dei santi. Il movente di tali disposizioni era di natura prettamente politica: l'obiettivo era di colpire la potenza e la ricchezza crescenti degli ordini monastici, che proprio nel culto delle icone avevano uno dei loro cespiti più cospicui. L'iconoclastia suscitò un immediato contraccolpo in Occidente: Ravenna cadde in mano longobarda; il ducato romano insorse contro il dominio bizantino creando così le premesse per la nascita dello Stato pontificio. A Bisanzio la contesa si riaccese più volte dapprima sotto il figlio di Leone III, Costantino V (741-775, e quindi al tempo dell'imperatrice Irene, e si trascinò fino all'843, quando Teodora, reggente per il figlio Michele III (842-867), restaurò solennemente il culto delle immagini. A questo punto tuttavia, il partito monastico era ormai vinto, i suoi beni soggetti a pubblica tassazione, e la chiesa bizantina totalmente sottoposta all'autorità imperiale. Se sul fronte interno la lotta iconoclasta produsse un consolidamento dell'assolutismo monarchico, sul fronte esterno coincise con nuove perdite territoriali: gli Arabi occuparono Creta (826), muovendo alla conquista della Sicilia; i Bulgari premevano verso l'Adriatico e la Tracia. Ma, soprattutto, Carlo Magno diede forma in questo periodo (800) al Sacro Romano Impero, richiamando in vita il decaduto Impero d'Occidente appropriandosi di una prerogativa che, in linea di diritto, spettava a Bisanzio. Sul finire di questo periodo avvenne anche il cosiddetto scisma di Fozio, la prima aperta manifestazione della rottura fra chiesa bizantina e chiesa romana. La deposizione del patriarca di Costantinopoli, Ignazio, e la sua sostituzione con Fozio, operata da Cesare Bardas, fratello di Teodora, provocarono la reazione di papa Nicolò I (858-867), che intimò a Fozio di lasciare il patriarcato; ma questi, nel concilio dell'867, anatemizzò il pontefice e dichiarò illegale ogni sua ingerenza nella chiesa greca. Il programma di Fozio fu poi ripreso, a metà del secolo XI, da Michele Cerulario, che provocò la definitiva separazione fra chiesa cattolica e chiesa greco-ortodossa.

CONCILI ECUMENICI ED ERESIE

Dal IV al VI secolo il cristianesimo fu travagliato da molte eresie (dottrine che contraddicevano una verità direttamente rivelata da Dio o sostenuta dalla Chiesa) e da alcuni scismi (separazione di una Chiesa da un'altra).
Tali dispute teologiche e tali contrasti interni vennero provocati dal tentativo di omogeneizzare e interpretare rettamente alcune verità di fede (dogmi) attraverso assemblee generali dei rappresentanti di tutte le Chiese (Concili ecumenici). Il primo Concilio, convocato a Nicea dall'imperatore Costantino nel 327, doveva dirimere una questione simile a tante altre fino ad allora regolate all'interno della Chiesa. Il ruolo attribuitosi dall'imperatore di essere garante della vera fede (cesaropapismo) trasferì le dispute dottrinali da un piano privato ad uno pubblico con conseguenti sanzioni penali ai danni degli eretici.
Dal Concilio di Nicea emerse la dottrina trinitaria così come ancora oggi è professata dai cattolici. Essa era sostenuta da Anastasio che combatteva le tesi di Ario, il quale negava il dogma trinitario. L'Arianesimo venne definitivamente condannato nel 381 da Teodosio nel secondo Concilio ecumenico tenuto a Costantinopoli, ma si diffuse egualmente tra i Goti. Risolto quel problema ne sorse un altro, sulla vera natura di Cristo. Il nestorianesimo sosteneva che in Cristo non c'è l'unione completa delle due nature, quella divina e quella umana, ma solo un'unione morale e non essenziale. Condannato dal Concilio ecumenico di Efeso (431), il nestorianesimo penetrò in Siria e in Mesopotamia. Da Alessandria prese le mosse una nuova dottrina, quella monofisita, che sosteneva che Cristo possedeva una sola natura, non due, quella divina a scapito di quella umana. Il dibattito teologico in merito si trasformò in disputa aperta tra la Chiesa di Costantinopoli fedele al monofismo (scisma di Acacio, 482-519) e quella di Roma che sosteneva la doppia natura di Cristo.

