MUSSOLINI, BENITO

Uomo politico italiano. Appartenente a una famiglia della piccola borghesia paesana, conseguì nel 1901 il diploma magistrale. Sulla scia dell'attivismo politico del padre, di stampo anarchico e fieramente anticlericale, si orientò presto verso la politica, iscrivendosi già nel 1900 al Partito Socialista e iniziando a collaborare alla rivista "Giustizia" di Prampolini, nonostante la sua dichiarata avversione per le tendenze moderate e riformistiche. Nel 1902, per sfuggire all'obbligo del servizio militare, emigrò in Svizzera dove si dedicò prevalentemente alla propaganda politica, distinguendosi per la sua aggressività verbale e il violento anticlericalismo. A questo periodo risale la sua formazione politico-ideologica, basata sulla lettura di testi eterogenei e destinati a incidere profondamente sulle teorie e sulle scelte politiche di Mussolini: Marx, Blanqui, Proudhon, ma anche Pareto e Nietzsche, costituirono le basi, divergenti e in qualche caso contraddittorie, della sua cultura politica. Ripetutamente espulso da diversi Cantoni svizzeri, nel 1905 poté rientrare in Italia grazie a un'amnistia e prestò il servizio militare a Verona. Congedatosi nel 1906, esercitò l'insegnamento a Tolmezzo e ad Oneglia (1908), collaborando contemporaneamente al periodico socialista "La lima". Prima di tornare in Romagna, nel 1909, fu segretario della Camera del Lavoro di Trento (dalla quale fu espulso dopo sei mesi) e direttore de "L'avventura del lavoratore". Stabilitosi a Forlì, conobbe la futura moglie, Rachele Guidi, che avrebbe sposato nel 1915 e dalla quale avrebbe avuto cinque figli. Riprese l'attività politica assumendo la segreteria della Federazione socialista forlivese e la direzione del settimanale "Lotta di classe", affermandosi presto come il leader della corrente rivoluzionaria e ponendo le basi della sua ascesa politica. Il socialismo di Mussolini di marcato stampo rivoluzionario si andava allontanando sempre più chiaramente da quello tradizionale del PSI. Nel 1911 si pose a capo dell'agitazione romagnola contro l'impresa di Libia e ciò gli costò la condanna a un anno di reclusione, ridotta poi a cinque mesi. La sua prima affermazione in campo nazionale avvenne al Congresso di Reggio Emilia del 1912, dove ottenne un considerevole successo personale, riuscendo a far passare un ordine del giorno che chiedeva l'espulsione della corrente di destra, rappresentata da Bissolati, Bonomi e Cabrini. Poco dopo assunse la direzione dell'"Avanti!" e si trasferì a Milano, dove conobbe Margherita Sarfatti, la cui vicinanza fu determinante soprattutto alla vigilia della guerra. Giornalista abile, riuscì ad aumentare notevolmente la tiratura del quotidiano da lui diretto, dando ad esso un'impronta più spiccatamente rivoluzionaria. Sulla base delle teorie di G. Sorel, sostenne la validità dello sciopero generale a oltranza come occasione rivoluzionaria, facendosi promotore di manifestazioni che conobbero il momento più drammatico nella "settimana rossa" del 1914. Allo scoppio della prima guerra mondiale, sostenne una posizione di "neutralità attiva e operante" dell'Italia, convinto che si trattasse dell'occasione per intraprendere l'auspicato rinnovamento rivoluzionario. Dopo essersi dimesso dalla direzione dell'"Avanti!", fondò un proprio giornale, "Il Popolo d'Italia", sulle cui colonne pubblicò interventi di carattere esasperatamente nazionalistico; da un iniziale neutralismo passò successivamente a posizioni di acceso interventismo a fianco dell'Intesa. Nel novembre 1914 fu espulso dal Partito Socialista e l'anno successivo venne richiamato alle armi. Ferito, fu congedato, e tornò alla direzione effettiva de "Il Popolo d'Italia". Mussolini predicò il superamento della lotta di classe di matrice socialista propugnando l'attuazione di una società basata sui principi produttivo-capitalistici, in grado di migliorare le condizioni e soddisfare tutti i ceti. Nonostante tali teorie lo ponessero inizialmente in una posizione isolata sul piano politico, egli fu in grado di ottenere sempre maggiori consensi: nel marzo 1919 fondò i Fasci di combattimento, il cui nome si collegava ai Fasci di azione rivoluzionaria a favore dell'intervento nel conflitto mondiale e al Fascio di difesa nazionale fondato dopo Caporetto. Il nuovo movimento si presentava con un'impronta decisamente nazionalistica e rivoluzionaria, con un programma di radicale trasformazione dello Stato che superava qualsiasi programma del Socialismo italiano. Successivamente, assumendo una chiara funzione anti-sindacale e anti-socialista ed eliminando quegli elementi di ambiguità che ancora permanevano nei programmi iniziali, il Fascismo abbandonò ogni parvenza rivoluzionaria, ponendosi piuttosto al servizio della controrivoluzione. Entrato nel 1921 in Parlamento con una trentina di deputati fascisti, eletti in liste di coalizione liberal-fascista, e ormai forte di numerose adesioni, nonché della protezione, dei mezzi finanziari e delle armi fornite al suo movimento, Mussolini lo trasformò nel novembre successivo in Partito Nazionale Fascista e diede una più solida organizzazione alle squadre addestrate nella lotta anti-socialista. In questo periodo, dal suo quartiere generale di Milano, Mussolini operò muovendosi in una duplice