LA DINASTIA MACEDONE E L'APOGEO DI BISANZIO

Nello stesso 867, un favorito di Michele III, già associato al trono col titolo di Augusto, uccise il suo protettore e lo sostituì come sovrano: si tratta di Basilio I (867-886), fondatore della dinastia macedone, la più duratura fra quante ne annoverò Bisanzio. Statisti e guerrieri, gli imperatori macedoni puntarono a consolidare l'autorità statale contro la feudalità latifondista e a riprendere l'offensiva militare contro gli Arabi. Basilio I intervenne in Italia (dove gli Arabi si erano assestati, oltre che in Sicilia, anche in Calabria e in Puglia) e intraprese una lunga e drammatica guerra anti-musulmana sul fronte orientale.
L'offensiva contro gli Arabi continuò sotto i successori Leone VI (886-913) e Costantino VII (912-959) e registrò i maggiori successi sotto Niceforo Foca, Basilio II (976-1025), e Giovanni Tzimisce (usurpatore, 969-976). Basilio ottenne inoltre, dopo un trentennio di lotte, una decisiva vittoria (1018) contro l'impero bulgaro.
Sul piano amministrativo ed organizzativo gli imperatori macedoni realizzarono una forte concentrazione dei poteri, una graduale specializzazione dell'apparato burocratico, il perfezionamento delle strutture tematiche, la ristrutturazione dell'esercito.
Con la morte di Basilio II, ebbe inizio una fase di lenta ma inarrestabile decadenza. Fra il 1025 ed il 1081 un nuovo periodo di lotte dinastiche e di torbidi interni fece perdere di vista a Bisanzio anche i più immediati problemi di sicurezza. Mentre i Normanni partivano alla conquista dell'Italia meridionale, i Croati si costituivano in regno autonomo, i Peceneghi e i Cumani (di stirpe turca) premevano dalla Russia meridionale, gli Ungari tentavano di espandersi a Sud dei Carpazi, i Bulgari tornavano a ribellarsi all'impero. Ma soprattutto era preoccupante l'avanzata dei Turchi Selgiuchidi. Sostituitisi agli Abbasidi nel governo del califfato, essi s'impadronirono in breve anche dell'Asia anteriore e dell'Egitto e si scagliarono contro Bisanzio. Occupata l'Armenia, sconfissero l'imperatore Romano IV a Manzilkert e costituirono il sultanato di Iconio (o di Rum = «del paese dei Romani»), comprendente quasi l'intera Asia Minore.

I COMNENI E GLI ANGELI

Quando una rivolta abbatté Niceforo III e portò al trono Alessio I (1081-1118), iniziatore della dinastia dei Comneni, l'impero bizantino consisteva ormai soltanto nella Tracia, nella Macedonia, nella Grecia e in un tratto della costa anatolica. Tuttavia con Alessio I e con i suoi immediati successori - Giovanni II (1118-1143) e Manuele I (1143-1180) - Bisanzio conobbe un momento di ripresa e di relativo riassestamento. La guerra contro i Normanni iniziata con le sconfitte di Farsalo e Durazzo (1081-1081), terminò grazie all'appoggio della flotta veneziana, con la riconquista dell'Epiro e di Durazzo stessa; lo scontro con i Peceneghi si risolse con la vittoria sul fiume Lebornion (1091).
Meno felice, invece, dal punto di vista di Costantinopoli, fu l'esito della prima Crociata, che liberò i luoghi santi, ma non certo a vantaggio dell'Impero Bizantino; la nascita del regno di Gerusalemme, dei principati di Antiochia, Edessa, Tripoli e di altre signorie consimili - in mano all'elemento latino - creò a Bisanzio nuove e non infondate apprensioni. E la situazione peggiorò ancora quando salì sul trono, ancora fanciullo, Alessio II (1180-1183): le agitazioni, le rivolte militari, i colpi di Stato tornarono all'ordine del giorno. Nel 1185 l'ennesimo putsch portò al seggio imperiale Isacco II (1185-1195), fondatore di una nuova dinastia - quella degli Angeli - che non si segnalò per capacità di governo. Serbi e Bulgari insorsero di nuovo; ma soprattutto i veneziani affermarono il loro monopolio sul commercio bizantino: monopolio che non tardò ad avere effetti politici.

LA QUARTA CROCIATA E L'IMPERO LATINO

Nel 1195 Isacco II fu detronizzato dal fratello Alessandro III (11951203) ed imprigionato insieme al figlio (il futuro effimero Alessio IV). Fu questo il prologo della IV Crociata e della nascita dell'Impero Latino di Costantinopoli; il momento forse più infelice della storia bizantina. Il figlio di Isacco II, fuggito dal carcere, ottenne l'aiuto dei Crociati che, a Zara, attendevano di salpare per l'Oriente alla guida del doge Enrico Dandolo. I Veneziani colsero il pretesto. La Crociata puntò su Costantinopoli, ebbe facilmente ragione della resistenza delle città e rimise sul trono Isacco II e Alessio IV (1203-1204). Ma presto si chiarì il recondito disegno della spedizione. Anziché proseguire nelle conquiste, i Crociati si fermarono da padroni in Costantinopoli, repressero una rivolta popolare con la strage e il saccheggio, elessero infine imperatore Baldovino di Fiandra (uno di loro) e si spartirono i territori dell'impero. Da quel momento fino al 1261, esistette un Impero Latino di Costantinopoli. Nel 1261 Michele VIII Paleologo (1261-1282) si alleò con Genova (trattato di Ninfeo) e sconfisse l'ultimo imperatore latino di Bisanzio, Baldovino II, restaurando l'impero bizantino.

I PALEOLOGHI

La tradizione era ristabilita solo sotto il profilo istituzionale. Il nuovo impero era diverso dall'antico: territorialmente comprendeva soltanto l'Anatolia occidentale, la Tracia, parte della Macedonia, la penisola calcidica e poche isole dell'Egeo; economicamente era prostrato, né poteva liberarsi della morsa in cui lo stringevano gli interessi commerciali di Venezia e Genova; politicamente era in mano ad una dinastia - i Paleologhi - di lunga durata ma di mediocre levatura. Gli restavano circa due secoli di vita, prima di scomparire sotto l'assalto turco; duecento anni di lotte intestine, di continuo ridimensionamento, di lenta agonia. Al tempo di Michele VIII Bisanzio fu minacciata dalle aspirazioni di Carlo d'Angiò (erede, in quanto re di Sicilia, dei diritti di Baldovino II). Questi con l'appoggio di Venezia, conquistò Corfù, Durazzo e una parte dell'Epiro (1272); Michele VIII per scongiurare il pericolo si avvicinò allora al papa (Gregorio IX) riconoscendone la supremazia sulla chiesa ortodossa; quando poi l'Angiò poté contare anche sull'appoggio del nuovo pontefice, il francese Martino IV, i suoi progetti vennero sventati un po' dalla resistenza bizantina ma soprattutto dallo scoppio, in Occidente, dalla guerra angioino-aragonese. Con i successori di Michele VIII - da Andronico II (1282-1328) fino a Costantino XI (1449-1453) - emergono con ossessiva continuità le pressioni cui l'impero fu sottoposto dai Serbi (in Balcania) e dai Turchi (in Asia): i primi, nonostante la grande avanzata del loro re Stefano Dusan vennero alfine contenuti; i secondi furono invece i diretti protagonisti della rovina di Bisanzio.