direzione: condusse un'opera di agganciamento delle forze politiche del moderatismo conservatore e, contemporaneamente, esercitò, allo scopo di distruggere la struttura organizzativa del proletariato, un'opera di dura repressione nei confronti di sedi socialiste, camere del lavoro, cooperative. Il 28 ottobre 1922 Mussolini attuò la "marcia su Roma", a seguito della quale cadde il Governo Facta e il re lo incaricò di formare il suo primo Governo, composto da una larga coalizione di liberali, democratici, popolari, indipendenti. Si adoperò per eliminare ogni possibile alternativa politica: costituì il Gran Consiglio del Fascismo (dicembre 1922), presieduto da lui stesso, e istituì la Milizia volontaria per la difesa dello Stato (gennaio 1923). Nel 1923 Mussolini iniziò l'opera di ristrutturazione istituzionale, dopo essere riuscito a far approvare una nuova legge elettorale (legge Acerbo) destinata a rendere innocua l'opposizione. Superata la crisi dell'Aventino provocata dall'assassinio del socialista Giacomo Matteotti (1924), nel gennaio 1925 egli preannunciò una serie di leggi che avrebbero completamente sovvertito la vecchia struttura dello Stato italiano. Si poteva ormai parlare di dittatura del Fascismo e, in essa, di una dittatura personale di Mussolini il quale, manovrando ad arte alcuni presunti attentati contro la sua persona, alla fine del 1926 decretò lo scioglimento di tutti i partiti, a eccezione di quello fascista, e l'istituzione del Tribunale speciale. Tra il 1926 e il 1934 fu attuata la definitiva trasformazione dello Stato liberale in quello fascista attraverso la costituzione di un ordine gerarchico di gruppi come base dello Stato corporativo, all'interno del quale egli cercò di inserire anche la Chiesa cattolica, quale elemento che garantisse equilibrio e stabilità. Con il Concordato del 1929, che pose fine alla "Questione romana", la Chiesa riconobbe, dopo 60 anni dall'occupazione di Roma, lo Stato italiano. A partire dal 1935, in concomitanza con l'ascesa al potere di Adolf Hitler, Mussolini, esaltato da un'incessante propaganda, diede un'impronta più assoluta alla propria dittatura e abbandonò la prudenza che aveva caratterizzato la sua politica estera nel decennio precedente. Adottando inizialmente una linea di condotta piuttosto ambigua e incerta, deciso a ristabilire sul piano internazionale l'antico prestigio italiano, intraprese la campagna d'Etiopia (1936), che però fece incrinare i rapporti con la Francia e la Gran Bretagna, costringendolo ad avvicinarsi alla Germania. I legami di solidarietà con la Germania, che si strinsero durante la guerra civile spagnola, portarono Mussolini all'accettazione dell'Anschluss (1938) e alla persecuzione degli Ebrei. Con la Germania strinse il Patto d'Acciaio (22 maggio 1939) che lo avrebbe condotto all'intervento in guerra al fianco di Hitler (10 giugno 1940). Dopo essersi fatto nominare primo maresciallo dell'Impero nel marzo 1938, all'inizio della guerra pretese il conferimento del comando supremo, rivelando una pressoché totale incompetenza militare. Mentre le operazioni militari volgevano al peggio, Mussolini, in posizione sempre più subordinata a Hitler, perse il controllo degli avvenimenti, ormai criticato apertamente da molti suoi collaboratori. Gli insuccessi della sua opera di comandante supremo, le disastrose campagne in Grecia e in Russia e lo sbarco degli Alleati in Sicilia resero sempre più vacillante la posizione del duce. Il 24 luglio 1943 il Gran Consiglio approvò un ordine del giorno presentato da Dino Grandi contro di lui; il re gli revocò il mandato di governo, affidandolo a Badoglio. Arrestato il giorno seguente, fu trasferito prima a Ponza, poi alla Maddalena, infine al Gran Sasso. Liberato dai Tedeschi e trasportato in Germania, in un discorso trasmesso da Radio Monaco comunicò agli Italiani la decisione di riprendere la lotta a fianco della Germania, dando vita a un nuovo Stato "repubblicano e sociale" che avrebbe annientato le "plutocrazie parassitarie". Trasformato quindi il Partito Nazionale Fascista in Partito Fascista Repubblicano, costituì un Governo (30 settembre) in contrapposizione a quello Badoglio. Dopo pochi giorni di permanenza alla Rocca delle Caminate (Forlì), Mussolini si trasferì nella villa Feltrinelli a Gargnano, sul Lago di Garda: nacque così la Repubblica Sociale Italiana (1° dicembre 1943), con sede a Salò, nella quale Mussolini esercitò sia la funzione di capo dello Stato che del Governo. Il 17 aprile 1945 si spostò da Gargnano a Milano e il 25 tentò di negoziare la resa, offrendo al Comitato di Liberazione Nazionale la successione della Repubblica Sociale, in cambio dell'incolumità per sé e per i fascisti. Di fronte all'intimazione di resa incondizionata, tentò la via della fuga. Catturato a Dongo il 25 aprile insieme a Claretta Petacci (la donna a cui era legato dal 1936), il giorno successivo venne trasferito con la sua compagna a Giulino di Mezzegra e giustiziato. Mussolini fu autore di diversi scritti, fra i quali ricordiamo: La mia vita (1912); Giovanni Huss il veridico (1913); Vita di Arnaldo (1932); Scritti e discorsi (1934-40); Parlo con Bruno (1941) (Dovia di Predappio, Forlì 1883 - Giulino di Mezzegra, Como 1945).

 

 

eXTReMe Tracker

Shiny Stat

free counters