LA CADUTA DI COSTANTINOPOLI

Nell'Asia anteriore, al dominio dei Selgiuchidi subentrò quello degli Ottomani, che inaugurarono una strategia di progressivo accerchiamento di Costantinopoli destinata al successo. Dapprima conquistarono Brussa (1326), Nicea (1328), Nicomedia (1337), e Gallipoli (1354), per passare all'Europa e mirare alla penisola balcanica; quindi, sotto Murad I, occuparono la Tracia e trasferirono la sede del sultanato ad Adrianopoli. La fine di Bisanzio era nell'aria. Invano Giovanni V (1379-1391) girò l'Europa in cerca d'aiuto. Il Papato era preda del Grande Scisma; le potenze marinare - Genova e Venezia - miravano a difendere i loro interessi commerciali; il solo Amedeo VI di Savoia rispose all'appello, ma riuscì a riconquistare per qualche tempo Gallipoli. Intanto i Turchi sconfiggendo Serbi e Bulgari a Kossovo (1389) s'impossessavano della Balcania; Bayazid I (1389-1402) rese tributaria la Serbia, occupò la Bulgaria, sbaragliò a Nicopoli i Crociati accorsi su invito del papa e dell'imperatore Sigismondo e invase la Grecia e la Morea. Il destino di Costantinopoli appariva segnato; l'impero ricevette un involontario aiuto dai Mongoli di Tamerlano, che battendo Bayazid ad Angora (1402) lo costrinsero a ritirarsi dall'Europa. Ma era soltanto un rinvio.
Nonostante la resistenza antiturca di Albanesi, Ungheresi e Transilvani e nonostante venisse conclusa la riunificazione fra la chiesa romana e la chiesa ortodossa, sostenuta dal cardinal Bessarione e da Giovanni VIII (1425-1448) e sancita dal concilio di Firenze del 1439, la tanto attesa crociata dell'Occidente in salvezza di Bisanzio non ci fu. La fine giunse per mano di Maometto II (succeduto al padre Murad II nel 1451), che dopo due mesi d'assedio ebbe ragione della strenua resistenza dell'antica capitale dell'impero: era il 29 maggio 1453.

IL GIUDIZIO SU BISANZIO

La moderna storiografia su Bisanzio iniziò con la famosissima opera di E. Gibbon, Storia della decadenza e caduta dell'Impero romano, pubblicata a Londra nella metà del secolo XVIII. Già nel titolo, questo monumentale lavoro prefigurava il giudizio dell'autore sulla storia bizantina: per lo storico inglese, Bisanzio non era che un momento (l'ultimo) della storia dell'Impero Romano; in altre parole la vicenda bizantina veniva presentato come un lungo processo di decadenza, per di più privo di originalità e di una sua specifica funzione storica. Tale giudizio, riduttivo e fondamentalmente negativa ha avuto una lunga vita. Ripreso dalla storiografica dell'Ottocento (fortemente eurocentrica tendeva a giudicare con distacco tutto quanto vi è di orientale nella storia bizantina, ed a ridurre quest'ultima ad una sequenza di intrighi e di congiure), si è mantenuto fino al nostro secolo. La stessa connotazione negativa che ancora oggi accompagna i termini «bizantino» e «bizantinismo» è frutto della lunga incomprensione con cui si è guardato alle vicende storiche, artistiche e culturali di Bisanzio. Relativamente recenti, la rivalutazione della storia di Costantinopoli, il riconoscimento della sua originalità e della sua funzione, il recupero della sua individualità indipendentemente dall'eredità romana. In conseguenza di questo ribaltamento di giudizio, si è cominciato a studiare la Bisanzio pre-Costantiniana e la Bisanzio post-medioevale: l'una calata nell'età greco-ellenistica e tardo-romana, l'altra nelle vicende dell'Impero Turco, della penisola balcanica e della Russia; fra queste due c'è la Bisanzio medievale, senz'altro erede dell'istituzione imperiale romana, ma soprattutto crogiuolo di tradizioni diverse ed elaboratrice essa stessa di una civiltà, di una mentalità e di una originalità storica sue proprie.

GLI IMPERATORI TARDOROMANI E BIZANTINI

 Costantino I                     324-337
 Costanzo II                      337-361
 Giuliano                         361-363
 Gioviano                         363-364
 Valente                          364-378
 Teodosio I                       379-395
 Arcadio                          395-408
 Teodosio II                      408-450
 Marciano                         450-457
 Leone I il Grande                457-474
 Leone II                         474
 Zenone                           474-475
 Basilisco                        475-476
 Zenone                           476-491
 Anastasio I                      491-518
 Giustino I                       518-527
 Giustiniano                      527-565
 Giustino II                      565-578
 Tiberio I Costantino             578-582
 Maurizio                         582-602
 Foca                             602-610
 Eraclio                          610-641
 Costantino II                    641
 Eracleona                        641
 Costantino III                   641-668
 Costantino IV Pogonato           668-685
 Giustiniano II Rinotmete         685-695
 Leonzio                          695-698
 Tiberio II                       698-705
 Giustiniano II Rinotmete         705-711
 Filippico                        711-713
 Anastasio II                     713-715
 Teodosio III                     715 717
 Leone III                        717-741
 Costantino V Copronimo           741-755
 Leone IV Cazaro                  775-780
 Costantino VI                    780-797
 Irene                            797-802
 Niceforo I                       802-811
 Stauracio                        811
 Michele I Rangabe                811-813
 Leone V l'Armeno                 813-820
 Michele II                       820-829
 Teofilo                          829-842
 Michele III                      842-867
 Basilio I il Macedone            867-886
 Leone VI il Filosofo             886-912
 Alessandro                       912-913
 Costantino VII Porfirogenito     913-959
 Romano I Lecapeno                920-944
 Romano II                        959-963
 Niceforo II Foca                 963-969
 Giovanni I Tzimisce              969-976
 Basilio II                       976-1025
 Costantino VIII                 1025-1028
 Romano III Argiro               1028-1034
 Michele IV Paflagone            1034-1041
 Michele V Calafate              1041-1042
 Zoe e Teodora                   1042
 Costantino IX  Monomaco         1042-1055
 Teodora                         1055-1056
 Michele VI                      1056-1057
 Isacco I Comneno                1057-1059
 Costantino X Ducas              1059-1067
 Romano IV Diogene               1068-1071
 Michele VII Ducas               1071-1078
 Niceforo III                    1078-1081
 Alessio I Comneno               1081-1118
 Giovanni II Comneno             1118-1143
 Manuele I Comneno               1143-1180
 Alessio II Comneno              1180-1183
 Adronico I Comneno              1183-1185
 Isacco II Angelo                1185-1195
 Alessio III Angelo              1195-1203
 Isacco II e Alessio IV Angelo   1203-1204
 Alessio V Murtzuflo             1204
 Teodoro I Lascaris              1204-1222
 Giovanni III Vatatze            1222-1254
 Teodoro II Lascaris             1254-1258
 Giovanni IV Lascaris            1258-1261
 Michele VIII Paleologo          1261-1282
 Andronico II                    1282-1328
 Andronico III                   1328-1341
 Giovanni V                      1341-1391
 Giovanni VI Cantacuzeno         1341-1354
 Andronico IV                    1376-1379
 Giovanni VII                    1400-1402
 Manuele II Paleologo            1391-1425
 Giovanni VIII Paleologo         1425-1448
 Costantino XI Paleologo         1449-1453

L'ARTE BIZANTINA

L'arte bizantina si sviluppò mettendo assieme tradizioni greco e romane e moduli caratteristici del mondo orientale. La sua influenza si fece sentire per diversi secoli sull'arte italiana ed europea tramite i possessi bizantini di Ravenna, di Roma e dell'Italia meridionale. A testimonianza di quell'arte restano soprattutto le chiese a pianta basilicale e a croce greca, gli splendidi mosaici derivati dal mondo greco romano, gli affreschi dei monasteri rupestri e moltissime icone (dal greco eikòn = «immagine» e per estensione «immagini sacre»).
I Bizantini presero a modello per le loro chiese la basilica, un edificio civile che i Romani usavano per l'amministrazione della giustizia e per lo svolgimento degli affari commerciali. Lavorando sulla pianta basilicale nel IV secolo la trasformarono in croce greca, più adeguata a reggere la copertura a cupola. Spesso un atrio-porticato (narlece) precedeva la facciata della chiesa. Bisanzio venne arricchita di innumerevoli chiese che Giustiniano fece erigere dopo l'incendio provocato dalla rivolta dell'ippodromo del 532 che aveva distrutto gli edifici eretti dall'imperatore Costantino.
Sant'Irene è il più antico esempio di chiesa a pianta basilicale con quattro navate, una cupola e un nartece, ma la massima realizzazione dell'arte giustinianea è rappresentata dalla chiesa di Santa Sofia (= «Divina Sapienza»). L'edificio originario era stato consacrato nel 360, ma era stato distrutto dall'incendio del 532; Giustiniano ne affidò la ricostruzione agli architetti Antemio di Tralle e Isidoro di Mileto che in cinque anni completarono i lavori erigendo una cupola di 31 m di diametro, sostenuta da quattro pilastri giganteschi. L'interno della chiesa, leggero ed arioso, contrasta con la pesante mole esterna. Per reggere il matroneo con altissime colonne, Giustiniano razziò i templi di Artemide ad Efeso e di Zeus a Eliopoli. Internamente rivestita di marmi, Santa Sofia venne arricchita di preziosissimi mosaici, oggi in parte distrutti dalle lotte iconoclaste e dai Turchi che nel 1453 la trasformarono in moschea. Nei secoli successivi vennero abbandonate le grandiose costruzioni e si preferì innalzare chiese più piccole e raccolte.
Dopo le lotte iconoclaste fiorirono nell'Anatolia edifici monastici. Dell'arte degli anacoreti (dal greco anachorèin = «ritirarsi in disparte», e quindi monaci che si ritiravano in solitudine) sono rimaste le celebri chiese rupestri, scavate insieme ai monasteri nelle rocce della Cappadocia. Le chiese vennero affrescate seguendo i parametri caratteristici dell'arte figurativa bizantina, riscontrabili anche nei mosaici e nelle icone: i soggetti religiosi venivano rappresentati in modo formale e talvolta ripetitivo dando spazio soprattutto ai colori vivissimi e ai materiali possibilmente preziosi.

LA LETTERATURA BIZANTINA

La lingua parlata nella parte orientale dell'Impero Romano fu sempre il greco. Questo è il motivo per cui la letteratura bizantina è composta in quella lingua.
Dopo la caduta della parte occidentale dell'Impero Romano, i Bizantini rafforzarono il loro orgoglio di ritenersi i legittimi eredi di Roma e dell'antica cultura greca; compito degli intellettuali fu quello di difendere e tramandare per secoli la loro identità culturale e la loro matrice cristiana, continuamente attaccata a Nord dai popoli slavi e a oriente da Arabi prima, da Turchi dopo.
Imperatori, patriarchi, dignitari imperiali, diaconi, semplici monaci e maestri di scuola elaborarono una lingua raffinata e precisa che affrontò temi sacri e profani.
L'eloquenza encomiastica, la storiografia, il dibattito teologico, le agiografie (dal greco hàgios = «santo» e graphèin = «scrivere» e cioè «racconti della vita dei santi») sono generi tipici della letteratura bizantina insieme col tradizionale romanzo d'amore. L'uso infine dell'arte retorica applicata alla teologia, alla politica, all'apologia, per molti secoli bollò la letteratura bizantina dell'accusa di non essere creativa e di ripetersi su moduli sempre identici.
Gli inizi della letteratura bizantina vengono fatti ascendere a Giuliano l'Apostata, l'imperatore che con la satira dei suoi Cesari tentò di distruggere la fama di Costantino e che con il suo Misopogone, facendo finta di prendere in giro se stesso, accusò di corruzione gli abitanti di Antiochia.
Il primo grande sviluppo della letteratura bizantina va collocato nell'età di Giustiniano in cui giganteggia la figura dello storico Procopio di Cesarea (490-555) che accompagnò il generale Belisario nelle sue campagne in Persia, in Africa e in Italia, raccontandole. Procopio narrò le vicende della sua età in due modi contrapposti, nelle Guerre celebrò la gloria di Belisario e le sue imprese, nelle Carte segrete rappresentò invece Belisario come un incapace burattino mosso dalla moglie e, soprattutto attaccò Giustiniano, accusandolo d'ipocrisia e crudeltà e sua moglie, Teodora, colpevole, ai suoi occhi, di atteggiamenti lascivi e di comportamenti scandalosi.
La letteratura bizantina attraversò un lungo periodo di silenzio negli anni della lotta iconoclasta raccontataci da Teofane il Confessore nella sua Cronografia, per rifiorire nei due secoli successivi, quelli dell'apogeo e della grandezza di Bisanzio, che Giovanni Scilitze descrisse nella sua Sinossi, continuazione ideale della Cronografia di Teofane il Confessore.
Opere vistose di quest'epoca sono l'Enciclopedia di Costantino VII Porfirogeneto, imperatore di vasta cultura, che articolò il suo erudito lavoro in 53 sezioni; la Cronografia di Michele Psello (1018-1078), che descrisse gli intrighi di palazzo entrando nelle psicologie dei personaggi; l'Alessiade di Anna Comnena (1083-1154), figlia primogenita di Alessio 1. Creatrice di un cenacolo filosofico, la principessa, rinchiusa in convento dopo una fallita congiura da lei ordita, attese al suo poema in prosa teso ad elogiare l'operato paterno. In esso racconta delle dure lotte contro i Pecenighi e i Turchi e il traumatico passaggio per Costantinopoli della prima crociata.
Nel XII secolo si sviluppò il romanzo d'amore celebrato da Eustazio Macrembolite in Ismine e Isminio, in cui l'eroina conduce il gioco d'amore con malizia a fronte di un uomo impacciato e che si sperde in fantasie sessuali.
Romanzi in versi come Aristandro e Callitea e Drosilla e Caricle ricalcano il genere ellenistico raccontando le storie di giovani innamorati costretti a subire tristi sventure (rapimenti ad opera di pirati o di briganti, coinvolgimenti in guerre, prigionie, naufragi) prima dell'inevitabile lieto fine.
La poesia eroica ha la sua massima espressione nel Digenis Akritis, la storia di un guerriero, figlio di un saraceno e di una cristiana, che passa attraverso innumerevoli avventure cavalleresche ed amorose.
Infine la novellistica, ricca di temi piccanti, è rappresentata da Le belle storie del filosofo Syntipas, riscoperte e tradotte dal siriano nel XII secolo.
Con la quarta crociata (1204) e la conquista di Costantinopoli da parte dei Latini, inizia il lento declino della letteratura bizantina che durerà fino alla conquista della capitale da parte dei Turchi. La cultura dell'epoca di arricchì di scambi con l'Occidente latino. Furono gli anni degli eruditi, dei grammatici e dei retori che trasferirono in Italia, a Firenze in particolare, la filosofia platonica e le testimonianze degli antichi filosofi e scienziati, restituendo all'Occidente il senso delle proprie radici.

 

 

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